Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 09/02/2022

Partire da sé stessi

Post n°3706 pubblicato il 09 Febbraio 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 6 del 6 febbraio

RAPINAVO BANCHE, OGGI FACCIO L’EDUCATORE

Finché metti “soltanto” la colla sui capelli di un compagno di classe sei “solo” un bullo, quando cominci con le rapine e ne fai più di una per la legge diventi un «rapinatore seriale». L’orlo del precipizio sta tra un padre che mostra scarsa fiducia nelle tue capacità e la gerarchia di un quartiere difficile in cui conta chi ostenta potere e scarpe firmate. Pensare che procurarsele con la forza, incoraggiato da uno più “scafato”, sia la soluzione è un attimo. Non tutti i bulli finiscono prima al Beccaria, poi a San Vittore, ma può accadere. A Daniel Z. è accaduto. Non sempre si risale. A Daniel è accaduto. Si è laureato in Scienze dell’educazione e racconta nelle scuole la sua storia, affidata al libro di Andrea Franzoso Ero un bullo (De Agostini), sperando che aiuti altri a fermarsi prima.

«Ho toccato il fondo in isolamento a San Vittore», spiega oggi Daniel, educatore nei Servizi sociali del Comune di Milano: «Una frase di Aristotele rende l’idea: “Chi pensa di entrare nella città facendo a meno degli altri o è bestia o è Dio”. Mi sono sentito bestia, perso. Ho iniziato a leggere, poco convinto, su suggerimento di un vicino di cella, per evadere dalla noia, in biblioteca mi son trovato a cercare nelle vite degli altri risposte al senso della mia. Nei libri ho trovato le parole per dare voce al mio dolore».

Chissà quanti adulti gli avranno suggerito di leggere e studiare, invano fin lì: «Un’infinità», ammette Daniel, «anche persone capacissime. La verità è che io non ero pronto». Poi è scattato qualcosa che Fiorella T., volontaria a San Vittore e del Centro Portofranco, racconta con un aneddoto: «Ero andata a trovarlo dopo che aveva cambiato sezione. Alludendo al cineforum, cui mi occupavo, mi chiese: “Fai sempre vedere quei tuoi film noiosi?”». Replicai: “Perché non mi hai detto che li trovavi noiosi?”. “Perché vedevo come li guardavi tu e mi sforzavo di capire che cosa ci fosse di importante”. Da lì, l’ho convinto a riprendere gli studi interrotti e arrivare alla maturità, trovando in lui un caso anomalo, tanta era la sua sete di sapere. Ecco che cosa voleva dire Daniel con “essere pronto”: «Gli incontri sono decisivi, ma non ti salvano se non fai la tua parte».

Curiosamente, sono quasi le stesse parole che usa la dottoressa Annamaria F., allora pubblico ministero del Tribunale per i minorenni di Milano, che per Daniel è stata controparte nella dialettica processuale: «Rappresentavo l’accusa, sapevo che era intelligente, che poteva farcela, non per questo sono stata “buona” con lui, nel senso di chiedere una sanzione più mite: definirei la giustizia per minorenni “trasformativa”, perché può aiutare a cambiare. Ho insegnato per anni, prima: so che nel processo educativo serve rigore, che non significa severità, ma ribadire il rapporto di causa-effetto tra azioni e conseguenze: si deve percepire che non si scappa. L’assunzione della responsabilità è la più efficace arma di difesa: se ti difendi incolpando gli altri o la società, non arrivi a capire che si cambia a partire da sé stessi».

Il percorso è tosto, mai lineare. don Claudio B., anima della Comunità Kayros e cappellano del Beccaria, lo sa: «Non ho mai perso la fiducia in Daniel, non l’ho mai abbandonato, ma nel periodo di isolamento in carcere gli ho fatto sentire la distanza». A chi gli chiede come si intervenga ai primi segnali risponde: «Agli adulti che affrontano i bulli ripeto di non rimuovere l’esperienza della sofferenza dalle vite dei ragazzi, non li aiuta a crescere. Chi educa deve saper aspettare, anche a costo di soffrire lui per far sperimentare un po’ di frustrazione. Il bullo va disinnescato con l’autorevolezza: se come adulti usiamo la violenza, anche solo verbale, otteniamo l’effetto opposto. Serve pazienza, non nel senso di accettare tutto, ma di mettere in conto che si devono investire anni, con ricadute nel conto».

Anche Daniel sa di non essere arrivato: «A 29 anni, anche come educatore ho ancora tanta strada da fare, mi riconosco solo un piccolo valore aggiunto: il mio passato mi dà un po’ di intuito e di empatia in più con i ragazzi difficili. Sono fiero di come sono più che della mia laurea. So che nella vita farò ancora errori, escludo però di tornare a commettere reati». Che non lo dica per posa lo si è capito da come ha risposto al primo messaggio di una sconosciuta: «Macché dottore, io sono uno scappato di casa».

 
 
 

M Il figlio del secolo

Post n°3705 pubblicato il 09 Febbraio 2022 da namy0000
 

2022, HuffPost 8 febbraioPotente e avvincente "M Il figlio del secolo", con Popolizio mattatore

Diario di uno spettatore. 

Diario di un paradosso, di una scissione interiore e professionale, di una strana coincidenza temporale. Mentre una maggioranza mai vista così da 30 anni aderiva entusiasta, giovani in testa, alla settimana santa della distrazione di massa (dal Covid, dalla crisi della politica, dal caro bollette, dalla solitudine...) che in Italia si chiama Sanremo, una minoranza forte e convinta sceglieva invece il teatro civile, impegnato, che affronta la storia e vuole farne memoria.

 

M Il figlio del secolo, ambizioso, potente affresco-spettacolo di Massimo Popolizio dai libri di Antonio Scurati, ha orgogliosamente debuttato al Teatro Strehler di Milano proprio la prima sera del festival e vi rimarrà coi suoi consolanti tutto esaurito fino al 26. Ben diciotto agli attori coinvolti per raccontare in trenta quadri l’ascesa di Benito Mussolini, cominciando dalla fondazione dei fasci di combattimento e dalla bruciante sconfitta del 1919. Sconfitta che grazie alla violenza squadrista (colpisce nel programma di sala il dato storico che gli eccidi italiani ammontarono a quattro volte quelli dell’analoga ascesa hitleriana in Germania) e agli errori degli avversari, si tramuterà in consenso crescente, passando per la Marcia su Roma fino al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925. È quello dell’assunzione pubblica di responsabilità di Mussolini per il delitto Matteotti e del consapevole affermarsi della dittatura, episodio che nello spettacolo, grazie anche alla straordinaria interpretazione del deputato socialista di Raffaele Esposito, si ritaglia un peso importante. Popolizio attore invece, qui ormai anche in veste di grande direttore d’orchestra, prende per sé l’aspetto più teatrale e grottesco del dittatore, lasciando a Tommaso Ragno il racconto della sua vicenda politica ed esistenziale. L’adattamento teatrale del testo di Scurati, realizzato sempre da Popolizio con la collaborazione di Lorenzo Pavolini, ha un andamento circolare, parte dall’ultima battuta del libro per poi tornare alla fatidica frase pronunciata nel 1925 in Parlamento da Mussolini al momento di “addossarsi la croce del potere”: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io ne sono il capo”.

 

"È una staffetta tra diciotto attori (val la pena citarli tutti in ordine alfabetico: Riccardo Bocci, Gabriele Brunelli, Tommaso Cardarelli, Michele Dell’Utri, Giulia Heatfield Di Renzi, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Diana Manea, Paolo Musio, Michele Nani, Alberto Onofrietti, Francesca Osso, Antonio Perretta, Sandra Toffolatti, Beatrice Verzotti) – spiega l’attore regista – che, lontano da ogni retorica, porta all’attenzione del pubblico il ritmo incalzante di una scalata al potere, avvenuta in un momento di profonda debolezza di istituzioni e partiti". Ed ecco il nesso stupefacente e inquietante dello spettacolo - che sentiamo tutti, spettatori e teatranti - con le stagioni vissute da cittadini in questi trent’anni di sventata delegittimazione della politica e della democrazia. È una storia, un passato, quello di M, che non si conosce mai abbastanza, in particolare i sei anni orribili che seguono la fine della Prima Guerra Mondiale, con l’impresa dannunziana di Fiume, la paura di una imminente rivoluzione socialista e il dilagare di una violenza trasversale, giovanile e non, appresa giorno dopo giorno da una generazione nelle trincee della Grande Guerra. Nello spettacolo ci sono tutti: Mussolini, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, Nicola Bombacci, Pietro Nenni, Giacomo Matteotti e la moglie Velia, Italo Balbo, oltre a tante storie inventate con grande efficacia per dare “carne” allo spettacolo: un popolo confuso che poco alla volta si ritrova ostaggio del proprio consenso all’”uomo della Provvidenza”. Quanto è facile riconoscere, nelle immagini di massa Luce di quegli uomini, donne, adolescenti e bambini inneggianti, i nostri padri, madri, nonni, zii e zie educati a quell’insano entusiasmo di regime. E quanto è struggente sentirlo risuonare oggi, oggi che nuovi populismi sono invocati un po’ dappertutto.

 

180 minuti di storia e di storie avvincenti, di esame di coscienza collettivo: affascinanti e tesi, fragorosi e sottili, resi clowneschi dalle travolgenti entrate in scena del mattatore Popolizio: mascherato, sospeso su un trapezio, “dancer” in ghette, bombetta e bastone, di espressionistica efficacia. Austere le scene di Marco Rossi, centralissimi i costumi Gianluca Sbicca, molto scandite le luci di Luigi Biondi, coinvolgenti i video di Riccardo Frati, invasivo e potente il suono di Alessandro Saviozzi.

 

Una coraggiosa, imponente produzione del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatro di Roma, Luce Cinecittà in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina. Che significa Luca Ronconi, la sua memoria e il suo sogno di un teatro ambizioso e grande, che uscisse dalla scena ed entrasse nel cuore della società e dei cittadini.

 

Questo il Teatro Pubblico, e il Piccolo Teatro in quanto capostipite, ha come compito. Eppure anche piccolo con la p minuscola è bello, e ugualmente consapevole della sua missione. Se no non si capirebbe perché un teatro fresco di nascita come l’Oscar di Milano, raccolto nella sua piccola sala circolare, si lanci con Matteotti medley, documentario teatrale a cura di e con Maurizio Donadoni, regia di Paolo Bignamini, nella stessa scommessa del cosiddetto “teatro civile”. Singolare che scene e costumi, poveri ma belli, siano creazione di gruppo di allievi della scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera: Eleonora Battisti, Gaia Bozzi, Hefrem Gioia, Martina Maria Pisoni, Giada Ratti, Valentina Silva, Alessia Soressi coordinati dal loro docente e mentore Edoardo Sanchi. E che la Produzione Desidera–Teatro degli Incamminati si sia avventurata con questa proposta sullo stesso “mood “di racconto del Piccolo Teatro. Ma il Matteotti di Maurizio Donadoni, grande interprete anche lui, è come più raccolto e personale, una sorta di monologo interiore che affronta le tempeste della storia quasi controvoglia, spinto dalla coscienza di “tradire” la classe proprietaria di provenienza perché colpito dall’ingiustizia verso gli ultimi. E quando nel finale Donadoni si commuove semplicemente segnalando agli spettatori le lettere fra Giacomo e la moglie Velia, documento di storia civile e insieme di un grande amore, a parlare è quasi di un martire riluttante, un martire che solo la violenza cieca degli avversari ha trasformato in eroe.

 

Le parole di Giacomo Matteotti poco più che ventenne lo provano: “Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”. Il 10 giugno del 1924, a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, Matteotti viene rapito e ucciso da un gruppo di “arditi” del fascio milanese, la cosiddetta “Ceka fascista”, organismo voluto da Mussolini per mettere a tacere segretamente gli oppositori. Oggi, racconta Donadoni nello spettacolo, una via, un corso, una piazza Giacomo Matteotti esistono in molte città italiane. Se però ci viene chiesto a bruciapelo chi era Matteotti, pochi tra noi saprebbero andare oltre un generico: “ deputato socialista ucciso dai fascisti nel...e lì la memoria si è già impantanata. Che se ne sappia così poco, dell’implacabile oppositore alle menzogne del fascismo nelle aule del Parlamento, è un peccato. Per qualche mese, in seguito a quel delitto, il fascismo sembrò di stare per cadere. L’occasione fu persa dalle opposizioni, che con la scelta del cosiddetto Aventino lasciarono il campo a Mussolini e gli permisero di trasformare la crisi in occasione per rafforzare definitivamente il suo regime. “Matteotti medley” ripercorre questa storia alternando il racconto dei fatti nudi e (talvolta) crudi, a citazioni da musiche popolari dell’epoca che vedono Donadoni, accompagnato dall’evocativa fisarmonica di Stefano Indino, farsi interprete trasognato di molti repertori del tempo: dalle marcette squadriste agli stornelli contro il Negus, dalle musiche da ballo alle canzoni d’amore diffuse dalla radio, ai rifacimenti in chiave politica di molti inni del tempo. Uno spettacolo importante, quasi “portatile”, che replica dopo replica crescerà.

Un po’ la sorte che è toccata in questi dieci anni a Se dicessimo la verità, l’opera-dibattito sulla legalità di Giulia Minoli ed Emanuela Giordano, arrivata al suo ultimo capitolo, che ha attraversato l’Italia fra teatri, scuole, università e luoghi pubblici i più diversi, semplicemente offrendo storie vere di resistenza e lotta alla criminalità organizzata in collaborazione con le associazioni della società civile sul territorio.

A Milano è in qualche modo simbolico vederla tornare in scena (fino al 13 febbraio) nella storica sala di via Rovello, oggi Teatro Paolo Grassi, dove è nato il Piccolo. Ma va ricordato che ha mosso i primi passi nel 2011 nella nobile magnificenza del Teatro di San Carlo di Napoli, approdando solo nel 2017 al Piccolo e alla collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e in particolare con il Corso di Sociologia della Criminalità organizzata di Nando dalla Chiesa. Spiegano le autrici che “dopo tante storie raccontate, la forma scenica si è modificata grazie a una narrazione segnata dal bisogno di capire il nostro prossimo futuro, minacciato da un disimpegno che lascia ancora più spazio al potere criminale, alla “prassi” della corruzione come modus vivendi. Purtroppo, non possiamo più parlare solo di “infiltrazioni del crimine” – aggiungono – ma di “complicità con il crimine”, di “prassi criminale” a cui ci stiamo abituando, con distratta colpevolezza. Il teatro non dà lezioni di vita e non ci offre soluzioni a buon mercato, offre stimoli e opportunità di conoscere e di riflettere, questo noi cerchiamo di fare, con convinzione, pensando soprattutto ai ragazzi. E proprio ai ragazzi ci rivolgiamo con un lavoro che, parallelamente, realizziamo nelle scuole di tutta Italia; perché lo spettacolo non sia solo un’occasione isolata ma parte di un percorso di avvicinamento a temi fondamentali per la loro crescita». Infatti lo spettacolo di volta in volta si arricchisce di storie riguardanti la regione in cui è presentato.

Un’ora agile di racconto, quattro giovani attori preparati ed efficaci (Daria D’Aloia, Giuseppe Gaudino, Domenico Macrì, Valentina Minzoni) alternati a dei brevi contrappunti musicali firmati da Tommaso Di Giulio con Leonardo Ceccarelli alla chitarra e Paolo Volpini alla batteria. Ma la produzione Piccolo Teatro di Milano–Teatro d’Europa e Centro Teatrale Bresciano si vede anche nell’eleganza asciutta della proposta, da non confondere con tanta generosa “animazione” di buona volontà su questi temi. Qui c’è una drammaturgia solida, che arriva a tutti e coinvolge, che sceglie l’oggettività tagliente delle storie al posto della retorica, la razionalità invece dell’emotività. Un teatro civile esemplare, che informa e forma, in cui la professionalità del tutto è il passe-partout adeguato per comunicare temi complessi e drammatici. Istruzioni per l’uso: “Se dicessimo la verita’ – Ultimo capitolo” è parte integrante de “Il Palcoscenico della legalità”, un progetto di CCO - Crisi Come Opportunità promosso con CROSS - Osservatorio sulla Criminalità Organizzata, LARCO- Laboratorio Analisi e ricerca sulla criminalità organizzata - Università degli studi di Torino, Fondazione Pol.i.s, Fondazione Falcone, Centro Studi Paolo Borsellino, Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, Fondazione Silvia Ruotolo, AddioPizzo, DaSud, Italiachecambia.org, Fondazione Giancarlo Siani Onlus. In collaborazione con Università di Pisa - Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, Università di Bologna – Master Gestione e Riutilizzo di Beni e Aziende confiscati alle mafie. L’età consigliata per lo spettacolo è dai 12 anni in su, per avere una buona comprensione dei temi affrontati. Le autrici la sentono forse implicita e un po’ intimorente, ma noi la parola “educazione”, a proposito di questo spettacolo, la usiamo senza vergogna: da dieci anni “Se dicessimo la verità” fa educazione nel Paese. E in un Paese dove ce n’è davvero un grande bisogno.

 
 
 

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Febbraio 2022 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28            
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

ULTIME VISITE AL BLOG

namy0000monellaccio19cassetta2lcacremaprefazione09annamatrigianonoctis_imagoacer.250karen_71m12ps12Penna_Magicanonnoinpensione0donmarco.baroncinilisa.dagli_occhi_bluoranginella
 

ULTIMI COMMENTI

Grazie per aver condiviso questa esperienza così intensa e...
Inviato da: Penna_Magica
il 08/02/2024 alle 11:19
 
RIP
Inviato da: cassetta2
il 27/12/2023 alle 17:41
 
Siete pronti ad ascoltare il 26 settembre le dichiarazioni...
Inviato da: cassetta2
il 11/09/2022 alle 12:06
 
C'è chi per stare bene ha bisogno che stiano bene...
Inviato da: cassetta2
il 31/08/2022 alle 18:17
 
Ottimo articolo da leggere sul divano sorseggiando gin...
Inviato da: cassetta2
il 09/05/2022 alle 07:28
 
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963