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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Giugno 2022

Sotto una montagna di libri

Post n°3750 pubblicato il 29 Giugno 2022 da namy0000
 

2022, Giangiacomo Schiavi, Scarp de’ tenis, Maggio

UCRAINA. LA GUERRA SI SEPPELLISCE SOTTO UNA MONTAGNA DI LIBRI

Questa è una dedica. Al coraggio di seppellire l’idea della guerra con l’unico strumento che abbiamo per evitarla: la cultura. È anche un omaggio. A un artista e alla sua compagna che per tre giorni a Milano, davanti a Palazzo Reale, hanno coperto un carro armato con una montagna di libri. Libri bianchi. Quelli che Lorenzo e Simona P., marito e moglie, scolpiscono con il cuore creando suggestioni che fanno pensare.

Non c’è solo papa Francesco a inorridire al pensiero dei morti in Ucraina, ai bambini devastati dalle bombe definite impropriamente intelligenti, alle donne violentate dai miliziani russi, all’esercito dei profughi che hanno perso tutto: ci sono milioni di persone che pensavano di non rivivere l’incubo antico delle invasioni, il new medioevo della sopraffazione, la violenza di uomini su altri uomini. Per dare un’immagine alle tante voci che urlano nel vuoto la parola pace, i due artisti hanno creato, a pochi passi dal Duomo, un’installazione da Biennale, simbolica e quasi metafisica: una montagna di libri che si sovrappone al carro armato, lo avvolge e lo seppellisce, elimina la sua bocca di fuoco, lo trasfigura in un monumento interamente bianco, il colore della pulizia, della luce che contrasta il buio dei giorni che la civiltà dell’Occidente sta vivendo.

Lorenzo P. dice che l’idea gli è venuta per dare una scossa contro l’assuefazione alla guerra e alla negatività che hanno drammaticamente preso il sopravvento in una parte del mondo. È difficile sfuggire al senso di sconfitta della ragione per quel che accade a Kiev, Mariupol o Bucha, ma bisogna provarci. Lui ha pensato di farlo con i libri. Da anni sono la sua compagnia di canto, il suo spartito. «La mia vita è cambiata attraverso i libri», racconta. Li amava e li cercava fin da bambino, ma in casa sua non ce n’erano. Nelle case dei poveri c’è sempre dell’altro a cui pensare. Il padre di Lorenzo è morto quando lui aveva 13 anni. Studiare diventa un lusso proibito quando si deve lavorare. Per fortuna ci sono le scuole serali. E per fortuna a Milano, negli anni Sessanta, ci sono i corsi dell’Umanitaria. Lorenzo frequenta la Scuola del libro, diretta da Abe Steiner. Impara la grafica, la rilegatura, l’inchiostratura, le regole della stampa. Studia con i maestri. «È stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita, mi ha trasmesso amore ed entusiasmo per il libro, come oggetto e come strumento di conoscenza e di avanzamento sociale». Diventa un bravo grafico, poi un art director di successo. Va in America, New York: lavora nell’editoria e per il cinema. Infine, a inizio Duemila, realizza un sogno: inventa, con la moglie Simona, i libri bianchi. È la svolta della vita. «Se fossi un libro, vorrei essere un libro bianco», dice. E lo spiega con tenerezza. «Il bianco è il colore essenziale, il colore della verità e della sincerità. Con il bianco non puoi barare, ti riporta all’essenza, al Piccolo Principe che dice “l’essenziale è invisibile agli occhi…”». Uno così, che crede nei sogni e lavora con la purezza, non poteva restare in silenzio davanti ai massacri del Donbass: la cultura deve seppellire l’idea della guerra. Il 25 aprile 2022 Lorenzo e Simona P. hanno messo nei libri bianchi, con la speranza, il loro e il nostro mondo: che non va sporcato, merita di essere amato.

 
 
 

Correzione

Post n°3749 pubblicato il 27 Giugno 2022 da namy0000
 

Correzione

Il discepolo di abba Stefano si avvicinò al suo abba per sussurrare: “Hai fatto un’osservazione a mio fratello, abba. Sai che si è sentito offeso?”. E l’abba: “Pensi allora che la mia osservazione sia stata sbagliata?”. “No, ma non dovevi fargliela”, rispose il giovane. Allora l’abba, senza dubitare: “Se si è sentito offeso significa che ha bisogno di un’altra correzione ancora più forte della prima. Egli rischia di rimanere nell’errore, per ambizione o orgoglio. Quando tu riceverai un’osservazione, prima di tutto ringrazia e benedici: la correzione è segno che Dio ti ama e ti considera amico”. Il discepolo ascoltava seriamente, e allora l’abba continuò: “per vivere la vita santa che Gesù ci offre è necessario arrivare all’umiltà passando attraverso la porta delle umiliazioni. Anche Gesù vi è passato, non perché lui ne avesse avuto bisogno, ma perché noi potessimo imparare da lui, unico Maestro”. Il discepolo, timidamente. Disse: “Abba, quando il Signore te lo suggerisce, umiliami, per favore. Ti ringrazio se lo farai”

 
 
 

Disobbediente a ordini ingiusti

2022, Scarp de’ tenis, Aprile

Katarzyna (Kasia) Wappa: disobbediente a ordini ingiusti. Ha salvato decine di profughi

Attivista. «Siamo diventati attivisti perché non avevamo scelta. Dovevamo scegliere se aiutare le persone o lasciarle morire», ha spiegato in un’intervista.

Polacca, con radici familiari bielorusse, insegnante di inglese e traduttrice, vive da sempre nella quieta cittadina di Hajnowieza, a poca distanza da Bialowieza, l’ultima delle primitive foreste d’Europa, a ridosso del confine tra Polonia e Bielorussia.

Su quel confine, nell’estate del 2021, hanno cominciato ad ammassarsi migliaia di migranti, venuti dai paesi più poveri del mondo con la speranza di entrare in Europa grazie ai visti bielorussi messi in vendita per ordine del dittatore Aleksandr Lukashenko. Illusi dalla propaganda del regime bielorusso, uomini, donne, bambini si sono ritrovati nella foresta, fra paludi, insidiosi corsi d’acqua, boschi talmente fitti da rivelarsi una trappola mortale. Il governo polacco ha reagito gridando all’invasione e militarizzando la frontiera, costruendo una barriera di filo spinato e vietando alla popolazione di dare aiuto ai migranti.

Kasia Wappa ha disobbedito. Si è unita ai militanti dell’ong Grupa Granica, il Gruppo della Frontiera. È andata nei boschi cercando i bambini che si erano persi, le famiglie che vagabondavano smarrite, senza cibo da giorni; ha soccorso le persone che avevano bevuto per disperazione l’acqua delle paludi e si erano ammalate. «Ciò che ci ha dato il coraggio di dare una mano – ha spiegato – è stato il fatto che nella foresta non abbiamo incontrato statistiche, titoli di giornale o questioni politiche: abbiamo solo visto esseri umani, con evidenti segni di fatica, di sofferenza, di fame, di disidratazione. Parlavano una lingua che tutto il mondo capisce: la lingua universale della richiesta d’aiuto».

Nel febbraio scorso, ascoltata in videoconferenza dal comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati, Wappa ha raccontato dei cadaveri raccolti nella foresta di migranti dallo Yemen, dal Camerun, dall’Iraq che avevano avuto le dita dei piedi amputate per aver camminato a piedi nudi nei boschi. Ha raccontato di una donna curda, fuggita con il marito e cinque bambini, che i soccorritori avevano trovato in fin di vita, devastata dalla setticemia, dopo che il suo bambino le era morto nel grembo.

In quell’audizione, con voce piana, serena, Kasia Wappa ha riferito le minacce, gli insulti, le parole di scherno che le sono state rivolte per mesi: le pistole dei militari puntate alla testa, gli inseguimenti notturni, l’accusa di essere una spia di Lukashenko, le perquisizioni a casa. Nulla di tutto questo l’ha convinta a desistere. Commentando la tragedia della foresta ha detto: «È come una guerra senza la guerra».

Poi la guerra è arrivata davvero. Sulla Polonia si è riversata un’ondata di profughi dall’Ucraina invasa: sono stati accolti con generosità.

Dei migranti nella foresta si è smesso di parlare, e si è smesso di contare i loro morti. Ma le tragedie della storia non si cancellano l’una con l’altra, voltando pagina.

Per questo non bisogna dimenticare il nome di Kasia Wappa, disobbediente a ordini ingiusti.

 
 
 

Sporcarsi le mani

Sporcarsi le mani, andare contro, esporsi. L’eredità di Pierpaolo Pasolini (Giorgio Terruzzi, Scarp de’ tenis, Aprile 2022)

Si chiamava Pierpaolo Pasolini. Nato nel centro di Bologna, a due passi dalla Basilica di Santo Stefano, il 5 marzo 1922, morto ammazzato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975.

L’anniversario porta a lui, una volta di più. Alla sua opera, monumentale, perché stiamo parlando di un poeta, di un saggista, di un reporter, di uno scrittore, di un insegnante, di un regista instancabile.

Di Pasolini è stato detto molto, moltissimo, da persone che l’hanno conosciuto, l’hanno frequentato, hanno studiato e analizzato i testi, gli snodi di una vita colma di approfondimenti e studi, cambi di passo. Curiosità e interiorità. Così, dovendo ricordarlo qui, preferisco pensare alla sua anima sensibile, dotata però di un rarissimo coraggio, di quella indipendenza che viene dall’intelletto, una sorta di libertà del pensiero che ha amplificato, nel tempo, l’autorevolezza.

Noi, che negli anni Settanta eravamo studenti agguerriti e spaventati nel contempo, Pasolini dovevamo rincorrerlo in qualche modo e in permanenza, consapevoli di avere a che fare con un intellettuale lucidissimo, preso dalle contraddizioni fornite da un ideale comunista impregnato di cultura cattolica. Aspirazioni sincere e sensi di colpa, un’attenzione verso gli ultimi non sempre declinata sul fronte della politica. Ciò che portava molti di noi ad oscillare, a commettere errori, a misurare, in definitiva, una sorta di doloroso fallimento. Mentre lui, era già morto, dopo aver volato più alto, individuando precocemente le tracce forti e per certi versi penose della borghesia dentro la protesta, svelando retoriche e conformismi dentro la sinistra. Qualcosa che avremmo compreso nel tempo e in ritardo, senza riuscire davvero a cogliere un insegnamento. Parlava di volontà intima e identificazione con il diverso, dell’umiltà intellettuale, appunto, che porta a perseguire una direzione “ostinata e contraria”.

Mentre preparavo questa nota per Scarp mi sono reso conto di quanto autentica fosse la sua modernità. Un uomo scandaloso al punto da generare una sorta di disorientamento perbenista, allora, focalizzato sulla sua omosessualità e su quella parte autodistruttiva che lo accompagnò sino ad una morte a sua volta scabrosa e misteriosa. Ma oggi, proprio ora, mentre abbiamo a che fare con gli esisti macroscopici del conformismo messo a fuoco così precocemente da Pasolini, i suoi testi, i suoi saggi, i suoi film assumono un’attualità formidabile. Circondati come siamo da intellettuali collusi, molle il ventre, in un’apparenza di integrità. La sinistra come una bandiera sventolata da poltrone sempre un po’ troppo comode, il “grande giornalista” che si accomoda in una ricerca di consenso e lì si ferma, in una rete di gratificazioni simile a un sedativo.

Sporcarsi le mani, andare “contro”, esporsi. La strada tracciata da Pasolini è invisibile, mimetizzata, colma di erbacce. L’applicazione dello studio alla dialettica, una rarità da tenere ai margini. Siamo qui, imbarazzati, imbolsiti ma capacissimi di farci accogliere, scambiando buonismo per progressismo, facendo bene attenzione ad uscire da un confort talmente radicato da non generare alcuna contestazione. Bon ton, maledizione. E che nessuno alzi la voce, per carità, alla faccia di urgenze assolute. Era scarno, segnato il volto di Pasolini. Il nostro molto meno. Anche se siamo morti, più morti di lui.

 
 
 

Il pianista di Medyka

Post n°3746 pubblicato il 18 Giugno 2022 da namy0000
 

UCRAINA, Il pianista di Medyka suona Yesterday (Paolo Lambruschi, giornalista, Scarp de’ tenis, Aprile 2022) (Storie della guerra vista da altri punti di vista)

C’è un pianoforte appena varcato il cancello verde che separa il posto di frontiera polacco di Medyka dall’Ucraina. È un pianista che suona Yesterday per accogliere mestamente i profughi. Si passa solo a piedi, un flusso ininterrotto di donne di tutte le età e di bambini, perché i maschi ucraini maggiorenni fino a 60 anni non possono lasciare il Paese. Alle spalle si sono lasciati tutto e si sono consumate separazioni dolorose tra famiglie, sperando che siano temporanee.

Dopo il cancello, si cammina su una stradina stretta dove ong e associazioni offrono ristoro prima di mettersi in fila e venire trasportati in un centro di accoglienza e di smistamento. In molti casi vengono a prenderli amici e parenti dalla Polonia o da altri paesi dell’Unione. E appena a sinistra, sotto la tenda della missione evangelica, c’è il vecchio piano a coda nero con il simbolo universale della pace di Holtom disegnato sul coperchio. Perché Yesterday, canzone di un amore perduto, scritta quasi 60 anni fa? Il testo non parla solo di un amore finito. Pensate al verso più famoso: I believe in yesterday. Ora pensate a quello che avete. Poi pensate che all’improvviso tutto ciò non esista più: la casa, la famiglia, il lavoro, gli amici, gli impegni quotidiani. Tutto ciò che diamo per scontato, cancellato da una guerra improvvisa che sembrava impossibile nel 2022. Yesterday è la canzone del tempo perduto, delle gioie date per scontate. Ma non lo erano. Certo non sono invisibili i profughi ucraini, per fortuna nella tragedia l’Ue e gli europei stanno offrendo una risposta inaspettata di solidarietà. Fino a pochi mesi fa la stessa Polonia, l’Ungheria, i paesi dell’Est sembravano sul punto di uscire dall’Unione della quale non condividevano i valori fondanti. Primi fra tutti la solidarietà e l’accoglienza dei rifugiati. Oggi, la guerra alle porte di casa, ha almeno ricordato agli europei quello che ciascun paese ha sofferto nel secolo scorso, mentre ai paesi orientali con tendenze autocratiche ha ricordato probabilmente il valore della democrazia. Yesterday ci fa pensare che l’accoglienza data giustamente agli ucraini stride con l’accoglienza negata alle vittime di altre guerre lontane dimenticate, nascoste o ignorate. Il conflitto in Siria, quello in Etiopia o nello Yemen, la guerra contro i curdi nei quattro Stati mediorientali dove vivono o il terrorismo islamico nel Sahel hanno provocato decine di migliaia di morti mai filmati o raccontati. E gli effetti di quelle guerre, ovvero gli assedi con blocco di aiuti umanitari, la distruzione di strutture sanitarie e scuole, la carestia hanno cancellato intere generazioni che non hanno mai vissuto un tempo felice e spensierato. Sono profughi, rifugiati in fuga da guerre come quella che abbiamo visto in diretta alle porte di casa. Li ritroviamo sulle rotte desertiche del Sudan e del Sahel, in viaggio verso la Libia e la Tunisia, nelle mani dei trafficanti pagati migliaia di dollari. Gli stessi che, indossata la divisa di poliziotto, prendono i soldi dall’Ue per rinchiuderli nelle galere libiche chiedendo ulteriori riscatti alle famiglie. Li ritroviamo sulla rotta balcanica a sfuggire alle guardie croate o nella lunga foresta tra Bielorussia e Polonia, dove le guardie non sono così accoglienti con chi ha tratti mediorientali. E sulle strade verso Oulx e Ventimiglia, dove cercano di aggirare i doganieri francesi. La guerra ci chiede di aprire gli occhi e trattare tutti allo stesso modo. E se qualcuno ripete il nuovo slogan per cui africani, asiatici e mediorientali non sono profughi perché non fuggono da guerre vere, è giusto che tre cose si sappiano. La prima è che nell’Ue, i cui valori di libertà sentiamo minacciati apertamente, una persona ha diritto di essere salvata se in pericolo e di chiedere asilo, e la domanda va valutata da giudici ed esperti indipendenti, non da politici. La seconda è che questi politici, anche nostrani, sono in genere amici di Vladimir Putin, che non hanno mai ascoltato davvero Yesterday.

 
 
 

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