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Il "comandante per caso"

Post n°2910 pubblicato il 17 Gennaio 2019 da namy0000
 

‹‹Il libro è nato di getto, ma scrivere mi ha aiutato a rimettere ordine nelle idee, a capire il senso profondo di questa vicenda di guerra e di rivoluzione››. Karim Franceschi, classe 1989, di padre italiano e madre marocchina, ha un’esperienza unica alle spalle. Arrivato nel 2014 a Kobane, nel Nord della Siria, a breve distanza dal confine con la Turchia, per una missione umanitaria, quando la città era già assediata dall’Isis, Karim decide di impegnarsi per la difesa del popolo curdo e per i suoi ideali. Torna a Kobane nel 2015, si arruola nelle Unità di protezione popolare (Ypg) e comincia a combattere. Sopravvive (risultato non da poco, vista la sua totale mancanza di addestramento militare), entra in un commando, poi diventa cecchino. L’ha raccontato ne Il combattente (Bur-Rizzoli), divenuto presto un successo editoriale.

Dopo un anno torna in Italia, dalla famiglia che, quando l’aveva visto partire, nemmeno sospettava che volesse prendere le armi. Ma non è finita. L’Isis resiste, bisogna dargli il colpo di grazia. Così Karim torna a essere heval Marcello (il compagno, l’amico Marcello, in curdo) e riparte per la Siria per partecipare alla liberazione di Raqqa come comandante di un battaglione di volontari stranieri, raccolti e addestrati tra i tanti arrivati da ogni parte del mondo. È la storia raccontata appunto in Non morirò stanotte (anch’esso Bur-Rizzoli), appena uscito.

C’è la guerra, ovviamente. Gli spari, le incursioni, il pericolo, i compagni uccisi, quelli scampati per miracolo. La morte del nemico e il tradimento dell’amico. Il dolore e la gioia. Il difficile rapporto con i curdi, che guardano con diffidenza a questi stranieri spesso ingenui o esaltati. La vittoria, la sconfitta, le distruzioni. E il libro può anche essere letto, giustamente, come un romanzo d’avventura. Non credo però che Karim si accontenterebbe.

‹‹La maggior parte delle persone che ho incontrato››, dice, ‹‹fatica a capire anche solo il quadro generale della guerra in Siria. E fatica ancor più a capire perché un ragazzo come me scelga di rischiare la vita per una realtà così lontana. Il fatto è che noi volontari non siamo tutti uguali, come non lo sono quelli che combattono nelle file dell’Isis. Quando ero a Kobane mi era tutto chiaro: c’era un popolo magnifico con degli ideali stupendi che rischiava di essere massacrato. Feci una scelta di cuore. un po’, credo, come quella dei partigiani scesi in campo contro i nazisti. Una scelta semplice, in fondo. Già a novembre del 2014 la prima linea di difesa era stata annientata dall’Isis, la città resisteva solo grazie ai volontari arrivati dagli ambienti curdi del Medio Oriente e della diaspora e ai civili che avevano preso le armi. Ogni uomo contava. Anche uno come me, che non aveva mai combattuto prima, che non sapeva come muoversi e moriva di paura. A Raqqa era tutto diverso. Combattevamo in una regione dove, a eccezione delle zone dove correva il fronte, la gente viveva una vita normale. Quindi avevo di continuo il tarlo di una domanda: perché devo combattere mentre ci sono giovani come me, di questo Paese, che non lo fanno? Io non amo la guerra, non mi piacciono le armi, non scappo da nulla. Avevo bisogno di una ragione forte per esser lì e la formazione del battaglione dei volontari stranieri è stata una parte della risposta››. ‹‹Avrei bruciato il libro, piuttosto che romanzare ciò che ho vissuto. D’altra parte nel battaglione hanno combattuto venticinque compagni e tutti hanno riconosciuto che non ho inventato nulla. Magari non tutti erano contenti di quel che ho raccontato, ma hanno ammesso che era solo verità››. ‹‹Un ex partigiano, con i lucciconi agli occhi, ha detto: “La tua storia somiglia a quella di Giovanni Pesce”. Cioè a quella di un combattente delle Brigate Internazionali nella guerra di Spagna, poi diventato comandante partigiano e infine insignito della medaglia d’oro al valor militare. Sono figlio di un ex partigiano, per me è stata una cosa grande››. ‹‹Quello dell’identità personale è un tema sempre presente nella mia vita, qualunque cosa faccia. Ma il conflitto identitario che è in me, figlio di due culture, italiana e marocchina, mi è servito per raccontare il più ampio conflitto che c’è in Siria, dove le identità sono molte e in reltà sovrapposte, più che contrapposte››. ‹‹Ci sarà sempre speranza per il futuro. Almeno finché si renderà il giusto onore ai ragazzi e alle ragazze che sono caduti per il Rojava e per i suoi ideali di democrazia e uguaglianza›› (FC n. 2 del 13 genn. 2019)

 
 
 
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