ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 03/12/2009

LE CONFESSIONI DI UN SACERDOTE GITANO

Post n°2734 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Dopo aver superato discriminazioni e un cancro (racconta la sua guarigione dopo un viaggio a Lourdes), dice di ssere il "più felice".

Né gli schiaffi di suo padre né le prese in giro dei suoi amici, né la discriminazione da parte di alcuni compagni di seminario né un grave cancro hanno potuto tener lontano un giovane gitano dalla sua vocazione sacerdotale. Nato 35 anni fa nel quartiere di La Mina a Barcellona, Juan Muñoz Cortés ha sentito fin da quando aveva dodici anni la vocazione al sacerdozio, una chiamata nella quale sono intervenute persone concrete che occupano un posto speciale nel suo cuore, ma anche forti esperienze spirituali. Il presbitero spiega la sua vicenda in questa intervista a ZENIT, che nell'Anno Sacerdotale offre le "confessioni" di Cardinali, Vescovi e sacerdoti sulla loro vocazione.

Quando ha iniziato a sentire la chiamata alla vita sacerdotale?

Juan Muñoz: A scuola scoprii una curiosità per la figura di Gesù di Nazareth e iniziai a interessarmene grazie alla professoressa di religione, una suora Figlia della Carità, con cui ebbi un colloquio. A dodici anni, una notte mi venne alla mente una luce, un'immagine di Cristo, che piangeva costantemente; e iniziai a piangere. Erano le tre del mattino. Ero nella mia stanza, al fianco di mio fratello. I miei genitori si alzarono e mi chiesero: "Che ti succede? Cosa ti fa male?". Io risposi: "piango di gioia perché nella mia testa si è rappresentato un signore con la barba che piangeva, aveva una corona". A poco a poco scoprii la mia vocazione, fino a che un giorno un sacerdote mi chiese: "Perché non fai il sacerdote? Hai mai pensato alla vita sacerdotale, di servizio alla comunità?". Io prima non avevo detto niente per vergogna. In quel momento arrossii e non seppi rispondere. Da allora cambiò tutto. L'accompagnamento personale è molto importante perché la persona, il ragazzo, scopra la sua vocazione. Attraverso la testimonianza di sacerdoti, suore e laici possiamo capire la vocazione.

Come ha reagito la sua famiglia?

Juan Muñoz: Quando dissi che volevo diventare sacerdote la presero male. Mi dissero di no, che dovevo sposarmi e avere figli. Io appartengo al popolo gitano, e per la mia famiglia il fatto che un figlio non si sposi e non abbia una discendenza risulta un po' scioccante. La non accettazione della mia vocazione da parte della mia famiglia mi fece entrare in crisi. Per qualche tempo non mi parlarono, e mio padre mi diede anche qualche schiaffo. Non ha accettato la mia vocazione fino al momento della sua morte. In quel momento, dopo aver chiesto l'estrema unzione ed essersi confessato, mi chiese scusa e mi disse: "Vado con Dio e pregherò per te, perché diventi sacerdote; ti aiuterlò dal cielo". Io gli dissi solo che lo perdonavo e di andare in pace con Dio. Mi sembra che Dio abbia voluto darmi questa grande testimonianza di mio padre prima di morire. E' stato molto bello. La morte di mio padre mi ha segnato moltissimo. Ora, grazie a Dio, le cose vanno molto bene. Mia madre e i miei due fratelli sono molto contenti.

Nel suo cammino verso il sacerdozio ha avuto dubbi?

Juan Muñoz: Per tutta la vita, da quando avevo dodici anni, ho voluto essere sacerdote, ma ci sono state moltissime difficoltà. Ad esempio, mi nascondevo per andare a Messa perché i miei amici mi prendevano in giro. Per due anni smisi anche di andare in chiesa perché pensavo che la chiamata ad essere sacerdote fosse una mia ossessione. In quel periodo uscii con una ragazza. L'avvertii che avevo la vocazione al sacerdozio ma che ero dubbioso. Rispose che lo rispettava, anche se non lo condivideva. Arrivò un momento, tuttavia, in cui dovetti dirle: "Mi dispiace molto, ma non posso più andare avanti: c'è come un vuoto tra me e te, e l'unica cosa che può riempire la mia vita è servire gli altri, i più bisognosi, e seguire la via lungo la quale Dio mi conduce da anni, che è essere sacerdote, stare con Lui molto intensamente". La prese male, cadde anche in depressione, ma ne è uscita e ora abbiamo un buon rapporto. E' sposata, ha figli e grazie a Dio tutto è andato bene.

Quali altre difficoltà ha dovuto affrontare in seminario?

Juan Muñoz: Il fatto che i miei amici non mi accettassero quando sono entrato in seminario mi ha segnato moltissimo e ha inciso sulla mia vocazione. Sono gitano, e per questo mi sono sentito emarginato dai compagni di seminario, e anche da alcuni sacerdoti che non mi accettavano. Mi dicevano la cosa tipica, che siamo sempre sporchi. Qualcuno è arrivato a dirmi che me ne dovevo andare alla Chiesa evangelica perché ero gitano. Con l'aiuto di Dio, però, con la mia preghiera diretta a Lui, che mi ha sempre aiutato, che mi diceva "Non ti preoccupare, tu vai avanti, nonostante le crisi, nonostante i momenti difficili, sono con te", guarda dove sono arrivato. Credo che l'essere diventato sacerdote sia stata opera di Dio. Sono stato ordinato nella Basilica di Santa María del Mar con altri due compagni. Hanno assistito alla cerimonia 1.600 persone e circa 140 sacerdoti. Ora sono la persona più felice di tutti. Vivo il sacerdozio con molta pienezza, come se lo avessi cercato da sempre.

Qual è stata la parte più dura di questo processo?

Juan Muñoz: Il momento più duro è stato quando ero diacono e i medici mi diagnosticarono un cancro. Mi colpì moltissimo ed entrai in crisi. In realtà scoprii la malattia in sogno. Nei miei sogni mio padre, che era morto, era accanto a una signora che non vedevo in faccia e mi diceva "Vai dal medico". Lo spiegai a mia madre, che mi esortò ad andare dal medico. Il terzo giorno che facevo questo sogno sentii un dolore forte, che mi spaventò. Andai allora dal medico e mi venne diagnosticata la malattia. Era un cancro molto aggressivo. Il medico mi disse che dovevano operarmi, anche se potevo avere molte metastasi e forse non sarei uscito vivo dalla sala operatoria. Mi ribellai contro Dio. Gli chiesi perché quando arrivavo alla pienezza, a ciò che avevo sognato di più, essere sacerdote, mi veniva un cancro dal quale forse non sarei uscito vivo. Dissi allora al mio direttore spirituale che volevo andare a Lourdes e mi raccomandati al dottor Pere Tarrés. Andammo a Lourdes, dormimmo in un ostello soffrendo il freddo e il mattino dopo celebrammo la Messa nella Grotta e andammo alle piscine. Nelle piscine c'eravamo solo io e lui. Quando toccò a me entrare nell'acqua provai una sensazione molto strana e iniziai a piangere. Uno dei volontari mi chiese cosa mi stava succedendo. Gli raccontai ciò che avevo, gli dissi che non volevo morire, che avevo paura, e mi rispose: "Vedrai che la Madonna ti guarirà; tu prega qui". Mi bagnò e poi iniziai a piangere un'altra volta. Restai lì per qualche minuto pregando davanti all'immagine della Madonna. E uscii trasformato. Dissi allora al mio direttore spirituale: "La Madonna mi ha guarito, sento molta pace dentro di me". Rimase sorpreso. Tornando a Barcellona, anche gli amici che mi vedevano mi chiedevano cosa mi succedesse, e dicevano: "Sei cambiato, sei come illuminato". Quando i medici mi operarono videro che non c'erano metastasi. Non ho dovuto fare né chemioterapia né radioterapia, né ho preso alcun farmaco, anche se mi sottopongo a dei controlli. Per me è stato un miracolo.

Quali esperienze, positive e negative, l'hanno sorpresa da quando è diventato sacerdote un anno e mezzo fa?

Juan Muñoz: Pensavo di trovare più rispetto, amore e dedizione tra i compagni sacerdoti, ma mi ha deluso un po' sentire come una mancanza di unione tra i presbiteri, non so se è come una sorta di solitudine per il fatto che i sacerdoti diocesani vivono soli. Allo stesso tempo, però, ho conosciuto gente splendida che mi ha sostenuto in tutto; persone di ogni tipo, di ogni cultura, di ogni razza, giovani e anziani, dai quali ho imparato moltissimo. Ho visto davvero il volto di Dio in quelle persone. Non riuscivo a immaginare come Dio possa parlare attraverso le persone. Alcune di loro, curiosamente soprattutto donne, mi hanno segnato molto e mi hanno dato ogni tipo di aiuto – spirituale, economico... - per diventare sacerdote. Penso al rapporto di Maria Maddalena con Gesù, suppongo che lei lo abbia consolato molte volte e lo abbia aiutato con le sue parole, quando si sentiva incompreso, indifeso e anche solo, a trovare la forza e a chiedere a Dio che si facesse la sua volontà. Ricordo ad esempio un grande amico, che ora lavora nel vescovado, con il quale ho condiviso i momenti precedenti la mia ordinazione sacerdotale. Non riuscivo a dormire. Ci siamo abbracciati, abbiamo pianto insieme e abbiamo parlato di Dio, della dedizione totale in cui mi sarei impegnato, consacrando tutta la mia vita a Dio e ai più bisognosi. La cosa più bella è stata arrivare alla pienezza del sacerdozio. Lo vivo con moltissima intensità. A volte le parole non bastano. Vivo con molta passione l'Eucaristia. A volte mi emoziono cantando il prefazio.

Qual è l'aspetto che l'ha più colpita della sua vita sacerdotale?

Juan Muñoz: La camera ardente. Sto collaborando con i servizi funebri di Barcellona e mi hanno colpito moltissimo il dolore delle persone e il fatto di poter trasmettere una speranza, una fede nell'aldilà a persone che soffrono per la morte di una persona cara, che si sentono sole, abbandonate da Dio. Ciò che mi ha più colpito è il fatto che entrino piangendo amaramente ed escano con fede, ringraziandoti perché hai trasmesso una testimonianza e un messaggio di Cristo vivo e una speranza nell'aldilà. Ho anche sposato persone che ho conosciuto nella camera ardente e mi sono fatto molti amici che hanno iniziato a confessarsi con me, che li seguo come guida spirituale. Se il sacerdote è una persona che prega e si dedica agli altri, è il più felice di tutti. - di Patricia Navas - Zenit -

 
 
 

NO AI SACRAMENTI ON-LINE: LA SALVEZZA DELLE ANIME NON PUO' ESSERE VIRTUALE

Post n°2733 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

I vescovi italiani potenziano la loro presenza su internet, con un radiale restyling del sito "www.chiesacattolica.it" che dal prossimo 8 dicembre diventa piu’ facilmente consultabile grazie a una riorganizzazione della sezioni e aree informative. Ad esempio il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, e il segretario generale, mons. Mariano Crociata, avranno ora loro pagine dalle quali leggere e scaricare interventi e messaggi. Un motore di ricerca ad hoc consentira’ poi di navigare nei siti delle 226 diocesi e delle 26 mila parrocchie italiane, "mantenendo chiara la distinzione tra i documenti della Cei e quelli delle chiese locali", e’ stato detto nella conferenza stampa di presentazione. Analoga opportunita’ riguarda i siti delle altre conferenze episcopali del mondo raggiungibili dal sito con un semplice click. Tantissime le novita’, ad esempio nel campo dell’arte e della cultura, tra le quali la piu’ intrigante riguarda le opere pittoriche ospitate dai musei diocesani o nelle chiese e cattedrali italiane, molte delle quiali sono ora visitabili virtualmente dal sito. Non ci saranno invece, ovviamente, "i sacramenti on line", "perche’ la salvezza operata da Dio tramite i sacramenti non e’ virtuale ma reale", ha spiegato lo stesso mons. Crociata, che con la sua presenza ha testimoniato oggi la fiducia della Chiesa Italiana verso i new media e l’utilizzo delle nuove tecnologie web. "Il caso dei sacramenti - ha sottolineato - rimanda in profondita’ alla questione della incarnazione e quindi al "segno concreto che hanno tutti i sacramenti: il pane, il vino, l’acqua del battesimo, il gesto". La presenza dei sacerdoti su Internet con siti personali puo’ arricchire l’annuncio che la Chiesa fa del Vangelo ma occorre avere una "grandissima cautela" e soprattutto starci con "responsabilita’ e coscienza", ha detto ancora il segretario generale della Cei, al quale tuttavia sembra che "ci sia abbastanza responsabilita’ e in questi termini e’ anche di grande utilita’ avere siti personali e di comunicazione che permettono di arricchire l’annuncio e quelle forme di comunicazione che in altri ambiti tendono a venire meno". "Occorre naturalmente - ha aggiunto mons. Crociata - una grandissima cautela perche’ ormai Internet e’ diventato un universo sterminato. Ma questo fa parte della crescita di responsabilita’, di coscienza e di consapevolezza di chi e’ presente attivamente producendo materiale o istituendo un proprio sito e da parte anche di tutti i naviganti. C’e’ in generale - ha concluso Crociata - un’esigenza di educazione, formazione e crescita" che sia mnifesta in chi utilizza questi nuovi strumenti". Il sito nuovo sito della Cei - che si presenta con una piu’ accattivante veste grafica - e’ stato realizzato dall’Ufficio Nazionale della Comunicazioni Sociali e dal Servizio Informatico della Cei in collaborazione con "Seed edizion’ informatiche". (AGI) Siz

 
 
 

SAN FRANCESCO SAVERIO E GLI ANGELI

Post n°2732 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Francesco de Jasu y Xavier poi tradotto in Saverio nacque nel 1506 in Navarra in Spagna. Suo padre era un nobile molto colto, aveva studiato all’università di Bologna ed era il presidente del consiglio Reale di Navarra; anche sua madre, una donna molto ricca, apparteneva alla nobiltà. I suoi genitori avevano su di lui grandi progetti per cui lo inviarono a Parigi per studiare, Ma fu proprio qui che nel collegio di Santa Barbara conobbe Ignazio di Loyola del quale divenne compagno di stanza e amico personale. Francesco Saverio lo scelse come suo maestro spirituale e sotto la sua guida divenne araldo del vangelo. Ignazio quale profondo conoscitore dell’anima umana, gli fece comprendere il senso delle parole di Gesù: "Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde l’anima?" (Mc 8,36). Così il Saverio finì per prendere alla lettera le parole evangeliche e, nel 1534, seguì Ignazio divenendo uno dei primi membri della "Compagnia di Gesù", l’ordine religioso fondato da Ignazio, iniziato in Francia nella chiesa di Montmartre e destinato ad incidere profondamente nella storia della Chiesa. Ordinato sacerdote a trentacinque anni, partì missionario per l’estremo oriente e dopo un viaggio di circa tredici mesi giunse a Goa, nelle Indie orientali, in qualità di legato pontificio. In India scrisse un "Catechismo Elementare", predicò e si dedicò all’assistenza dei malati. Si diresse in seguito nell’India meridionale, ottenendo molte conversioni anche tra i bramini, solitamente ostili ai missionari cattolici. Ignazio aveva inspirato in Francesco una profonda devozione ai santi Angeli. Infatti Sant'Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, parla degli Angeli nel suo libro "Esercizi Spirituali", del 1535. Nelle regole volte al maggior discernimento degli spiriti, S. Ignazio annota: "Prima regola: è proprio di Dio e degli Angeli conferire nei loro motivi vera letizia e gioia spirituale, togliendo ogni tristezza e ogni turbamento a cui induca il nemico". L'Angelo è quindi per S. Ignazio di Loyola il messaggero della vera armonia, e quando entriamo in comunicazione con lui, corpo e anima esultano e abbandonano qualsiasi legame insito nella fragilità della nostra condizione. Per S. Ignazio a seconda della nostra intima disposizione ad accogliere l'Angelo, esso diventa consolatore o vendicatore come scrive nella settima regola: "A quelli che procedono di bene in meglio, l'Angelo buono tocca l'anima in modo dolce, lieve e soave, come goccia d'acqua che entri in una spugna; e il cattivo la tocca invece pungentemente, e con rumore e disturbo, come quando la goccia d'acqua cada nella pietra; e a quelli che procedono di male in peggio, i suddetti spiriti toccano in modo contrario essendo la disposizione dell'ani¬ma ad essere contraria o simile a tali Angeli, infatti, quando è contraria, essi entrano con strepito e facendosi sentire, percettibilmente; mentre quando è simile, lo spirito entra in silenzio come in casa sua a porta aperta". Questo insegnamento sugli Angeli di S. Ignazio fu accolto e vissuto da numerosi santi gesuiti che diffusero il culto agli Angeli custodi lungo i secoli. San Francesco Saverio, prossimo ad andare in Giappone, così scriveva ai suoi confratelli di Goa in India: "Vivo nella grande speranza che Dio mi stia per concedere la grazia della conversione di questi paesi, poiché non fidando in me stesso, ho posto ogni mia fiducia in Gesù Cristo, nella Santissima Vergine Maria e in tutti i nove Cori degli Angeli, fra i quali ho eletto per protettore il Principe e Campione della Chiesa militante San Michele; e non poco spero in quell'Arcangelo alla cui speciale cura è stato affidato questo gran regno del Giappone. Ogni giorno mi raccomando a questi in modo particolare e a tutti gli Angeli custodì dei giapponesi". Francesco Saverio divenne il primo missionario cattolico sbarcato in terra nipponica, a Kaghoshima nel 1549. Dopo tre anni di permanenza erano già sorte ben tre comunità cristiane con millecinquecento membri. Nominato provinciale di tutte le missioni dei gesuiti d’oriente, Francesco Saverio scelse come nuova meta la Cina, ma, giunto all’isola di Sancian, venne colto dalla febbre e morì nel 1552 a soli quarantacinque anni. Nei dodici anni di permanenza in oriente il santo percorse oltre centomila chilometri. Nella sua biografia si legge che Francesco resistette alla visita del diavolo prima di partire per le isole Molucche, dove pare vivessero popolazioni cannibali. Come si sia a lui manifestato satana non ci è dato sapere; si sa che per il santo era come entrare nella " notte dell’azione", nella piena solitudine, proprio di fronte ad una decisione difficile da prendere come quella di partire da solo e per sempre verso un mondo totalmente sconosciuto. Francesco reagì alla forza di negazione che gli si opponeva; quella forza negativa per lui era il demonio che forse egli vide fisicamente. Una cosa è certa, San Michele e i santi angeli, di cui egli era devotissimo, lo protessero sempre! -

di Don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 

IL CARDINALE DI BOLOGNA: DIO VI GIUDICHERA'

Post n°2731 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Il comma 3 dell’articolo 42 del progetto di legge di iniziativa della Giunta regionale dell’Emilia Romagna (paragonabile ad una "finanziaria" regionale) ha intenzione di parificare, nell’accesso ai servizi sociali e sanitari, le coppie sposate a quelle di fatto e ai singoli individui. L’Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, ha contestato fortemente questa riforma, con un appello pubblico ai politici "come cittadino, cristiano e vescovo". Per il cardinale, l’approvazione di tale disposizione avrebbe "a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale". Caffarra afferma che "vi possono essere leggi gravemente ingiuste, come sarebbe questo comma se venisse approvato, che non meritano di essere rispettate" e che il suo appello non può essere considerato una "indebita ingerenza clericale": nonostante ciò, chiede di "riflettere seriamente", poichè "Dio vi giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò che è di Dio stesso". Il presidente della Regione Vasco Errani ha risposto che l’appello del prelato, seppure "inedito" va valutato "con grande rispetto, come doveroso", prospettando un possibile incontro chiarificatore con il card. Caffarra e rassicurando sul fatto che l’articolo del progetto di legge in questione "non ha certo intenzione di intervenire sulla definizione di famiglia che è normata nella Carta Costituzionale".

Leggi il testo dell'appello ai politici del Cardinal Caffarra.

Onorevoli Signori, è la mia coscienza e responsabilità di cittadino, di cristiano, e di vescovo che mi induce a rivolgervi questo appello.
Come molti cittadini della nostra regione, ho letto il Progetto di legge di iniziativa della Giunta Regionale pubblicato sul Supplemento speciale del Bollettino Ufficiale [n° 274 – 11 novembre 2009]. Il comma 3 dell’art. 42 pone sullo stesso piano singoli individui, famiglie e convivenze nell’accesso dei servizi pubblici locali. Già l’Osservatorio giuridico – legislativo della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna ha espresso con pacate e convincenti argomentazioni giuridiche l’inaccettabilità di questa equiparazione. Non intendo ripeterle. Desidero rivolgermi alla vostra coscienza di responsabili del bene comune su un altro piano.
Nell’omelia pronunciata in S. Petronio il 4 ottobre u.s. dissi che chi non riconosce la soggettività incomparabile del matrimonio e della famiglia «ha già insidiato il patto di cittadinanza nelle sue clausole fondamentali». E’ ciò che fareste, se quel comma fosse approvato: un attentato alle clausole fondamentali del patto di cittadinanza. Non sto giudicando le vostre intenzioni: nessuno ha questo diritto. Ma l’introduzione di una norma giuridica nel nostro ordinamento regionale, è un fatto pubblico che veicola significati che vanno ben oltre le intenzioni di chi lo compie. L’approvazione eventuale avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale.
Il matrimonio e la famiglia fondata su di esso è l’istituto più importante per promuovere il bene comune della nostra regione. Dove sono erosi, la società è maggiormente esposta alle più gravi patologie sociali. La prima erosione avviene quando si pongono atti che obbiettivamente possono far diminuire la stima soprattutto nella coscienza delle giovani generazioni, dell’istituto del matrimonio e della famiglia. E ciò accadrebbe se al matrimonio e alla famiglia, così come sono costituzionalmente riconosciuti, venissero pubblicamente equiparate convivenze di natura diversa. Vi prego di riflettere seriamente sulla responsabilità che vi assumereste approvando quella norma. Parlare di discriminazione in caso di non approvazione non ha senso: se è ingiusto trattare in modo diverso gli uguali, è ugualmente ingiusto trattare in modo uguale i diversi. Non sto dando giudizi valutativi di carattere etico sulla diversità in questione. Sto parlando della logica intrinseca ad ogni ordinamento giuridico civile: la giustizia distributiva è governata dal principio di proporzionalità.
Inoltre, coll’eventuale approvazione del comma suddetto obbiettivamente voi dareste un contributo alla credenza falsa e socialmente distruttiva che il matrimonio sia una mera "convenzione sociale" che può essere ridefinita ogni volta che così decida una maggioranza parlamentare. Il matrimonio è una realtà oggettiva sussistente in una unione pubblica tra un uomo e una donna, il cui significato intrinseco è dato dalla sua capacità di generare, promuovere e proteggere la vita. Volete assumervi la responsabilità di porre un atto che per sua logica interna muove la nostra Regione verso una cultura che va estinguendo nel cuore delle giovani generazioni il desiderio di creare vere comunità famigliari? Qualcuno potrebbe pensare che il comma in questione è una scelta di civiltà giuridica: estende la sfera dei diritti. Dato e non concesso che così fosse, ogni estensione dei diritti deve essere pensata nell’ambito del dovere fondamentale di difendere e promuovere il bene comune. Se così non fosse, si costruirebbe e favorirebbe una società di egoismi opposti. Credo di poter dire che nulla è più contrario alla nostra tradizione emiliano-romagnola, anche di governo, di questa visione della società.
Onorevoli Signori, come cittadino, cristiano e vescovo, rispetto la vostra autorità; so che siamo liberi in forza della sottomissione alle leggi; so che il vivere nella democrazia è stato anche nella nostra Regione frutto del sacrificio della vita di tante persone, sacerdoti compresi, la cui memoria deve essere custodita. Ma colla stessa forza e convinzione vi dico che vi possono essere leggi gravemente ingiuste, come sarebbe questo comma se venisse approvato, che non meritano di essere rispettate. Sono troppo convinto del vostro senso dello Stato democratico per pensare che qualcuno di voi ricevendo questo appello, possa parlare di "indebita ingerenza clericale" nell’ambito pubblico, di grave vulnus alla laicità dello Stato. Laicità dello Stato significa che tutti, nessuno escluso, possono intervenire nella discussione pubblica in vista di una decisione – che è di vostra esclusiva competenza – riguardante il bene e l’interesse di tutti. La laicità non è un fatto escludente, ma includente. Onorevoli Signori, vi chiedo di accogliere questo appello, di riflettere seriamente, prima di prendere una decisione che potrebbe a lungo termine risultare devastante per la nostra Regione. Dio vi giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò che è di Dio stesso. Assicurandovi la preghiera quotidiana per il vostro alto ufficio, vi ringrazio fin da ora dell’attenzione che vorrete prestarmi. Bologna, 1 Dicembre 2009 - + Carlo Card. Caffarra Arcivescovo

 
 
 

IN ITALIA L'ABORTO CHIMICO GIA' UCCIDE: UN DONNA MORTA A ROMA. HA ABORTITO CON LA "FASE DUE" DELLA RU486

Post n°2730 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Proprio mentre il consiglio d’amministrazione dell’Agenzia italiana del farmaco replicava ieri in fotocopia la delibera di luglio con cui dava il via libera alla pillola abortiva – e mentre rinviava al ministero della Salute e alle regioni il compito di stabilire con quali modalità di ricovero, se ordinario o in day hospital, la Ru486 possa essere somministrata senza confliggere con la legge 194 – la cronaca si è tragicamente incaricata di raccontare che cosa può concretamente comportare un aborto chimico. Due giorni fa, nel popolare quartiere romano di San Basilio, una donna romena di quarant’anni è morta per aver tentato di abortire in casa con le prostaglandine, farmaci in vendita come comunissimi antiulcera ma capaci di provocare violente contrazioni uterine che inducono l’aborto. In seguito all’episodio, l’assessore all’Ambiente della regione Lazio, Filiberto Zaratti, ha creduto di dover tuonare contro gli ostacoli che ancora intralcerebbero (assai debolmente, in verità) la libera commercializzazione in Italia della Ru486. La quale, secondo l’assessore, potrebbe evitare fatti come quello che è costato la vita alla donna romena (come se nel Lazio non si potesse abortire in ospedale con la 194). Chissà dove vive, l’assessore Zaratti. E chissà se qualcuno gli ha spiegato che le prostaglandine che hanno ucciso quella donna sono proprio le stesse, identiche prostaglandine che bisogna assumere nella seconda fase della procedura con la Ru486, a tre giorni di distanza dalla somministrazione della prima pillola. Il mifepristone, cioè il principio attivo della pillola abortiva, da solo non è affatto competitivo con i metodi tradizionali, perché in un’alta percentuale di casi fallisce. Il suo compito è quello di bloccare lo sviluppo dell’embrione e di favorirne il distacco, ma per completare l’aborto è necessario usare proprio le prostaglandine: sono queste che inducono le contrazioni e l’espulsione dell’embrione. Abortire con la Ru486 significa
abortire a domicilio con le prostaglandine, così come ha fatto quella sfortunata donna romena, e l’aborto farmacologico che si reclama a gran voce perché sarebbe "meno invasivo" è l’aborto con le prostaglandine. Dovrebbero saperlo coloro che vedono nel ricovero fino al completamento dell’aborto (prescritto dalla 194) un’imposizione vessatoria e non uno strumento indispensabile di tutela. - Il Foglio - I SEGNI DEI TEMPI -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 26
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Febbraio 2010 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
 
 
 

ARTICOLI DI FEDE MOLTO BELLI

 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963