Creato da zoeal il 05/02/2008

RASNA

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Messaggi di Giugno 2009

Etruscheggiando

Post n°242 pubblicato il 29 Giugno 2009 da zoeal
 
Tag: Murlo

MURLO E L'UOMO DAL SOMBRERO: OLE'

Cosa si fa il pomeriggio di una domenica estiva che di "estivo" ha molto poco tranne il caldo e quando pensi di andare a frescheggiare in montagna, vedi in lontananza un Tinia piuttosto incacchiato che lancia giù per terra tutto quello che di elettrico c'è in giro, mentre se pensi di rivolgerti verso il mare vedi tutto nero e ti ricordi del vecchio proverbio "Quando è nera la marina mangia e bevi e vai in cantina"???

Almeno a casa mia, si piglia la macchina e si va in giro! Dove? intanto si prende la macchina e poi si decide e allora...a sud verso Talamone ci siamo andati che è poco, a Castiglione della Pescaia ci andiamo sempre e comunque il tempo al mare non attira...allora SUPERSTRADA PER SIENA! e quando eravamo già ad una trentina di chilometri dalla città del palio abbiamo deciso: perchè non si va a Murlo!

Piccole notizie storico-geografiche: piccolo e bellissimo borgo fortificato medioevale che sorge a venticinque chilometri da Siena. Si affaccia sullo scenario bellissimo delle verdi colline toscane, un tripudio di boschi, di viti e di antiche vestigia.

Perchè Murlo è famoso?: perchè gli abitanti originari da generazioni di quel comune sono gli unici in toscana che mantengono la più alta percentuale di patrimonio genetico anatolico, sono quindi più "etruschi" degli altri.

Murlo oltre ad essere un bel borgo medioevale, conserva nei dintorni (poggio Civitate) molti resti della civiltà etrusca in particolare, nel suo bell'antiquarium mostra i resti di una villa principesca del V-VI secolo a.C, distrutta da un incendio nello stesso secolo, ricostruita dai proprietari e probabilmente abbellita ed abbandonata cinquant'anni dopo senza dimenticare di seppellire tutto ciò che non poteva essere portato dietro per proteggerlo dalle razzie: antefisse, statue, abbellimenti di terracotta, così belli da lasciare senza fiato.

Alcuni pezzi, ma sono solo un minuscolo assaggio di quello che potete ammirare là:

Tra gli elementi decorativi del tetto: l'uomo con fascia in testa per trattenere i ricci

la lastra di rivestimento fittile

ma soprattuto l'uomo con il sombrero! e QUESTA E' LA PROVA, CHE ANCHE IL SOMBRERO LO ABBIAMO INVENTATO NOI!

 

 
 
 

Gli scambi e le merci

Post n°241 pubblicato il 28 Giugno 2009 da zoeal
 

di Giulia Pettena

 

Raffigurazione di nave etrusca

I primi scambi di oggetti con le popolazioni della Sardegna, dove era diffusa la produzione di oggetti in metallo, avvenivano soprattutto in occasione dei matrimoni, mentre l'attività di scambio fra i nobili greci delle colonie e i "principi" etruschi e latini era quasi una cerimonia, che si svolgeva con il dono reciproco di oggetti preziosi, e per questa ragione verso la fine dell'VIII sec. a.C. lungo le coste tirreniche circolavano molti beni di lusso.

Nel corso dei secoli VII e VI a.C. i principali contatti commerciali avvengono con i Greci: dapprima Euboici e Corinzi, ai quali si aggiunsero poi i Greci dell'Asia Minore, ad esempio gli abitanti di Focea. Negli scali greci in Egitto invece, quasi certamente venivano raccolti e ridistribuiti oggetti di produzione orientale quali ceramiche dipinte, preziosi vasi in alabastro, uova di struzzo decorate e montate con testine di avorio, conchiglie incise.

I mercanti etruschi svolgevano anch'essi attività commerciali via mare smerciando soprattutto i prodotti dell'agricoltura e della metallurgia. E se è vero che anche nel settore della navigazione essi appresero molto dai Greci, essi però costituirono su basi proprie, e già sviluppate, un'importante alternativa al commercio ellenico.

Tra la fine del VII e la fine del VI sec. a.C. nel territorio di Vulci vi fu una grande produzione di vino e di anfore da trasporto, destinati all'esportazione verso il Lazio, la Campania, la Sicilia e in grandissima quantità verso la Francia meridionale, come testimoniano le numerose anfore vinarie etrusche, i buccheri[7] e la ceramica etrusco-corinzia[8] ritrovati lungo il litorale mediterraneo francese e nei relitti. Questo flusso commerciale si interruppe al momento in cui Etruschi e Focei, i fondatori degli empori francesi, entrarono in conflitto e si affrontarono nella battaglia navale di Aleria, in Corsica, nel 540 a.C. circa.

Mentre in Corsica la presenza di materiale etrusco è molto scarsa, in Sardegna è più consistente, soprattutto nelle colonie fenice delle coste meridionale e occidentale. I vasi greci qui ritrovati, soprattutto contenitori per oli profumati, coppe ioniche e attiche, vi giunsero probabilmente attraverso i commercianti etruschi, data la diffusione in Etruria di questo genere di prodotti. I rapporti commerciali con i Fenici sono evidenti anche nella loro maggiore colonia, Cartagine, ben collegata alla Sardegna da rotte molto frequentate e conosciute. Cartagine non veniva raggiunta dal commercio del vino, prodotto sul posto, mentre nelle necropoli cartaginesi sono stati ritrovati soprattutto anforette di bucchero e contenitori per unguenti di produzione etrusco-corinzia, oggetti raffinati che erano molto richiesti dai potenti del luogo: le aristocrazie di Vulci e dell'Etruria settentrionale apprezzavano invece altre merci di lusso smistate dall'emporio cartaginese, quali uova di struzzo e conchiglie decorate.

In Sicilia giunsero soprattutto buccheri, in particolare kantharoi, e anfore vinarie molto simili a quelle utilizzate per il commercio con la Francia meridionale, e mentre in Sardegna e a Cartagine i prodotti etruschi giunsero attraverso un commercio diretto, negli scambi e commerci con la Sicilia fu rilevante la collaborazione con i Cartaginesi.

Anche in Campania, sebbene in misura molto maggiore, i manufatti etruschi più diffusi furono senz'altro anfore vinarie e buccheri, mentre era meno richiesta la ceramica etrusco-corinzia.
Il bucchero, un tipo di ceramica inconfondibile che veniva realizzata solo in Etruria[9], è un prodotto-guida utile più di altri a comprendere la diffusione del commercio etrusco in tutto il Mediterraneo. Nel Mediterraneo orientale esso giunse sicuramente come merce "di ritorno", cioè attraverso le navi greche che tornavano in patria, anche se alcuni studiosi sostengono che fossero gli Etruschi stessi a navigare verso quelle zone. Tuttavia in questo caso mancano fonti dirette etrusche che consentirebbero di avere conferme in proposito.

Tra la fine del VI e i primi decenni del V sec. a.C. i prodotti più esportati dai mercanti etruschi furono oggetti di lusso e raffinati manufatti in bronzo, soprattutto vasellame da banchetto, molto richiesti dalle colonie greche in Campania e negli insediamenti punici del Mediterraneo. Il commercio inoltre si espanse nel Mediterraneo orientale fino a Delos, Rodi e Cipro.

Verso la fine del VI sec. a.C., gli Etruschi si spostarono verso l'area padana e fondarono empori sull'Adriatico. Lo scalo marittimo di Spina, collegato con l'entroterra tramite il Po e il Reno, divenne, insieme alla più settentrionale Adria, il centro di raccolta di quanto veniva prodotto nella zona. Adria, dove sono state ritrovate iscrizioni etrusche della fine del VI sec. a.C., era abitata da coloni etruschi integrati con la comunità locale, mentre Spina fu una fondazione etrusca, sorta nei primi decenni del V sec. a.C. sulla dune del delta padano, nella parte più settentrionale dell'Adriatico, là dove la navigazione era disagevole a causa della mancanza di porti. Sembra che l'emporio di Spina dipendesse politicamente dalla strutturata comunità di Felsina, le cui iniziative influenzavano anche l'attività marittima, come testimonia una presenza attiva degli Etruschi sull'Adriatico, ad esempio un ruolo di controllo nei confronti delle azioni di pirateria effettuate in particolar modo dagli Illiri, abitanti della costa orientale.

I Greci, e specialmente gli Ateniesi, erano interessati ai commerci in Adriatico per rifornirsi in particolar modo di schiavi e di cereali: a Spina trovavano i prodotti delle fertili terre attraversate dal Reno e dal Po e, in misura minore, i prodotti dell'allevamento e le materie prime, quali l'ambra e i metalli, che provenivano piuttosto dall'Europa centrale e dall'Etruria tirrenica settentrionale. La presenza greca a Spina è molto ben documentata soprattutto dal ritrovamento, nei corredi delle tombe, di una gran quantità di prestigiose ceramiche a figure rosse, prodotte in Attica dai più importanti maestri ateniesi del V sec. a.C..

L'intesa e gli scambi commerciali con Atene dovettero interrompersi alla fine del V sec. a.C., dopo la guerra del Peloponneso, da cui uscì vittoriosa Siracusa. I Siracusani, dopo aver battuto nel secolo precedente Etruschi e Cartaginesi, i loro più temibili avversari per il controllo del Tirreno, fin dall'inizio del IV sec. a.C. iniziarono a penetrare nell'Adriatico, cercando di controllare il canale d'Otranto, fondando colonie nelle isole meridionali dell'arcipelago dalmata e ad Ancona, e giungendo fino a Adria. L'ingerenza siracusana e l'invasione celtica del delta padano misero praticamente fine alle fiorenti attività commerciali degli empori etruschi in Adriatico.

L'intera civiltà etrusca, privata della possibilità di scambi commerciali, perse la dinamicità e l'intraprendenza avute in precedenza, e iniziò un lento declino che la portò ad essere, infine, completamente assorbita dalla crescente potenza di Roma.

   

Note

[7] I tipici vasi di colore nero, prodotti solo in Etruria.

[8] Si tratta di una particolare ceramica dipinta prodotta in Etruria fra il 630 e il 540 a.C. a imitazione dei vasi provenienti da Corinto.

[9] Il bucchero è una ceramica tipicamente etrusca che, per il particolare processo di cottura, in carenza di ossigeno, a cui veniva sottoposta, risultava particolarmente liscia e lucente e totalmente nera, non soltanto sulla superficie ma anche nell'impasto interno.



 
 
 

Nuovo anno, nuovo sangue nel mondo

Post n°240 pubblicato il 25 Giugno 2009 da zoeal
 

 

In ogni luogo, in ogni contesto, la mancanza di libertà è pagata con il prezzo del sangue di chi la brama mentre chi ce l'ha la considera come un mezzo per toglierla agli altri.

La violenza non è la via per la democrazia e la libertà ma è la strada che percorrono coloro i quali vogliono sostituire un tipo di oppressione con un' altra facendo leva su sentimenti comuni

Gli innocenti ne sono solo e comunque le vittime. 

Onore a chi si immola pacificamente ancora per essa, sia maledetto chi utilizza il potere per sopprimerla.

Questi ultimi non vinceranno, perchè nonostante gli strumenti della paura, della tortura, dell'utilizzo delle armi, il desiderio di essa alberga nel cuore di ogni uomo. Anche se represso, spinge come un fiume in piena che prima o poi romperà gli argini, perchè il desiderio di libertà è l'orgoglio, esso è l'idea

e come orgoglio ed idea

non può morire

MAI

 
 
 

Etruscheggiando

Post n°239 pubblicato il 21 Giugno 2009 da zoeal
 

TLAMU

ovvero Talamone (GR)... lo riconoscete? non vi evoca la pubblicità del "cornetto croccantino"? ovvero questa, completamente "made in Tlamu e pineta della Feniglia?"

e poi

"Il mare d'oro d'Etruria...una volta il granaio di Roma"

 

 
 
 

TIPOLOGIE DI NAVIGAZIONE E ROTTE

Post n°238 pubblicato il 17 Giugno 2009 da zoeal
 

di Giulia Pettena

I più antichi naviganti percorrevano il mare solo durante il giorno, a piccole tappe, lungo la costa oppure, nelle rotte che attraversavano lunghi tratti di mare, cercavano quanto più possibile di seguire un percorso nel quale la terra rimanesse spesso in vista perché, non possedendo strumenti per la navigazione, l'unica guida alla navigazione erano l'esperienza dei marinai, i riferimenti a terra e la loro conoscenza della conformazione delle coste e dei fondali. In caso di navigazione notturna (caso rarissimo o fortuito), si faceva riferimento alle stelle.

L'isola d'Elba, frequentata dagli Etruschi perché ricca di minerali, era per esempio un punto di appoggio nella navigazione verso le coste della Corsica, vicine, a loro volta, a quelle della Sardegna. La rotta costiera, invece, che collegava Populonia con Cerveteri, proseguiva probabilmente fino alla Campania meridionale, come mostrano le ceramiche tipiche di quelle zone ritrovate a Vulci e Tarquinia.

Fra il 700 e il 650 a.C. circa Cerveteri era il centro più dinamico e vivace negli scambi per mare, come dimostra anche la grande nave dipinta in una tomba a camera della necropoli della Banditaccia, una magnifica testimonianza archeologica, unica nel suo genere in epoca così antica[4], dello status del defunto, un aristocratico che, essendo proprietario di una nave, doveva probabilmente gran parte della propria ricchezza al commercio per mare.
A Eloro e a Gela, in Sicilia, sono state ritrovate alcune ceramiche tipiche di Cerveteri che potrebbero essere testimonianza delle rotte seguite dalle navi etrusche[5], così come le anfore da trasporto etrusche, prodotte tra la fine del VII e la fine del VI sec. a.C., ritrovate in Lazio, Campania, Sicilia e soprattutto nella Francia meridionale, indicano quali fossero le rotte più seguite dai mercanti etruschi in quel periodo.

Gli Etruschi cominciarono a navigare verso la Francia meridionale, abitata da genti celto-liguri, circa trenta anni prima del 600 a.C., data della fondazione di Marsiglia da parte degli abitanti di Focea, città greca dell'Asia Minore. Anche dopo l'arrivo dei Focei in Provenza e Linguadoca gli Etruschi continuarono a commerciare in quelle zone e, in alcuni casi, si fermarono e crearono empori di appoggio per la rotta che giungeva dall'Etruria seguendo la costa. La rotta più battuta partiva, in genere, dai porti dell'Etruria meridionale, sfruttava l'Arcipelago Toscano, in particolare l'Elba, unica isola abitata, e la Corsica, da cui si raggiungevano facilmente la costa della Liguria e quella della Provenza, e da qui, attraverso un percorso a piccole tappe, la foce del Rodano e Marsiglia. Anche il ritrovamento di relitti all'Isola d'Elba, all'Isola del Giglio e lungo le coste della Provenza sono una prova del percorso seguito dalle navi etrusche. Inoltre la frequente presenza, sia negli empori francesi che nei relitti, di materiali etruschi associati a prodotti greci, fa pensare che il carico delle navi avvenisse nei porti etruschi con intensa frequentazione greca e che vi fosse probabilmente anche una partecipazione ellenica al commercio etrusco verso la Francia.

Importanti e intensi furono anche gli scambi con le coste meridionale e occidentale della Sardegna, frequentate e colonizzate dai Fenici, e con la loro maggiore colonia, Cartagine, collegata alla Sardegna da rotte molto frequentate e ben conosciute.

La Sicilia, dove i Greci nel VI sec. a.C. avevano occupato ormai stabilmente le coste meridionali, orientali e settentrionali fino a Imera e controllavano dal lato opposto lo Stretto di Messina, attirò gli interessi di tutti i più importanti popoli del Mediterraneo per la sua posizione strategica. I Cartaginesi sorvegliavano invece il passaggio nel Canale di Sicilia avendo potenziato a sud-ovest l'antica colonia fenicia di Mozia, vicino a Trapani; gli Etruschi commerciavano in prevalenza con le coste meridionali e orientali, poichè le coste settentrionali della Sicilia si raggiungevano con grande difficoltà dopo la fondazione della colonia di Lipari, nelle Eolie[6]. E' documentata una forte presenza del commercio etrusco soprattutto a Megara e a Siracusa, ma anche, fra le altre località, a Messina, Nasso e Lentini, che venivano raggiunte dagli Etruschi probabilmente partendo dai loro insediamenti in Campania.

Mentre la zona dello Stretto di Messina, controllata dai Calcidesi, dovette offrire agli Etruschi alcuni appoggi e Reggio fu senz'altro un appoggio per la navigazione greca verso l'Etruria e i suoi porti, le coste della Calabria e il litorale ionico sembra fossero frequentate di rado da navi etrusche, essendo questa una rotta seguita soprattutto dalle navi greche dirette in Occidente.
Le armi etrusche in bronzo e alcuni oggetti ornamentali, databili fra l'VIII e la prima metà del VII sec. a.C., ritrovati in numerosi santuari greci e delle isole dell'Egeo, sono probabilmente offerte provenienti dalle colonie greche nel Tirreno: forse, in alcuni casi, prodotti di prestigio frutto degli scambi-dono fra i "principi" etruschi e gli aristocratici di Cuma, in Campania.
Fin dal VII sec. a.C. anche Pontecagnano, nella zona di Salerno, fu un importante emporio per i commerci etruschi per via marittima con la Campania; nel VI sec. a.C., infatti, la gestione delle attività commerciali era quasi completamente in mano a gruppi di Etruschi che si erano stabiliti in quella località.

Gli spostamenti e i trasporti mediante imbarcazioni ebbero sempre grande importanza in ogni fase della civiltà etrusca, anche con la navigazione nelle acque interne, lagune, laghi e fiumi, vie naturali di comunicazione, fondamentali per lo svolgimento delle più comuni attività quotidiane.

[4] Tra il 470 e il 400 a.C. fu affrescata un'altra magnifica nave sulle pareti della cosiddetta Tomba "della nave" di Tarquinia.

[5] Strabone (Geogr. VI, 2, 2), riferendo una notizia di Eforo, parla, infatti, di azioni di disturbo di "pirati" etruschi proprio nelle acque della Sicilia ai tempi della fondazione delle prime colonie greche, e la scena di battaglia navale dipinta sul cosiddetto cratere di Aristonothos, ritrovato a Cerveteri e datato, come l'affresco sopra citato, fra il 675 e il 650 a.C., sembra rappresentare proprio un conflitto fra Etruschi e Greci.

[6] La colonia fu fondata da un gruppo di abitanti dell'isola di Cnido nel 580 a.C.

 
 
 

Gli Etruschi e il mare

Post n°237 pubblicato il 15 Giugno 2009 da zoeal
 

Gli Etruschi fin dalle origini assidui naviganti nel Tirreno accanto a Greci e Fenici di Giulia pettena

Il territorio abitato dagli Etruschi, le attuali Toscana e Lazio settentrionale, fu raggiunto già intorno al 1200 a.C. da naviganti micenei e, sulle stesse rotte, circa tre secoli dopo da mercanti fenici e greci d'Eubea attratti dalle risorse minerarie e dalla ricchezza grazie alle quali prosperò per quasi tutto il primo millennio avanti Cristo la civiltà etrusca.

I precoci contatti con esploratori, naviganti e mercanti del bacino orientale del Mediterraneo stimolarono le genti d'Etruria allo scambio extraterritoriale e all'espansione via mare. La navigazione fu dunque attività fondamentale per lo sviluppo e la successiva potenza della nazione etrusca. Lo scambio sui mari con Fenici, Greci e Sardi, modificò lo stile di vita delle genti villanoviane e aiutò lo sviluppo della società e dell'economia.

E' dimostrato che già le popolazioni d'epoca villanoviana, che vissero in Etruria fra il 900 e il 700 a.C. circa, si spostassero piuttosto frequentemente via mare, ad esempio verso la fertilissima pianura dello sbocco del Sele e i facili approdi del Golfo di Napoli, sia alla ricerca di nuove terre, sia per scambi commerciali.

Alla fine del IX sec. a.C. le comunità di Populonia, Vetulonia, Vulci, Tarquinia e Cerveteri, le più importanti del periodo, erano in contatto fra loro via terra ma anche, e soprattutto, via mare: navigavano lungo costa, con rotte di cabotaggio, vale a dire a piccole tappe.

I materiali rinvenuti in Sardegna e in alcune importanti tombe etrusche
[1] indicano l'esistenza di rapporti e di scambi con la Sardegna fin dall'800 a.C. circa, e sembra che negli stessi anni le navi dei Tirreni - come gli abitanti dell'Etruria venivano chiamati dai Greci - si spingessero già fino in Corsica e oltre lo Stretto di Messina prima dell'inizio della fondazione delle colonie greche. Si può dunque ragionevolmente affermare che nel periodo più antico della loro storia gli Etruschi fossero il gruppo più 'dinamico' del Tirreno.

All'inizio dell'VIII sec. a.C. cominciano poi a giungere nel Tirreno i Fenici ed i Greci d'Eubea.
I Fenici, dopo la fondazione di Cartagine nell'814 a.C., erano soprattutto interessati alle coste occidentali della Sardegna, mentre i Greci, dopo una primo periodo di esplorazioni, fondarono una base per il commercio ad Ischia (l'antica Pithecusa) verso il 775 a.C., e si stabilirono a Cuma, sulla costa della Campania.

Sulle coste nacquero dunque numerosi centri di approdo e, grazie ai contatti con genti straniere, vennero introdotte nuove tecniche, tanto nell'agricoltura
[2] quanto nella realizzazione, da parte di artigiani specializzati, di oggetti soprattutto di lusso, dalle ceramiche alle oreficerie, e nel VII sec. a.C. giunsero nelle comunità etrusche dal Mediterraneo orientale anche elementi culturali di fondamentale importanza come l'alfabeto.

Gli Etruschi raggiunsero via mare anche terre molto lontane, alla ricerca di nuovi territori da conquistare e di scali commerciali da controllare, come testimoniano gli autori greci o latini che narrano di azioni o tentativi di conquista e occupazione in Campania, Corsica, Sardegna, Spagna, nelle Baleari e addirittura nelle Canarie.

Il fatto che gli scrittori greci, fin dal VI sec. a.C., parlino dei "pirati" Tirreni, testimonia quanto famosi e potenti fossero gli abitanti dell'Etruria per le loro imprese sul mare
[3]. Anche allo storico latino Tito Livio, vissuto fra il 59 a.C. e il 17 d.C., giunse l'eco delle imprese etrusche sui mari, tanto che nelle sue Storie (V, 33, 7-8) egli afferma che "La potenza degli Etruschi prima del dominio di Roma era assai estesa, per terra e per mare." e che "I popoli d'Italia chiamavano un mare Etrusco, l'altro Adriatico, da Adria, colonia degli Etruschi; i Greci li chiamarono Tirreno e Adriatico.".

 


Note

[1] Fra le quali senz'altro la più nota è quella detta "dei bronzetti sardi" a Vulci.

[2] Fondamentale è per esempio l'introduzione nel corso dell'VIII sec. a.C. della coltura della Vitis vinifera finalizzata alla produzione di vino.

[3] Tucidide (I,5), il celebre storico greco vissuto nel V sec. a.C., spiega che in tempi più antichi rispetto ai suoi (ad esempio ai tempi degli avvenimenti narrati nell'Odissea) la "pirateria" era un'attività normale e molto diffusa che rendeva rispettabile e potente chi la praticava. Si trattava, infatti, di una forma di commercio spesso esercitato dagli aristocratici proprietari di navi.



 
 
 

Un commento che merita un post

Post n°236 pubblicato il 12 Giugno 2009 da zoeal
 

IL FANUM VOLTUMNAE A TARQUINIA ? di Alberto Palmucci
Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia per le ragioni che esporrò in questo lavoro. Il geografo greco Strabone scrisse: “Si racconta che Tarconte [...] fondò dodici città; e da lui prese il nome la città di Tarquinia. A quel tempo, dunque, gli Etruschi, governati dal un sol capo, furono molto potenti”. Aulo Cecina di Volterra (Scholia Ver. Eneid. 200), poi, storico etrusco, negli Scolia Veronensia raccontò che “Tarconte, passato l’Appenninio con l’esercito, fondò la città che chiamò Mantova […]. Lì ordinò il calendario, e parimenti consacrò il luogo dove fondare dodici città”. E’ l’area di Tarquinia il vero epicentro dell’espansione dapprima verso l’Etruria propria, e poi verso la Padana. Le vicende di questa fase formativa della nazione sono riflesse, infatti, in quelle della figura di Tarconte, fondatore di Tarquinia, e delle altre città dell’Etruria propria e della Padana. Infatti, durante l’età del Bronzo finale e del Ferro, Tarquinia e il suo territorio hanno restituito le più antiche testimonianze archeologiche. Ceramiche di tipo Tarquiniese si ritrovano anche in altre regioni dell’Etruria e della valle Padana, ma sono posteriori. *** Si diceva che mentre Tarconte, secondo altri Tarquinio, arava la terra attorno a Tarquinia, da un solco tracciato in maggiore profondità emerse un bambino che aveva la sapienza di un vecchio. Questi fu chiamato Tagete perché figlio della terra e del Genio di Giove, uno degli dèi Penati etruschi. “Poiché l'aratore”, raccontava Cicerone nel De Divinazione, “stupito da questa apparizione, mandò alte grida di meraviglia, ci fu un accorrere di gente in massa; e, in breve tempo, tutta l'Etruria convenne in quel luogo” (II, 5). Tagete, allora, prendendo Tarquinia come centro, divise il cielo in sedici parti, assegnò ad ognuna di esse una divinità, e dettò a Tarconte (o a Tarquinio) e agli altri lucumoni delle città etrusche lì convenuti l’arte di interpretare i fulmini a seconda della parte di cielo dalla quale fossero venuti. Prese poi un fegato di pecora, e, come aveva fatto con il cielo, stabilì il centro, divise il bordo in sedici parti, e dettò le norme per leggervi il volere degli dèi. Tarconte, infine, ne compose un poema in forma di dialogo poetico in lingua etrusca. Nel linguaggio mitico, il raggio d'azione del grido dell'aratore ( Tarquinio o Tarconte) che da Tarquinia si stende per tutta l'Etruria, esprime il prestigio che la città aveva sulla nazione. Il concorso, poi, di tutti gli Etruschi sul luogo donde era partito il richiamo esprime la capacità aggregante e l'autorità che Tarquinia aveva sulla Confederazione. L’essere infine il luogo della rivelazione di Tagete, e del dettato di norme religiose a tutti i capi degli Stati etruschi, nonché il trovarsi al centro dell’universo celeste, fanno di Tarquinia il centro religioso e politico della nazione. Nella città, si formerà una scuola di aruspicina che poi i Romani istituzionalizzeranno nel Collegio dei Sessanta Aruspici al quale ognuna delle dodici città federate doveva inviare cinque allievi (Cicerone, Divinazione, I, 90). Sui graffiti di uno specchio etrusco, trovato a Tuscania, presso Tarquinia, si vede il dio Veltune (lat. Veltumna, Vertumnus) che assiste alla scena in cui Tagete insegna a Tarconte e agli altri le norme dell’aruspicina. E’ già significativo il fatto che questa è l’unica rappresentazione del dio che si sia mai trovata. Veltune era la divinità venerata sul luogo delle riunioni federali. Evidentemente, aveva pertinenza col luogo della rivelazione di Tagete, e quindi con Tarquinia. Egli era il “dio principe dell’Etruria”, e presso il suo tempio (il fanum Voltumnae) si radunavano in congresso i capi degli Stati federali. Il luogo della rivelazione di Tagete, e con ciò Tarquinia, doveva esser dunque il centro della federazione Etrusca. Nel IV secolo a.C., a Tarquinia, il grande tempio della città, detto significativamente Ara della Regina, raggiunge la sua massima espansione fino a diventare il maggiore d’Etruria. Si ritiene che il nome di Veltune (lat, Voltumna, Vertumnus) appartenga ad una particolare connotazione del supremo dio etrusco Tinia (il Giove romano); e non a caso è stato recentemente trovato un cippo appartenente all’interno del grande tempio tarquiniese, dal quale si apprende che in epoca romana esso era dedicato proprio a Giove “etr. Tinia” (M. Torelli, in Archeologia in Etruria Meridionale, p. 262). Peraltro, le più antiche iscrizioni votive a Tinia provengono da Tarquinia (Cristofani, Diz. Civiltà etr., s.v. Tinia). Sulla destra, poi, della fronte del tempio di Giove/Tinia c’è una sontuosa vasca romana con la scritta “pro ludis (per il ludi)”. Come Torelli ha evidenziato, è il contenitore dell’olio usato nei ludi che si svolgevano nella vasta area antistante il tempio (Torelli, loc. cit.). Pubbliche gare atletiche sono numerosamente documentate nelle pitture tombali di Tarquinia. Ricordiamo quelle delle Olimpiadi e delle Bighe. In quest’ultima sono addirittura raffigurate le strutture lignee dello “stadio” che racchiudeva i giochi, ed il pubblico che vi assisteva vivacemente. Dinanzi al tempio s’è trovato anche un cippo di marmo (II-III sec. d.C.) che in origine recava una scritta di cinque righe. Di queste, le prime quattro sono scalpellate (per damnatio memoriae?), ma la quinta reca ancora Tarquinienses Foeder[ati] (M. Torelli, Elogia Tarquiniensia, p. 162). E’ possibile che il testo integrale contenesse l’elenco dei popoli etruschi federati, o federati a Roma, compresi i Tarquiniesi. Il tempio dinanzi al quale era il cippo dovrebbe esser comunque quello della Federazione Etrusca. Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, sono rappresentati i dodici popoli della Federazione; e Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) che ha in mano i Libri Tagetici, occupa il primo posto della rassegna. *** Strabone scrisse: “Dopo la fondazione di Roma, venne Demarato portando popolo da Corinto. I Tarquiniesi lo accolsero amichevolmente, e da una donna del paese gli nacque Lucumone. Questi, fattosi amico di Anco Marcio re dei Romani, gli successe nel regno, e cambiò il suo nome in quello di Lucio Tarquinio Prisco (V, 2,2) […]. Demarato aveva portato con sé dalla sua patria una ricchezza tanto grande in Etruria, che egli stesso non solo regnò sulla città che lo aveva accolto (Tarquinia), ma il suo figlio fu fatto re anche dei Romani (VIII, 6,20) […]. Da Tarquinio, e prima dal padre, fu molto abbellita l'Etruria. Il padre, grazie alla quantità di artisti che lo avevano seguito da Corinto; il figlio con le risorse di Roma. Si dice pure che da Tarquinia furono trasportati a Roma gli ornamenti dei trionfi, dei consoli e, in generale, di tutte le magistrature, così pure i fasci, le scuri, le trombe, i sacrifici, la divinazione e la musica di cui fanno uso pubblico i Romani (V, 2,2)”. I particolari del trasporto da Tarquinia a Roma delle insegne federali furono raccontati da Dionigi d’Alicarnasso. Egli scrisse che i capi delle singole città etrusche, dopo una guerra perduta contro Tarquinio Prisco re di Roma, si riunirono più volte in concilio, e lo riconobbero anche come capo della loro Federazione. Essi poi inviarono ambasciatori che trasferirono in Roma, e consegnarono a Tarquinio “le insegne della supremazia, con le quali essi adornano i propri re: una corona d'oro, un trono d'avorio, uno scettro con l'aquila alla sommità, una tunica di porpora con fregi in oro, e un mantello di porpora ricamato, proprio come lo indossavano i re della Lidia e della Persia [...]. Gli recarono anche, come dicono, dodici scuri, portandone una da ogni città. Era, infatti, usanza degli Etruschi che il re d’ogni città camminasse preceduto da un littore recante un fascio di verghe e una scure. Quando poi si effettuava una spedizione comune delle dodici città, le dodici scuri venivano consegnate a colui che in quel momento aveva il potere supremo [...]. Per tutto il tempo della sua esistenza, Tarquinio portò dunque una corona d'oro, indossò una veste di porpora ricamata, tenne uno scettro d’avorio, sedé su un trono eburneo; e dodici littori, recanti le scuri con le verghe, gli stavano intorno se amministrava la giustizia” (III, 73). Tarquinia era dunque il centro della Federazione Etrusca. A Tarquinia, littori con fasci si vedono su fregi di sarcofagi e di pitture parietali di tombe; in una fossa votiva degli inizi del VII sec. a.C., poi, sono state trovate le insegne etrusche del potere: una tromba-lituo, uno scudo ed una scure ripiegati insieme. *** La tradizione romana che un Tarquinio fosse stato insieme capo della federazione etrusca e re di Roma trova riscontro in Etruria nelle pitture della tomba François di Vulci. Qui si vedono alcuni personaggi vulcenti che sorprendono nel sonno e uccidono i capi disarmati d’una coalizione di città etrusche: le vittime sono un anonimo soanese, un anonimo volsiniano, un anonimo blerano e un Tarquinio Romano (Tarchunie Rumach). In linea con la tradizione sopra esposta, dobbiamo considerare il Tarquinio Romano a capo di una coalizione di città subordinate fra cui Volsini. Il fatto che le vittime vengano sorprese nel sonno in un’unica località fa pensare che l’eccidio avvenga durante un concilio federale tenuto a Roma a o Tarquinia. Forse vi partecipavano gli stessi assalitori vulcenti. *** Tarquinio, come abbiamo visto nelle tradizioni sopra riferite (Strabone, Dionigi), è un re di Tarquinia che diviene anche re di Roma, e come tale utilizza le risorse di Roma per abbellire Tarquinia; e mentre è re di Roma egli diventa pure capo della Federazione Etrusca: questa investitura gli viene proprio da Tarquinia. Il tutto trova un perfetto parallelo nella tradizione virgiliana secondo la quale, in epoca mitica, Tarconte, re di Tarquinia e della Federazione Etrusca, da Corito (Tarquinia), inviò ad Evandro, re del Palatino di Roma, le insegne del potere per cedergli spontaneamente la “corona del regno etrusco”. Il troiano Enea, poi, delegato da Evandro, si recherà a Corito “Tarquinia” (Eneide IX 1), nel campo federale che Tarconte aveva posto lungo il fiume Mignone (Eneide VIII 597ss ; Servio, all’Eneide, VIII 597ss). Questo sfociava e sfocia a nord di Centumcellae, cioè fra la odierna Civitavecchia e Tarquinia (Servio X, 183). Lì, Tarconte gli cederà il comando supremo della Federazione Etrusca (Eneide X 147). Questo avviene proprio il 13 agosto, giorno in cui a Roma si celebrava la festa di Vertumnus, dio della federazione etrusca.Verosimilmente, durante la monarchia dei Tarquini, insieme alle insegne federali del potere era stato introdotto a Roma anche il culto del dio federale Vertumnus. *** A Tarquinia, peraltro, ci sono attestazioni epigrafiche, sia pure d’epoca repubblicana, della presenza del capo della Lega: lo Zilath mechl Rasnal o lo Zilch Cechaneri “(Per lo Zilath: CIE Tarquinia 5360; 5472; 5811; ThLE, s.v. Zilath; per lo Zilch: CIE Tarquinia, 5385; 5423”. Pallottino ha affermato che la grande preminenza che ha Tarquinia nelle leggende primitive d'Etruria fa pensare ad un periodo di egemonia tarquiniese, e che più tardi questa antica unità potrebbe aver assunto il carattere di confederazione religiosa con adunanze al Fanum Voltumnae (Etruscol. ,1956, p.174). Questo Fanum però non era a Volsini, bensì a Tarquinia. Livio (IV 23; 25; 61; V 17; VI 2) spiegò che le riunioni dove gli Etruschi, durante la prima metà del IV secolo, eleggevano il capo supremo avvenivano al Fanum Voltumnae, cioè nel tempio di Voltumna. Egli però non disse presso quale città si trovasse il tempio; pose comunque Tarquinia a capo di un esercito federale condotto contro Roma alla metà dello stesso secolo. In ogni caso, è da escludere ch’egli intendesse che il Fanum fosse a Volsini. Egli, infatti, in altra occasione, parlerà di Volsini, Perugia e Arezzo, e le presenterà tutt’ insieme come tre distinte capitali d’Etruria, ognuna del proprio singolo stato (X 37). Lo specchio etrusco sopramenzionato, dove si vede il dio federale Veltune (lat. Voltumna o Vertumnus) presente a Tarquinia, è proprio del IV secolo. Nello stesso secolo, nelle tomba François, come abbiamo visto, è un Tarquinio Romano e non un Volsiniese il capo della coalizione alla quale la stessa Volsini apparteneva. *** Quando Roma sottomise Tarquinia, il ruolo di centro, limitato all’Etruria settentrionale ancora indipendente, dovette essere svolto da Volsini. E dopo che nel 264 a.C. il console M. Fulvio Flacco ebbe sottomesso anche Volsini, altre città, come Chiusi e Arezzo, dovettero via via assumere il ruolo di centro federale per l’Etruria settentrionale; ma, completata l’occupazione romana, Tarquinia dovette riestendere il ruolo di centro sull’intera nazione. E’ qui infatti che troviamo ancora le sepolture di personaggi che in vita hanno rivestito la carica di presidente della Federazione; ed è qui che i Romani, istituzionalizzarono l’antica scuola di aruspicina nel Collegio dei Sessanta Aruspici dove ognuno dei principi delle dodici città federate doveva inviare i propri figli a studiare. Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, sono rappresentati i dodici popoli della Federazione; e Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) che ha in mano i Libri Tagetici, occupa il primo posto della rassegna. La Tabula Peutingeriana (IV sec. d.C.) pose Tarquinia al centro delle grandi vie di comunicazione; inoltre, mentre ogni altra città, Volsini compresa, vi fu raffigurata con due torrette, solo Milano (capitale dell’Impero Romano d’Occidente) e Tarquinia (capitale d’Etruria) lo sono da due torrette poste su un piedistallo. La città, peraltro, era la sede del consularis Tusciae. Qui troviamo la sepoltura del praetor Etruriae P. Tullio Varrone (CIL, 3364). Dagli Acta Santorum (9 agosto), poi, sappiamo che, attorno al 250 d.C., Secondiano fu inviato da Roma a Colonia (Gravisca), il porto di Tarquinia, dove fu processato e giustiziato da Marco Promoto, consularis Tusciae, la cui residenza era evidentemente Tarquinia. Il martire su sepolto in Colonia. A Tarquinia dove il santo divenne patrono se ne conserva ancora un braccio. Un governatore della Tuscia e dell’Umbria, poi, sotto Diocleziano, veniva chiamato Tarquinius, nome che potrebbe essere significativo della città dov’egli svolgeva la sua funzione (L. Cantarelli, La diocesi italiciana, p. 116). *** Volsini, tuttavia, aveva mantenuto un suo ruolo. Esiste un rescritto col quale l’imperatore Costantino, nel 337 d.C., concesse agli umbri di Spello l’esonero di recarsi a Volsini per celebrare le feste religiose. Manca ogni accenno a divinità antiche o federali. Le funzioni religiose di Volsini dovevano comunque essere il residuo del ruolo centrale che la città, dopo la caduta di Tarquinia, aveva assunto verso le ancor libere città della media valle del Tevere. L’estensione all’Umbria è poi dovuta alla riforma di Augusto che unì questa regione all’Etruria.
Grazie professor Palmucci

 
 
 

LA TERRA DI ATAR

Post n°235 pubblicato il 08 Giugno 2009 da zoeal
 

 

 

 

cliccare contemporaneamente video musicale ed immagini, perchè nonostante numerosi tentativi non sono riuscita a musicare il mio video...sono una franaaaaaa! 

 
 
 

ETRUSCHEGGIANDO

Post n°233 pubblicato il 05 Giugno 2009 da zoeal

POGGIO BUCO: STATONIA?

L’insediamento di Poggio Buco si sviluppa nel pianoro tufaceo di Le Sparne, nel comune di Pitigliano. Il nome antico di questo insediamento rimane ancora sconosciuto e priva di fondamento risulta essere l’identificazione di questo sito con l’antica città di Statonia proposta in seguito al rinvenimento di alcune ghiande missili con l’iscrizione Staties o Statnes.

Già abitato in età protostorica (XV-X secolo a.C.), l’insediamento di Poggio Buco conobbe un grande sviluppo in età etrusca quando fu utilizzato come avamposto per il controllo del retroterra vulcente. I dati archeologici indicano anche per questo sito, al pari di altri della valle del Fiora, un abbandono repentino alla fine del VI secolo a.C. a cui seguì in età ellenistica (II secolo a.C.) solo una modesta frequentazione.

L’abitato etrusco era difeso da rupi scoscese e da tratti di mura che proteggevano i punti meno muniti naturalmente. L’accesso orientale, a cui si accedeva mediante una strada proveniente da una necropoli della città, quella oggi indicata con il nome di Poggio Buco, era protetto da un sistema naturale, una collina artificiale innalzata con terra e materiale di riporto.

Nell’area della città, nella parte centrale del pianoro, furono rinvenute, durante scavi ottocenteschi, le fondazioni di un grande edificio realizzato con blocchi di tufo e prospiciente una piazzetta lastricata. Due sono le fasi costruttive dell’edificio: la prima risale alla fine del VII- inizi del VI secolo a.C., la seconda alla metà del VI. Lo scavo di questa struttura ha restituito numerose lastre fittili di rivestimento decorate a bassorilievo e numerosi resti di elementi architettonici. Le lastre fittili presentano fregi con teste di animali oppure cavalieri in corsa o, infine, temi più complessi come il soggetto mitico (una figura maschile e tre femminili in fuga) recentemente riferito al mito di Peleo e Teti. Non sappiamo a quale destinazione fosse adibito l’edificio: pubblica, sacrale o forse privata, come residenza aristocratica.



Oggi delle strutture rinvenute ben poco è visibile poiché l’area è coperta da una fitta vegetazione e i resti attualmente riconoscibili nella porzione sud-est del pianoro, in quella che doveva essere l’acropoli etrusca, non sembrano appartenere a questa fase storica, ma da riferire a una chiesa appartenuta ai Cavalieri di Malta.

L’architettura funeraria della necropoli di Poggio Buco, pertinente all’abitato rinvenuto sul pianoro Le Sparne, si presenta diversificata diacronicamente. Il tipo più antico è costituito da una fossa scavata nel tufo (terzo quarto dell’VIII secolo a.C.), successivamente evoluto nella variante che prevede una fossa con uno o due loculi ricavati nei lati lunghi e chiusi con blocchi di tufo (ultimo quarto dell’VIII – inizi del VII secolo a.C.). Intorno alla metà del VII secolo a.C. compaiono tombe a camera interamente scavate nella roccia tufacea con vestibolo e breve corridoio di accesso, mentre nella seconda metà del secolo, presumibilmente in concomitanza con i mutamenti sociali che portano all’emergere del ceto gentilizio, subentrano tombe a camera di più ampie dimensioni, con più celle funerarie che si aprono sul vestibolo. Sono inoltre attestate alcune tombe che riproducono nel tufo elementi architettonici lignei, come nel caso della cosiddetta tomba della Regina, il cui soffitto rappresenta un tetto displuviato con travature lignee.

Attualmente nessuna delle tombe a fossa è visibile, mentre possono essere visitate le strutture funerarie a camera: la maggior parte di esse presenta ampi segni di riutilizzo per attività legate all’ambito agricolo-pastorale.

I numerosi materiali rinvenuti durante gli scavi, che si sono protratti in quest’area fin dall’Ottocento, hanno avuto diversa destinazione: alcuni nuclei sono approdati ai musei di Berlino, della California, di Philadelphia e di Chicago, altri sono rimasti in Italia e si trovano al Museo Archeologico di Firenze e al Museo della Civiltà etrusca di Pitigliano.

La parte più cospicua dei rinvenimenti è costituita dalla ceramica, che spazia dalle produzioni a decorazione geometrica, al bucchero, alla ceramica etrusco-corinzia.
 GUARDA UN BELLISSIMO VIDEO SU STATONIA CLICCANDO
THUI

 
 
 

COME VESTIVANO GLI ETRUSCHI?

Post n°232 pubblicato il 01 Giugno 2009 da zoeal
 

Le nostre conoscenze dell’abbigliamento degli etruschi si basano fondamentalmente sulle testimonianze figurate, che non sempre consentono di distinguere tra i vestiti indossati quotidianamente e quelli che invece sono il frutto di convenzioni artistiche; talora è possibile ricorrere all’ausilio delle fonti scritte sull’abbigliamento dei romani, in parte ispirato a quello etrusco.
I vestiti erano in lana, generalmente colorata e a volte arricchita da inserti in materiale prezioso, ed in lino, lasciato del colore naturale. La documentazione figurata più antica sull’abbigliamento, risalente al VII secolo a.C., mostra per quest’epoca l’impiego da parte degli uomini più giovani e degli atleti del perizoma, ossia di un panno annodato in vario modo intorno ai fianchi, e per gli anziani di una lunga tunica in lana (il chitone), decorata a scacchi e a losanghe ed arricchita di elementi in lamina d’oro cuciti sopra. Il chitone, con l’aggiunta di una cintura in vita, era impiegato anche dalle donne e rappresenta, pur con alcune variazioni, una costante dell’abbigliamento sino alla fine della civiltà etrusca, insieme al mantello. Di quest’ultimo sono attestate varie fogge, in particolare in età arcaica: la cosiddetta tebenna, il mantello etrusco per eccellenza, era un panno di forma semicircolare indossato obliquamente così da lasciare scoperta una spalla oppure indossato come uno scialle; accanto alla tebenna era il mantello rettangolare impiegato dalle donne come una cappa, in modo da velare il capo e ricadere sulla parte anteriore del corpo in due ampi lembi che coprivano le spalle. Intorno alla metà del VI secolo a.C., per influenza di correnti culturali provenienti dalla Grecia orientale, si verifica un sensibile cambiamento nell’abbigliamento: si diffonde il chitone ionico in lino, una veste pieghettata lunga fino ai piedi indossata sia dalle donne sia dagli uomini; questi ultimi spesso portano un chitone lungo solo fino all’altezza dei polpacci, mentre per i giovani e gli atleti il perizoma è sostituito dal chitonisco, ossia da un chitone cortissimo. Dalla fine del secolo, inoltre, la tebenna diventa esclusiva dell’abbigliamento maschile. Dopo l’introduzione del chitone sostanzialmente il vestiario etrusco non subisce importanti modificazioni: dal IV secolo a.C. gli uomini impiegano frequentemente la clamide, un corto mantello agganciato sotto la gola ed indossato talora a torso nudo, mentre dal III secolo a.C il chitone diventa più ampio e, quando è portato dalle donne, è privo di maniche e fermato da una cintura sotto il seno.
A differenza dei greci, gli etruschi, in particolare gli uomini, indossavano frequentemente dei copricapi. Nel corso del VII secolo a.C., per influenza orientale, è attestato l’uso di una sorta di corona, forse di piume, per gli uomini e di un copricapo cilindrico (polos) per le donne; dall’età arcaica sono utilizzati il cappello a tesa larga di origine greca (il cosiddetto petaso) ed il berretto a cupola di stoffa ricamata (detto tutulus), mentre dal V secolo a.C. in poi diviene comune l’usanza di andare a capo scoperto.
Per quanto riguarda le calzature, la documentazione figurata attesta per la prima fase della civiltà etrusca l’uso di stivaletti e di pantofole, mentre dagli inizi del VI secolo a.C. si diffondono i sandali con suola di legno e stringhe di cuoio, che saranno indossati per diversi secoli. Alla metà del medesimo secolo si diffondono le calzature con punta ricurva verso l’alto, sia a stivaletto (detti calcei repandi) sia a pantofola, che tuttavia alla metà del V secolo a.C. sono indossati soltanto da donne di alto rango o attribuiti alle divinità.

LINK:THUI

 
 
 

GIOCO LETTERARIO

Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer

INCIPIT

 clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto

ho scritto anche:

 LA FINE E L'INIZIO

e per la serie RACCONTI BREVI:

HIRUMINA IL PERUGINO

DEUXIPPO (prima parte)

DEUXIPPO (seconda parte)

DEUXIPPO (terza parte)

DEUXIPPO (ultima parte)

L'INFAME (prima parte)

L'INFAME (ultima parte)


 

E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!

 

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"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)

"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)

"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)

"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)

"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)

" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.

"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato

 

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POETA ESTEMPORANEO

In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco

Il reperto archeologico

Riuniti insieme, un gruppo di signori

stavano discutendo di un oggetto

un giorno appartenuto ai padri etruschi.

Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:

-La mia giovane eta', non mi consente

di pronunciarmi il primo e francamente

ammetto che non ci capisco molto.

Il dottor Caio esprime il suo parere

dicendo-Per me, questo è un utensile

che usavano gli etruschi,

per servire vivande sulla mensa

D'altro parere il professor Sempronio

e in questo modo dice il suo giudizio:

Questo per me, è un vaso da ornamento

che serviva su un mobile di lusso

a contenere fiori profumati.

Infine il professor Tal dei Tali:

Con questo afferma usavano gli antichi

nelle grandi e solenni cerimonie

offrire a gli dei superi d'Olimpo

e il loro sacerdote in pompa magna,

libava e alzava questo vaso al cielo;

quindi spruzzava santamente l'ara,

del vin pregiato in esso contenuto.

-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-

la Sua tesi convince, professore.

Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi

in permesso quassu' dai Campi Elisi.

Si fermarono ad osservar la scena.

-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno

quelle persone riunite insieme?

-Non so',non saprei dirti veramente;

non riesco a comprendere il dialetto,ma

quel che sembra un tantinello strano

è, che stan discutendo con passione,

tenendo un nostro orinalaccio in mano.

 

 
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