Quel portone non si aprirà mai più!”. Pensò atterrita l’allora aveva solo 10 anni CATERINA, allorché, con la Madre Superiora delle “Ancelle della Carità”, vide chiudersi alle spalle i due massicci portali in legno, inseriti tra le spesse mura del convento DI UN POSTO DELLA LOMBARDIA.I GENITORI FECERONO UN GRAVE INCIDENTE LI CON LA SORELLA ENTRO IN QUEL ISTITUTTO ,FINO ALLA MAGGORE ETà La Madre Superiora la presentò ad alcune consorelle ed ai superiori del convento. Le suore le fecero visitare il complesso conventuale, le parlarono della vita che vi si conduceva e quella che avrebbe condotto lei da novizia. , tacita, coi polmoni che pareva avessero perso la consueta elasticità a consentirle la normale respirazione, si guardava d’attorno angosciata temendo che la Madre Superiora, abituata a decidere per lei e per tutte, giungesse alla determinazione di lasciarla immantinente in quel luogo, ancor più triste di quello in cui era vissuta e viveva. La ragazza non aveva punto desiderio di farsi suora. Solita però all’obbedienza, si guardò bene dal manifestare il suo disappunto, non ultimo pensando alla probabile punizione a cui sarebbe incorsa, come regolarmente accadeva allorché non ubbidiva, o nicchiava ad obbedire agli ordini. Lo stupore di CATERINA fu quindi massimo allorquando, nel pomeriggio, i due portali del convento si spalancarono davanti ai suoi occhi per far uscire lei e la sua accompagnatrice. Felice, col cuore che accelerava i battiti in capriole gioiose, li varcò giurando a se stessa che mai più li avrebbe oltrepassati per entrarvi.
Nella iettatura, mai accettata, ebbe la fortuna di avere accanto a sé una delle sue sorelle, PINA, di due anni maggiore di lei, alla quale toccò la medesima sua sorte: vivere la propria nfanzia e giovinezza in collegio. Nel collegio, tutto al femminile, CATERINA si ritrovò a far parte di cinquanta educande. Lei era una delle tredici bimbe, la cui retta veniva corrisposta dal Comune, mentre le altre erano ospiti paganti. La differenza di trattamento tra le due categorie di educande era sostanziale e, a prescindere che innanzitutto dovevano lavorare, avevano regole che le differenziavano dalle loro compagne. Ad esempio le POVERE potevano vedere un componente della famiglia una sola volta al mese e tornare alle loro case solamente a Pasqua e Natale CATERINA ci tornò in tutto due volte). Per contro, le altre potevano vedere i loro genitori settimanalmente o, a discrezione, sempre dei genitori, tornare alle proprie case tutti i fine settimana. Queste ultime tornavano in famiglia pure per le vacanze estive. Le educande paganti avevano la pessima abitudine di appellare le loro compagne POVERE col termine di “zitelle”. Il tono dispregiativo angustiava ed indispettiva le bambine e ragazze già provate dalla sorte, ma ciò che ancor più le indisponeva era che pure le suore le appellavano abitualmente con tale termine.
Tutte le ospiti del collegio dormivano in due grandi camerate, nelle quali, d’inverno, non c’era il riscaldamento. I pasti li cucinava suor CARLA che certo non la si poteva definire un’ottima cuoca; le portate erano sempre scarse ed ancor più lo erano per le “zitelle”, che erano ultime ad essere servite. Tale trattamento di sfavore cominciava dalla colazione mattutina a base di caffelatte che veniva dato loro annacquato col latte in polvere, sebbene l’Ente comunale passasse un litro di atte al giorno per ognuna di loro. Le suore, arbitrariamente, lo trattenevano per i propri bisogni, nonché per favorire i sette preti che ruotavano attorno al collegio, per i quali, le stesse, si prodigavano oltre ogni dire, non escluse laute colazioni e merende, a base di torte e zabaglioni. La giornata delle educande POVERE era molto più impegnativa rispetto a quella delle altre e fin da piccole (come già accennato) avevano dei compiti giornalieri ben precisi da assolvere. La mattina, prima di andare alla messa e poi a scuola, dovevano fare le pulizie: ad ognuna era data in carico una zona del collegio. A CATERINA toccava pulire l’androne ed il corridoio che conduceva alla camerata dormitorio. Dopo il pranzo, a turno, lavavano i piatti e riordinavano il refettorio. Pure il “bucato grosso” del lunedì, era a carico delle stesse:CATERINA, al mastello, era addetta al lavaggio dei calzini e dei fazzoletti di tutte le sue compagne. pensando a come doveva industriarsi per gestire lo spazzolone per lavare i pavimenti, che aveva una base larga e pesante, e come, per arrivare alla tavoletta del mastello, dovesse “crescere”…. salendo su uno sgabello.
La vita tra le mura del collegio per le ragazze era dura e faticosa: l’obbedienza era d’obbligo e non vi era mai un momento di gioco, se non strappato di nascosto dalle suore. Il senso di frustrazione era tanto, anche perché tutto ciò che non era fatto come richiesto, veniva inteso come disobbedienza, per cui era come “peccato”, ed occorreva quindi confessarlo, settimanalmente, al prete. La Madre Superiora era rigorosissima e le suore la compiacevano sanzionando volentieri le educande con punizioni e castighi. Era sufficiente, una smorfia, un non eseguire immediatamente un ordine ed i ceffoni giungevano puntuali ed immediati con le punizioni. Una delle più frequenti era far saltare loro il pranzo o la cena. Ricorda CATERINA che un giorno fece osservare ad una suora che la pasta nel suo piatto di minestra era immangiabile, in quanto vi navigavano delle farfalline. Il risultato fu che per tre giorni non mangiò nulla…. in quanto le presentarono sempre e solamente lo stesso piatto da lei rifiutato. Ma…. la punizione che CATERINA non riesce a dimenticare, giustificare e perdonare, anche per il fatto di averla subita più volte, era l’umiliazione a cui era costretta ad assoggettarsi la mattina, ogni qualvolta le accadeva di soffrire di enuresi notturna. In quei casi le suore la costringevano a mettersi le mutandine bagnate in testa ed avvolgersi il lenzuolo sulle spalle, per poi condurla nel refettorio a passeggiare tra le compagne che facevano colazione, per essere da queste derisa. Spesso accadeva pure che le suore la schiaffeggiassero, in quanto lei cercava di opporsi a quella pantomina crudele. La scuola elementare , come tutte le sue compagne, l’ha frequentata all’interno del collegio; la media, invece, all’esterno. Racconta che non aveva la serenità necessaria per studiare, per cui ebbe un percorso scolastico un po’ faticoso e per questo.... era ancor più punita. Terminato il ciclo scolastico con la scuola media, CATERINA viene impiegata dalle suore nello svolgimento dei lavori di pulizia del collegio a tempo pieno. Passa qualche anno e la sorella, completato il suo internato, coi propri diciott’anni, lascia il collegio: per CATERINA è una sofferenza indicibile il distacco. DELLA SORELLA avendo un carattere più remissivo era stata in grado di accettare più di buon grado di lei e angherie delle suore e, nel lungo periodo di reciproca vicinanza, era stata il UN angelo consolatore, il suo unico affetto. Nel tempo CATERINA si era fatta quattro amiche, tra le “POVERE” (anche perché con le altre educande non vi erano rapporti, in quanto venivano da queste trattate in modo altezzoso). Il gruppetto si dava man forte, si aiutavano a vivere, si sostenevano, ma cercavano anche di immaginare come poteva essere la vita fuori da quelle mura e, insieme, speravano e sognavano un futuro migliore.
Implicito fossero anche compatte contro le suore e covassero l’immancabile rancore dettato dai loro atteggiamenti, per cui, appena potevano, cercavano in qualche modo di offenderle, se pur il risultato, spesso, era che si ritrovavano ad avere una dose supplementare di castighi. Partita la sorella, CATERINA complotta con tre delle sue amiche di fuggire dal collegio…. e fuggono. Dura poco la sua fuga,PERO . Al suo ritorno al collegio le suore chiamano il direttore dell’Ente preposto alla cura delle giovani POVERE, che la redarguisce mettendola all’erta che, se non impara a sottomettersi, la manderanno nel collegio di correzione. Lei non sa bene che vuol dire, però é un grande spauracchio. Per cui.non le restò che "fare la brava fino ai diciott’anni, con la rabbia in corpo” Sfumato l’intento,di farla diventare una novizia, passa il periodo migliore della sua permanenza in collegio: due anni a fare la segretaria, per lo stesso Ente che paga per lei la retta mensile e, naturalmente, data la sua situazione, non è retribuita. ARRIVA IL GIORNO DI TORNARE A CASA RIVEDE LA MADRE,IL PADRE,LI ABBRACCIA LA SORELLA E FRATELLI,FELICI DI VEDERLA PERO LA SORELLA non risiede più in famiglia, in quanto, appena tornata dal collegio, aveva trovato un lavoro in un ospedale, dove era andata anche a vivere in pianta stabile. Nei mesi estivi CATERINA lavora come cameriera,FINCHE TROVA ANCHE LEI COME INFERMIERA,PRESSO UNA FAMIGLIA VIVE IN FAMIGLIA.HA SAPUTO PERDONARE VIVE SERENA ACCANTO AI GENITORI POI, un giorno, incontra UN RAGAZZO. E’ timida anche con lui, con la sua famiglia (che ben presto conosce) ed i suoi amici, coi quali la conduce. ALL ALTARE Con SUO MARITO al fianco, a poco, a poco, le tante paure e insicurezze venutesi a creare durante i lunghi anni di collegio e dopo, col ritorno a casa, svaniscono. Gli anni volano….Il grande affetto per la sorella, che ha saputo esserle anche madre, è immutato e, se pur vivono lontane, si sentono sempre ed appena possono si vedono. Ormai da tanto tempo CATERINA è una donna socievole ed allegra, una madre dolce, ma decisa, che riversa sui figli e nipoti tutto l’affetto che lei non ha mai avuto, e da loro ne è ricambiata. ORA è UNA DONNA FELICE REALIZZATA.
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