ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 20/02/2010

I MORTI NELLE FOIBE E NEI GULAG, MORTI DI SERIE B

Post n°3140 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Per il sesto anno con la Giornata del Ricordo sono state ricordate le vittime delle foibe. Qualcuno però ha fatto notare che ancora questa è una giornata svalutata. Evidentemente ci sono morti di serie A e morti di serie B. Fra i grandi quotidiani, ha scritto Giordano Bruno Guerri, solo Il Giornale ha dedicato due pagine alla Giornata del Ricordo, mentre Il Corriere della Sera e Repubblica si sono limitati a qualche colonnina striminzita, poco pubblicizzata. Nelle scuole, come al solito, si è fatto poco; tra le istituzioni, meritevole l'iniziativa del sindaco di Roma, Alemanno e del suo assessore alla pubblica istruzione Laura Marsilio. E' sempre la solita storia, puntualmente ci si lamenta che non viene dato il giusto risalto, "agli altri morti", a quelli causati nel Novecento da tutti i comunismi. L'altro giorno c'è stata una bella iniziativa per ricordare la shoah, quella del treno che parte dalla stazione di Milano per raggiungere i luoghi dell'olocausto ebraico. Abbiamo commentato con ammirazione queste iniziative ma ci siamo chiesti: perchè non parte mai nessun treno per visitare i Gulag sovietici? O perché non partono treni verso l'Istria dove furono decine di migliaia gli italiani infoibati da Tito? Anche questi luoghi, dove sono stati massacrati milioni di uomini e donne, meriterebbero visite di scolaresche. Le vittime del comunismo non sono degne di essere riconosciute? E' noto quante difficoltà ha avuto ed ha Giampaolo Pansa con i suoi libri sui massacri compiuti dai partigiani comunisti durante la cosiddetta Resistenza. Addirittura lo scrittore di Casale Monferrato, per evitare incidenti, ha deciso di non presentare più in pubblico i suoi libri per le minacce che regolarmente riceve dai vari "democratici"di turno. E poi dalle alte cariche dello Stato si viene a parlare di memoria condivisa…Ma come si può condividere una memoria se ogni volta per poter esporre documenti e fatti riconosciuti, ci vogliono i carabinieri a tutelare la propria incolumità? Benedetto XVI parlando ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche diceva che oggi "il passato appare solo come uno sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l'utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che tale utopia si sia dimostrata fallace. Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell'emarginazione della storia. Dove sono attive queste forze ideologiche, la ricerca storica e l'insegnamento della storia all'università e nelle scuole di ogni livello e grado vengono trascurati. Ciò produce una società che, dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l'esperienza, non è più in grado di progettare un'armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Tale società si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica" (Benedetto XVI, discorso del 7. 3. 2008). L'obbligo di oggi è che noi non dovremmo perdere la memoria e continuare a raccontare la verità. La frontiera quindi, non è più da una parte la storia vera e dall'altra la storia falsificata. Oggi il pericolo è che si metta in discussione la Storia stessa. Il Papa fa intendere che c'è tra i cosiddetti studiosi un'avanguardia che cerca di cancellare il passato. Del resto non è una novità, questo è già avvenuto: durante la repubblica rossa di Bela Khun in Ungheria nel 1919 si decise di abolire l'insegnamento della Storia. La storia, diceva lo storico svizzero Johan von Muller, è un magazzino di esperienze per la politica. Del resto una società che ignora il proprio passato è priva di memoria storica. La perdita di memoria priva gli individui dell'identità. Una società senza identità è facilmente conquistabile. - Alessandro Pagano e Domenico Bonvegna - miradouro -

 
 
 

HAITI, TUTTI IN FILA SOGNANDO DI FUGGIRE

Post n°3139 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ovunque in città gente in coda per il cibo e un passaporto: «Qui il futuro non esiste»

Una lunga fila di gente di ogni età e ceto si raduna tutte le matti­ne, molto presto, e resta per o­re sotto un sole cattivo davanti all’edi­ficio degli Uffici emigrazione e immi­grazione, in rue Lalue. Il luogo non è distante dalla centralissima Champs de Mars, dove giacciono i resti del Palaz­zo nazionale e sorge la grande tendo­poli che ha fagocitato monumenti e giardini pubblici. Molte di quelle per­sone in fila vengono da sotto quei fra­gili tetti improvvisati, per alcuni anche solo un lenzuolo annodato da un albe­ro a un lampione. Tra grida e richiami, decine di braccia allungate al cielo, sopra teste che si schiacciano fin contro la cancellata e agitano convulse grandi buste com­merciali con dentro le pratiche per la domanda di un passaporto. «C’è mol­ta confusione. Non è ancora stato de­finito niente di concreto. Nessuna idea chiara sugli interventi, perché nessu­no sa che cosa fare e che cosa sarà de­ciso di fare, né che soluzioni prenderà il governo dato che le sue istituzioni e i suoi uffici sono stati azzerati dal ter­remoto – ci dice Jéròme Orbert, im­piegato statale, anche lui in fila –. Mol­ti della città, coloro che hanno potuto, se ne sono tornati ai paesi d’origine, nei villaggi, in campagna. Io voglio rag­giungere i miei parenti in Francia. Non voglio che la mia vita diventi prigio­niera della provvisorietà di una strada. Devo solo rinnovare il passaporto sca­duto. Sì, siamo in tanti, come potete vedere, e non so quando riuscirò ad a­vere il documento. Ma poi parto e non torno indietro più. Il futuro a Haiti non esiste». Sono file che si allungano ogni giorno che il calendario si allontana da quel 12 gennaio che ha portato un sisma di 7,3 gradi Richter; si gonfiano intanto che nuovi giorni si aggiungono come a evidenziare quella che appare una im­pietosa sentenza di impotenza orga­nizzativa di fronte all’immensità del di­sastro accumulato. Numerosi, intanto, si fanno gli assem­bramenti umani che si formano da­vanti alle ambasciate straniere. Come per quella del Canada, in Delmas 75, dove sono militari con la foglia di ace­ro rossa sulla spallina della mimetica, armati di fucili d’assalto, a badare al­l’ordine sulla strada.
Altrettante sono le file davanti agli spor­telli bancari di Unibank o Sogebank. Le guardie haitiane di sicurezza privata, armate di fucili a pompa, mantengono le persone alla debita distanza del «si entra uno alla volta». Si va per preleva­re il contante che servirà a due cose fon­damentali: affrontare la giornata con i prezzi dei generi di consumo che lievi­tano, oppure per organizzare il proprio viaggio che si concluderà in un altro Paese, a cominciare dagli Stati Uniti, dove vive una folta comunità haitiana. E poi ci sono le file della fame, quelle che sembrano comporsi d’improvviso, là dove si diffonde la voce che ci sarà la distribuzione di generi alimentari. Ma nei quartieri più disperati, le baracche di lamiera arrugginita sul mare di La saline, Cité Soleil, Cité Militaire, dove è sempre stato difficile sopravvivere, e nulla è mai stato portato, se non per qualche emergenza, quasi nulla è cam­biato. Niente c’era e niente c’è ancora. Sembra di assistere a un impulso spon­taneo. Le file di persone a Port- au­Prince appaiono come qualcosa che deriva da un moto di ritorno da un trau­ma, quello del terremoto, evidente­mente. Qualcosa che avviene quando chi è sopravvissuto a u­na tragedia o a un incu­bo, giunge a stabilire che gesti e parole sono inutili. Solo una deci­sione alla quale, a quanto sembra, non si può che obbedire. E ad Haiti, in questa fase di incertezza sul suo futu­ro, la decisione che sta passando si chiama: andare via. Non solo perché c’è stato il terremoto che ha portato la sua catastrofe uma­na e materiale. Le sconquassate ca­mionette bianche con i caschi blu del­la missione di stabilizzazione delle Na­zioni Unite, che armate salgono e scen­dono le strada costeggiate di edifici crollati e ancora qualche cadavere e­stratto dalle macerie in condizioni a dir poco pietose, sono lì a ricordare un passato mai spento, fatto di bande, a metà strada tra la delinquenza, il traffico di droga e la vio­lenza politica, armate di pistole e bastoni, che per anni hanno spa­droneggiato in quartie­ri dove ancora è diffici­le entrare, senza una sicurezza armata. «Port-au-Prince era la zona più ricca di tutto il Paese. L’università, un minimo di servizi, e il lavoro. Dopo il terremo­to nemmeno uno dei diciotto edifici ministeriali è rimasto integro. Il gover­no non sembra ancora essersi ripreso dallo choc – racconta un diplomatico occidentale –. Solo se consideriamo che gli haitiani sono un popolo che ha sem­pre vissuto il digiuno come abitudine sociale, perché è un popolo che ha sem­pre mangiato una sola volta al giorno, quello che ancora regge nella gente, e che gioca un ruolo fondamentale di fronte alla consapevolezza di avere per­so tutto, è solo la fede. Questo, però, non basta a frenare l’emorragia, l’eso­do che si sta preparando. Ci vorrà qual­cosa di più di un idea di tipo ' Piano Marshall' per risollevare Haiti. Certo – aggiunge il diplomatico – si dovrà pun­tare su un robusto coordinamento tra i grandi attori internazionali, i Paesi a­mici dei Caraibi, e l’America del sud. Ma i responsabili delle istituzioni loca­li devono sapere da subito che è anche venuto il momento di fare le cose giu­ste e il bene per tutti, altrimenti ci fa­remo tutti attori responsabili della fu­ga degli haitiani dalla loro isola».«Il governo non si è ripreso dallo choc. Quello che ancora sorregge il popolo è la fede Ma per fermare l’esodo non basta» -Claudio Monici - Isegnideitempi -

 
 
 

LA SCIENZA E CERTI FINTI INTELLETTUALI HANNO SEMPRE VOLUTO SCREDITARE LOURDES

Post n°3138 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
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Nelle sale cinematografiche, da qualche tempo, circola un film all' apparenza innocuo, ma nel sottofondo insidioso e blasfemo ( basti vedere le entuasistiche recensioni di soloni della carta stampata dediti al laicismo più sfrenato) sulla Madonna di Lourdes che si conclude con una arbitraria interpretazione di Felicità di Albano ( il quale, interpellato, non ne sa nulla e afferma di non aver prestato alcun consenso), e uno sfernato ballo tra suore e un prete. Insomma, una totale oscenità. Bisognerebbe domandarsi come mai le autorità ecclesiastiche di quel posto abbiano dato il consenso a girare le scene nei luoghi sacri: ingenuità o inganno. Ne abbiamo parlato con il noto mariolgo professor Stefano De Fiores. Professor De Fiores gira un film a dir poco irriverente sulla Madonna di Lourdes: " guardi, non mi meraviglio affatto. Nel tempo per screditare Lourdes ne hanno inventate di tutti i colori e si tratta delle solite pretese scientiste, che vogliono con la loro tipica arroganza, dimostrare quello che per fede non lo é. Ma la derisione, la satira su cose sacre, specie se volgare, si ritorce sempre su chi le fa e mai sulla Madonna che li guarda con santa commiserazione". Il finale del film porta una demenziale e oscena ripresa con sfrenato ballo tra prete e suore, con il quasi pentimento della miracolata e vuol fare credere che tra i pellegrini vi sia invidia per i miracoli ricevuti da altri: " lo ripeto, si tratta di stoltezza che non produce nulla di buono o positivo e crea solo danni. Maria non ha mai promesso felicità terrena a buon mercato, ma quella eterna e i miracoli non sono  certamente una finzione. Ma realtà. Le ripeto, questi attacchi, specie a Lourdes sono sempre avvenuti. Indubbiamente, come avviene anche da altre parti, nelle circostanze vi può anche essere un abuso e una esagerazione nella vendita di ricordini, ma nessuno é obbligato a comperarli". Di che cosa ha bisogno Lourdes?: " di verità e giustizia e non di certa roba che in tutta sincerità fa male non solo alla fede, ma anche alla stessa ragione. Insomma, molto meglio dimenticare queste cose e pensare a Maria". Maria e la Quaresima, che rapporto esiste?: " apparentemente scarso, ma non é così. Maria sembra non presente in apparenza, ma in tutta la Quaresima e in filigrana Maria opera. Maria ci aiuta a rinnovare le promesse battesimali che si fanno a Pasqua e dove ci sta Cristo ci sta Maria e viceversa. La Quaresima é il cammino per eccellenza che ci porta a Cristo e dunque alla stessa Maria. Non dimentichiamo che Cristo morendo ha detto ecco Tua madre e ha indicato Maria, madre nostra e della Chiesa. Maria forma dunque noi in Cristo e Cristo in noi ed é sempre la via maestra per avvicinarsi degnamemte al Figlio, anche in Quaresima. Nei momenti della derisione e della sofferenza Maria non ha mai dubitato. Dunque anche in Quaresima, onoriamo Maria e rendomole gloria e onore con fiducia, vivendola come lei". - Bruno Volpe - Pontifex -

 
 
 

ESPERIENZA DI VERITA' E DI VALORI CONTRO LA VIOLENZA DELL'OGGI

Post n°3137 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
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"Sentinella”, quando finisce la notte? Dimmi quanto manca all’alba?” (Isaia 21,11). La catena di violenza che ammorba l’atmosfera delle nostre città e paesi non può, non deve, lasciarci dormire tranquilli: fughe della vita attraverso il suicidio o lo sprezzo del pericolo, attentati alla vita degli altri per futili motivi: uno sguardo, una parola di troppo, un’offesa punita in modo tragico, drammatico, ferendo, uccidendo.Non possiamo dormire tranquilli: per il modo, per l’età, per il mistero che avvolge queste morti, per il mare di sofferenza che lasciano in chi rimane, per la spettacolarizzazione che ne fanno i media. Non se l’abbiano a male i colleghi giornalisti, ma certi fatti di sangue, che hanno protagonisti dei giovanissimi, richiedono ai cronisti una misura più discreta, più sofferta, più attenta ai problemi che suscita. Le morti non interrogano solo chi subisce il dramma ma anche gli educatori, gli insegnanti, gli uomini di Chiesa, chi crea cultura attraverso i media. Ogni attentatore alla vita, propria o degli altri, ha una storia: è denuncia, punizione, solitudine, incapacità ad affrontare una frustrazione, un fallimento, una delusione. Religione, famiglia e società sono i luoghi dove maggiormente serpeggia la crisi alimentata da tanti maestri del nichilismo, dello scetticismo, dell’agnosticismo. Occorre andare controcorrente, costruendo, con pazienza e coraggio, una nuova cultura della vita umana, con esempi trainanti, che convincano del valore della stessa, della sua inviolabilità, creando luoghi di solidarietà, di dialogo, di relazione, di riflessione e di silenzio.Non basta condannare o giudicare o reprimere! Occorre creare le condizioni perché la solitudine venga vinta, il debole sia sostenuto, il perdente trovi la sua dignità e mantenga solida la speranza. Uomini di Chiesa e del mondo della scuola, amministratori pubblici e leaders di partiti o movimenti, sono invitati a studiare nuove strategie di uscita dalla “notte” per non cadere vittime della rassegnazione, dell’indifferenza o del pessimismo, che non sono le migliori soluzioni per comunicare amore alla vita: a cosa vale? Quali sono le cose che spingono a vivere e non a scappare da essa? Non basta dare risposte di parole sul suo senso o richiamare valori. Occorre aiutare i ragazzi a fare esperienze di senso, esperienze di valori.Una risposta la può dare la famiglia, nei primi anni, quando i bimbi e le bimbe, sono seguiti dai genitori, che se li prendono a cuore, testimoniando come e cosa fare per crescere. Poi le risposte vanno date in altri luoghi educativi, che possono completare l’opera della famiglia, quali la scuola e, mi permetto di suggerire, l’oratorio nelle varie forme in cui può presentarsi: quello tradizionale o con le varie innovazioni date dai Movimenti e dalle Associazioni. Il tradizionale è ancora una buona risposta là dove c’è un prete e un gruppo di laici, che hanno passione educativa. L’oratorio è efficace se lascia memorie positive, se il ragazzo è accolto, chiamato per nome, riconosciuto nelle sue domande più semplici del gioco e dell’amicizia e in quelle più esistenziali, che trovano risposta soprattutto nel rapporto con un adulto, che ha vissuto l’esistenza con gioia, come cosa buona, alla luce di Dio. L’oratorio è luogo di formazione e di prevenzione del disagio, è stato ed è all’origine di vocazioni sacerdotali, religiose, alla famiglia, per cui vale la pena che la parrocchia investa con tutte le sue forze per offrire ai ragazzi una possibilità di crescita nella libertà, nella responsabilità, nella solidarietà ad ampio raggio, nell’apertura all’incontro con Dio: in oratorio non è un fantasma o un essere fuori dal tempo, ma ha il volto concreto di Gesù Cristo. Bisogna crederci. Alcuni giorni fa, ho partecipato a Lecco alle esequie di Mamma Assunta Gualzetti! Formidabile: ha voluto, prima di morire, che il funerale partisse dalla Cappella dell’Oratorio, che ha accolto i suoi sei figli e li ha aiutati nella loro crescita. Mamma davvero oratoriana per il suo impegno a servizio dei giovani, fino a che ha potuto. Sabato scorso, a Sedriano, ho partecipato ad una serata con più di duecento genitori, - e non è la prima volta - che si interrogavano sull’oratorio e lo hanno scelto come spazio educativo per loro stessi. “Un Oratorio per ogni parrocchia”, si augurava Beato Cardinal Ferrari. Oratorio? Noi ci crediamo! Per uscire dalla “notte” e ritrovarci nella luce del mattino, quella della Speranza, è certamente una delle buone proposte. - Vittorio Chiari - donboscoland

 
 
 

CHIESA CATTOLICA IN CINA: TESTIMONIANZA DI UN SACERDOTE DELLA CHIESA CLANDESTINA

Post n°3136 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
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Dopo le polemiche e le perplessità suscitate da un dossier apparso sulla rivista italiana 30Giorni riguardante la delicata situazione della Chiesa cattolica in Cina, AsiaNews ha pubblicato la testimonianza di un sacerdote della comunità sotterranea – fedele al Papa e quindi ancora oggi duramente perseguitata -, che qui riportiamo…

Sacerdote sotterraneo: lavoriamo per l’unità della Chiesa, con mons. An e il card. Zen

Dopo aver letto l’articolo di Gianni Valente sulla rivista “30 Giorni” (N.12 – 2009), in quanto sacerdote della Cina continentale, mi sento di esprimere la mia opinione sui due argomenti trattati nell’articolo. Conosco la diocesi di Baoding e Hong Kong e sono stato in contatto con il vescovo Francesco An Shuxin, coadiutore della diocesi di Baoding, e con il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong. Entrambi sono da me considerati come buoni esempi da imitare. Adesso sono parroco in Cina e servo la Chiesa, cercando di mettere in pratica la lettera del 2007 di Papa Benedetto XVI. Vista la situazione, mi sento in dovere di esprimere le mie opinioni per dare un contributo alla Chiesa cinese e mi mantengo aperto ad accettare consigli onesti perché amo la Chiesa.
Il difficile rapporto col governo

1. Non posso credere che la Congregazione per la Evangelizzazione dei Popoli abbia esercitato pressioni sul vescovo An per indurlo a lasciare la condizione di clandestinità e a collaborare con le autorità politiche. La Santa Sede, infatti, lascia ad ogni vescovo la libertà di agire nell’ambito delle sue competenze e non costringe i vescovi cinesi a dare testimonianze eroiche per rifiutare l’Associazione patriottica (Ap), la quale ha il fine dichiarato di attuare “principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”. Negli anni recenti ho osservato che vari pastori clandestini hanno tentato di uscire dalla clandestinità, per esempio mons. Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar, oppure mons. Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang. Quest’ultimo, con la sua particolare testimonianza e onestà, ha ottenuto la legittimazione della sua comunità locale. E mons. Wei tenta ancora oggi di ottenere la regolarizzazione della sua identità episcopale dal governo cinese. La Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli segue la direzione indicata nella Lettera dal Papa, lasciando la libertà di decisione ai singoli vescovi locali.  Soprattutto nelle attuali circostanze così difficili e delicate per la loro missione di pastori, “il tradizionale orientamento ‘nihil sine episcopo’ mantiene tutto il suo valore”.
La mia esperienza mi suggerisce che non è facile per le comunità clandestine diventare regolari, anche se ciò è auspicato pure dalla Santa Sede, che vorrebbe un rapporto diplomatico con il governo cinese. A questo scopo la Segreteria di Stato si è adoperata con tutte le sue forze, ma ha trovato un grande ostacolo, che è lo stesso che incontra la Chiesa clandestina nei rapporti col governo: questo infatti intende legittimare solo una “Chiesa indipendente” che, in realtà, si allontana dal nostro dogma. E come può la Chiesa accettare la negazione di se stessa? Infatti, come la Lettera papale ribadisce, la loro pretesa di porsi “al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale non corrisponde alla dottrina cattolica”. Dopo questa Lettera molti si sono detti ottimisti sul rapporto tra Chiesa e governo e pretendono di vederne subito i risvolti positivi, ma, in realtà, la vittoria non sta tanto nel rapporto civile con il Governo, quanto nella chiara intenzione del Papa di recuperare l’unità della Chiesa in Cina. In quanto sacerdote clandestino ho tanto desiderato di poter esercitare il mio ministero nella società cinese testimoniando la fede cattolica davanti ai miei amici, cari compagni d’infanzia, ma mi sento di accettare il sacrificio della clandestinità come Gesù ha accettato la sua Croce, con pazienza, preghiera e perdono, accettando la Provvidenza del Padre celeste.

I fatti di Baoding

2. La ricostruzione dettagliata della dinamica dei fatti riguardanti il vescovo An è difficoltosa per la mancanza di comunicazione e non è necessaria per portare avanti la diocesi di Baoding. Continuare a discutere sui motivi per i quali egli è uscito dal carcere o ha accettato l’incarico di vicepresidente dell’Ap provoca soltanto ulteriori divisioni nella diocesi. Benedetto XVI scrive nella sua Lettera: “La Santa Sede, dopo aver riaffermato i principi, lascia la decisione al singolo vescovo che, sentito il suo presbiterio, è meglio in grado di conoscere la situazione locale, di soppesare le concrete possibilità di scelta e di valutare le eventuali conseguenze all’interno della comunità diocesana, anche se con sofferenza, e che si mantenga l’unità della comunità diocesana col proprio pastore”. La Santa Sede ha confermato mons. An come autorità episcopale nominandolo vescovo coadiutore della diocesi. I sacerdoti devono mettere da parte le proprie opinioni personali ed obbedire per il bene della Chiesa e per l’unità della comunità diocesana. mons. An è il nostro “fratello maggiore”: chi può giudicare la sua persona? Personalmente, io non concordo con la sua decisione di prendere l’incarico della vicepresidenza dell’Ap, anche se lo ha fatto con buone intenzioni. Tuttavia non posso non ricordare alcune circostanze concrete e soprattutto quanto lui stesso ha affermato. Mons. An dice di aver accettato il suddetto incarico dopo aver letto la Lettera del Santo Padre; di essersi trovato davanti all’alternativa o di assumere il suddetto incarico o di vedere nominato al suo posto, alla guida della diocesi, un nuovo vescovo illegittimo. Mi risulta anche che mons. An ha cercato di consultare i suoi sacerdoti, molti dei quali non gli hanno risposto e alla fine non si è ritenuto obbligato a seguire il parere della maggioranza, ma la sua coscienza. Mons. An ha fatto un errore? Può darsi, ma io non mi sento di condannarlo. Anche S. Pietro fece i suoi errori. Chi può negare che mons. An ami la Chiesa? Con la voce della Santa Sede, il Signore gli ha affidato il compito di pastore della Chiesa locale. Ritengo che anche i sacerdoti di Baoding debbano prendersi la loro parte di responsabilità per l’errore commesso da mons. An, perché con la loro insistenza nel rifiutarsi di accettare la sua autorità e nel lasciarlo solo, hanno provocato, in qualche misura, lo sbaglio di An. Mi auguro che i cari fratelli di Baoding si stringano attorno al vescovo e collaborino armoniosamente con lui come in passato, soprattutto come nel 1995.

L’aiuto del card. Zen
3. Grazie alla Santa Sede e agli altri fratelli in Cristo che vivono fuori dalla Cina abbiamo già ottenuto un successo, quello di salvaguardare la Chiesa cinese, che rimane in comunione con Pietro, nonostante si trovi a vivere sotto la costante minaccia politico-atea. Questo successo della Chiesa in Cina dimostra la sapienza della Santa Sede e conferma che lo Spirito Santo agisce tra i cattolici cinesi. La Lettera del Papa del 2007 è il segno della fiducia data dalla Sede apostolica all’evangelizzazione in Cina. Grazie al Compendio e alla Trascrizione o Interpretazione della Lettera papale preparata dal card. Joseph Zen, i sacerdoti cinesi possono approfondire le indicazioni date dal Papa sui loro compiti e sui loro scopi. Dopo questa Lettera, infatti, le due comunità cattoliche in Cina si stanno lentamente riavvicinando e collaborando. Siamo già pronti a recuperare l’unità della Chiesa nonostante gli ostacoli politici.
Il card. Zen merita rispetto, la sua figura non è importante solo per Hong Kong, dato che la sua voce risuona in tutto il mondo. E’ un difensore dei diritti umani e della legittimità della Chiesa Cattolica. I suoi  interventi e la sua “Guida” alla comprensione della Lettera papale vogliono essere un contributo per rimanere fedeli alle intenzioni del Santo Padre. La sua voce ed il suo lavoro possono essere un servizio prezioso per i pastori cinesi perché insegna loro come applicare i principi della Chiesa alle situazioni concrete più difficili e complesse, purché non siano considerati come una voce alternativa e contraria agli organismi della Santa Sede né venga loro attribuito un carattere ufficiale, come se l’emerito vescovo di Hong Kong potesse svolgere il ruolo suppletivo di una Conferenza episcopale cinese, come qualcuno tende ad attribuirgli. Questo disorienterebbe i cattolici cinesi e renderebbe loro  un cattivo servizio, che certamente lo stesso card. Zen non desidera.
Il card. Zen, inoltre, si prende cura sia dei sacerdoti che provengono dalla comunità clandestina che di quelli provenienti dalla Chiesa ufficiale. Li ha anche incoraggiati a concelebrare nel 1999 in Belgio la S. Messa, spiegando, in armonia con le parole del Papa, che “è lecito concelebrare con vescovi e con sacerdoti che sono in comunione con il Santo Padre, anche se sono riconosciuti dalle autorità civili e mantengono un rapporto con organismi voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, purché il riconoscimento e il rapporto non comportino la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica”.
4. C'è bisogno di una sincera collaborazione di tutti i fratelli in Cristo, sia dentro che fuori dalla Cina continentale, per aiutare la Chiesa cinese a recuperare la sua piena unità. Qualsiasi accusa sterile, non solo non aiuta la Chiesa, ma diventa inconsapevolmente uno strumento in mano all’Associazione patriottica cinese. In Cina, per la riconciliazione, dobbiamo promuovere il perdono e lo spirito del martirio, cioè la disponibilità a dare la vita per la volontà di Dio e l’unità della Chiesa. Dobbiamo imparare sempre meglio il metodo del dialogo che ci ha lasciato il Concilio Vaticano II, affinché si possa dire tutti insieme “ Padre Nostro…”. - Peter Song Zhichun - AsiaNews fattisentire -

 
 
 

ANTONIO SOCCI: LA MADONNA SCONVOLGE GLI INTELLETTUALI

Post n°3135 pubblicato il 20 Febbraio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nella mentalità moderna, imbevuta di ideologia, quando i fatti disturbano le opinioni, tanto peggio per i fatti. Non a caso sta facendo discutere di più, oggi, sui giornali, il film su Lourdes di Jessica Hausner, nel quale la regista esprime le sue opinioni incerte sui miracoli, di quanto facciano discutere le effettive guarigioni miracolose che lì si verificano. Una delle quali – non ancora riconosciuta perché la Chiesa esige lunghe verifiche medico-scientifiche – è stata resa nota l’agosto scorso.
La signora Antonietta Raco, 50 anni, di Francavilla in Sinni (Potenza), malata da quattro anni di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) – una malattia terribile – è andata in pellegrinaggio a Lourdes sulla carrozzella, dove era ormai immobilizzata, ed è tornata a casa camminando normalmente con le sue gambe. Cosa le è accaduto? A Lourdes si era immersa nella piscina dell’acqua di Bernadette e aveva sentito un forte dolore alle gambe e poi una voce di donna che le diceva: “Non avere paura”. Di colpo è guarita. Quella stessa voce è tornata per invitarla a far sapere a suo marito cosa le è successo. “Non è spiegabile con i mezzi di cui scientificamente dispongo”, così il neurologo Adriano Chiò delle Molinette di Torino, che aveva in cura la signora dal 2006, commentava il caso con i giornali. In effetti nella letteratura scientifica non esiste un caso simile. Il medico ha spiegato:  “Non ho mai osservato una situazione del genere in malati di Sla. La diagnosi era inequivocabile: la signora aveva una forma di Sla a lenta evoluzione. Una malattia che può rallentare e al massimo fermarsi, ma che non crediamo possibile che migliori, perché intacca i neuroni irreversibilmente”. Invece l’impossibile pare sia accaduto. Di fronte a un’altra guarigione analoga, riguardante Marie Bailly, una ventenne di Bordeaux – che lui  aveva conosciuto e analizzato come medico – nel 1903, il positivista e scettico Alexis Carrel (1873-1944), poi Premio Nobel per la medicina a soli 39 anni, andando a Lourdes rivide tutte le sue convinzioni e si convertì al cattolicesimo (racconta tutto nel suo memorabile “Viaggio a Lourdes”). Prima era certo che i miracoli non accadessero. Davanti al fatto si arrese. Carrel rispose lealmente a chi lo interrogava: “Bisogna constatare i fatti”. Ma molti razionalisti preferiscono tapparsi gli occhi e ripararsi dietro i comodi pregiudizi. Emblematico è il caso di un altro importante intellettuale francese di quegli anni, il laico Emile Zola. Nella Francia positivista di fine Ottocento si faceva un gran parlare di Lourdes e delle straordinarie guarigioni che lì avvenivano, perché mettevano in scacco la cultura dominante che nega il soprannaturale e quindi la possibilità stessa del miracolo. Lo scrittore dunque decise di recarsi di persona sul posto per smascherare tutto. Era armato di tutti i suoi pregiudizi: “non sono credente, non credo ai miracoli. Ma credo al bisogno del miracolo per l’uomo”. Secondo lui gli uomini hanno “necessità di essere ingannati e consolati”. Il “caso” vuole che lo scrittore si trovi a viaggiare nello stesso vagone dove sono due ammalate di tubercolosi all’ultimo stadio, Marie Lebranchu e Marie Lemarchand. Quando dunque il convoglio arriva a Lourdes, nella mattina del 20 agosto 1892, il famoso scrittore conosce bene le loro situazioni di fronte alle quali la medicina ormai aveva alzato le braccia in segno di resa. Ebbene accadde a lui precisamente ciò poi accadrà a Carrel: a Lourdes lui stesso dovette constatare la guarigione istantanea, definitiva e scientificamente inspiegabile, proprio di quelle due donne. Alla sua “sfida” il Cielo aveva risposto con dei fatti. Fatti clamorosi e innegabili, impossibili da cancellare o ignorare. Tanto che Zola, nel suo libro, fu “costretto” a riferirne, ma invece di riconoscere la sconfitta dei suoi pregiudizi, invece di accogliere il dono che aveva ricevuto, la rivelazione di una verità totalmente inattesa e così misericordiosa, nel suo romanzo parla della vicenda “inventando  la morte delle due ‘miracolate’, dopo una breve, illusoria guarigione. E poiché” ha raccontato Vittorio Messori “una delle due donne risanate, e in modo definitivo, non si rassegnava al falso e protestava sui giornali, Zola andò a trovarla, offrendole denaro perché sparisse da Parigi…”. E’ una storia emblematica. La cultura laica moderna lancia la “sfida”, ma poi non ha la lealtà di verificare la risposta, cioè i fatti. Naturalmente quel libro di Zola ebbe un gran successo ed è stato ristampato in Italia anche di recente. “Zola (…) conoscerà un rinnovato successo presso il pubblico della Francia laica, rappresentando Lourdes come la capitale di una gigantesca intossicazione collettiva”, ha scritto domenica scorsa Sergio Luzzatto, sull’inserto culturale del Sole 24 ore. Il suo articolo era addirittura la copertina. A tutta pagina campeggiava sotto il titolo “Miracoli di fede e scienza”. Questo lungo pezzo di Luzzatto si dilungava proprio a riferire il viaggio a Lourdes di Zola e il successo del suo libro. Ma purtroppo non vi si accennava minimamente al retroscena suddetto, che poi è un clamoroso infortunio. Anzi, Luzzatto – evidentemente ignaro di questa storia – accredita il libro di Zola come un “meticoloso dossier” contro quell’ “industria del miracolo” che sarebbe Lourdes. E’ significativo che sull’infortunio di Zola a Lourdes gravi ancora un simile tabù.  Si rilegge oggi il suo libro come se queste cose non fossero accadute. La pagina del Sole offre anche alcune delle sue pagine dove i cristiani vengono rappresentati come sciocchi creduloni. Zola, descrivendo le folle che accorrono a Lourdes, sente pure il bisogno di precisare (bontà sua) che “non sono solo dei cretini, degli illetterati, ma ci sono uomini come Lasserre”. La cosa gli serve per dimostrare che questa “necessità di essere ingannati” dai presunti miracoli riguarda tutti. Ma chi ha veramente ingannato in questa vicenda? Naturalmente il problema non è Zola, ma una mentalità – ancor oggi dominante – che in nome del realismo nega la realtà, in nome dello scientismo, nega la scienza e in nome del razionalismo nega la ragione. Diversamente da quanto comunemente si crede, il razionalismo sta alla ragione come la polmonite sta al polmone. Ecco perché uno scrittore pieno di umorismo come Gilbert K. Chesterton, il grande convertito inglese, dirà a proposito delle diverse reazioni ai miracoli: “Chi crede ai miracoli lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega è perché ha una teoria contraria ad essi”. Bisogna però precisare che il confronto non è alla pari. La mentalità dominante è l’ideologia di un establishment che la fa da padrone nell’industria culturale. Non da oggi. Attenzione, non sono io a dirlo. Luzzatto, che certamente è un laico alquanto lontano dalla Chiesa, nell’articolo sopra citato, a proposito della conversione di Alexis Carrel, seguita al verificarsi di quel miracolo, fa questa considerazione impressionante: “Immaginando che una testimonianza del genere sarebbe bastata a rovinargli la carriera universitaria, Carrel cercò di mantenere segrete sia la sua visita alla città dei miracoli, sia l’apposizione della sua firma nella cartella clinica della donna risanata. Ma le voci circolarono in fretta a Lione come a Parigi, e nel giro di pochi mesi egli si vide costretto a lasciare la Francia per l’America”. Tale era il clima che Carrel, anche dopo aver preso il Nobel, non si decise a pubblicare il suo “Viaggio a Lourdes”, libro che uscì postumo: “tanto poteva allora, negli ambienti della ricerca internazionale” osserva Luzzatto “l’idea che una fede nella fede fosse incompatibile con la fede nella scienza”. Non ha dunque ragione il papa, Benedetto XVI, quando parla di “dittatura del relativismo” ? - Antonio Socci -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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