Non canto i cavalier, l’armi, gli onori,
come un dì fece il grande Ludovico.
Le guerre infami, i sanguinanti allori;
di tutto questo non mi importa un fico.
Ma i lavoranti, l’ape, i campi, i fiori;
le cose grandi solamente, dico.
(Morbello Vergari)
Probabile portatrice di geni etruschi.......vediamo se la passione è contagiosa
e sono graditi pure interventi, puntualizzazioni e domande e mi raccomando di non essere troppo duri con me per eventuali strafalcioni...sono solo una dilettante!
molte immagini sono state prese da internet, se i proprietari non fossero d'accordo lo facciano presente e saranno tempestivamente rimosse
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IL BLOG DI RIEVOCAZIONE ETRUSCA
(mech Rasna tsui ame!)
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Messaggi di Marzo 2009
SU SEGNALAZIONE DELLA SORELLA DI STIRPE TIU VEIO: SARTEANO. Nella famosa necropoli etrusca delle Pianacce, quella della tomba della “Quadriga Infernale” - considerata una delle più importanti scoperte del mondo dell’archeologia degli ultimi anni - sono state rinvenute delle fondamenta etrusche risalenti con molta probabilità al IV secolo a.C., l'epoca del grande re etruscoPorsenna.
altre foto e articolo THUI: http://www.ilcittadinoonline.it/index.php?id=9055 LA TOMBA DELLA QUADRIGA INFERNALE IV secolo a.C: unica nel suo genere per la conservazione dei colori delle pitture E' senza confronti, sia in ambito pittorico che ceramografico, la figura del demone che conduce su un carro una quadriga formata da due leoni e due grifi, rivolto verso l’esterno della tomba dopo aver lasciato il defunto al limite dell’Ade. Si tratta di una versione del tutto innovativa di Charun, il demone dell’immaginario funerario etrusco che accompagna il defunto nell’Oltretomba. Figura singolare e inquietante che diventa così uno dei più suggestivi e particolari “ritratti” dell’arte etrusca. Il limite dell’Ade è simboleggiato da una porta dorica dipinta che incornicia una nicchia. Al di là di questa una consueta scena di banchetto, sicuramente ambientato nell’Aldilà, con due personaggi maschili sopra una kline che si rivolgono una straordinario e unico gesto di affetto: si tratta o di una coppia di amanti o di una coppia parentale come avviene sulle coeve tombe orvietane, dipinte quasi sicuramente dalle stesse maestranze che hanno operato a Sarteano. Poi, sempre sulla sinistra, nella camera di fondo, è dipinto un grande serpente a tre teste, simbolo dei mostri che dovevano popolare l’interno dell’Ade secondo le credenze etrusche. Anche l’ippocampo sul frontone di fondo, pur essendo elemento consueto nella pittura parietale, ha dimensioni eccezionali ed accentua l’ambientazione della camera stessa come recesso dell’Oltretomba. Sotto il frontone, si erge l’imponente sarcofago di alabastro grigio con il defunto disteso sul coperchio, ultima dimora del proprietario della tomba.
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Post n°205 pubblicato il 31 Marzo 2009 da zoeal
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Gli strumenti (e di conseguenza anche il ritmo, l'armonia, le disposizioni melodiche) sono manifestamente gli stessi che troviamo nel mondo musicale dei Greci: una identità che non sorprende, se si tien conto degli stretti rapporti di dipendenza che legano le città etrusche alla civiltà ellenica per tanti altri aspetti. Fra gli strumenti a corda, rappresentati o ricordati, sono la cetra, la lira, il barbiton; fra gli strumenti a fiato, il doppio flauto (tibiae) e la tromba diritta (salpinx, tuba) o ricurva (cornu); fra quelli a percussione, i crotali delle danzatrici. Il duo del suonatore di cetra (o lira, o barbiton) e del suonatore di doppio flauto costituisce, come in Grecia, un accoppiamento normale: lo vediamo rappresentato con particolare frequenza nelle scene di banchetto o di danza delle pitture funerarie. Eppure, nell'ambito di una comune civiltà musicale l'Etruria deve aver avuto, così nei generi come nella pratica, certe sue particolari tendenze e tradizioni. Non può trascurarsi l'insistenza con la quale gli scrittori antichi parlano dell'impiego del doppio flauto presso gli Etruschi, quasi di uno strumento nazionale derivato dalla Lidia e poi trasmesso dagli Etruschi ai Romani: il flautista o auleta si chiamava a Roma, con nome derivato dall'etrusco, subulo. In verità l'auletica è un genere largamente diffuso in Grecia, ma attribuito originariamente ai Frigi ed ai Lidi: esso risponde ad un gusto musicale per il patetico e per l' orgiastico. Anche in questo caso, come in altre manifestazioni della civiltà artistica, gli Etruschi avrebbero accolto dalla complessa esperienza ellenica certi elementi più vicini alla loro sensibilità, orientandosi specialmente verso le forme elaborate nelle città greco-orientali dell'Asia Minore. Logicamente dobbiamo supporre che la musica etrusca preferisse quei «modi» che i teorici greci definivano lidio, ipolidio, frigio e ipofrigio, con i relativi sistemi tonali, in contrapposizione con la grave e solenne musica dorica. D'altro canto la tradizione greca, antica e concorde (Eschilo, Eumen., 567 sgg.; Sofocle, Aiace, 17; Euripide, Fen., 1377 sgg., ecc.), attribuisce agli Etruschi la tromba: salpinx. Pur non significando che questo antico strumento sia stato inventato realmente in Etruria, ciò vuol dire che esso era caratteristico delle costumanze militari e forse anche religiose etrusche, ed eventualmente fabbricato ed esportato da botteghe di bronzisti etruschi (ma i monumenti figurati rappresentano di preferenza la tromba ricurva, il corno, o diritta con la sua estremità ricurva come il lituo). In ogni caso il favore accordato agli strumenti a fiato corrisponde ad un notevole sviluppo delle pratiche musicali distaccate dal canto. La musica non soltanto si collega con la danza e con la mimica nelle grandi celebrazioni religiose e nelle manifestazioni sceniche, ma sovente accompagna singoli momenti del rito ed azioni della vita pubblica e privata, come le gare sportive, la caccia, la preparazione dei banchetti e persino la fustigazione degli schiavi. Questo rapporto della musica piuttosto con il gesto che con la parola trova il suo parallelo nelle forme peculiari degli spettacoli scenici etruschi, che avevano, per quanto sappiamo (Livio, VII, 2, 4 sgg.), carattere di mimo ed erano rappresentati da attori-danzatori mascherati (histriones o ludiones), talvolta anche con allusioni buffonesche e satiriche. Ciò non esclude la possibilità di vere azioni drammatiche dialogate, certamente favorite, a partire dal IV secolo, dall'influsso delle forme del teatro greco (come attestano i frequenti modellini di maschere comiche trovati nelle tombe etrusche). La danza ci è nota soprattutto dalle figurazioni funerarie del VI e del V secolo. Sembra di regola eseguita da ballerini professionali: danzatrici singole accompagnate da un suonatore di doppio flauto; danzatori a coppia; ma soprattutto cori di uomini e donne procedenti in fila distaccati e con movimenti individuali, guidati da musici (suonatori di cetra o lira e flautisti) forse in funzione di corifei. I musici partecipano ai passi della danza. Qualche volta si colgono nell'atto di ballare anche personaggi della classe gentilizia alla quale apparteneva la famiglia del defunto. I movimenti saltellanti delle gambe e i gesti accentuati e presumibilmente rapidi delle braccia e della testa rivelano un genere di danza fortemente scandito, agitato se non addirittura orgiastico, che si ispira presumibilmente alla greca sikinnis di origine dionisiaca. Ma i documenti limitati nel tempo e nell'ambito dell'arte funeraria non sono sufficienti a provare che questo genere sia stato il solo coltivato in Etruria. Esso, comunque, si accorda con i «modi» musicali che abbiamo supposto dominanti nel mondo etrusco. fonte THUI |
Post n°203 pubblicato il 26 Marzo 2009 da zoeal
Vorrei respirare aria fresca volando a pelo d’acqua, il blu sotto di me. Come un gabbiano riposarmi sull’albero più alto della nave più grande che solca l’immensità delle acque. Volgere lo sguardo verso la riva che si allontana e volare via, ancora, cercando un altro luogo sul quale appollaiarmi. Lontano dalla eco del mondo, lontano dagli schiamazzi degli uomini … vorrei essere con l’altra parte della mia vita; solo noi due, gabbiani che scrutano dall’alto il regno di Nettuno. |
In età preistorica la pianura grossetana era occupata da un grande golfo in cui sfociavano il fiume Ombrone e il torrente Bruna. (il lago Prile ai tempi degli Etruschi) (il lago Prile ai tempi dei Romani) In breve tempo il bacino diventò un immenso e malsano padule e nella zona imperversò per secoli la malaria. Adesso, quel che rimane del Prile è la riserva faunistica della Diaccia Botrona, presso Castiglione della Pescaia, un'oasi faunistica di estrema bellezza per le specie di uccelli migratori che vi soggiornano.
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LE SEI RAGIONI PER CUI I ROMANI CONSIDERAVANO LE DONNE ETRUSCHE “POCO SERIE” (Mater Matuta - museo di Chiusi - V sec. A C.) Le etrusche
Le romane
Erano un pò esagerati 'sti romani ... |
RIMASERO A GUARDARE .... I VETULONIESI
Museo Archeologico Isidoro FalchiIndirizzo: Piazza Vetluna – 58040 Vetulonia (Gr) Apertura Chiusura: ottobre-maggio i lunedì non festivi Chissà cosa avevano contro Roselle tanto da desiderarne l'eliminazione? la risposta è semplice ed il motivo è sempre quello: lo sporco denaro. Nel IV secolo Vetulonia entrò in crisi, probabilmente offuscata dalla più potente Roselle; le due città erano talmente divise da possedere due porti distinti pur essendo distanti solo una ventina di chilometri; si spiega perchè osservarono la distruzione della rivale senza muovere un dito, secondo alcuni misero addirittura a disposizione la città alle truppe romane fungendo da punto d'appoggio .... la verità non la sapremo mai! Una cosa è certa, Vetulonia, seppur romanizzata, dopo la scomparsa di Roselle, rifiorì. |
Il bucchero è una tipica ceramica etrusca, facilmente riconoscibile anche dai meno esperti. Si distingue per il colore nero e brillante delle superfici, che non è dovuto a una vernice, ma al particolare procedimento di realizzazione. L’argilla accuratamente depurata e lavorata la tornio veniva cotta in forni ermeticamente chiusi dove, in assenza d’aria, si verificava un processo di ossidoriduzione degli elementi chimici dell'argilla. Il nome deriva da un termine portoghese, “bucàro”, che significa terra odorosa ed era attribuito a vasi peruviani di terracotta colorata, molto ammirati in Italia nel periodo in cui si praticavano i primi scavi nelle necropoli etrusche. Chi furono gli inventori del bucchero? Gli artigiani di Caere, che, intorno alla metà del VII secolo a.C. vi crearono i primi servizi da mensa, per imitare con la sua lucentezza i vasi metallici, molto più costosi e pesanti. Alcuni esemplari hanno conservato tracce dell’applicazione di una sottilissima lamina argentea che ne doveva aumentare lo splendore. I primi esemplari sono i più belli, i maggiormente curati. Hanno forme “sperimentali” che spesso riecheggiano i prototipi metallici. Sono vasi a guscio d’uovo, situle, vasi configurati o calici come quello del Museo di Cerveteri, con decorazione a ventaglietti e il piede smontabile. Le pareti possono essere eccezionalmente sottili. Gli ornamenti, talvolta enfatizzati da colore biancastro o ocra, erano graffiti, cesellati o ricavati con una specie di rotellina, con tecniche simili a quelle della contemporanea lavorazione dei metalli. Da una tomba ceretana, proviene, ad esempio, la bellissima oinochoe (vaso per il vino) di bucchero con il collo tronco-conico, la bocca trilobata e un cervo e due cavalli alati graffiti sulla pancia, conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Un’altra oinochoe di bucchero nello stesso Museo, databile tra il 630 e il 620 a.C., proviene dalla necropoli di Narce e si segnala per la fascia graffita con un tradizionale repertorio orientalizzante. Il bucchero ebbe subito successo, non solo sui mercati etruschi, ma in tutto il Mediterraneo. Ceramica di questo tipo è stata rinvenuta sulle coste gallo-iberiche, a Cartagine, in Sicilia, nella Magna Grecia e in Grecia, nel Basso Egitto e a Cipro. Le fabbriche si moltiplicarono, anche fuori di Caere, con una conseguente standardizzazione della produzione. La decorazione graffita viene man mano sostituita da quella a stampo, più rapida da eseguirsi e prima di allora usata nei grandi vasi da magazzino. Tra il 600 e il 550 a.C., nell’ornamento di vasi che mostrano un leggero ispessimento delle pareti, prodotti anche a Veio, Vulci e Tarquinia, si svolgevano sigilli rotondi, con illustrazioni in negativo, alcune di chiara derivazione orientale, come le teorie di animali fantastici, soprattutto intorno all’imboccatura. Assai presto accanto a questa ceramica ne compare un’altra dalle pareti spesse, chiamata bucchero pesante, che assunse una particolare importanza dalla metà del VI secolo a.C. e fu molto diffusa a Chiusi. Le forme sono elaborate e l’ornamentazione a rilievo ricca e complessa. Nel corso del V secolo a.C., contemporaneamente alla profonda crisi che colpì tutta la civiltà etrusca, la produzione del bucchero cessò per fare spazio alla creazione di vasi a vernice nera, più semplici da realizzare. (E SOPRATTUTTO MENO COSTOSI ...NDR) FONTE: THUI (ricopiato pari pari per mancanza di tempo ...) |
Il lago dell’Accesa è uno specchio d’acqua che si trova nel territorio di Massa Marittima. E’ un piccolo lago attorno al quale, da sempre si respira aria di mistero. Infatti, non se ne conosce l’origine ed esiste solo una stima anche della sua profondità perché pare sia fatto ad imbuto, sconosciuta anche la ragione delle correnti che lo muovono. La fauna e la flora acquatica sono praticamente inesistenti, anche se qualcuno del posto giura di aver visto mostri e coccodrilli. La leggenda dice che nel luogo ove ora ci sono le acque, ci fosse stato un villaggio abitato da gente bestemmiatrice e così avida che metteva al primo posto l’accumolo del denaro per cui lavorava ogni giorno dimenticandosi anche delle feste consacrate a Dio, che volle punirli facendo sprofondare il villaggio in una voragine, la stessa dove adesso c’è il lago. Il posto è ameno, la campagna è bella, i boschi sono ombrosi; l’alone di mistero aleggia e rende l’atmosfera magica. E’ sulle sponde di questo lago che sorgeva un insediamento etrusco organizzato in quartieri (indicati dagli scavatori con le lettere A, B, C, D ed E), ognuno costituito da un gruppo di edifici e dotato di una necropoli. Probabilmente era un villaggio dove le attività prevalenti erano quelle agricole e soprattutto quelle relative alla lavorazione dei metalli, infatti, nella zona si può parlare effettivamente di Polo Industriale metallurgico etrusco.
un simpatico link I MISTERI DEL LAGO e per altre informazioni meno leggendarie THUI |
Spezzatino di cinghiale alla maremmana Con gli Etruschi che c’entra? Niente, ma il cinghiale di sicuro “garbava” assai anche a loro.
Per 4 persone, ma se siete mangioni per 3
700 gr. Di spezzatino di cinghiale possibilmente non di allevamento ma selvaggio. 1 cipolla 1 o 2 spicchi d’aglio. 1 rametto di rosmarino Qualche foglia di salvia 1 peperoncino Mezza bottiglia di passata di pomodoro Olio Pepe Sale mezzo bicchiere di vino rosso
Preliminari: congelate lo spezzatino di cinghiale e tenetelo così per una settimana (facilita l’eliminazione del selvatico specie se il cinghiale è di cacciata). Il giorno prima di quello in cui intendete cucinarlo, scongelatelo, sciacquatelo e tenetelo a bagno nell’acqua per una notte (io l’ho meso in frigo con la baccinella). Svolgimento: risciacquate bene il cinghiale e mettetelo in una padella così com’è a fuoco basso e gettare l’acqua mano a mano che si forma; quando lo spezzatino non fa più acqua, allora può essere cucinato. Tritare grossolanamente l’aglio e la cipolla e farli soffriggere un po’ con il peperoncino, la salvia e il rosmarino; mettere il conghiale, sale e pepe e fare rosolare; quando è rosolato bagnare con mezzo bicchiere di vino rosso e far evaporare, poi aggiungere la passata di pomodoro e un po’ d’acqua; finire la cottura lentamente e se lo spezzatino dovesse essere un po’ duro, aggiungere altra poca acqua e far restringere senza avere fretta, aggiustando di sale alla fine se occorre. Buon appetito!.
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Post n°196 pubblicato il 06 Marzo 2009 da zoeal
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Post n°195 pubblicato il 05 Marzo 2009 da zoeal
IO CAPISCO GIULIO CESARE
Senza nessun preavviso gli oggetti diventano macchiati e distorti da onde grigiastre e a volte emettono guizzi di luce dorata che si dissolvono nell’aria come scintille di un fuoco che si sta estinguendo. Davanti alle pupille si formano poi numerosi cerchi concentrici che appaiono e spariscono, spalanchi gli occhi ma non riesci ad eliminarli e diventa difficile anche tenersi in equilibrio. Contemporaneamente il cuore accelera il battito e cominci a sudare freddo; se l’attacco è grave a quel punto non riesci ad articolare le parole e se è molto grave le tue membra si irrigiscono e per qualche lunghissimo attimo non riesci a muoverti, in alcuni rari casi questa fase dell’attacco può essere accompagnata dalla perdita inconsapevole di urine. I disturbi durano pochi minuti ma sembrano un’eternità. Una volta terminati, se ti va bene, tutto torna normale, se ti va male invece scoppia il mal di testa. Può essere circoscritto ad un lato del cranio oppure ad entrambi; il dolore è insopportabile e refrattario ai normali analgesici. Si accompagna a fotosensibilità, vomito, irritabilità ai rumori e difficoltà del linguaggio; costringe a rimenere a letto nell’impossibilità di svolgere anche le più semplici attività quotidiane. Dura da poche ore fino a 3-4 giorni. Quando finisce si ha la sensazione di essere stati all’inferno e la felicità di essere ritornati alla vita. Io lo so perché ne ho avuti, per fortuna non di tipo molto grave. Ho letto una biografia di Giulio Cesare dove sono riportate le cronache che descrivono i malesseri che lo coglievano in pubblico all’improvviso e le testimonianze di quando spariva nelle sue stanze per un giorno intero e non voleva vedere nessuno, gli capitava pare anche quando era nelle campagne militari. Sono giunta ad una conclusione: Giulio Cesare non era epilettico, Giulio Cesare era emicranico; nell’ultima parte della sua vita è stato gravemente emicranico, con attacchi paresici che lo mettevano in imbarazzo davanti al suo popolo e davanti ai suoi nemici; Giulio Cesare si è fatto uccidere consapevolmente per non farsi vedere più in quello stato, si è fatto uccidere perché la sua emicrania e gli effetti collaterali erano diventati insostenibili per un condottiero.
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Salgo sulla collina, percorrendo il ripido sentiero coperto di foglie cadute; le impasto con il fango e le trincio sotto le suole delle scarpe al mio passaggio. Devo arrivare in cima prima che cali la notte. L’umidità impregna il tessuto della mia giacca, penetra al di sotto dei vestiti, attraversa l’epidermide fino a giungere alle mie ossa. Ha ultimato il suo percorso, io no. Ho freddo, non importa. Salgo ed emetto nuvole di vapore ad ogni respiro, salgo con la fatica che aumenta ma ora la vedo, vedo la sommità! Corro, cado, mi lordo le mani e le ginocchia di melma, mi rialzo e corro di nuovo fino al punto in cui il sentiero finisce. Sono su un piccolo pianoro adesso, libero ed aperto; sento il vento gelido del nord che spazza via il sudore e l’umidità della folle corsa. Mi prenderò un malanno, non importa. Respiro e vado avanti, verso il sole che mi guarda. Non devo permettere che se ne vada senza salutarmi! Mi affaccio sull’orlo del precipizio e godo nel vedere che sono giunta in tempo. Mi saluta inondandomi d’oro e di vermiglio sangue poi si getta tra i flutti d’argento. A domani, gli rispondo … a domani. |
Post n°193 pubblicato il 04 Marzo 2009 da zoeal
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Post n°192 pubblicato il 03 Marzo 2009 da zoeal
La scomparsa di Aldo Mazzolai, appassionato studioso del mondo etrusco di Maremma. Nacque a Montepulciano 86 anni fa, Grossetano d’adozione, ha pubblicato numerosi studi dedicati prevalentemente alla ricerca archeologica nella Maremma. Per trent’anni è stato direttore del Museo archeologico e d’arte della Maremma e del Museo diocesano d’arte sacra. Tra i suoi libri ricordiamo: “Roselle e il suo territorio” (1960), “Guida dell’Etruria maremmana” (1969) “Storia della città di Grosseto” (1989) e “Un volto di pietra” (1997). Ha curato inoltre l’antologia di poesie in vernacolo maremmano “L’erba mora” (1998). Per il resto d'Italia, magari questo nome non vuol dire nulla, per Grosseto e la Maremma è stato un grande studioso. Ha raggiunto i padri etruschi, addio. |
GIOCO LETTERARIO
Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer
clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto
ho scritto anche:
e per la serie RACCONTI BREVI:
DEUXIPPO (prima parte)
DEUXIPPO (seconda parte)
DEUXIPPO (terza parte)
DEUXIPPO (ultima parte)
L'INFAME (prima parte)
L'INFAME (ultima parte)
E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!
MAGIA DEL PHOTOPAINT
CONTATTA L'AUTORE
Nickname: zoeal
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![]() ![]() ![]() ![]() Età: 53 Prov: GR |
LA LETTURA NOBILITA LA MENTE
"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)
"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)
"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)
"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)
"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)
" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.
"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato
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POETA ESTEMPORANEO
In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco
Il reperto archeologico
Riuniti insieme, un gruppo di signori
stavano discutendo di un oggetto
un giorno appartenuto ai padri etruschi.
Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:
-La mia giovane eta', non mi consente
di pronunciarmi il primo e francamente
ammetto che non ci capisco molto.
Il dottor Caio esprime il suo parere
dicendo-Per me, questo è un utensile
che usavano gli etruschi,
per servire vivande sulla mensa
D'altro parere il professor Sempronio
e in questo modo dice il suo giudizio:
Questo per me, è un vaso da ornamento
che serviva su un mobile di lusso
a contenere fiori profumati.
Infine il professor Tal dei Tali:
Con questo afferma usavano gli antichi
nelle grandi e solenni cerimonie
offrire a gli dei superi d'Olimpo
e il loro sacerdote in pompa magna,
libava e alzava questo vaso al cielo;
quindi spruzzava santamente l'ara,
del vin pregiato in esso contenuto.
-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-
la Sua tesi convince, professore.
Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi
in permesso quassu' dai Campi Elisi.
Si fermarono ad osservar la scena.
-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno
quelle persone riunite insieme?
-Non so',non saprei dirti veramente;
non riesco a comprendere il dialetto,ma
quel che sembra un tantinello strano
è, che stan discutendo con passione,
tenendo un nostro orinalaccio in mano.
Inviato da: Corrado Barontini
il 24/01/2018 alle 12:17
Inviato da: Camillo Coppola
il 22/12/2015 alle 19:28
Inviato da: flora
il 08/10/2013 alle 17:45
Inviato da: zoeal
il 20/05/2013 alle 15:08
Inviato da: ninograg1
il 20/05/2013 alle 08:03