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storia vera ( dall’obbedienza alla rinascita )

Post n°491 pubblicato il 17 Novembre 2012 da regina_nera_2010
 
Tag: regina

Quel portone non si aprirà mai
più!”. Pensò atterrita
l’allora aveva solo 10 anni CATERINA, allorché,
con la Madre Superiora
delle “Ancelle della Carità”,
vide chiudersi alle spalle i
due massicci portali in legno, inseriti tra
le spesse mura del convento DI
UN POSTO DELLA LOMBARDIA.I GENITORI FECERONO
UN GRAVE INCIDENTE LI CON LA SORELLA ENTRO IN QUEL
ISTITUTTO ,FINO ALLA MAGGORE ETà
La Madre Superiora la presentò ad alcune consorelle
ed ai superiori del convento. Le suore le fecero
visitare il complesso conventuale, le parlarono
della vita che vi si conduceva e quella che avrebbe
condotto lei da novizia. , tacita, coi polmoni
che pareva avessero perso la consueta elasticità a
consentirle la normale respirazione, si guardava
d’attorno angosciata temendo che la Madre Superiora,
abituata a decidere per lei e per tutte, giungesse
alla determinazione di lasciarla immantinente
in quel luogo, ancor più triste di quello
in cui era vissuta e viveva.
La ragazza non aveva punto desiderio di farsi suora.
Solita però all’obbedienza, si guardò bene dal
manifestare il suo disappunto, non ultimo pensando
alla probabile punizione a cui sarebbe incorsa,
come  regolarmente accadeva allorché
non ubbidiva, o nicchiava ad obbedire agli ordini.
Lo stupore di CATERINA fu quindi massimo allorquando,
nel pomeriggio, i due portali del convento si
spalancarono davanti ai suoi occhi per far uscire
lei e la sua accompagnatrice. Felice, col cuore che
accelerava i battiti in capriole gioiose,
li varcò giurando a se stessa che mai più
li avrebbe oltrepassati per entrarvi.

 

 

 

 

 

 

 

Nella iettatura, mai accettata, ebbe la fortuna di
avere accanto a sé una delle sue sorelle, PINA,
di due anni maggiore di lei, alla quale toccò la
medesima sua sorte: vivere la propria
nfanzia e giovinezza in collegio.
Nel collegio, tutto al femminile, CATERINA si
ritrovò a far parte di cinquanta educande.
Lei era una delle tredici bimbe, la cui retta
veniva corrisposta dal Comune, mentre
le altre erano ospiti paganti.
La differenza di trattamento tra le due categorie
di educande era sostanziale e, a prescindere
che innanzitutto dovevano lavorare, avevano regole
che le differenziavano dalle loro compagne.
Ad esempio le POVERE potevano vedere un componente
della famiglia una sola volta al mese e tornare
alle loro case solamente a Pasqua e Natale
CATERINA ci tornò in tutto due volte).
Per contro, le altre potevano vedere i loro genitori
settimanalmente o, a discrezione, sempre dei genitori,
tornare alle proprie case tutti i fine settimana.
Queste ultime tornavano in famiglia
pure per le vacanze estive.
Le educande paganti avevano la pessima abitudine
di appellare le loro compagne POVERE col termine
di “zitelle”. Il tono dispregiativo angustiava
ed indispettiva le bambine e ragazze già provate
dalla sorte, ma ciò che ancor più le indisponeva
era che pure le suore le appellavano
abitualmente con tale termine.

 

 

 

Tutte le ospiti del collegio dormivano in due grandi
camerate, nelle quali, d’inverno,
 non c’era il riscaldamento.
I pasti li cucinava suor CARLA che certo non la
si poteva definire un’ottima cuoca; le portate erano
sempre scarse ed ancor più lo erano
per le “zitelle”, che erano
ultime ad essere servite.
Tale trattamento di sfavore cominciava
dalla colazione mattutina a base
di caffelatte che veniva
dato loro annacquato col latte in polvere,
sebbene l’Ente comunale passasse un litro di
atte al giorno per ognuna di loro. Le suore,
arbitrariamente, lo trattenevano per i propri
bisogni, nonché per favorire i sette preti
che ruotavano attorno al collegio, per i quali,
le stesse, si prodigavano oltre ogni dire,
non escluse laute colazioni e merende,
a base di torte e zabaglioni.
La giornata delle educande POVERE era molto più
impegnativa rispetto a quella delle altre e
fin da piccole (come già accennato) avevano
dei compiti giornalieri ben precisi da assolvere.
La mattina, prima di andare alla messa e
poi a scuola, dovevano fare le pulizie:
ad ognuna era data in carico una zona del collegio.
A CATERINA toccava pulire l’androne ed il corridoio
che conduceva alla camerata dormitorio.
Dopo il pranzo, a turno, lavavano i piatti e
riordinavano il refettorio. Pure
il “bucato grosso” del lunedì,
era a carico delle stesse:CATERINA, al mastello,
era addetta al lavaggio dei calzini e
dei fazzoletti di tutte le sue compagne.
pensando a come doveva industriarsi per gestire
lo spazzolone per lavare i pavimenti, che aveva
una base larga e pesante, e come, per arrivare
alla tavoletta del mastello, dovesse “crescere”….
salendo su uno sgabello.

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita tra le mura del collegio per le ragazze
era dura e faticosa: l’obbedienza era
d’obbligo e non vi era mai un momento di gioco,
se non strappato di nascosto dalle suore.
Il senso di frustrazione era tanto, anche perché
tutto ciò che non era fatto come richiesto,
veniva inteso come disobbedienza, per cui era
come “peccato”, ed occorreva quindi
confessarlo, settimanalmente, al prete.
La Madre Superiora era rigorosissima e le suore
la compiacevano sanzionando volentieri le
educande con punizioni e castighi. Era sufficiente,
una smorfia, un non eseguire immediatamente un ordine
ed i ceffoni giungevano puntuali ed immediati con
le punizioni. Una delle più frequenti era far saltare
loro il pranzo o la cena.
Ricorda CATERINA che un giorno fece
osservare ad una suora che la pasta nel suo piatto
di minestra era immangiabile, in quanto
vi navigavano delle farfalline. Il risultato
fu che per tre giorni non mangiò nulla….
in quanto le presentarono sempre e solamente
lo stesso piatto da lei rifiutato.
Ma…. la punizione che CATERINA
non riesce a dimenticare,
giustificare e perdonare, anche per il fatto
di averla subita più volte, era l’umiliazione
a cui era costretta ad assoggettarsi la mattina,
ogni qualvolta le accadeva di soffrire di
enuresi notturna. In quei casi le suore
la costringevano a mettersi le mutandine bagnate
in testa ed avvolgersi il lenzuolo sulle spalle,
per poi condurla nel refettorio a passeggiare
tra le compagne che facevano colazione,
per essere da queste derisa. Spesso accadeva pure
che le suore la schiaffeggiassero, in quanto lei
cercava di opporsi a quella pantomina crudele.  
La scuola elementare , come tutte le sue
compagne, l’ha frequentata all’interno del collegio;
la media, invece, all’esterno. Racconta che non aveva
la serenità necessaria per studiare, per cui ebbe
un percorso scolastico un po’ faticoso e
per questo.... era ancor più punita.
Terminato il ciclo scolastico con la scuola media,
CATERINA viene impiegata dalle suore nello svolgimento
dei lavori di pulizia del collegio a tempo pieno.
Passa qualche anno e la sorella, completato il suo
internato, coi propri diciott’anni, lascia il collegio:
per CATERINA è una sofferenza indicibile il distacco.
DELLA SORELLA avendo un carattere
più remissivo era stata
in grado di accettare più di buon grado di lei
e angherie delle suore e, nel lungo periodo
di reciproca vicinanza, era stata il
UN angelo consolatore, il suo unico affetto.
Nel tempo CATERINA si era fatta quattro amiche,
tra le “POVERE” (anche perché con le altre educande
non vi erano rapporti, in quanto venivano da
queste trattate in modo altezzoso).
Il gruppetto si dava man forte,
si aiutavano a vivere, si sostenevano,
ma cercavano anche di immaginare come poteva
essere la vita fuori da quelle mura e, insieme,
speravano e sognavano un futuro migliore.

 

Implicito fossero anche compatte contro
le suore e covassero l’immancabile rancore
dettato dai loro atteggiamenti, per cui,
appena potevano, cercavano in qualche modo
di offenderle, se pur il risultato, spesso, era
che si ritrovavano ad avere una dose
supplementare di castighi.
Partita la sorella, CATERINA complotta con tre
delle sue amiche di fuggire dal collegio…. e fuggono.
Dura poco la sua fuga,PERO .
Al suo ritorno al collegio le suore chiamano il
direttore dell’Ente preposto alla cura delle
giovani POVERE, che la redarguisce mettendola
all’erta che, se non impara a sottomettersi,
la manderanno nel collegio di correzione.
Lei non sa bene che vuol dire, però
é un grande spauracchio.
Per cui.non le restò che "fare la brava fino
ai diciott’anni, con la rabbia in corpo”
Sfumato l’intento,di farla diventare
una novizia, passa il periodo
migliore della sua permanenza in collegio:
due anni a fare la segretaria, per lo stesso
Ente che paga per lei la retta mensile e,
naturalmente, data la sua
situazione, non è retribuita.
ARRIVA IL GIORNO DI TORNARE A CASA
RIVEDE LA MADRE,IL PADRE,LI ABBRACCIA
LA SORELLA E FRATELLI,FELICI DI VEDERLA
PERO LA SORELLA
non risiede più in famiglia, in quanto,
appena tornata dal collegio, aveva
trovato un lavoro
in un ospedale, dove era andata anche
a vivere in pianta stabile.
Nei mesi estivi CATERINA  lavora
come cameriera,FINCHE TROVA ANCHE LEI
COME INFERMIERA,PRESSO UNA FAMIGLIA
VIVE IN FAMIGLIA.HA SAPUTO PERDONARE
VIVE SERENA ACCANTO AI GENITORI
POI, un giorno, incontra UN RAGAZZO. E’ timida
anche con lui, con la sua famiglia
(che ben presto conosce) ed i suoi amici,
coi quali la conduce. ALL ALTARE
Con SUO MARITO al fianco, a poco, a poco,
le tante paure e insicurezze venutesi a creare
durante i lunghi anni di collegio e dopo,
col ritorno a casa, svaniscono.
Gli anni volano….Il grande affetto per
la sorella, che ha saputo esserle anche
madre, è immutato e, se pur vivono lontane,
si sentono sempre ed appena possono si vedono.
Ormai da tanto tempo CATERINA è una donna socievole
ed allegra, una madre  dolce, ma decisa,
che riversa sui figli e nipoti tutto l’affetto che
lei non ha mai avuto, e da loro ne è ricambiata.
ORA è UNA DONNA FELICE REALIZZATA.

 

 

 

 

 

 

 

 
Rispondi al commento:
SEMPLICE.E.DOLCE
SEMPLICE.E.DOLCE il 19/11/12 alle 15:09 via WEB
grazie linda sempre dolcissiam grazie cara .....buon pomeriggio ....buon inizio settimana un abbraccio affettuoso ....lucy
 
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