Creato da zoeal il 05/02/2008

RASNA

semplice passione

Messaggi di Marzo 2009

ULTIME NOTIZIE!

Post n°206 pubblicato il 31 Marzo 2009 da zoeal
 

SU SEGNALAZIONE DELLA SORELLA DI STIRPE TIU VEIO:

SARTEANO. Nella famosa necropoli etrusca delle Pianacce, quella della tomba della “Quadriga Infernale” - considerata una delle più importanti scoperte del mondo dell’archeologia degli ultimi anni - sono state rinvenute delle fondamenta etrusche risalenti con molta probabilità al IV secolo a.C., l'epoca del grande re etruscoPorsenna.
La cosa "interessante" è che queste fondamenta sono state ritrovate - ancora una volta - proprio sul punto esatto dove, Stefano Romagnoli (l'Indiana Jones toscano tante volte richiamato dalla cronaca non solo locale), 13 anni or sono, aveva dichiarato alla Prefettura (nella persona del Procuratore Longobardo) e all’attuale direttore del Museo di Chianciano, Giulio Paolucci (allora responsabile onorario dei Beni Archeologici della Toscana), di aver individuato senza dubbio l'ubicazione del mausoleo della “mitica” tomba del Re Porsenna.
Esiste un poderoso dossier con fotografie negli atti della Procura di Montepulciano inerenti ad un “famoso” sopralluogo fatto dal magistrato in compagnia del Soprintendente e dello stesso Romagnoli.
La cosa certa, per adesso - se non si vuole credere alla possibilità del mausoleo di Porsenna - è che un secondo importantissimo ritrovamento è stato fatto alle Pianacce. Dopo il clamoroso ritrovamento della "Quadriga Infernale" che risale al 2001, le ipotesi di una importantissima necropoli, degna del mausoleo di Porsenna, si fanno sempre più concrete.
La "posizione" delle Pianacce, del resto, è già un indizio, come sosteneva Stefano Romagnoli.
L'appassionato sarteanese di archeologia, per ritrovare la tomba di Porsenna, era partito dalle parole del Varrone ( storico romano): “Sepultus est, inquit, sub Clusio… fra il Lago di Chiusi e la Solaia, in un luogo dove si vede sia Chiusi che Roma…”. Romagnoli aveva tradotto il "sub Clusium" come "davanti a Chiusi" e non come "sotto Chiusi": traduzione, quest'ultima, sostenuta dagli studiosi.
Che si tratti o no della tomba di Porsenna, il fatto strano è che, una scoperta che appare come importante e che potrebbe svelarsi importantissima sia taciuta, e che, pur scavando da oltre un anno - non senza risultati - tutto taccia. 
Eppure, a pensarci, l'annuncio di una nuova, importante scoperta proprio a due passi dalla tanto famosa tomba della Quadriga Infernale, non potrebbe fare che bene al turismo sarteanese e, perchè no, agli studi degli archeologi! 
Che la scoperta non sia irrilevante lo dicono le dimensioni delle fondamenta: una struttura circolare che,  per datazione e forma, potrebbe essere proprio il basamento del mausoleo del mitico Lucumone di Chiusi (della cui esistenza si dice certo anche il celebre professore Angelo Vittorio Mira Bonomi). Quelle fondamenta, del resto, sono da oltre un anno l’unico argomento di discussione dell’intera comunità sarteanese. Una comunità che, nella sua quasi totalità, è convinta che, in quel punto, già indicato da Stefano Romagnoli, davvero si ergeva il mausoleo in onore di Porsenna. E, siccome in prossimità del mausoleo deve per forza esserci anche il sepolcro del Re Porsenna (la mitica tomba con la chioccia e i suoi 5.000 pulcini ed una carrozza trainata da cavalli, tutto a grandezza naturale ed in oro zecchino), la cittadinanza non solo è disorientata, dalla “strana” censura mediatica fatta su questo caso, ma comincia anche a preoccuparsi del fatto che il sito sia lasciato, addirittura, incustodito ed alla mercè dei numerosi tombaroli che a questa fantastica storia ci credono eccome!

 

altre foto e articolo THUI: http://www.ilcittadinoonline.it/index.php?id=9055

LA TOMBA DELLA QUADRIGA INFERNALE

IV secolo a.C: unica nel suo genere per la conservazione dei colori delle pitture

E' senza confronti, sia in ambito pittorico che ceramografico, la figura del demone che conduce su un carro una quadriga formata da due leoni e due grifi, rivolto verso l’esterno della tomba dopo aver lasciato il defunto al limite dell’Ade. Si tratta di una versione del tutto innovativa di Charun, il demone dell’immaginario funerario etrusco che accompagna il defunto nell’Oltretomba. Figura singolare e inquietante che diventa così uno dei più suggestivi e particolari “ritratti” dell’arte etrusca. Il limite dell’Ade è simboleggiato da una porta dorica dipinta che incornicia una nicchia. Al di là di questa una consueta scena di banchetto, sicuramente ambientato nell’Aldilà, con due personaggi maschili sopra una kline che si rivolgono una straordinario e unico gesto di affetto: si tratta o di una coppia di amanti o di una coppia parentale come avviene sulle coeve tombe orvietane, dipinte quasi sicuramente dalle stesse maestranze che hanno operato a Sarteano. Poi, sempre sulla sinistra, nella camera di fondo, è dipinto un grande serpente a tre teste, simbolo dei mostri che  dovevano popolare l’interno dell’Ade secondo le credenze etrusche. Anche l’ippocampo sul frontone di fondo, pur essendo elemento consueto nella pittura parietale, ha dimensioni eccezionali ed accentua l’ambientazione della camera stessa come recesso dell’Oltretomba. Sotto il frontone, si erge l’imponente sarcofago di alabastro grigio con il defunto disteso sul coperchio, ultima dimora del proprietario della tomba.

 

 

 
 
 

TINIA TUONA ...

Post n°205 pubblicato il 31 Marzo 2009 da zoeal

ed io devo uscire per andare dal dentista e non ho preso l'ombrello ...

Tutti coalizzati contro di me!

Merthis patrono etrusco delle giornate di cacca, vedi 'n pò di parlà co' Tinia e di digli di smettela! 'A hapito? sennò un te li do più i fegatini di pollo!

 
 
 

LA MUSICA E LA DANZA

Post n°204 pubblicato il 30 Marzo 2009 da zoeal
 

Gli strumenti (e di conseguenza anche il ritmo, l'armonia, le disposizioni melodiche) sono manifestamente gli stessi che troviamo nel mondo musicale dei Greci: una identità che non sorprende, se si tien conto degli stretti rapporti di dipendenza che legano le città etrusche alla civiltà ellenica per tanti altri aspetti.

Fra gli strumenti a corda, rappresentati o ricordati, sono la cetra, la lira, il barbiton; fra gli strumenti a fiato, il doppio flauto (tibiae) e la tromba diritta (salpinx, tuba) o ricurva (cornu); fra quelli a percussione, i crotali delle danzatrici. Il duo del suonatore di cetra (o lira, o barbiton) e del suonatore di doppio flauto costituisce, come in Grecia, un accoppiamento normale: lo vediamo rappresentato con particolare frequenza nelle scene di banchetto o di danza delle pitture funerarie. Eppure, nell'ambito di una comune civiltà musicale l'Etruria deve aver avuto, così nei generi come nella pratica, certe sue particolari tendenze e tradizioni. Non può trascurarsi l'insistenza con la quale gli scrittori antichi parlano dell'impiego del doppio flauto presso gli Etruschi, quasi di uno strumento nazionale derivato dalla Lidia e poi trasmesso dagli Etruschi ai Romani: il flautista o auleta si chiamava a Roma, con nome derivato dall'etrusco, subulo. In verità l'auletica è un genere largamente diffuso in Grecia, ma attribuito originariamente ai Frigi ed ai Lidi: esso risponde ad un gusto musicale per il patetico e per l' orgiastico.

Anche in questo caso, come in altre manifestazioni della civiltà artistica, gli Etruschi avrebbero accolto dalla complessa esperienza ellenica certi elementi più vicini alla loro sensibilità, orientandosi specialmente verso le forme elaborate nelle città greco-orientali dell'Asia Minore. Logicamente dobbiamo supporre che la musica etrusca preferisse quei «modi» che i teorici greci definivano lidio, ipolidio, frigio e ipofrigio, con i relativi sistemi tonali, in contrapposizione con la grave e solenne musica dorica. D'altro canto la tradizione greca, antica e concorde (Eschilo, Eumen., 567 sgg.; Sofocle, Aiace, 17; Euripide, Fen., 1377 sgg., ecc.), attribuisce agli Etruschi la tromba: salpinx. Pur non significando che questo antico strumento sia stato inventato realmente in Etruria, ciò vuol dire che esso era caratteristico delle costumanze militari e forse anche religiose etrusche, ed eventualmente fabbricato ed esportato da botteghe di bronzisti etruschi (ma i monumenti figurati rappresentano di preferenza la tromba ricurva, il corno, o diritta con la sua estremità ricurva come il lituo). In ogni caso il favore accordato agli strumenti a fiato corrisponde ad un notevole sviluppo delle pratiche musicali distaccate dal canto.

La musica non soltanto si collega con la danza e con la mimica nelle grandi celebrazioni religiose e nelle manifestazioni sceniche, ma sovente accompagna singoli momenti del rito ed azioni della vita pubblica e privata, come le gare sportive, la caccia, la preparazione dei banchetti e persino la fustigazione degli schiavi. Questo rapporto della musica piuttosto con il gesto che con la parola trova il suo parallelo nelle forme peculiari degli spettacoli scenici etruschi, che avevano, per quanto sappiamo (Livio, VII, 2, 4 sgg.), carattere di mimo ed erano rappresentati da attori-danzatori mascherati (histriones o ludiones), talvolta anche con allusioni buffonesche e satiriche. Ciò non esclude la possibilità di vere azioni drammatiche dialogate, certamente favorite, a partire dal IV secolo, dall'influsso delle forme del teatro greco (come attestano i frequenti modellini di maschere comiche trovati nelle tombe etrusche).

La danza ci è nota soprattutto dalle figurazioni funerarie del VI e del V secolo. Sembra di regola eseguita da ballerini professionali: danzatrici singole accompagnate da un suonatore di doppio flauto; danzatori a coppia; ma soprattutto cori di uomini e donne procedenti in fila distaccati e con movimenti individuali, guidati da musici (suonatori di cetra o lira e flautisti) forse in funzione di corifei. I musici partecipano ai passi della danza. Qualche volta si colgono nell'atto di ballare anche personaggi della classe gentilizia alla quale apparteneva la famiglia del defunto. I movimenti saltellanti delle gambe e i gesti accentuati e presumibilmente rapidi delle braccia e della testa rivelano un genere di danza fortemente scandito, agitato se non addirittura orgiastico, che si ispira presumibilmente alla greca sikinnis di origine dionisiaca. Ma i documenti limitati nel tempo e nell'ambito dell'arte funeraria non sono sufficienti a provare che questo genere sia stato il solo coltivato in Etruria. Esso, comunque, si accorda con i «modi» musicali che abbiamo supposto dominanti nel mondo etrusco.

 fonte THUI

 
 
 

ODISSEO

Post n°203 pubblicato il 26 Marzo 2009 da zoeal

Vorrei respirare aria fresca volando a pelo d’acqua, il blu sotto di me. Come un gabbiano riposarmi sull’albero più alto della nave più grande che solca l’immensità delle acque.

Volgere lo sguardo verso la riva che si allontana e volare via, ancora, cercando un altro luogo sul quale appollaiarmi.

Lontano dalla eco del mondo, lontano dagli schiamazzi degli uomini … vorrei essere con l’altra parte della mia vita; solo noi due, gabbiani che scrutano dall’alto il regno di Nettuno.

 
 
 

IL LAGO PRILE

Post n°202 pubblicato il 25 Marzo 2009 da zoeal
 

In età preistorica la pianura grossetana era occupata da un grande golfo in cui sfociavano il fiume Ombrone e il torrente Bruna.

In epoca etrusca l’insenatura marina andò gradualmente trasformandosi in un'ampia laguna (il cosiddetto Lago Prile), comunicante con il mare. Due erano le città etrusche che si affacciavano su questo specchio d’acqua: Roselle e Vetulonia.

(il lago Prile ai tempi degli Etruschi)

In età romana il paesaggio acquistò una conformazione diversa: l’occlusione o il restringimento dello sbocco al mare, provocati dalla deiezione fluviale, trasformarono il Lago Prile in un bacino chiuso; il fiume Ombrone non sfociava più in questo specchio d’acqua, ma al di fuori di esso, più a sud. Nel I secolo a.C. questo doveva essere un luogo ameno, ambito da molti personaggi di rilievo, come è confermato da un’orazione di Cicerone (Pro Milone), in cui Clodio, tribuno della plebe e contestatore dell'oligarchia romana, viene denunciato per avere eretto una villa nell'isoletta, oggi chiamata Badiola al Fango, pur non essendo il proprietario del terreno.

(il lago Prile ai tempi dei Romani)

La fine dell'impero romano determinò il degrado anche di questo territorio: vennero a mancare i sistemi di drenaggio e di regolazione delle acque e la via costiera, probabilmente, non fu più utilizzabile. Nel V secolo d.C., infatti, Rutilio Namaziano (autore del poemetto De Reditu Suo) nel suo viaggio verso la Gallia preferì aggirare questa zona degradata viaggiando per mare.

In breve tempo il bacino diventò un immenso e malsano padule e nella zona imperversò per secoli la malaria. Adesso, quel che rimane del Prile è la riserva faunistica della Diaccia Botrona, presso Castiglione della Pescaia, un'oasi faunistica di estrema bellezza per le specie di uccelli migratori che vi soggiornano.

 

 
 
 

STESSA EPOCA, MENTALITA' OPPOSTE

Post n°201 pubblicato il 23 Marzo 2009 da zoeal
 

LE SEI RAGIONI PER CUI  I ROMANI CONSIDERAVANO LE DONNE ETRUSCHE “POCO SERIE”

 

(Mater Matuta - museo di Chiusi - V sec. A C.)

Le etrusche

 

  1. Presenziavano ai banchetti sdraiandosi sui letti triclinari insieme al marito, o se nubili accanto all’uomo che le accompagnava o ovunque ritenessero (quindi dove pareva loro ….).
  2. Durante i banchetti bevevano vino e mangiavano in quantità (ohhhhhhhhh!!!!!!)
  3. Uscivano da sole, montavano a cavallo e guidavano il carro (anche oggi qualche ometto ce l’ha con le donne al volante ….)
  4. Intrattenevano conversazione con gli uomini talvolta rivolgendo loro parola per prime (Ohhhhhhh!!!)
  5. Spesso si sceglievano il marito corteggiando spudoratamente l’oggetto dei desideri ( ma magari qualcuna timida c’era pure tra di loro …).Almeno nei ceti alti, raramente i matrimoni venivano imposti e se ciò avveniva era comunque la madre e non il padre a scegliere la moglie o il marito per la propria prole (core de mamma!) eh si le suocere etrusche erano un po’ “armeggione”.
  6. anche dopo il matrimonio la donna manteneva il suo patrimonio del quale poteva disporre a suo piacimento.

 Le romane

 

  1. In epoca Repubblicana non presenziavano ai banchetti nella stanza insieme agli uomini oppure se lo facevano erano relegate a star sedute da una parte, guai a sdraiarsi sul letto triclinare!
  2. Non dovevano bere vino ai banchetti ma anche in privato, si racconta di severi paterfamilias che la sera tornando a casa passavano in rassegna le donne di famiglia odorandogli l’alito per capire se avevano trincato …(vivevano maluccio sti romani!)
  3. Guai ad uscire da sole, di cavalli non se ne parla figuriamoci di guidare carri!
  4. La fanciulla romana doveva tenere gli occhi bassi e non parlare ad un uomo se non dopo essere autorizzata dal paterfamilias.
  5. se non potevano parlare con gli uomini salvo autorizzazione, figuriamoci se potevano scegliersi il marito! I matrimoni erano combinati tutti dal paterfamilias (ma questo avveniva anche per i figli maschi almeno che non optassero per la fuitina e volessero essere cacciati dalla famiglia); questo è uno dei motivi dei fallimenti matrimoniali nell’antica Roma ed anche purtroppo dei numerosi parricidi che vi si praticavano.
  6. In epoca Repubblicana, i matrimoni erano “cum manu”, cioè il marito diventava il “padrone” della moglie e del suo patrimonio sostituendosi al padre e assumendosi il diritto di uccidere la moglie per adulterio o se avesse bevuto vino (pensa un po’!). Solo in epoca imperiale presero campo i matrimoni “sine manu” in cui la potestà sulla figlia rimaneva al padre anche dopo il matrimonio e questo sanciva anche la divisione dei patrimoni tra le due famiglie.

 Erano un pò esagerati 'sti romani ...

 
 
 

QUELLI CHE NEL 294 A.C ....

Post n°200 pubblicato il 17 Marzo 2009 da zoeal
 

RIMASERO A GUARDARE .... I VETULONIESI

 

Fu Isidoro Falchi, medico originario di Montopoli Valdarno ed ispettore agli scavi ed ai monumenti della zona, che, sentendo i contadini parlare di armi, monete e collane che spuntavano dalla terra durante i lavori agricoli, si convinse che il territorio circostante l’abitato di Colonna di Buriano doveva nascondere i resti di un’importante città antica. E gli scavi subito avviati gli diedero ragione. Fu però solo nel 1894 che il mondo dell’archeologia ufficiale convalidò la corretta identificazione del Falchi e lo insignì del premio reale per l’archeologia. In dubbio viene messa anche la vocazione marinara per la distanza dal mare: ma  il lago Prile, che giungeva fin quasi a Vetulonia ed a Roselle, era navigabile fino al Rinascimento e conduceva direttamente al mare, laddove oggi si trova la palude di Castiglione, ed il porto poteva trovarsi in zona Casa Galera.
Fu un importante centro di produzione bronzistica, soprattutto per quel che riguarda incensieri, candelieri usati per appendere vasi di piccole dimensioni e tripodi a bacile emisferico; di oreficerie, famose nel mondo per le tecnologie utilizzate, la filigrana, lo sbalzo ed il pulviscolo, minuscoli granelli d’oro saldati ad una lamina dello stesso materiale per dar vita ad immagini uniche al mondo. Poi la scultura di grandi dimensioni, i cui più famosi esempi sono le otto statue a grandezza naturale, quattro maschili e quattro femminili, rinvenute all’interno del tumulo della Pietrera, una tomba monumentale con un tamburo di circa 60 m di diametro e 210 di circonferenza, corridoio di accesso a cielo aperto lungo 22 m: all’interno un vestibolo lungo e stretto, con due camere laterali e camera centrale con copertura a tholos composta da blocchi di pietra regolari aggettanti impostata su pennacchi angolari, un pilastro centrale di sostegno, in cima era probabilmente collocato un cippo monumentale, come rinvenuto in altri esempi della zona. Curiosa la sua storia costruttiva: fu edificata una prima volta, distrutta e ricostruita nello stesso punto nel giro di appena cinquant’anni! La prima struttura può essere datata al 650-625 a.C. Le sue sculture sono considerate il primo esempio di scultura a tutto tondo in pietra dell’Etruria e d’Italia. L’aspetto attuale è dovuto ad una serie di restauri che hanno teso a ricostruirne l’aspetto originale con una spesa totale di 1 miliardo e 470 milioni delle vecchie lire. E’ cosa recente quindi la sua riapertura con annessa area attrezzata per la sosta. Sono poi visitabili nella stessa zona altre tre tombe, quella del Belvedere, del Diavolino II e della Fibula d’Oro: la prima ha una camera quadrangolare ed un corto dromos di accesso; la tomba del Diavolino II ha anch’essa un lungo dromos con camera quadrangolare, pilastro centrale e soffitto a pseudocupola ed è databile alla seconda metà del VII secolo a.C., nonostante all’interno sia stato rinvenuto il corredo di un defunto databile alla prima metà del V secolo.
Vetulonia lavorava anche l’ambra, importata dal nord Europa allo stato grezzo, e le mani di esperti artigiani realizzavano opere di straordinaria fattura. Ma quando la scoperta dei bacini metalliferi aveva portato nuova fortuna alla città, improvvisamente questa sembra decadere, forse per contrasti con le città vicine. Comunque nel VI secolo quasi sparisce, viene rinominata in età repubblicana per sparire nuovamente in età imperiale.
La città antica sorgeva sulla collina dell’acropoli, vicino a quello che fu l’abitato di Colonna di Buriano, poi rinominata Vetulonia nel 1887 dal re Umberto I: gli scavi hanno individuato una fortificazione di tipo italico con aggere, o terrapieno, sorretto da mura; verso nord-est si trova la zona necropolare esplorata da Isidoro Falchi, con tombe sia a pozzetto per incinerati, sia a camera per gli inumati, spesso comprese entro circoli detti “interrotti” di pietre conficcate nel terreno ad una distanza media le une dalle altre di circa 1 m. Poi i tumuli già citati e quelle a circolo continuo, a volte di circa 70 m di diametro, del VII secolo.
La visita può proseguire in paese, dove sono conservati i resti di due cinte murarie, una più antica che cingeva l’arx, in parte visibile nel bastione del castello medievale, ed una più bassa di IV-III secolo. Da via Garibaldi si giunge all’ingresso delle aree archeologiche di Costa del Lippi e di Costa Murata, con una strada lastricata, tratti di mura, ambienti di una domus di II-I secolo ed una probabile area sacra. Verso Poggiarello Renzetti, o zona “scavi città”, con i resti di un quartiere di abitazioni e botteghe, una cisterna ed una probabile area sacra.
Merita una sosta il Museo Civico  Archeologico Isidoro Falchi, intitolato allo scopritore di Vetulonia e delle sue necropoli: è sito in paese, nelle vecchie scuole su piazza Vetluna, antico nome etrusco della città. All’interno di sette sale si passa dalle fasi villanoviana ed orientalizzante dei reperti del Circolo dei Leoncini d’argento e delle statue della Pietrera alle fasi arcaica e classica con una città che sembra ripiegarsi su se stessa mentre il territorio vede una crescita notevole, terminando con i reperti del deposito votivo di Costa Murata. Poi le età ellenistica e romana con una diffusa attività edilizia che ne denota una nuova importanza, testimoniata dalla monetazione in argento e bronzo con la legenda VATL: sono quindi qui esposti i materiali provenienti da Poggiarello Renzetti. Da quest’ultima zona provengono i reperti di recente scavati ed attribuiti alla Domus di Medea, casa del II sec. a.C., con terrecotte architettoniche che narrano la vicenda degli Argonauti e di Medea. Fra il III ed il II sec. a.C. la monetazione romana soppianta definitivamente quella locale e sono quindi esposte monete dell’epoca, di cui una sola di Vetulonia, e corredi di tombe precedenti riutilizzate.
La grande fortuna di Vetulonia furono sicuramente la scoperta di bacini metalliferi, la maestria dei suoi artigiani ed il conseguente sviluppo del commercio, con materie prime preziose ed oggetti già lavorati che ivi affluivano da tutto il bacino del Mediterraneo ed oltre.
Da vedere, nonostante la zona delle necropoli monumentali e degli scavi della città lascino un po’ a desiderare quanto a pulizia, sterpaglie e le indicazioni e le informazioni succinte; il museo è nuovo e con un allestimento gradevole riesce a proporre anche ad un pubblico non esperto materiali altrimenti di difficile comprensione. Ed il paesaggio del grossetano vale senza dubbio una passeggiata.

Museo Archeologico Isidoro Falchi

Indirizzo: Piazza Vetluna – 58040 Vetulonia (Gr)
Tel. 0564-948058

Apertura
ottobre-febbraio: 10,00-13,00; 14,00-17,00
marzo-maggio:: 10,00-13,00; 15,00-18,00
giugno-settembre: 10,00-13,00; 16,00-21,00

Chiusura: ottobre-maggio i lunedì non festivi


Ingresso:
€ 4,50 intero; € 2,50 ridotto e gruppi sup. a 20
€ 1,00 scolaresche (tariffe ed orari del Museo possono essere soggetti a lievi variazioni.
Si consiglia di telefonare al numero sopra indicato.

Chissà cosa avevano contro Roselle tanto da desiderarne l'eliminazione? la risposta è semplice ed il motivo è sempre quello: lo sporco denaro. Nel IV secolo Vetulonia entrò in crisi, probabilmente offuscata dalla più potente Roselle; le due città erano talmente divise da possedere due porti distinti pur essendo distanti solo una ventina di chilometri; si spiega perchè osservarono la distruzione della rivale senza muovere un dito, secondo alcuni misero addirittura a disposizione la città alle truppe romane fungendo da punto d'appoggio .... la verità non la sapremo mai! Una cosa è certa, Vetulonia, seppur romanizzata, dopo la scomparsa di Roselle, rifiorì.

 

 
 
 

RAMTHA, PER IL BANCHETTO DI STASERA, TIRA FUORI IL SERVITO BUONO!

Post n°199 pubblicato il 13 Marzo 2009 da zoeal
 

Il bucchero è una tipica ceramica etrusca, facilmente riconoscibile anche dai meno esperti. Si distingue per il colore nero e brillante delle superfici, che non è dovuto a una vernice, ma al particolare procedimento di realizzazione. L’argilla accuratamente depurata e lavorata la tornio veniva cotta in forni ermeticamente chiusi dove, in assenza d’aria, si verificava un processo di ossidoriduzione degli elementi chimici dell'argilla.

Il nome deriva da un termine portoghese, “bucàro”,  che significa terra odorosa ed era attribuito a vasi peruviani di terracotta colorata, molto ammirati in Italia nel periodo in cui si praticavano i primi scavi nelle necropoli etrusche.

Chi furono gli inventori del bucchero? Gli artigiani di Caere, che, intorno alla metà del VII secolo a.C. vi crearono i primi servizi da mensa, per imitare con la sua lucentezza i vasi metallici, molto più costosi e pesanti. Alcuni esemplari hanno conservato tracce dell’applicazione di una sottilissima lamina argentea che ne doveva aumentare lo splendore.

I primi esemplari sono i più belli, i maggiormente curati. Hanno forme “sperimentali” che spesso riecheggiano i prototipi metallici. Sono vasi a guscio d’uovo, situle, vasi configurati o calici come quello del Museo di Cerveteri, con decorazione a ventaglietti e il piede smontabile. Le pareti possono essere eccezionalmente sottili. Gli ornamenti, talvolta enfatizzati da colore biancastro o ocra, erano graffiti, cesellati o ricavati con una specie di rotellina, con tecniche simili a quelle della contemporanea lavorazione dei metalli.  Da una tomba ceretana, proviene, ad esempio, la bellissima oinochoe (vaso per il vino) di bucchero con il collo tronco-conico, la bocca trilobata e un cervo e due cavalli alati graffiti sulla pancia, conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Un’altra oinochoe di bucchero nello stesso Museo, databile tra il 630 e il 620 a.C., proviene dalla necropoli di Narce e si segnala per la fascia graffita con un tradizionale repertorio orientalizzante.

Il bucchero ebbe subito successo, non solo sui mercati etruschi, ma in tutto il Mediterraneo. Ceramica di questo tipo è stata rinvenuta sulle coste gallo-iberiche, a Cartagine, in Sicilia, nella Magna Grecia e in Grecia, nel Basso Egitto e a Cipro.

Le fabbriche si moltiplicarono, anche fuori di Caere, con una conseguente standardizzazione della produzione. La decorazione graffita viene man mano sostituita da quella a stampo, più rapida da eseguirsi e prima di allora usata nei grandi vasi da magazzino. Tra il 600 e il 550 a.C., nell’ornamento di vasi che mostrano un leggero ispessimento delle pareti, prodotti anche a Veio, Vulci e Tarquinia, si svolgevano sigilli rotondi, con illustrazioni in negativo, alcune di chiara derivazione orientale, come le teorie di animali fantastici, soprattutto intorno all’imboccatura.

Assai presto accanto a questa ceramica ne compare un’altra dalle pareti spesse, chiamata bucchero pesante, che assunse una particolare importanza dalla metà del VI secolo a.C. e fu molto diffusa a Chiusi. Le forme sono elaborate e l’ornamentazione a rilievo ricca e complessa.

Nel corso del V secolo a.C., contemporaneamente alla profonda crisi che colpì tutta la civiltà etrusca, la produzione del bucchero cessò per fare spazio alla creazione di vasi a vernice nera, più semplici da realizzare. (E SOPRATTUTTO MENO COSTOSI ...NDR)

FONTE: THUI (ricopiato pari pari per mancanza di tempo ...)

 
 
 

IL VILLAGGIO DEL LAGO DELL'ACCESA

Post n°198 pubblicato il 10 Marzo 2009 da zoeal
 

 

Il lago dell’Accesa è uno specchio d’acqua che si trova nel territorio di Massa Marittima. E’ un piccolo lago attorno al quale, da sempre si respira aria di mistero. Infatti, non se ne conosce l’origine ed esiste solo una stima anche della sua profondità perché pare sia fatto ad imbuto, sconosciuta anche la ragione delle correnti che lo muovono. La fauna e la flora acquatica sono praticamente inesistenti, anche se qualcuno del posto giura di aver visto mostri e coccodrilli. La leggenda dice che nel luogo ove ora ci sono le acque, ci fosse stato un villaggio abitato da gente bestemmiatrice e  così avida che metteva al primo posto l’accumolo del denaro per cui lavorava ogni giorno dimenticandosi anche delle feste consacrate a Dio, che volle punirli facendo sprofondare il villaggio in una voragine, la stessa dove adesso c’è il lago. Il posto è ameno, la campagna è bella, i boschi sono ombrosi; l’alone di mistero aleggia e rende l’atmosfera magica.

 E’ sulle sponde di questo lago che sorgeva un insediamento etrusco organizzato in quartieri (indicati dagli scavatori con le lettere A, B, C, D ed E), ognuno costituito da un gruppo di edifici e dotato di una necropoli.
Dei quartieri abitativi attualmente rimangono visibili solo le fondazioni degli edifici: si tratta di abitazioni con uno o più vani, talvolta muniti di un portico anteriore. La tecnica costruttiva doveva essere quella tipica delle abitazioni etrusche: fondazioni costituite da bozze irregolari, pareti in materiale deperibile, tetto coperto da tegole e coppi, pavimento in semplice argilla battuta.

Probabilmente era un villaggio dove le attività prevalenti erano quelle agricole e soprattutto quelle relative alla lavorazione dei metalli, infatti, nella zona si può parlare effettivamente di Polo Industriale metallurgico etrusco.

 

un simpatico link I MISTERI DEL LAGO

e per altre informazioni meno leggendarie THUI

 
 
 

Cinghiale alla maremmana

Post n°197 pubblicato il 09 Marzo 2009 da zoeal
 

Spezzatino di cinghiale alla maremmana

 

Con gli Etruschi che c’entra? Niente, ma il cinghiale di sicuro “garbava” assai anche a loro.

 

Per 4 persone, ma se siete mangioni per 3

 

700 gr. Di spezzatino di cinghiale possibilmente non di allevamento ma selvaggio.

1 cipolla

1  o 2 spicchi d’aglio.

1 rametto di rosmarino

Qualche foglia di salvia

1 peperoncino

Mezza bottiglia di passata di pomodoro

Olio

Pepe

Sale

mezzo bicchiere di vino rosso

 

Preliminari: congelate lo spezzatino di cinghiale e tenetelo così per una settimana (facilita l’eliminazione del selvatico specie se il cinghiale è di cacciata).

Il giorno prima di quello in cui intendete cucinarlo, scongelatelo, sciacquatelo e tenetelo a bagno nell’acqua per una notte (io l’ho meso in frigo con la baccinella).

Svolgimento: risciacquate bene il cinghiale e mettetelo in una padella così com’è a fuoco basso e gettare l’acqua mano a mano che si forma; quando lo spezzatino non fa più acqua, allora può essere cucinato.

Tritare grossolanamente l’aglio e la cipolla e farli soffriggere un po’ con il peperoncino, la salvia e il rosmarino; mettere il conghiale, sale e pepe e fare rosolare; quando è rosolato bagnare con mezzo bicchiere di vino rosso e far evaporare, poi aggiungere la passata di pomodoro e un po’ d’acqua; finire la cottura lentamente e se lo spezzatino dovesse essere un po’ duro, aggiungere altra poca acqua e far restringere senza avere fretta, aggiustando di sale alla fine se occorre.

 Buon appetito!.

 

 
 
 

ZOE ... SEGUI LA FORZA!

Post n°196 pubblicato il 06 Marzo 2009 da zoeal

 

In una galassia lontana lontana ...

esiste un sistema micidiale

per combattere lo stress

La Zoe, scheggia impazzita

dell'universo conosciuto

conosce il segreto:

impossessarsi del DVD

inserirlo nel lettore

accenderlo

e riguardare

la Saga

per l'ennesima volta!

che

la forza

sia con tutti voi!

 
 
 

EMICRANIA CON AURA

Post n°195 pubblicato il 05 Marzo 2009 da zoeal

IO CAPISCO GIULIO CESARE

 

Senza nessun preavviso gli oggetti diventano macchiati e distorti da onde grigiastre e a volte emettono guizzi di luce dorata che si dissolvono nell’aria come scintille di un fuoco che si sta estinguendo. Davanti alle pupille si formano poi numerosi cerchi concentrici che appaiono e spariscono, spalanchi gli occhi ma non riesci ad eliminarli e diventa difficile anche tenersi in equilibrio. Contemporaneamente il cuore accelera il battito e cominci a sudare freddo; se l’attacco è grave a quel punto non riesci ad articolare le parole e se è molto grave le tue membra si irrigiscono e per qualche lunghissimo attimo non riesci a muoverti, in alcuni rari casi questa fase dell’attacco può essere accompagnata dalla perdita inconsapevole di urine. I disturbi durano pochi minuti ma sembrano un’eternità. Una volta terminati, se ti va bene, tutto torna normale, se ti va male invece scoppia il mal di testa. Può essere circoscritto ad un lato del cranio oppure ad entrambi; il dolore è insopportabile e refrattario ai normali analgesici. Si accompagna a fotosensibilità, vomito, irritabilità ai rumori e difficoltà del linguaggio; costringe a rimenere a letto nell’impossibilità di svolgere anche le più semplici attività quotidiane. Dura da poche ore fino a 3-4 giorni.

Quando finisce si ha la sensazione di essere stati all’inferno e la felicità di essere ritornati alla vita.

Io lo so perché ne ho avuti, per fortuna non di tipo molto grave.

Ho letto una biografia di Giulio Cesare dove sono riportate le cronache che descrivono i malesseri che lo coglievano in pubblico all’improvviso e le testimonianze di quando spariva nelle sue stanze per un giorno intero e non voleva vedere nessuno, gli capitava pare anche quando era nelle campagne militari.

 Sono giunta ad una conclusione: Giulio Cesare non era epilettico, Giulio Cesare era emicranico; nell’ultima parte della sua vita è stato gravemente emicranico, con attacchi paresici che lo mettevano in imbarazzo davanti al suo popolo e davanti ai suoi nemici; Giulio Cesare si è fatto uccidere consapevolmente per non farsi vedere più in quello stato, si è fatto uccidere perché la sua emicrania e gli effetti collaterali erano diventati insostenibili per un condottiero.

 

 

 
 
 

LA FINE E L'INIZIO

Post n°194 pubblicato il 04 Marzo 2009 da zoeal
 

Salgo sulla collina, percorrendo il ripido sentiero coperto di foglie cadute; le impasto con il fango e le trincio sotto le suole delle scarpe al mio passaggio. Devo arrivare in cima prima che cali la notte. L’umidità impregna il tessuto della mia giacca, penetra al di sotto dei vestiti, attraversa l’epidermide fino a giungere alle mie ossa. Ha ultimato il suo percorso, io no. Ho freddo, non importa.

Salgo ed emetto nuvole di vapore ad ogni respiro, salgo con la fatica che aumenta ma ora la vedo, vedo la sommità!

Corro, cado, mi lordo le mani e le ginocchia di melma, mi rialzo e corro di nuovo fino al punto in cui il sentiero finisce.

Sono su un piccolo pianoro adesso, libero ed aperto; sento il vento gelido del nord che spazza via il sudore e l’umidità della folle corsa. Mi prenderò un malanno, non importa.

Respiro e vado avanti, verso il sole che mi guarda. Non devo permettere che se ne vada senza salutarmi!

Mi affaccio sull’orlo del precipizio e godo nel vedere che sono giunta in tempo. Mi saluta inondandomi d’oro e di vermiglio sangue poi si getta tra i flutti d’argento. A domani, gli rispondo … a domani.

 
 
 

IL SOGNO DI OGNI ARCHEOLOGO

Post n°193 pubblicato il 04 Marzo 2009 da zoeal

Per gentile concessione della sorella di stirpe Tiu Veio

 
 
 

UN ALTRO SAGGIO ETRUSCO CHE SE NE E' ANDATO

Post n°192 pubblicato il 03 Marzo 2009 da zoeal

La scomparsa di Aldo Mazzolai, appassionato studioso del mondo etrusco di Maremma.

Nacque a Montepulciano 86 anni fa, Grossetano d’adozione, ha pubblicato numerosi studi dedicati prevalentemente alla ricerca archeologica nella Maremma. Per trent’anni è stato direttore del Museo archeologico e d’arte della Maremma e del Museo diocesano d’arte sacra. Tra i suoi libri ricordiamo: “Roselle e il suo territorio” (1960), “Guida dell’Etruria maremmana” (1969) “Storia della città di Grosseto” (1989) e “Un volto di pietra” (1997). Ha curato inoltre l’antologia di poesie in vernacolo maremmano “L’erba mora” (1998).

Per il resto d'Italia, magari questo nome non vuol dire nulla, per Grosseto e la Maremma è stato un grande studioso. Ha raggiunto i padri etruschi, addio.

 
 
 

AMBIENTI ETRUSCHI

Post n°191 pubblicato il 03 Marzo 2009 da zoeal
 

VAL D'ORCIA: PATRIMONIO DELL'UMANITA'

FOTO:marito

 
 
 

GIOCO LETTERARIO

Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer

INCIPIT

 clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto

ho scritto anche:

 LA FINE E L'INIZIO

e per la serie RACCONTI BREVI:

HIRUMINA IL PERUGINO

DEUXIPPO (prima parte)

DEUXIPPO (seconda parte)

DEUXIPPO (terza parte)

DEUXIPPO (ultima parte)

L'INFAME (prima parte)

L'INFAME (ultima parte)


 

E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!

 

MAGIA DEL PHOTOPAINT

 

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ENIGMATICO APOLLO DI VEIO:IL SORRISO CHE AMMALIA

CIAO BELLOCCIO!

 

LA LETTURA NOBILITA LA MENTE

"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)

"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)

"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)

"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)

"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)

" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.

"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato

 

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PIACEVOLI DISCUSSIONI

POETA ESTEMPORANEO

In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco

Il reperto archeologico

Riuniti insieme, un gruppo di signori

stavano discutendo di un oggetto

un giorno appartenuto ai padri etruschi.

Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:

-La mia giovane eta', non mi consente

di pronunciarmi il primo e francamente

ammetto che non ci capisco molto.

Il dottor Caio esprime il suo parere

dicendo-Per me, questo è un utensile

che usavano gli etruschi,

per servire vivande sulla mensa

D'altro parere il professor Sempronio

e in questo modo dice il suo giudizio:

Questo per me, è un vaso da ornamento

che serviva su un mobile di lusso

a contenere fiori profumati.

Infine il professor Tal dei Tali:

Con questo afferma usavano gli antichi

nelle grandi e solenni cerimonie

offrire a gli dei superi d'Olimpo

e il loro sacerdote in pompa magna,

libava e alzava questo vaso al cielo;

quindi spruzzava santamente l'ara,

del vin pregiato in esso contenuto.

-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-

la Sua tesi convince, professore.

Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi

in permesso quassu' dai Campi Elisi.

Si fermarono ad osservar la scena.

-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno

quelle persone riunite insieme?

-Non so',non saprei dirti veramente;

non riesco a comprendere il dialetto,ma

quel che sembra un tantinello strano

è, che stan discutendo con passione,

tenendo un nostro orinalaccio in mano.

 

 
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