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Messaggi del 20/06/2008

LA BATTAGLIA DI CUMA

Post n°84 pubblicato il 20 Giugno 2008 da zoeal
 

L'INIZIO DELLA DECADENZA ETRUSCA: QUANDO LE COSE COMINCIARONO A GIRARE MALE..................

 I rapporti tra Cumani ed Etruschi furono intensi sul piano commerciale e, attraverso il commercio, anche su quello culturale. Ma politicamente lo stato cumano (il cui territorio andava dalla Penisola Sorrentina al Garigliano) e le città etrusche della dodecapoli campana, che aveva la sua capitale a Capua, crearono un modus vivendi che assicurava all'uno e alle altre una reciproca indipendenza. Si potrebbe dire che, finchè fu possibile, tentarono di ignorarsi reciprocamente sul piano politico. Forse, proprio per non compromettere i rapporti commerciali, che costituivano la base della prosperità di entrambi. Questo equilibrio politico entrò in crisi nella seconda metà del VI secolo a.C., quando la potenza etrusca, divenuta una delle forze egemoni del Mediterraneo centrale dopo la vittoria sui Greci della colonia focea di Alalia, in Corsica, allargò le sue mire espansionistiche al Tirreno meridionale. Verso di questo la spingevano sia la strapotenza delle sue flotte riunite - delle quali il nucleo più importante era costituito certamente da Caere - sia il desiderio di impadronirsi delle fiorenti città greche della costa campana (Cuma, Dicearchia, Partènope) le quali erano prospere non per il solo commercio, ma anche per le terre ubertose che costituivano lo stato cumano.  Cuma, al contrario di Pithecusa, fu, infatti, prospera per la sua ricchezza agricola non meno che per i proventi del commercio con le città etrusche e con gli empori greci situati più a nord (Alalia, Massalia), in Corsica e in Provenza. Sembra che buona parte della piana a sud dell'antico fiume Clanis (oggi, rettificato dai Borboni, è stato trasformato nei Regi Lagni) fosse cumana, a giudicare da un passo di Diodoro Siculo sulla battaglia del 524 fra Cumani da una parte ed Etruschi, con i loro alleati italici Osci, Umbri, Dauni e Sabelli, dall'altra. La conferma più evidente della ricchezza agricola dello stato cumano è data dai passi di Livio, Diongi di Alicarnasso e altri storici greci e latini, che parlano delle forniture di frumento ottenute (o, almeno, richieste) dai Romani a Cuma, in periodi di carestia o di guerra. Livio scrive che, avvicinandosi a Roma l'esercito di Porsenna, Re di Chiusi, allora una delle più potenti lucomonie etrusche, con lo scopo di rimettere sul trono Tarquinio, il Senato romano fu preso da un terrore mai provato prima, tanto grande era la fama della potenza di Porsenna. Uno dei motivi maggiori di preoccupazione era la possibiltà che la plebe, per paura, accettasse la servitù, lasciando entrare Porsenna e Tarquinio. Si cercò, quindi, in tutti i modi, di tenerla tranquilla, anche garantendole le forniture di frumento e, allo scopo, si inviarono ambasciatori presso le città volsce e a Cuma, per ottenere le quantità necessarie di frumento. Dionigi di Alicarnasso racconta che gli schiavi romani, in quel drammatico frangente, disertavano numerosi, passando al campo etrusco. I consoli decisero allora di chiedere aiuto ai Latini, in nome della consanguineità, e di inviare ambasciatori a Cuma, in Campania, e alle città della pianura pontina per ottenere quantitativi di grano adeguati alla particolare necessità. Conclusa vittoriosamente la guerra contro Roma e rimesso Tarquinio sul trono, Poresenna risolse di attaccare la città latina di Ariccia. Mandò, quindi, una parte del suo esercito ad assediare quella città, al comando del figlio, il principe Arunte. Ciò avveniva nel 504 a.C., quattro anni dopo la vittoria di Porsenna dinanzi alle mura di Roma. Come racconta Livio, gli Aricini chiesero aiuto alle città vicine e ai Cumani. Evidentemente, Cuma era una città tanto potente da poter intervenire a considerevole distanza dai propri confini, in una guerra che, apparentemente, non la riguardava. Cuma, in realtà. aveva tutto l'interesse a che gli Etruschi, che dopo la battaglia di Alalia erano diventati minacciosi per essa stessa, non rafforzassero il loro predominio sul Lazio, ma, al contrario, vi perdessero terreno, in modo che venisse meno quella contiguità tra Etruria e Campania che costituiva il pericolo maggiore per i Greci. Un altro motivo per l'intervento di Cuma nella guerra pare sia stato la speranza di alcuni cumani appartenenti al partito aristocratico che il corpo di spedizione guidato da Aristodemo, leader dei democratici, venisse battuto dagli Etruschi e che lo stesso generale morisse in battaglia o venisse fatto prigioniero. Aristodemo, comunque, si imbarcò da Cuma con dieci navi, che i suoi avversari scelsero tra le peggiori della flotta cumana, e un corpo di spedizione poco numeroso, ma nel quale aveva avuto cura di inserire un nucleo di soldati scelti e bene addestrati, di cui poteva fidarsi in pieno. Questo accorgimento fu decisivo per l'esito dell'impresa. Attaccata, quindi, la battaglia sotto le mura di Ariccia, al primo scontro, racconta ancora Livio, gli Etruschi misero in fuga gli Aricini.  I Cumani, a loro volta, pure fecero la mossa di volgere in fuga. Quando, però, gli Etruschi si posero al loro inseguimento e, così facendo, si dispersero per la campagna, i Cumani con una conversione improvvisa, quanto strategicamente studiata, li assalirono alle spalle, facendone strage proprio quando gli Etruschi credevano di essere ormai vincitori. Ne risulta chiaro il migliore addestramento dei Greci e si spiega così la supremazia di cui godevano di fronte ai barbari. Tarquinio, dice Dionigi di Alicarnasso, ormai novantenne, abbandonato da tutti e non trovando più ospitalità nè fra gli Etruschi, nè fra i Latini, nè fra i Sabini, si rifugiò a Cuma, dove regnava Aristodemo, che da nemico gli divenne così amico. Non molto tempo dopo, egli morì e lasciò erede universale il suo ospite. Nel 492 a.C. una grave carestia afflisse la città di Roma e furono, ancora una volta, inviati ambasciatori a Cuma, con l'incarico di acquistare frumento e di portarlo rapidamente a Roma via mare. Dopo che l'acquisto era stato perfezionato, Aristodemo confiscò le navi romane cariche di frumento per realizzare una compensazione con i beni di Tarquinio del quale egli era erede, beni che il Senato romano si era rifiutato di concedergli.  Il braccio di ferro tra Cumani ed Etruschi era cominciato alcuni decenni prima, nel 524 a.C., e già una volta Aristodemo aveva portato i Greci alla vittoria: lo sterminato esercito etrusco-italico, attaccato su due fronti dalle scarse ma ben addestrate milizie greche, fu sbaragliato e inseguito fino al fiume Garigliano. Secondo la leggenda, prima della battaglia, le acque del Clanio e del Volturno, i due fiumi fra cui gli Etruschi e gli alleati avevano fissato i propri accampamenti, avrebbero invertito il flusso della corrente, scorrendo dal mare in direzione delle sorgenti. Un miracolo che avrebbe sconvolto le truppe degli assalitori, creando le premesse della travolgente vittoria greco-cumana. Il conflitto sarebbe continuato anche dopo la morte del leggendario condottiero: Aristodemo, che, tornato vittorioso a Cuma, fu salutato dal popolo con l'appellativo di Malakòs, cioè "il buono". L'ultimo atto, nello scontro fra Greci ed Etrusci, si ebbe sul mare, nello specchio d'acqua che separa Cuma e dall'isola d'Ischia. Correva l'anno 474 a.C. e per gli Etruschi fu il momento della rotta definitiva. Le flotte riunite di Cuma, Siracusa, Dicearchia e Neapolis riuscirono ad avere la meglio sulla sterminata armata di mare messa insieme dalle città costiere etrusche e da un potentissimo alleato: i Cartaginesi.  Etruschi e Cartaginesi tentarono di regolare, con la battaglia di Cuma, i conti di uno scontro di più vaste dimensioni: quello in atto in Sicilia, in Sardegna e in Corsica e che aveva come posta in gioco l'egemonia sul Mediterraneo centrale. In pericolo, pertanto, c'era l'esistenza stessa di quella entità storica, culturale economica e politica che fu indicata con il nome di Megale Hellàs, termine che i romani avrebbero, poi, tradotto con l'espressione Magna Graecia. La battaglia di Cuma, uno dei primi grandi scontri militari sul mare della storia, fu paragonata, pertanto, per importanza, alla battaglia di Salamina. Così come a Salamina i Greci coalizzati riuscirono a respingere l'assalto dei Persiani, salvando la civiltà ellenica nella Grecia continentale e insulare, fra le spiagge cumane e l'isola che allora si chiamava Pithekusai, i Greci delle colonie campane e siciliane, respingendo l'attacco di Etruschi e Cartaginesi, riuscirono a salvare la civiltà ellenica nella Megale Hellàs. A salutare quella memorabile vittoria e a cantare quelle epiche gesta, con un'Ode, fu un "cronista" d'eccezione: il poeta greco Pindaro, che assistette allo scontro stando a bordo di una delle navi siracusane. Di quella battaglia, conservato al Museo Britannico, oltre l'ode pindarica, resta un unico ricordo: un elmo d'oro. Si tratta dell'elmo che Gerone, principe di Siracusa, offrì a Zeus per ringraziarlo del trionfo concesso alle flotte siciliana e cumana scese a fianco della Magna Grecia.

 
 
 

GIOCO LETTERARIO

Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer

INCIPIT

 clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto

ho scritto anche:

 LA FINE E L'INIZIO

e per la serie RACCONTI BREVI:

HIRUMINA IL PERUGINO

DEUXIPPO (prima parte)

DEUXIPPO (seconda parte)

DEUXIPPO (terza parte)

DEUXIPPO (ultima parte)

L'INFAME (prima parte)

L'INFAME (ultima parte)


 

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"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)

"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)

"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)

"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)

"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)

" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.

"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato

 

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PIACEVOLI DISCUSSIONI

POETA ESTEMPORANEO

In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco

Il reperto archeologico

Riuniti insieme, un gruppo di signori

stavano discutendo di un oggetto

un giorno appartenuto ai padri etruschi.

Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:

-La mia giovane eta', non mi consente

di pronunciarmi il primo e francamente

ammetto che non ci capisco molto.

Il dottor Caio esprime il suo parere

dicendo-Per me, questo è un utensile

che usavano gli etruschi,

per servire vivande sulla mensa

D'altro parere il professor Sempronio

e in questo modo dice il suo giudizio:

Questo per me, è un vaso da ornamento

che serviva su un mobile di lusso

a contenere fiori profumati.

Infine il professor Tal dei Tali:

Con questo afferma usavano gli antichi

nelle grandi e solenni cerimonie

offrire a gli dei superi d'Olimpo

e il loro sacerdote in pompa magna,

libava e alzava questo vaso al cielo;

quindi spruzzava santamente l'ara,

del vin pregiato in esso contenuto.

-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-

la Sua tesi convince, professore.

Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi

in permesso quassu' dai Campi Elisi.

Si fermarono ad osservar la scena.

-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno

quelle persone riunite insieme?

-Non so',non saprei dirti veramente;

non riesco a comprendere il dialetto,ma

quel che sembra un tantinello strano

è, che stan discutendo con passione,

tenendo un nostro orinalaccio in mano.

 

 
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