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QUANDO NAPOLITANO SCELSE IL VINCITORE A SANREMO!

Post n°1674 pubblicato il 28 Novembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Invito a leggere questo interessantissimo articolo a firma Maurizio Belpietro, edito sull'edizione odierna 28 Novembre 2023 del quatidiano La Verità.

Da Sanremo a chi fa il premier:
Il Quirinale sceglie per gli italiani!

L’aneddoto di Pupo: «Io ed Emanuele Filiberto eravamo primi a Sanremo ma una telefonata di Napolitano
cambiò la classifica». È un piccolo grande esempio di quant’è fasulla la storia della neutralità presidenziale.
Ci voleva Pupo, al secolo Enzo Ghinazzi,
personaggio poliedrico, cantante, conduttore, paroliere e anche scrittore, oltre che giocatore d’azzardo incallito, per
strappare il velo d’ipocrisia che avvolge il Quirinale e in particolare la figura di (Re ndr) Giorgio Napolitano, primo presidente della Repubblica a essere rieletto per una seconda volta. (Quando la prima agli italiani era più che bastata ndr). Per anni ci hanno raccontato che il capo dello Stato è un’istituzione super partes, che ha il solo compito di rappresentare l’unità della nazione e mai esonda dal proprio ruolo. Beh, in un’intervista a Repubblica,  Pupo racconta che nel 2010, con la canzone Italia amore mio, lui ed Emanuele Filiberto di Savoia, che sul palco dell’Ariston cantava il brano insieme al tenore Luca Canonici, avevano vinto il Festival di Sanremo, ma dal Colle giunse una telefonata che impose agli organizzatori di cambiare, perché un erede del re non poteva conquistare il primo posto. Per di più, il brano era un inno al futuro, alla giustizia e al lavoro, un elogio verso un Paese «più normale» (lontano dagli ideali della sinistra italiana, ndr), con una frase che parlava di chi non poteva tornare pur non avendo fatto niente di male.
Un riferimento che al Quirinale forse qualcuno considerò un po’ troppo monarchico.
Al di là dell’episodio divertente, di una presidenza della Repubblica che si
preoccupa dello «scandalo» di un erede al trono che vince la competizione canora
più importante d’Italia, con la pretesa che il trio destinato al successo sia retrocesso
al secondo posto, la vicenda svela il segreto di Pulcinella. Ovvero che il capo dello Stato è tutt’altro che una figura super partes designato dalla Costituzione a tagliare nastri, ricevere ambasciatori e sollecitare ogni tanto il Parlamento all’unità nazionale e al rispetto dei principi condivisi. Non so come sia stato nel passato, quando al Quirinale c’erano Giuseppe Saragat , Giovanni Leone o Sandro Pertini, ma a partire da Oscar Luigi Scalfaro, passando da Giorgio Napolitano per finire a Sergio Mattarella , con forse l’unica eccezione di Carlo Azeglio Ciam-
pi, i presidenti della Repubblica hanno esercitato spesso un ruolo politico, intervenendo nelle scelte di governo e Parlamento e non di rado condizionandole. Nel 1994, fu Scalfaro a rassicurare Umberto Bossi, promettendogli che non avrebbe sciolto le Camere se lui
avesse tolto l’appoggio al primo governo di Silvio Berlusconi. E fu sempre il Campanaro (così lo chiamavamo a l’Indipendente per quella sua aria un po’ bigotta) a far da ostetrica all’esecutivo di
Lamberto Dini, il cui compito principalmente fu scaldare la sedia in attesa che la occupasse Romano Prodi.
Il più attivo nel manovrare le leve della Repubblica tuttavia, pare sia stato Giorgio Napolitano, che da comunista applaudì l’invasione russa dell’Ungheria per poi trasformarsi in atlantista e applaudire gli aerei americani, inglesi e francesi
che bombardarono la Libia.
Quando è scomparso, tutti si sono affrettati a erigergli un monumento, smentendo che avesse brigato per far
fuori Silvio Berlusconi e mettere al suo posto Mario Monti. Balle. Io stesso ho
raccolto la testimonianza di un importante uomo politico tuttora sulla scena che fu
testimone delle pressioni dii Napolitano su Gianfranco Fini, affinché l’ex leader di
An e all’epoca presidente della Camera togliesse la fiducia al Cavaliere con una
scissione del Pdl. Del resto, Marco Reguzzoni, a quei tempi capogruppo alla Camera della Lega, ha raccontato di aver egli stesso ricevuto pressanti inviti dell’al-
lora capo dello Stato a cambiare cavallo e quando respinse i solleciti ricevette in
cambio una velata minaccia.
Accompagnandolo alla porta, Napolitano gli avrebbe infatti suggerito di non met-
tersi contro. Che l’ex comunista asceso
ai vertici dello Stato fosse solito fare e disfare, peraltro lo ha rivelato proprio ieri lo
stesso capo della Procura di Napoli, Nicola Gratteri. Il magistrato pare fosse stato
scelto da Matteo Renzi come ministro della Giustizia, ma il Colle avrebbe detto no, bocciandolo. Ora scopriamo che Napolitano non solo si intrometteva nella scelta dei ministri (che ancora in qualche misura ci può stare, visto che tocca al presidente della Repubblica nominarli
su indicazione del premier), ma metteva bocca perfino sui vincitori di Sanremo.
Tutto ciò, oltre a essere divertente, mi porta a un paio di considerazioni. La prima
è che non serve fare una riforma del premierato, è più urgente fare la riforma
presidenziale, così almeno saremo noi e non i partiti a scegliere chi deve salire al
Colle. La seconda riflessione riguarda non tanto come siano andati i festival di Sa-
nremo, ma come sarebbe stata l’Italia senza Scalfaro e Napolitano e senza i governi tecnici. Che i capi dello Stato
abbiano spesso scippato agli italiani il diritto a decidere da chi essere governati ormai è assodato. Ma senza i Ciampi, i Dini, i Monti, i Draghi il nostro Paese sarebbe stato padrone del proprio destino e non vittima di scelte fatte da chi, in nome
del bene per l’Italia, ha deciso contro gli italiani (per il proprio bene ndr).
 
 
 
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