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Messaggi del 12/04/2021

Covid-19 Preti in prima linea

Post n°3571 pubblicato il 12 Aprile 2021 da namy0000
 

2021, FC n. 15 del 11 aprile.

Libro Covid-19: Preti in prima linea di Riccardo Benotti

Non è stato un viaggio nella morte, spiega l’autore, ma nella speranza, quella che ci hanno lasciato le opere e i ricordi buoni seminati da questi uomini di Dio

Il paradosso evangelico, nella sua brutalità, è chiaro: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto». Covid-19: Preti in prima linea (Edizioni San Paolo). È un racconto che permette di toccare con mano la veridicità di quanto afferma il Vangelo. «Sembra un viaggio in mezzo alla morte, ma restituisce tanta vita», spiega l’autore. Sì, perché i quasi 300 sacerdoti diocesani uccisi dal Covid da marzo dello scorso anno a oggi sono i testimonial più efficaci non di «una Chiesa speciale, ma di una Chiesa viva e presente in mezzo alla gente tutti i giorni e in tutti i contesti di vita», dice Benotti, il quale ha interrogato i testimoni che hanno conosciuto questi uomini di Dio, è andato a vedere le opere che hanno creato e lasciato alle generazioni successive, ha incontrato le persone che da loro hanno ricevuto quella carità che è l’unico lasciapassare per una perfetta vita cristiana.

«Scorrendo le storie di questi uomini», scrive nella presentazione del volume Gualtiero Bassetti, anche lui colpito duramente dal virus, «ho notato come tanti morti siano stati parroci o vicari per decenni nello stesso luogo, in un’esistenza segnata dalla “normalità” del sacerdozio. Che dolore per quelli venuti a mancare in Rsa o per complicazioni di malattie già in atto! Che testimonianza in chi è morto per restare accanto al popolo, accanto agli ultimi, come don Fausto Resmini, cappellano nel carcere di Bergamo».

«Molti di questi preti erano ancora attivi. Altri, pur avendo più di 75 anni, lo erano rimasti come assistenti nelle parrocchie o nelle opere di carità», racconta Benotti, «tutti, pur sapendo il rischio che correvano, sono rimasti al loro posto. Sono i santi della porta accanto evocati da papa Francesco. Non di rado i media accendono i riflettori sulla Chiesa quando accadono scandali, da quelli economici agli abusi sessuali, ma sono molto più restii a raccontare questa Chiesa, popolata da uomini rimasti fedeli al proprio ministero e nel servizio alla gente».

«Nel libro spendersi quotidiano», scrive nella prefazione del libro Angelo De Donatis «essi hanno dimostrato di essere “pastori con l’odore delle pecore”, vivendo il loro servizio in mezzo al popolo di Dio loro affidato. Il loro ministero, vissuto con fedeltà, l’umiltà e la semplicità di chi lavora senza pretese nella Vigna del Signore, è motivo di vera edificazione non solo per la comunità ecclesiale, ma per tutti i loro concittadini». De Donatis è stato colpito dal virus e ha vissuto, malato tra i malati, questa terribile esperienza: «Durante il ricovero presso il Policlinico Gemelli di Roma, dopo aver contratto anch’io il Covid-19, ho sentito un forte senso di vicinanza spirituale e di compassione verso tutti coloro che stavano vivendo la malattia».

La contabilità di Benotti si ferma al 30 novembre 2020 con 206 sacerdoti morti e 64 diocesi (su 225) colpite. Purtroppo il numero delle vittime è ancora più alto perché il virus ha continuato a uccidere. «Quello che colpisce», sottolinea l’autore, «è che molti di questi sacerdoti sono stati parroci nella stessa comunità per tutta la loro vita».

Le storie sono tante. ….. La grandezza di questi sacerdoti, dice fratel Carlo M., religioso camilliano «non è data dalla morte, sia pure straziate e in solitudine, ma dalla vita che hanno condotto. Sono esistenze consumate sul campo, sulla breccia, a lenire le ferite, curare e consolare».

Una delle provincie più colpite è stata sicuramente Bergamo: «Nell’ultimo anno sono morti di Covid oltre 40 sacerdoti e religiosi», ricorda Attilio G., frate minore cappuccino «i nomi dei religiosi che non sono fuggiti, ma sono morti per stare vicino alla gente, risuonano come una melodia che rende un capolavoro la loro vita consacrata… È solo una tragedia? Il Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, risponde a questa domanda e lo fa dalla croce. La croce è la chiave di lettura che traduce la realtà in modo nuovo e “fa nuove tutte le cose”. Gesù non ha perso la sua vita sulla croce, ma ha donato la sua vita sulla croce. Allo stesso modo i sacerdoti morti nel contagio si sono donati agli ammalati, ai parrocchiani, ai fedeli fino alla fine».

 
 
 

In quarantena da veri fratelli

2021, FC n. 15 del 11 aprile

In quarantena da veri fratelli

Guidati da don Gabriele C., 22 ragazzi hanno vissuto per 3 settimane in una “bolla”, cioè isolati in oratorio. «Per noi è stato un cammino di fede».

Vivere le restrizioni del lockdown in un modo alternativo, originale, costruttivo, sempre rigorosamente rispettoso delle norme?

Ci hanno pensato i giovani della comunità pastorale “Beato Samuele Marzorati” di Varese con un interessante esperimento: riunirsi per tre settimane all’interno di un oratorio e vivere un’esperienza di vita comunitaria, isolati dal mondo esterno, in sicurezza, sotto la guida e la supervisione del loro sacerdote responsabile.

La proposta è partita da un ragazzo di 16 anni, studente al terzo anno di liceo scientifico, Leonardo M., durante l’estate del 2020. «Non appena Leo ha lanciato l’idea, io non ho avuto dubbi», racconta don Gabriele, 35 anni, responsabile della pastorale giovanile della comunità, con una laurea in Ingegneria ambientale. «Mi sono subito attivato per capire se le norme potessero aiutarci nel realizzare il progetto». Il percorso è stato lungo. «Tra gli allegati dei vari Dpcm che si sono susseguiti, è sempre rimasto attivo l’allegato 8, protocollo messo a punto dal Minstero delle Politiche familiari per le aggregazioni informali – in caso di chiusura delle scuole – per salvaguardare la dimensione della socialità per bambini e adolescenti. Quello è stato il nostro punto di partenza. Abbiamo poi chiarito con il prefetto se quelle disposizioni valessero anche in zona rossa, abbiamo presentato il nostro progetto, il prefetto l’ha sottoposto al parere del Comitato tecnico scientifico nazionale, che a gennaio ha risposto di sì. A quel punto il prefetto ci ha dato il suo assenso ufficiale».

Il 7 marzo 2021, 22 giovani tra i 16 e i 18 anni – 13 ragazzi e 9 ragazze – più don Gabriele hanno fatto il loro ingresso nell’oratorio di Biumo Inferiore (quartiere varesino), annesso alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, con il benestare del parroco don Carlo G.. Sono usciti dalla cosiddetta “bolla” il 28 marzo, Domenica delle Palme.

A ripercorrere l’esperienza, in videochiamata insieme a don Gabriele, sono Leonardo e altri due ragazzi diciottenni, Riccardo G. e Alessandro P., tutti studenti. «Eravamo giovani della comunità pastorale “Beato Samuele Marzorati”», spiegano «che raggruppa quattro comunità varesine: Biumo Inferiore, Biumo Superiore, Valle Olona e San Fermo. Si sono aggiunti anche alcuni ragazzi della comunità pastorale del centro». Tutto gestito con la massima responsabilità e attenzione. «Prima di entrare, chi era in didattica a distanza ha effettuato una quarantena volontaria di almeno sette giorni. Il giorno dell’ingresso ci siamo sottoposti al test rapido per il Covid e per la prima settimana abbiamo usato tutti i dispositivi di protezione. Dopo la prima settimana, abbiamo tolto la mascherina. Appena usciti, per scrupolo, abbiamo rifatto il test rapido: tutti negativi». Quanto ai genitori, don Gabriele e i ragazzi confermano di aver avuto pieno appoggio e sostegno da parte delle famiglie, informate e coinvolte con incontri preparatori via Zoom.

La giornata tipo della “bolla”? «Sveglia prima delle 7, poi la preghiera – le lodi o la Messa -, colazione e poi scuola a distanza per tutti, ognuno nella sua postazione. Alle 10,30 merenda, alle 13,15 pranzo, preparato da un cuoco esterno che non aveva contatti con noi e che ci forniva la spesa. Il pomeriggio era libero: compiti, sport (nei campi da calcio e da basket esterni), musica e attività varie. Ogni due giorni avevamo i turni di pulizia di tutto l’oratorio – una villa di fine Settecento donata da un benefattore, fornita di refettorio, aulette, sala musica e due appartamenti divisi, uno per ragazzi e uno per le ragazze, separati da un’area comune. La sera preparavamo noi la cena. I pasti duravano sempre tantissimo, erano bei momenti di dialogo e convivialità». E una regola interna rispettata da tutti: «Niente social per tre settimane, per vivere in pienezza la nostra socialità».

Del loro esperimento si è parlato tanto a Varese. «Una volta usciti, i miei compagni non si sono dimostrati molto interessati, quelli più curiosi sono stati i professori», dice Riccardo. E Leonardo conferma: «Sono stati di più gli adulti a vedere la “bolla” come una cosa interessante, forse perché noi ragazzi abbiamo trovato dei metodi alternativi per restare in contatto e alla fine ci siamo abituati». Aggiunge il “don”: «Chi non ha fatto mai l’esperienza comunitaria non la vede come importante o necessaria. A volte per i giovani basta sentirsi sui social». E un chiarimento importante: «Non si è trattato di un semplice gruppo di amici che si chiude in una casa. L’esperienza comunitaria deve essere guidata e orientata a un obiettivo più grande: vivere la fraternità in una dimensione di cammino di fede. Ogni giorno i ragazzi lo hanno vissuto così: vederli svegliarsi al mattino e mettersi a pregare, da soli, senza essere richiamati, è stata una sorpresa anche per me. Il primo giorno nella “bolla” alla Messa io ho detto loro: non siamo qui perché siamo privilegiati o speciali, ma perché Qualcuno ci ha radunato insieme per un progetto più grande».

 
 
 

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