Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Dicembre 2018

Che ragazzo!

Post n°2891 pubblicato il 25 Dicembre 2018 da namy0000
 

“Ieri sera, il mio secondogenito, Gregorio, (11 anni), mi ha lasciato di stucco con una della sue uscite: ‹‹Papà, per Natale non c’è nulla che mi serve. Non potremmo usare il denaro per i bambini poveri o per chi ha bisogno? Io ho già tanti soldi (ndr: non è esattamente così) che mi serviranno per quando sarò grande››. Ho accolto con gioia questa sua riflessione perché come famiglia diamo già un nostro modesto contributo economico a chi ne ha bisogno, ma mi piacerebbe proporgli una cosa che gli permetta di vedere che il suo gesto ha un senso e può essere contagioso. Poi un regalino intendo comunque farglielo perché so già che a Natale senza un pensiero si rattristerebbe e si pentirebbe della sua scelta così radicale – Pietro” (FC n. 51 del 23 dic. 2018).

 
 
 

In questi giorni

Post n°2890 pubblicato il 24 Dicembre 2018 da namy0000
 

“In questi giorni, si è molto parlato di presepe sì, presepe no, di modo diverso di vivere il Natale. Il vero problema  è che la gente è distratta, pensa altrove, è piena di altre cose. Tempo fa si chiamava la religione dello scenario. Non è che Dio non ci sia, solo che prima si devono fare tutte le attività di una giornata, poi si pensa a Dio che è dietro lo scenario della vita. purtroppo è talmente dietro che pochi lo vogliono cercare. Abbiamo bisogno dei Magi, cercatori di Dio, di gente che si metta in viaggio attirata dalla novità di Betlemme, guidata dalle stelle di oggi. Il problema non è solo legato al presepe, quanto alla nostra capacità di ritornare a essere cercatori di Dio come i Magi. Un altro ambito è la gestione della critica all’interno della società e del mondo ecclesiale. Nella continua ricerca di scontri e di divisioni che fanno solo del male. Viviamo in un contesto in cui sembra non vada mai bene nulla, criticando tutto e tentati, come dice papa Francesco, dalla “chiacchiera facile”. Gesù nasce nella semplicità di una grotta, nella povertà di un viaggio, avendo vicino persone di grande umiltà. Nella concretezza della vita, piantando la propria tenda in mezzo alla tenda di noi uomini… Quanto farebbe bene oggi alla Chiesa tornare all’umiltà sana delle sue origini, evitando eccessivi razionalismi e seguendo lo stile di Gesù. Quanto tempo viene sprecato in sterili contrasti e tolto al vero annuncio evangelico! La notte di Betlemme è un richiamo per vivere con gioia e speranza questi anni che il Signore ci ha donato! – don Luigi Trapelli” (FC n. 51 del 23 dic. 2018).

 
 
 

Una preghiera

Post n°2889 pubblicato il 23 Dicembre 2018 da namy0000
 

Olanda. Una preghiera lunga 55 giorni per difendere una famiglia armena

I genitori e tre figli, di 21,19 e 14 anni, erano arrivati 9 nove anni fa, ora il governo vuole espellerli. La legge impedisce di arrestare persone durante le funzioni. Mobilitazione nel Paese

L’interno della chiesa protestante Bethel è semplice. Dietro l’altare c’è una grande parete a mosaico dai colori dorati e tanti lumini sempre accesi. Oltre ad un’icona e alla riproduzione di un quadro del pittore Hans Versteeg, la “Madonna del Mare Nostrum” ricevuto in dono da un’altra comunità dell’Aja… Continua da 55 giorni la maratona di preghiera nella chiesa protestante Bethel, all’Aja, iniziata il 26 ottobre scorso per proteggere la famiglia armena Tamrazyan, ospitata nel suo interno. I fedeli chiedono al governo di concederle il permesso di soggiorno illimitato nei Paesi Bassi… Ma il governo ha deciso di rimandarli indietro poiché non considera l’Armenia un Paese a rischio. «Soprattutto ora che la situazione politica è cambiata e migliorata, dopo le dimissioni del premier Serzj Sarkisian (del partito repubblicano Hhk) lo scorso maggio 2018», ha spiegato Inge Drost, segretaria dell’associazione Abovian/Faon. Ricordiamo che l’anno passato sono arrivati pochi migranti armeni in Olanda (57), rispetto ai richiedenti asilo politico di altri Paesi (un totale di 14.545): fra cui 1.080 eritrei, 1.188 iraniani, 2.232 dalla Siria. Nel 2015 erano stati il triplo, 43.093, di cui 18.677 siriani… (Maria Cristina Giongo, L’Aja, Avvenire, giovedì 20 dicembre 2018)

 
 
 

Non l'avevo mai incontrato

Post n°2888 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da namy0000
 

‹‹Io Antonio Megalizzi non l’avevo mai incontrato, ed è strano. Ci occupavamo tutti e due di Europa nella stessa città di provincia, lavoravamo tutti e due per promuovere delle reti di testate europee, abitavamo a 500 metri di distanza. Uno pensa che quella degli appassionati dell’Europa sia una bolla di persone molto piccola, in cui un po’ tutti si conoscono a vicenda – e invece forse così piccola non è. Alla notizia di quest’ultima uccisione ho continuato a stupirmi di quanti siamo. Negli ultimi dieci anni, gli islamisti fanatici hanno ucciso dodici italiani in Europa. Tra loro c’erano giovani e anziani, donne e uomini, lavoratori e turisti. Però ben uno su quattro era un laureato intorno ai trent’anni, in giro per l’Europa per lavoro. Pur nelle loro differenze, il lavoro di Valeria Solesin, Fabrizia Di Lorenzo e Antonio Megalizzi era rendere l’Europa un posto più giusto, interconnesso e aperto. Simon Kuper dice che le persone come loro sono la nuova maggioranza silenziosa, “la generazione meglio istruita, più cosmopolita e più globale della storia”. Sono quelli che la mamma di Giulio Regeni chiama “ragazzi contemporanei”: preparati, curiosi di scoprire e di ascoltare. Non credo che siamo la maggioranza – ma anche quest’ultima storia suggerisce che siamo molti di più di quanto siamo abituati a pensare. Alcune delle ragioni per cui questi “ragazzi contemporanei” non sono così visibili le conosciamo: certi li perdiamo di vista perché si trasferiscono altrove in Europa, altri restano in Italia ma faticano a conquistarsi uno spazio degno nel mercato del lavoro. (Quale che sia la ragione, non è però possibile che la società si accorga di loro e del loro lavoro nel momento in cui muoiono.) Esiste anche un problema di rappresentanza politica di questo pezzo di popolazione italiana, che certo ha opinioni molto diverse, ma che sembra condividere alcuni valori di base, che ruotano intorno all’apertura, a un’etica del lavoro e al rifiuto del provincialismo. Per la prima volta la generazione nata negli anni Ottanta si ritrova un governo e un Parlamento con molti coetanei in posizioni chiave: ma quei coetanei sembrano venire da un’altra epoca o forse da un altro paese, tanto appaiono lontani il loro linguaggio e il loro orizzonte. Non è solo una questione di lontananza politica. All’inizio Matteo Renzi aveva suscitato simpatia in una parte di questi ragazzi contemporanei, ma poi s’è rivelato di un provincialismo disarmante. Nella situazione in cui stiamo, credo che potrei facilmente votare chiunque sia in grado sostenere una conversazione in un paio di lingue straniere e abbia vissuto qualche mese fuori dall’Italia: sulle questioni specifiche poi potremo discutere, ma almeno condivideremmo orizzonti simili. Se i trentenni che lavorano e si muovono sono poco rappresentati nella politica italiana, è anche perché una parte di loro ha trovato altri sbocchi più praticabili o congeniali per il suo impegno. Ci sono cose preziose e urgenti da fare anche in campi della vita sociale diversi dalla politica, soprattutto se si vuole dare un contributo per rendere l’Europa un posto migliore. Uno dei principali ostacoli per cui il progetto di integrazione europea si è incartato nell’ultimo decennio è la debolezza della sfera pubblica europea: finché il progetto di integrazione era un progetto elitario non era un problema; ora che finalmente coinvolge e interroga le persone questo è un problema enorme. Perché se i dibattiti rimangono confinati a livello nazionale “l’Europa” diventa il capro espiatorio perfetto, e perché le idee e le posizioni degli altri attori europei ci arrivano filtrate e stereotipate, quando ci arrivano. In questo panorama, appaiono particolarmente preziose le intuizioni che avevano avuto Antonio Megalizzi e i suoi amici, che sarebbe stato bello conoscere in altri modi. Costruire una rete di testate, cercando di promuovere la sfera pubblica europea dal basso e spesso a partire da una dimensione locale. Dare voce a quei ragazzi contemporanei d’Europa che faticano a ritrovarsi in molta della loro stampa e politica nazionale. E soprattutto farlo attraverso la radio – un mezzo antico che costringe al dialogo e all’ascolto: le virtù più contemporanee che ci siano.›› (Lorenzo Ferrari è uno storico, di mestiere fa libri. Gli piacciono l'Europa, le mappe e le montagne; di solito vive a Trento. Su Twitter è @lorferr.)

 
 
 

Il mio sogno

Post n°2887 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da namy0000
 

Un parto in anonimato, una neonata data in adozione. Poi un silenzio lungo oltre mezzo secolo, prima della svolta che permetterà a due famiglie romane di recuperare affetti lontani

Amalia non si dimenticherà mai del Natale 2018. Perché quello di quest’anno sarà il primo che trascorrerà insieme alla sua famiglia ritrovata. Dopo 58 anni ha incontrato per la prima volta la mamma. Insieme a due sorelle e un fratello che non aveva mai saputo di avere. Soltanto fino a un paio di mesi fa non avrebbe mai immaginato di ricevere un dono un tanto grande. E che quel regalo sarebbe arrivato attraverso i social. Anzi, stava per affogare nel più cupo pessimismo.

Dopo anni e anni di ricerche, aveva vissuto la delusione più grande per una persona che cerca di riannodare i fili delle sue origini. Il tribunale di Roma, a cui si era rivolta lo scorso anno per rintracciare la mamma, l’aveva convocata per 'comunicazioni urgenti'. Lei era arrivata con il cuore il gola nell’ufficio della psicologa che si occupa di queste vicende.

Ma dallo sguardo della donna aveva capito subito che le notizie erano tutt’altro che positive. «Sua madre purtroppo ha deciso di confermare la scelta dell’anonimato. Mi spiace». Amalia, romana, classe 1960, è stata abbandonata alla nascita. Capitava spesso tanti anni fa. Si calcola che dagli anni Cinquanta ad oggi siano stati ab- bandonati alla nascita tra i duecento e i trecentomila bambini. Le punte più elevate a cavallo degli anni Sessanta.

E capita tuttora. Ancora lo scorso le donne che hanno deciso di non riconoscere il figlio appena partorito e l’hanno lasciato in ospedale sono state circa un migliaio. Gravidanze arrivate troppo presto, situazioni familiari complicate, povertà, solitudine e tanti motivi ancora. La storia di Amalia è solo una tra le tante. Un mese dopo la nascita, la piccola viene adottata da una generosa famiglia, sempre nella Capitale, che le assicura una vita serena e tranquilla. Amalia cresce, si sposa e ha due figli. «I miei genitori adottivi – racconta – non hanno mai tentato di nascondere le mie origini.

Mi hanno sempre raccontato tutto con tenerezza e semplicità. A me, dopotutto, quella storia della mamma 'naturale' che non aveva potuto tenermi con sé, non importava molto. Mi sentivo amata dalla mamma e dal papà che mi avevano accolto e, senza discussioni, quella era la mia vera famiglia». Con il trascorrere degli anni però il desiderio di alzare il velo sul proprio passato diventa sempre più forte. E i figli, ormai cresciuti, fanno il resto.

Anche per loro è importante scoprire l’identità di quella nonna che era stata costretta a una scelta tanto difficile e tanto dolorosa. «Era una pagina scura su cui noi tutti volevamo fare luce ad ogni costo ». Da qui, anche grazie al sostegno del Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche, la 'richiesta di interpello' avanzata al Tribunale di Roma, le ricerche che in pochi mesi sembrano concludersi positivamente. Poi, inattesa, nell’estate scorsa, quella doccia ghiacciata. «Tua madre non desidera incontrarti».

Solo più tardi Amelia scoprirà i motivi di una decisione che al momento le appare incomprensibile. Ma intanto vive settimane di sofferenza acuta, chiede aiuto, verifica le possibilità di proseguire la sua ricerca, poi non può fare altro che rassegnarsi. Il vuoto legislativo che tuttora esiste nel nostro Paese (vedi articolo qui sotto) impedisce alla magistratura di aggirare la volontà di una donna che, dopo un parto in anonimato, decide anche a distanza di molti anni, di confermare quella scelta. Ma verso la fine dell’estate, scorrendo i vari post su un gruppo social, la svolta inattesa. Legge l’appello di una donna romana, poco più giovane di lei, che cerca una sorella maggiore mai conosciuta. E quella sorella si chiama proprio Amalia. Lei, che non ha mai saputo di avere fratelli o sorelle, all’inizio è inevitabilmente incerta.

«Non posso essere io…». Poi la voglia di scoprire chi c’è dietro quell’appello prevale. Uno scambio di messaggi, l’incontro con la donna che potrebbe essere sua sorella, la scoperta che lei conosce molti particolari decisivi. È informata per esempio sul fatto che la mamma nel 1960, aveva avuto una figlia da un fidanzatino poi subito dileguatosi. E che quella bambina era stata lasciata in quel tale ospedale, e poi trasferita in quel tale brefotrofio e poi adottata.

«E la mamma come si chiama? Oddio, sì è proprio lei. Sta bene? Perché non vuole incontrarmi?». Domande angoscianti a cui la sorella – perché ormai è certamente tale – è in grado di fornire tutte le risposte del caso: «Teme il giudizio di nostro padre a cui non ha mai rivelato nulla. E poi, dopo il parto, le avevano detto che tu eri morta. Ma ora le parlo io. Stai tranquilla. Ci siamo ritrovate e non ci lasceremo più».

E così avviene. L’anziana donna, alla notizia che le due sorelle si sono incontrate e hanno immediatamente solidarizzato, scioglie ogni riserva. Anche il tribunale viene informato. Si organizza l’incontro. Arrivano anche l’altra sorella e il fratello. «Quando io e la mamma ci siamo ritrovate per la prima volta da sole, una di fronte all’altra, non abbiamo avuto la forza di dirci nulla. Ci siamo guardate, ci siamo sedute vicine e siamo rimaste così per una ventina di minuti, tenendoci la mano, con le lacrime che ci rigavano il volto». Una mamma ritrovata, tre sorelle e un fratello per cui il Natale sarà davvero avvolto nella luce della vita che ricomincia.

 
 
 

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