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Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi del 02/07/2023

I TALENTI… SVELANO IL CUORE DEGLI INDIVIDUI.

Post n°1543 pubblicato il 02 Luglio 2023 da scricciolo68lbr
 

La parabola dei talenti

Mt  25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «14 Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». 21 «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». 23 «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». 26 Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Commento. 
Ho letto questa parabola, i suoi commenti e adesso aggiungo una mia riflessione.
La parabola dei talenti è una parabola che al giorno d'oggi potrebbe essere insidiosa: pericolosa... forse, perché più volte l’ho sentita commentare in un modo che, anziché spingere i cristiani alla conversione, pare indurli e confermarli nel loro attuale comportamento tra gli altri uomini e donne, nel mondo e nella chiesa. Dunque forse sarebbe meglio non leggere questo testo sacro, piuttosto che leggerlo male… ma è un mio pensiero. Leggete i testi sacri, ci mancherebbe!

Questa parabola non è un’esaltazione, un plauso all’efficienza, all'iperattività, non è un’apologia di chi sa fare profitti, non è un inno alla meritocrazia... è tutta protesa a parer mio, alla riflessione finale nei confronti del cristiano, quello che si è mostrato... timoroso, che sovente è tiepido, senza iniziativa, contento di vivacchiare, pauroso di fronte alle esigenze del momento, irremovibile quando le esigenze richiederebbero un mutamento, foss'altro solo interiore, anche se poi ciò che siamo si manifesta irrimediabilmente anche fuori di noi.
La parabola non dovrebbe essere letta, sempre a mio modesto parere, neppure come conferma “dell’attivismo pastorale” di cui sono preda molte comunità cristiane, molti “operatori pastorali” che non sanno comprendere la sterilità di tutto il loro “darsi da fare”; chiede questo racconto invece, alle comunità cristiane una maggiore consapevolezza, maggiore responsabilità, più audacia e soprattutto creatività. 
Non la quantità del fare, delle opere, né il guadagnare proseliti rendono cristiana una comunità, ma la sua obbedienza consapevole alla parola del Cristo, del Signore che la spinge verso nuove frontiere, verso nuovi lidi, su strade non percorse, lungo le quali la bussola che orienta il cammino è solo unicamente il Vangelo, unito al grido degli uomini e delle donne di oggi quando balbettano: “Vogliamo vedere Gesù!” (Gv 12,21).

Leggiamo allora con più attenzione e maggiore riflessione, facendo sfoggio di tutta la nostra intelligenza, questa parabola la cui prospettiva – lo ribadisco – non è "economica né finanziaria"; non è un invito all’attivismo materiale, piuttosto alla “vigilanza che resta in attesa”, non contenta del presente ma tutta “protesa verso la venuta del Signore” (Parusia).

Egli non è più tra di noi, sulla terra (materialmente no, ma spiritualmente, con tutta la sua forza); è come partito come per un viaggio e ha affidato ai suoi servi, ai suoi discepoli un compito: moltiplicare i doni da lui concessi a ciascuno.

Nella parabola, a due dei tre servi il Signore ha lasciato molto, una somma cospicua – cinque lingotti di argento ad uno, due ad un altro –, affinché la facciano fruttificare; a un terzo servo ha lasciato un solo lingotto, che comunque non è poco. In tutti egli ha messo la sua fiducia senza limiti, conferendo loro i suoi beni. Spetta dunque ai servi non tradire la grande fiducia che il padrone ha riposto in loro e ad operare una sapiente gestione dei beni, non di loro proprietà ma di quella del padrone, il quale al suo ritorno renderà loro conto è concederà loro la ricompensa. A ciascuno il padrone da in funzione della sua capacità, e il suo dono comtempla anche un compito: custodire e far fruttificare. Attenzione ad interpretare nella maniera corretta il verbo fruttificare.

Al di là dell’immagine dei talenti, che cos’è questo dono, in definitiva? Secondo Ireneo di Lione è la VITA, accordata da Dio a ogni persona. La vita è un dono che non va assolutamente sprecato, ignorato o dissipato. Purtroppo – dobbiamo constatarlo – per alcuni la vita non ha alcun valore: non la vivono, anzi la sprecano e la sciupano “fino a farne una stucchevole estranea” (Konstantinos Kavafis), e così si lasciano vivere. Eppure si vive una volta sola e il farlo con consapevolezza e responsabilità è decisivo al fine di salvare una vita o perderla!
Secondo altri padri orientali, i talenti altro non sarebbero che le PAROLE del Signore affidate ai discepoli perché le custodiscano, certo, ma soprattutto le rendano fruttuose nella loro vita, le mettano in PRATICA, fino a seminarle copiosamente nella terra che è il mondo. Di nuovo, è questione di vita, di “scegliere la vita” (cf. Dt 30,19).


“Dopo molto tempo” – allusione al ritardo della parusia, della venuta gloriosa del Signore (cf. Mt 24,48; 25,5) – il padrone ritorna e chiede conto della fiducia da lui riposta nei suoi servi, i quali devono mostrare la loro capacità di essere responsabili, in grado cioè di rispondere della fiducia ricevuta. Eccoli dunque presentarsi tutti davanti a lui. Colui che aveva ricevuto cinque talenti si è mostrato operoso, intraprendente, capace di rischiare, si è impegnato affinché i doni ricevuti non fossero diminuiti, sprecati o inutilizzati; per questo, all’atto di consegnare al padrone dieci talenti, riceve da lui l’elogio: “Bene, servo buono e fedele, … entra nella gioia del tuo Signore”. Lo stesso avviene per il secondo servo, anche lui in grado di raddoppiare i talenti ricevuti. Per questi due servi la ricompensa è proporzionalmente uguale, anche se le somme affidate erano diverse, perché entrambi hanno agito secondo le loro capacità.

Viene infine colui che aveva ricevuto un solo talento, il quale mette subito le mani avanti, manifestando il pensiero che lo ha paralizzato: “Da quando mi hai dato il talento, io sapevo che sei un uomo duro, esigente, arbitrario, che fa ciò che vuole, raccogliendo anche dove non ha seminato”. Con queste sue parole (“dalle tue parole ti giudico”, si legge nel testo parallelo di Lc 19,22) il servo confessa di essersi fabbricato un’immagine distorta del Signore, un’immagine plasmata dalla sua paura e dalla sua incapacità di avere fiducia nell’altro: egli considera il padrone come qualcuno che gli fa paura, che chiede una scrupolosa osservanza di ciò che ordina, che agisce in modo arbitrario. Avendo questa immagine in sé, ha scelto di non correre rischi: ha messo al sicuro, sotto terra, il denaro ricevuto, e ora lo restituisce tale e quale. Così rende al padrone ciò che è suo e non ruba, non fa peccato… Ma ecco che il Signore va in collera e gli risponde: “Sei un servo malvagio (ponerós) e pigro (oknerós). Malvagio perché hai obbedito all’immagine perversa del Signore che ti sei fatta, e così hai vissuto un rapporto di amore servile, di amore ‘costretto’. Per questo sei stato pigro, inaffidabile, non hai avuto né il cuore né la capacità di operare secondo la fiducia che ti avevo accordato. Non hai fatto neanche lo sforzo di mettere il talento in banca, dove sarebbe stato fruttuoso, dandomi interessi. Non hai avuto cura del mio bene affidato a te”.

Sì, lo sappiamo: è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato, piuttosto che condividerli; è più facile conservare le posizioni, i tesori del passato, che andarne a scoprire di nuovi; è più facile diffidare dell’altro che ci ha fatto del bene, piuttosto che rispondere consapevolmente, nella libertà e per amore. Ecco dunque la lode per chi rischia e il biasimo per chi si accontenta di ciò che ha, rinchiudendosi nel suo “io minimo”. Questo servo non ha fatto il male; peggio ancora, non ha fatto niente! Dunque davanti a Dio nel giorno del giudizio compariranno due tipi di persone:

chi ha ricevuto e ha fatto fruttificare il dono,
chi lo ha ricevuto e non ha fatto niente.

I servi fedeli entreranno nella gioia del Signore; chi invece è stato “buono a nulla” (achreîos) sarà spogliato anche dei meriti che pensava di poter vantare!

A me piacerebbe che la parabola si concludesse altrimenti: così sarebbe più chiaro cosa vive nel cuore del “padrone”, mentre il cuore del discepolo finirebbe per essere quello che il padrone desidera e vorrebbe...

Oso dunque proporre questa conclusione “apocrifa”:

Venne il terzo servo, al quale il padrone aveva confidato un solo talento, e gli disse: “Signore, io ho guadagnato un solo talento, raddoppiando ciò che mi hai consegnato, ma durante il viaggio ho perso tutto il denaro. So però che tu sei buono e comprendi la mia disgrazia. Non ti porto nulla, ma so che sei misericordioso”. E il padrone, al quale più del denaro importava che quel servo avesse una “vera immagine” di lui, gli disse: “Bene, servo buono e fedele, anche se non hai niente, entra pure tu nella gioia del tuo padrone, perché hai avuto fiducia in me”.

Anche così la parabola sarebbe buona novella!

 
 
 

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