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Messaggi del 23/07/2023

DATI INESATTI, MANIPOLATI SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO. GEOINGEGNERIA E DEFORESTAZIONE LE VERE CAUSE!

Post n°1552 pubblicato il 23 Luglio 2023 da scricciolo68lbr
 

DEFORESTAZIONE E GEOINGEGNERIA: le vere cause dell’emergenza climatica!

 

Distrutti nel 2022 4,1 milioni di ettari di foresta vergine. Un'area grande come i Paesi Bassi. Un acceleratore della crisi climatica.

Fonte: https://www.nonsprecare.it/deforestazione-cause-conseguenze-italia-europa-mondo-soluzioni?refresh_cens

DI ANTONIO SORIERO  POSTED ON 17.07.2023

La deforestazione non si ferma, anzi accelera. Aggravando anche la crisi climatica. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma satellitare Global forest watch del World resource institute, soltanto nel 2022 nel mondo sono stati distrutti 4,1 milioni di ettari di foresta vergine tropicale. Si tratta di un’area pari all’intera superficie dei Paesi Bassi, e l’aumento della distruzione, rispetto al 2021, è stato del 10 per cento. le maggiori perdite sono state registrate in Brasile (1,7 milioni di ettari, pari al 43 per cento del totale), e poi Congo e Bolivia.

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DEFORESTAZIONE

L’accordo di Glasgow prevede, sempre sulla carta, uno stanziamento di 20 miliardi di dollari per raggiungere l’obiettivo «deforestazione zero» entro il 2030, soldi sia pubblici sia privati. E tra le nazioni che hanno sottoscritto l’intesa ci sono anche Brasile, Russia, Indonesia e Congo, dove sono concentrate le più grandi foreste del mondo. Il vero punto debole dell’accordo, e anche il segnale di quanto sia stato scritto sulla sabbia, è che non sono previste sanzioni per chi non lo rispetta, né una precisa tabella di marcia per arrivare al traguardo fissato per il 2030. Il rischio è che tutto finisca come gli accordi di Parigi sul clima(2015): parole mai diventate fatti.

L’attuale superficie forestale del Pianete è pari a 4 miliardi di ettari. Ma  la progressione della deforestazione è spaventosa. Ogni anno nel mondo si perdono 4,7 ettari di foreste. Soltanto in Africa si sono persi in dieci anni 3,9 milioni di ettari. E ogni anno, un’area equivalente a metà dell’Unione Europa (4,18 milioni di chilometri quadrati) diventa meno produttiva e resiliente.

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DEFORESTAZIONE

Quando si parla di deforestazione non bisogna pensare soltanto all’Amazzonia, dove pure il disastro continua. Nel 2021, soltanto nel mese di agosto, secondo il Rapporto dell’Agenzia nazionale di ricerca spaziale(Inpe), sono stati eliminati 1.606 chilometri quadrati di foresta amazzonica in Brasile. È il dato più alto da dieci anni, e significa un aumento della deforestazione del 7 per cento rispetto al 2020.  In realtà il fenomeno della deforestazione ha una dimensione globale: in alcuni anni siamo arrivati, nel mondo, a eliminare in media 30 milioni di ettari di foreste, pari a un campo di calcio al secondo, con rischi che riguardano anche i meravigliosi boschi italiani. 
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COS’È LA DEFORESTAZIONE

La “deforestazione” – termine che descrive la distruzione o la netta riduzione di boschi e foreste a causa principalmente delle attività umane – è avvertita in tutto il pianeta. Quando si parla di consumo (o di “spreco”) del suolo globale, la deforestazione rappresenta il principale vulnus da affrontare.

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CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE

Foreste e riserve boschive annientate per la produzione del legno o per ricavare terreni coltivabili e pascoli: queste sono due delle operazioni umane che più nuocciono al bacino verde. Poi ci sono anche particolari industrie interessate alla materia prima che arriva dalle foreste e dall’abbattimento degli alberi: dai colossi della cosmetica, fino ai grandi produttori di olio di palma, concentrati in luoghi ricchissimi di vegetazione, come l’Indonesia e la Malesia.

In Africa, Asia e America del Sud soprattutto, i piccoli agricoltori rilevano o occupano terreni ricoperti da foreste e appiccano strategicamente incendi per coltivare poi i terreni fertilizzati dalle ceneri. Sfruttata intensivamente, la terra è in grado di mantenersi produttiva per periodi relativamente brevi (pochi anni), viene poi abbandonata e nuove macchie di foresta sono aggredite e date alle fiamme.

Gli effetti per l’ecosistema possono essere terribili.

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CONSEGUENZE DELLA DEFORESTAZIONE

Innanzitutto, quando le foreste vengono bruciate, il carbonio prodotto si accumula nell’atmosfera come anidride carbonica, un gas serra che, come noto, ha il potenziale di alterare il clima globale.  Inoltre, la preziosissima biodiversità ospitata dalle foreste, in particolare quelle tropicali, rischia con gli incendi di estinguersi irrimediabilmente. Dopo carbone e petrolio, la deforestazione è al terzo posto nella classifica delle fonti dalle quali arrivano i micidiali gas serra.

Il disboscamento selettivo operato dagli agricoltori aumenta infine l’infiammabilità della foresta perché trasforma un contesto ambientale fitto e umido in territori più aperti e secchi.

Circa sei anni fa una mappatura dello stato delle foreste sulla Terra venne meritoriamente realizzata da Google insieme ad alcune università americane, coordinate dalla University of Maryland. Il report di analisi della mappatura denunciava, già allora, devastanti processi di deforestazione; oggi la situazione è ulteriormente peggiorata.

E mentre l’hashtag #prayforamazonia ha raggiunto picchi di 150.000 mention nei giorni di maggiore attenzione, in un solo mese estivo, in Amazzonia, sono stati registrati circa 200.000 roghi che hanno causato la morte di rari esemplari di fauna selvatica e hanno rilasciato enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, come fotografato dall’Atmospheric Infrared Sounder installato a bordo del satellite Aqua della NASA.

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DEFORESTAZIONE E CRISI CLIMATICA

La deforestazione ha un ruolo decisivo nella lotta per fermare il surriscaldamento climatico. Il 33 per cento degli sforzi per la mitigazione climatica dipendono proprio dalla capacità che abbiamo di preservare le foreste, gli alberi. Da qui la necessità di azioni concrete a tutti i livelli, partendo dagli interessi delle grandi multinazionali che devono trovare conveniente chiudere il capitolo della deforestazione selvaggia. Passaggio non facile. Quando l’organizzazione britannica Carbon Discoure Project ha chiesto a 1.303 società mondiali di fornire elementi per dimostrare le loro azioni contro la deforestazione, hanno risposto solo 272 imprese. È chiaro che rinunciare alla deforestazione ha un costo che spaventa manager e azionisti delle multinazionali, anche quando si riempiono la bocca della parola Sostenibilità. E ha un costo in termini di consensi per le autorità politiche. Ecco perché l’emergenza va affrontata su scala globale, rilanciando anche i piccoli gesti individuali, come le azioni di singoli e di associazioni specializzate nell’attività di piantare alberi. Gesto simbolico quanto utile.

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COME FERMARE LA DEFORESTAZIONE

L’emergenza sudamericana ha riportato il tema della tutela delle foreste e delle risorse boschive in cima al lungo elenco di impegni fissati dall’agenda mondiale, animando anche il dibattito del G7.  Del resto, se ne parla espressamente all’interno del quindicesimo punto dei Sustainable Development Goals approvati nel 2015 dall’ONU (15.2: “Entro il 2020, promuovere l’attuazione di una gestione sostenibile di tutti i tipi di foreste, fermare la deforestazione, il ripristino delle foreste degradate e aumentare notevolmente la riforestazione a livello globale”).

Alla scadenza fissata, l’ambizioso obiettivo fissato dagli SDGs suona come una romantica utopia ben lontana dagli avvenimenti a cui, più o meno inermi, assistiamo.

Un dato è esemplificativo del momento storico che stiamo vivendo: nel 2010 quasi 4 miliardi di ettari del nostro pianeta erano ricoperti da alberi. Solo otto anni dopo, sono stati persi circa 25 milioni di ettari di questo inestimabile patrimonio.

Dopo il “caso-Amazzonia”, i riflettori si sono accesi anche su Africa e Indonesia. A causa di una lunga stagione caratterizzata dall’assenza di precipitazioni, lo Stato del sud-est asiatico potrebbe subire danni irreparabili.

 

PER SAPERNE DI PIÙ: Clima, per l’Onu il 2020 sarà uno dei tre anni più caldi mai registrati

AIUTI DEFORESTAZIONE

 

I paesi più colpiti dalla deforestazione, di solito, sono anche i più poveri. Come nel caso delle nazioni africane. Un motivo in più per convincersi di una cosa fondamentale nella battaglia per il clima, per la diminuzione dei gas serra, e in generale per la salvaguardia della natura e delle condizioni di vita della specie umana: gli interventi e le decisioni da prendere devono avere un doppio livello, uno sovranazionale e l’altro locale. Servono scelte politiche di portata globale. A partire dal problema numero uno: i finanziamenti, i soldi che servono. Con i guai che ci sono, in generale, nei paesi africani, è davvero illusorio pensare a una lotta alla desertificazione solo attraverso risorse finanziarie dei governi sul territorio. In proposito, per non cedere sempre al pessimismo, segnaliamo un caso piuttosto interessante: il Gabon, un paese meraviglioso, il cui territorio è coperto per il 90 per cento da boschi. Si tratta del primo paese africano che riceve, per proteggere gli alberi, fondi internazionali, e di una certa rilevanza, dalla comunità internazionale, e in particolare dalla Norvegia. Una nazione ricca, dove la natura è ben curata e ben protetta ha messo sul tavolo 150 milioni di dollari, da spendere in 10 anni, per proteggere foreste fluviali e ridurre le emissioni di gas serra di un’altra nazione, questa volta poverissima e ad alto rischio per il suo patrimonio naturale così consistente. Sembra impossibile, ma qualche volta i miracoli, anche nella lotta all’enorme e ingiusto spreco della natura, avvengono.

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DEFORESTAZIONE IN ITALIA

In Europa, e in particolar modo in Italia, la situazione sembra invece essere diversa. Le foreste vivono una fase di nuova espansione, per effetto dell’abbandono dei terreni agricoli nelle zone marginali. Secondo il “Rapporto sullo stato delle foreste in Italia”, presentato dal Ministero delle politiche agricole, per la prima volta dopo tantissimi anni, nel nostro Paese le foreste hanno superato in superficie le aree agricole. Dal 1936 a oggi si sono espanse del +72,6%. Ma non bisogna abbassare la guardia, persiste infatti il problema di cicli di taglio del legno troppo brevi, anche a causa di decisioni nazionali e comunitarie che hanno incentivato in passato il prelievo di legname dalle foreste.

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DEFORESTAZIONE IN EUROPA E NEL MONDO

In tutto il mondo quindi le politiche internazionali, affiancate da una cultura diffusa e consapevole dell’ambiente, devono oggi intervenire per invertire un irreversibile trend di consumo del pianeta. La strada da imboccare sembra essere una sola: lotta dura ai cambiamenti climatici e a uno sfruttamento smodato dei territori e delle risorse, accompagnata da investimenti mirati per il ripristino forestale delle aree colpite. Come fatto ad esempio dal governo neozelandese che, a partire dal 2017, ha promosso iniziative finalizzate a piantare più di 100 milioni di alberi all’anno all’interno dei suoi confini. Altrimenti le conseguenze di scelte colpevolmente scriteriate potrebbero sostanziarsi nella scomparsa di “gioielli” come le foreste tropicali. Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli?

 

DEFORESTAZIONE ILLEGALE RECORD IN CAMBOGIA

La Cambogia detiene il record mondiale per la deforestazione illegale. Secondo la ong Amnesty International, tra il 2001 e il 2020, il Paese ha perso qualcosa come 2,5 milioni di ettari di foresta. un’area equivalente alla superficie della Sicilia. Dalla Cambogia, grazie a complicità ad altissimo livello, i tagli di legnami e i suoi derivati finiscono in Vietnam, e da qui in tutto il  mondo, Europa e Italia comprese. Giro d’affari, solo nel 2022: 16,3 miliardi di euro di legname esportato. Dopo la Cambogia, nella classifica mondiale per la perdita di foreste tropicali, ci sono il Laos, la Bolivia e il Brasile.

 

COSTO RIFORESTAZIONE

La riforestazione, necessaria di fronte a una perdita di aree forestali così marcata, ha un costo, che varia sulla base della tipologia degli alberi e dell’indice di affollamento dei nuovi alberi che si vanno a piantare. La forchetta dei costi è molto ampia, sulla base di questi due parametri: da 50 a 2.000 dollari a ettaro. È stato calcolato che se si volesse riforestare, attraverso un intervento di rigenerazione naturale,  soltanto l’area di alberi persa in Brasile tra il 2019 e il 2022 servirebbero 190 milioni  di dollari.

 

Ed ora parliamo della GEOINGEGNERIA.

Fonte: https://comune-info.net/il-clima-e-le-cavie-della-geoingeneria/

Cosa volete che siano due sole morti? Non c’è neanche un filmato che le mostri in diretta. Le inondazioni dell’Emilia Romagna sono già scivolate via dalle prime pagine. Eppure, gonfiati dallo scioglimento delle poche nevi degli Appennini, i torrenti si sono alzati anche di 10 metri in poche ore, gli argini sbriciolati, le città allagate in un batter d’occhio perché i terreni resi secchissimi dalla grande siccità invernale non trattenevano l’acqua. I cambiamenti climatici, quelli che hanno causato l’alluvione a Faenza e, a una scala ben diversa, causano la siccità che sta spingendo alla fame 22 milioni di persone nel Corno d’Africa – sono il frutto velenoso non dell’umanità ma di un modo di vivere umano imposto da un sistema rovinoso che sacrifica la vita e la natura all’ossessione di accumulare. Per riprodursi, quel sistema non può star fermo né frenare, così si è preparato da tempo a sfruttare anche la “crisi” climatica proponendone la cura tecnologica, la più veloce, efficace e redditizia, infatti è sostenuta dagli investimenti di Bill Gates, Soros e altri miliardari. Quella soluzione, la geoingeneria, può aggravare notevolmente lo stato delle cose, mettendo a rischio le fonti di acqua e di cibo per miliardi di persone considerate meno importanti di altre. È questo il senso della gravissima denuncia del professor Chukwumerije Okereke, uno degli autori del report dell’IPCC, pubblicata sul New York Times e ripresa in questo articolo di Silvia Ribeiro: i promotori della geoingegneria fanno pressione sui paesi africani per avanzare proposte speculative di manipolazione del clima nel continente. L’Africa come laboratorio di sperimentazione di una tecnologia che propone di iniettare anidride solforosa nella stratosfera e che richiederebbe la ripetizione di tali iniezioni per decenni e avrebbe effetti disuguali, con alcune regioni che soffrirebbero di più siccità o inondazioni. La loro improvvisa cessazione – per ragioni politiche o economiche – causerebbe poi un brusco aumento della temperatura che sarebbe peggiore di quello che si riscontrava prima di iniziarle. Piuttosto chiaro, no? Già oggi qualsiasi impresa può assumere la ricerca dei geoingegneri che affermano di fare soltanto studi di laboratorio e applicarla per scopi commerciali in paesi che non li impediscono

Nelle settimane scorse, un famoso scienziato nigeriano, il professor Chukwumerije Okereke, ha pubblicato sul New York Times un articolo in cui denuncia che i promotori della geoingegneria fanno pressione sui paesi africani per avanzare proposte di manipolazione del clima nel continente. Okereke, uno degli autori del report dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change – Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici), ha intitolato il suo articolo “My Continent Is Not Your Giant Climate Lab” (Il mio continente non è il vostro gigantesco laboratorio climatico). L’autore si riferisce anche agli esperimenti di geoingegneria che una società statunitense ha realizzato in Messico e appoggia l’annuncio del governo messicano di voler vietare tali esperimenti (The New York Times, 18/04/2023).

Okereke rivela che alcuni rappresentanti della ONG Carnegie Climate Governance Initiative (C2G) si presentano come neutrali nei confronti della geoingegneria, ma hanno affermato, rivolgendosi a negoziatori africani sul clima, che le tecnologie per bloccare parte dei raggi solari sarebbero un metodo rapido ed economico per abbassare la temperatura dovuta al riscaldamento globale e che i paesi più poveri sarebbero quelli che ne trarrebbero maggiori vantaggi.

Come esperto di cambiamenti climatici, Okereke avverte che queste proposte di manipolazione ambientale sono estremamente rischiose e speculative, e si oppone fermamente all’uso del suo continente come campo sperimentale. Aggiunge che anche se la geoingegneria solare dovesse mantenere le sue promesse teoriche di abbassare le temperature in qualche parte del mondo, potrebbe intensificare la siccità, le inondazioni e altri squilibri climatici in altre regioni, minacciando i mezzi di sussistenza di milioni di persone.

Aggiunge inoltre che si tratta di una battaglia impari, perché coloro che promuovono la geoingegneria sono sostenuti da Bill Gates e da altri miliardari. George Soros ha recentemente annunciato che darà il suo sostegno alla geoingegneria solare. Altre ONG, come la Degrees Initiative – finanziata dalla fondazione di Dustin Moskovitz, co-fondatore di Facebook – affermano di voler mettere i paesi in via di sviluppo al centro del dibattito sulla geoingegneria solare. In realtà, dice Okereke, è un modo per entrare dalla porta di servizio allo scopo di generare ricerche che giustifichino la trasformazione dell’Africa in un campo sperimentale di geoingegneria. Le organizzazioni della società civile di diversi paesi africani hanno chiesto di non permettere questi esperimenti (https://tinyurl.com/yv2wvbsc).

 

Le due ONG citate – C2G e Degrees Initiative – sono molto attive anche in America Latina. I rappresentanti della Degrees Initiative sono stati in Messico la scorsa settimana per promuovere studi sugli impatti che l’applicazione di alcune tecniche di geoingegneria solare potrebbe avere sul Messico e sull’America centrale. Non propongono di finanziare studi ad ampio raggio sui cambiamenti climatici e sul tipo di risposta che sarebbe migliore in ciascun paese, in base alle sue condizioni e priorità, ma studi ristretti sui rischi o sui benefici dell’applicazione della geoingegneria solare rispetto ai rischi del cambiamento climatico. A questo proposito, Okerere ha commentato: potrei elencare 100 cose che il mondo può fare (per frenare il cambiamento climatico), e nessuna di queste sarebbe geoingegneria (https://tinyurl.com/2j9hevmw).

Le misure annunciate dal Messico nel gennaio 2023 per non consentire esperimenti di geoingegneria solare nel suo territorio hanno avuto risonanza nei mass media globali, così come nelle discussioni globali sulla geoingegneria. Diversi paesi dell’America Latina e dell’Africa stanno valutando questa procedura come un modo per proteggere i loro paesi dalla sperimentazione della geoingegneria. Gli esperimenti illegali in Messico hanno dimostrato che qualsiasi impresa può assumere la ricerca dei geoingegneri che affermano di fare soltanto studi di laboratorio e applicarla per scopi commerciali in paesi che non li impediscono. La società Make Sunsets che ha agito in Messico ha dichiarato di basarsi sulla ricerca di David Keith dell’Università di Harvard (https://tinyurl.com/yp9cjn3r).

Questa settimana il Consiglio Nazionale di Scienza e Tecnologia (Conacyt), l’Istituto Nazionale di Ecologia e Cambiamento climatico (INECC) e il Ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali (Semarnat) hanno organizzato un seminario su “La geoingegneria in Messico, riflessioni dal punto di vista del principio di precauzione e della giustizia climatica”, nell’ambito del processo di discussione per l’attuazione legale delle misure precauzionali annunciate in precedenza. All’incontro hanno partecipato rappresentanti di questi enti istituzionali, del mondo accademico e della società civile (“La geoingeniería en México, reflexiones desde el principio precautorio y la justicia climática” – registrazione online del seminario).

 

Gli impatti della crisi climatica sono molto preoccupanti, ma le proposte di geoingegneria non ne affrontano le cause, bensì generano nuovi rischi, condizioni di dipendenza e minacce alla sovranità, ha affermato Agustín Ávila Romero, responsabile dell’INECC. Studi scientifici dimostrano che la geoingegneria solare che propone di iniettare anidride solforosa nella stratosfera richiederebbe la ripetizione di tali iniezioni per decenni e avrebbe effetti disuguali, con alcune regioni che soffrirebbero di più siccità o inondazioni. La loro improvvisa cessazione – per ragioni politiche o economiche – causerebbe un brusco aumento della temperatura che sarebbe peggiore di quello che si riscontrava prima di iniziarle. Si tratta di rischi inaccettabili. In una dichiarazione congiunta, le tre istituzioni hanno ribadito che gli esperimenti di geoingegneria solare non saranno consentiti in Messico (https://bit.ly/3KUfvGb).

Una questione che è stata sollevata durante il seminario riguarda l’inseminazione delle nuvole, una forma di modifica del clima promossa da altri settori del governo. Questa tecnica comporta altri impatti che devono essere analizzati (https://tinyurl.com/3hebkyfy).

 

Fonte: “Presiones y frenos a la geoingeniería”, in La Jornada, 22/04/2023.
Traduzione a cura di Camminardomandando

 
 
 

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