Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

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Messaggi di Aprile 2022

Difesa non armata e non violenta

2022, Avvenire 26 aprile

UCRAINA

Da un lato troviamo i pacifisti 'senza se e senza ma', che rifiutano le armi sempre e comunque sulla base di un principio etico astratto e indipendente da una qualsiasi analisi del contesto e delle responsabilità delle parti. Dall’altro troviamo chi, in una situazione in cui c’è un aggressore e un aggredito, ritiene che l’imperativo morale, di nuovo 'senza se e senza ma', comporti il porsi dalla parte dell’aggredito inviando armi, perché l’aggredito non soccomba. Il principio etico di mettersi sempre dalla parte degli ultimi è fondamentale e fa parte della tradizione giudaicocristiana.

Il punto è come farlo, dopo avere analizzato le diverse possibili conseguenze. Che non si possano trascurare le interazioni con gli altri attori a livello internazionale lo coglie bene Tommaso Montanari, sul 'Fatto Quotidiano' dell’11 marzo, osservando come l’Ucraina sia stata usata «come una scacchiera per una lunga partita con Putin », in uno scenario che rischia di farne il nuovo Afghanistan, e che gli fa concludere: «Non è realismo: è avventurismo con la pelle degli altri».

Altrettanto importante è il contesto interno. L’Ucraina non è un 'monolite', ma una realtà complessa e diversificata, che la guerra, che va avanti dal 2014, tende a cancellare, dando spazio e forza alle componenti più estremiste, spegnendo il dissenso e rafforzando identità, spesso violente, basate su sangue e terra. Che fare allora? Esiste una alternativa alla guerra che non sia la resa? Vent’anni di ricerche empiriche hanno dimostrato che la difesa non armata e nonviolenta è più efficace e sostenibile della risposta armata, anche contro i despoti-tiranni, e contribuisce a ricostruire e a compattare la società, anche nel caso in cui fallisca. Ma che fare quando la guerra è ormai scoppiata e sta infliggendo morti, distruzioni ed enormi sofferenze alla popolazione civile? Difficilmente la risposta può essere quella di continuare ad armare i combattenti.

È necessario portare le parti a un vero negoziato, ma è anche sostenere quelle componenti della società civile che si oppongono alla guerra. Ad esempio, il giornalista ucraino Ruslan Kotsaba, presidente della 'Ukrainian Pacifist Society', dopo avere visto nel Donbass la brutalità con cui le milizie e i coscritti di entrambe le parti combattevano, il 23 gennaio 2015, in un video su Youtube dichiarò: «Preferirei andare in prigione piuttosto che entrare in una guerra civile ora e uccidere i miei compatrioti che vivono nell’Est». Poco tempo dopo venne arrestato e detenuto per 16 mesi in attesa di un processo che ancora oggi non si è concluso. I giorni scorsi, cittadini ordinari hanno utilizzato sacchi di cemento e sabbia per bloccare i carri armati russi e hanno impedito l’avanzata degli stessi utilizzando il proprio corpo.

Una vecchietta, di fronte all’avanzata dell’esercito russo a Henychesk, ha provato a mettere nella tasca di un soldato una manciata di semi di girasole, dicendo che sarebbero diventati fiori quando i soldati sarebbero morti su quella terra e costringendo il soldato, palesemente a disagio, a interagire a sua volta, umanamente, con lei. Questo giornale, 'Avvenire', il 3 aprile ci ha raccontato di donne che rivendicano il diritto a non esser d’accordo con i loro mariti combattenti, pur continuandoli ad amare, e a resistere senza imbracciare armi: «Non lasceremo né le nostre città né i nostri anziani e siamo disposte a far da barriera ai carri armati ». Queste azioni hanno colto di sorpresa i militari russi, mettendoli in difficoltà. E sono solo alcune delle azioni nonviolente, semplici ma potenti, capaci di modificare lo sguardo e il comportamento dell’altro.

Non combattere non equivale ad arrendersi, significa non usare violenza (che non è la stessa cosa della forza). La nonviolenza diventa la strategia del forte, potenzialmente molto rischiosa perché gli attori rischiano spesso la morte. Può anche non funzionare, ma aiuta a riequilibrare i rapporti di forza e può portare a un ripensamento profondo della relazione fra i contendenti. In questi giorni è stato scritto che porgere l’altra guancia va bene purché sia la propria e non quella degli altri. L’idea sottesa è che il pacifista farebbe pagare le proprie scelte agli altri, al contrario di chi interviene inviando armi per sostenere chi combatte e paga di persona.

Ma è davvero così? Chi combatte rischia non poco, ma chi paga davvero sono le decine di migliaia di vittime civili dei bombardamenti e dei combattimenti e i milioni di profughi. A loro nulla è stato chiesto, né hanno avuto la possibilità di esprimere il proprio consenso o dissenso. Diversa è la resistenza civile nonviolenta, che qualcuno in Ucraina sta portando avanti, pur fra grandi difficoltà. Una lotta di cui sarà lui o lei la sola a subire le conseguenze. Sono loro che dobbiamo incoraggiare e aiutare dall’esterno, e, perché no, anche dall’interno.

 
 
 

Non è fondamentale

Post n°3732 pubblicato il 26 Aprile 2022 da namy0000
 

Non è fondamentale quanto si riceve dalla vita. E' fondamentale, invece, la capacità di apprezzare quanto si è ricevuto.

 

 
 
 

In marcia contro la follia della guerra

Post n°3731 pubblicato il 24 Aprile 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 17 del 24 aprile

Da Perugia ad Assisi, in marcia contro la follia della guerra

Il 24 aprile, lungo la strada tra il capoluogo umbro e la città di san Francesco, chiederemo il cessate il fuoco e il rispetto dei diritti di tutti

Ci sono momenti in cui non si può stare fermi. Davanti alla bestialità della guerra, che irrompe all’improvviso nella tua vita, devi fare qualcosa.

Sono quei momenti in cui ti senti impotente, non sai cosa fare e se trovi il modo di fare qualcosa di utile, la fai. Fosse anche un piccolo gesto, se è l’unica cosa che puoi fare, la fai. A muoverti non è il tornaconto, ma la coscienza. Sai che partecipare a una marcia della pace non basterà a fermare la guerra in Ucraina e men che meno quelle che da un tempo infinito fanno stragi in Yemen, Libia, Siria, Etiopia, Afghanistan, Palestina… Eppure ci vai. Chiami gli amici, prendi l’auto, il pullman, il treno e raggiungi Perugia. E da lì ti metti in cammino, per 24 chilometri, fino ad Assisi.

Da 60 anni la Marcia della pace Perugia-Assisi è uno straordinario movimento di persone, gruppi, associazioni, scuole ed enti locali che sentono il dovere di fare qualcosa per la pace. Anche quando, come in questi terribili giorni, lo schema della guerra fagocita ogni speranza di pace. E chi rilancia il grido di papa Francesco («Fermatevi! La guerra è una follia») finisce per essere ricoperto di insulti.

È il popolo della pace che si muove sui passi di Francesco. Anzi, dei due “Francesco”. Il Santo e il Papa. Un popolo che non si arrende al mondo dell’inevitabile, delle guerre, dei processi e delle decisioni “inevitabili”. E che sceglie di reagire alle ingiustizie e alle guerre facendo tesoro delle lezioni della storia e facendo i conti con la propria coscienza e l’etica della responsabilità.

Un’umanità che cerca di farsi storia e di costruirne una nuova fondata sui principi iscritti nella Dichiarazione universale dei diritti umani e magistralmente condensati da papa Francesco nella Fratelli tutti.

Fare la pace è difficile. E forse non è mai stato così evidente come in questi giorni. Eppure, questo è il tempo in cui siamo chiamati a fare cose difficili. Cercare di salvare le vite dei disperati che sono ancora sotto le bombe.

Far portare, insieme, in silenzio, la croce del Venerdì santo a Irina, una giovane donna ucraina, e ad Albina, una coetanea russa. Andare a Leopoli con un convoglio di 70 mezzi per esprimere vicinanza alle vittime. Manifestare a Genova contro la produzione e la vendita delle armi. Organizzare una marcia della pace mentre infuria la guerra. Parlare di pace a chi è convinto di dover fare la guerra.

Cercare la via della pace nell’escalation dello scontro. Parlare di nonviolenza, perdono e riconciliazione mentre in tanti alimentano i discorsi dell’odio, della vendetta e della guerra infinita. Educarci ed educare alla cura degli altri e del Pianeta.

«Bambini», disse un giorno Gianni Rodari, «imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».

 
 
 

Bonificare il terreno

2022, Avvenire 6 aprile

Don Ciotti: “bonificare” il terreno sociale perché non diventi campo di proliferazione per le mafie

 “Il crimine organizzato produce un danno sociale su ampia scala: genera vittime visibili ed invisibili, portatrici di una sofferenza che deve essere ascoltata e risarcita – afferma Francesco nella lettera inviata all’associazione in occasione dell’evento -, inoltre implica, per la società nel suo insieme, assumere e invertire i meccanismi – tante volte radicati nell’inconscio collettivo – che producono la sua proliferazione”.

Come globale è il danno causato dalle organizzazioni delinquenziali, vere e proprie multinazionali del crimine che strangolano istituzioni e società, il contrasto a queste ultime ha necessità di uno sguardo ampio. E di collaborazioni internazionali. In questo senso, l’Italia ha molto da offrire “a partire dalla sua esperienza, un’esperienza di dolore, ma anche di resistenza e di rinascimento”, ha aggiunto il Papa. Esempio emblematico e virtuoso è il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, strumento “di risanamento e pacificazione attraverso l’azione collettiva”.

Per questo, Libera – portatrice di esperienze e conoscenze preziose si questi temi –, da oltre otto anni, collabora con l’America Latina attraverso la Rete Alas – America Latina alternativa social e cerca, da diverso tempo, di promuovere nel Continente buone pratiche dell’antimafia. Bene restituito-Bien restituido è uno snodo centrale in questa strategia e un laboratorio per il futuro. 

“Opporsi alle mafie non significa solo lottare contro la delinquenza. Vuol dire, innanzitutto, lavorare e impegnarsi per evitare la deriva che fa precipitare la società nel crimine”, spiega don Luigi Ciotti.

Quest’ultimo punta a costruire un confronto con le istituzioni pubbliche – settore giudiziario, Procure, Parlamento, governo – che devono attuare le riforme necessarie. Ma prevede anche campagne di sensibilizzazione e la costruzione di reti con la società civile. L’obiettivo è appunto quello di dare linfa vitale il terreno sociale perché non diventi campo fertile di proliferazione per le mafie. La giustizia – come si legge nella lettera del Papa – deve ampliarsi, mettere radici e occupare lo spazio che altrimenti sarebbe “occupato dall’ingiustizia”. Anche in questo caso, il termine spagnolo impiegato dal Pontefice è più forte di quello italiano: parla di “iniquitad”, un’ingiustizia strutturale frutto di diseguaglianze economiche, politiche, sociali, culturali e che ora la pandemia rischia di rendere ancora più acute.

Nel “risanamento” e nella trasformazione della società, la Chiesa può e deve avere un ruolo cruciale, come testimonia la rilevanza data al tema da Francesco, di cui il nuovo messaggio a Libera è ulteriore conferma. “L’intervento del Santo Padre, di cui gli siamo profondamente grati, è un formidabile impulso all’azione per le istituzioni ecclesiastiche, di tutti i livelli – sottolinea don Ciotti -. Un’azione concreta che scaturisce anche da un aggiornamento e una codificazione specifica della dottrina sulla questione”.

 
 
 

Artigiani della fraternità

2022, Avvenire 6 aprile

Insieme a Maria. Essere proprio ora artigiani della fraternità e della pace

La guerra in Ucraina crea confusione anche in molti cattolici, divisi tra la difesa della giustizia – l’evidente considerazione che c’è un aggressore e un aggredito – e l’anelito alla pace, confine indispensabile per il fiorire della vita. La divisione nasce solo quando non sono chiari i fondamenti razionali, che si trovano invece realizzati compiutamente nelle parole e nei gesti del Papa, a cominciare dalla straordinaria consacrazione dei popoli russo e ucraino al Cuore Immacolato della Madonna. Innanzi tutto, occorre ricordarsi che la guerra non è mai un bene e che nasce dall’aspetto oscuro del cuore dell’uomo, che la tradizione biblica fa risalire al peccato originale.

La guerra con il suo carico di morti e orrori, che accomunano sempre aggressore e aggredito, è estranea alla natura dell’uomo che è fatta per la pace, per la crescita, per l’affermazione dell’altro. Don Giussani ricordava che l’estraneità che si è introdotta, rappresentata dal serpente nel racconto biblico, distorce i desideri dell’uomo che non riescono a rimanere nella giustizia neanche quando nascono come reazione a un’ingiustizia subita. «Non è difficile essere come loro», cantava il cantautore Claudio Chieffo, applicando il medesimo insegnamento agli orrori del nazismo nella sua canzone 'La nuova Auschwitz'. Per questa debolezza originaria l’urlo di pace, quel «Fermatevi!» pronunciato da papa Francesco in piazza S. Pietro, non è un richiamo per anime belle, ma una considerazione realistica sulla condizione umana.

La medesima considerazione sta alla base del richiamo del Papa sull’aumento delle spese militari generato da questa crisi. Francesco osserva che l’accrescersi mondiale degli strumenti di morte non può che favorire il potenziale distruttivo che l’uomo ha sempre dentro di sé per quella ferita originaria. Si lascerà allora trionfare l’ingiustizia, rimanere indifeso il diritto internazionale che pur permette la pace, accettare l’oppressione della libertà dei singoli e dei popoli? No, uno sguardo realistico sa che tutti gli uomini sono accomunati dall’oscura possibilità di male, ma ciò non significa che le scelte politiche siano tutte equivalenti.

La dottrina sociale della Chiesa ha da sempre al suo centro il valore della persona e la libertà, intesa come adesione al bene e ai beni della vita, che sono segni del grande bene del disegno di Dio. Per questo la Chiesa comprende e accetta il diritto all’autodifesa dall’ingiustizia, fino a quando essa non crei un male maggiore di ciò che si trova a contrastare. Pertanto, occorre vigilare affinché la giusta difesa non generi un male maggiore e un equivalente desiderio di annientamento del nemico, persino con armi atomiche.

È un equilibrio di giudizio e di azione a cui siamo tutti chiamati e che, proprio per la fragilità originaria, è molto difficile da sostenere. Qui sta il valore immenso e realistico della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dei popoli russo e ucraino. Esso ricorda che le vittime delle guerre sono spesso degli innocenti e che, come siamo accomunati tutti nel medesimo peccato originale, siamo anche resi tutti fratelli e sorelle dalla redenzione che Dio ha operato incarnandosi in Maria.

A Lei, divenuta madre di tutti sotto la croce, affidiamo la domanda del miracolo della giustizia e della pace, consapevoli che senza l’opera redentrice di Cristo il desiderio dell’uomo tende sempre a diventare violento, sacrificando la libertà o la pace di esseri umani innocenti, e il perdono diventa impossibile. Così, insieme a Maria, potremo diventare «artigiani di fraternità, potremo ritessere i fili di un mondo lacerato da guerre e violenze», come ricordava il Papa nell’Angelus del 1 gennaio 2022.

Ci sono già tante testimonianze di questa misericordia che avanza, come quella della profuga ucraina Kristina che dice che «se sono cristiana, devo scoprire in me questo amore, questo perdono. Perché se odio, io perdo questa guerra». O quella della poetessa russa Olga Sedakova che vorrebbe «chiedere perdono a quelli che vengono bombardati, cacciati dalle loro case e dai loro luoghi natali, a quanti vengono diffamati e calunniati a morte. Chiedere perdono per quello che è impossibile perdonare». Così, oltre a fare tutto il possibile per un’accoglienza diffusa dei profughi che hanno perduto casa e affetti, ci dedichiamo con speranza a implorare un cambiamento dei cuori di coloro che possono arrivare a negoziare la pace. Del resto, la consacrazione al cuore di Maria, finiva dicendo, con Dante, «tu se’ di speranza fontana vivace». - Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto

 
 
 

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