Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 04/12/2018

Il problema ambientale

Post n°2875 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da namy0000
 

“Il problema ambientale in Campania è conosciuto, meno conosciuto è lo stesso problema che si subisce altrove. La “terra dei fuochi” ‹‹non è un territorio ma un fenomeno››, ebbe a dire il vescovo di Acerra… In Campania ogni giorno si producono 5.000 tonnellate di rifiuti urbani, 22.000 tonnellate di rifiuti industriali, più 6.000 – dico 6.000 – di rifiuti industriali occulti, frutto velenoso delle industrie che lavorano in nero, in regime di evasione fiscale, con operai fantasma, vittime due volte di questo sistema fraudolento. Dove vanno a finire questi scarti pericolosi e clandestini? O bruciano nelle campagne – i famigerati roghi tossici – o vengono camuffati tra i rifiuti delle case. Ma queste sostanze – pellami, collanti, diluenti, solventi, coloranti, stoffe – non possono essere bruciate negli inceneritori, quindi il discorso inceneritori sì, inceneritori no, non si pone nemmeno. Il dramma sul quale, purtroppo, nessuno vuole mettere le mani è questo. Quando feci il medesimo discorso all’ex premier Renzi, il governatore della Campania De Luca mi rispose: ‹‹Con la disoccupazione che affligge la nostra gente non è pensabile intervenire sul lavoro in nero››. Ci siamo. O, meglio, ci risiamo.

Il nervo scoperto è questo. E su questo occorre avere il coraggio di legiferare. Chi ci governa sa bene che lavoro in nero, disoccupazione cronica, illegalità diffusa, camorra nostrana, industria disonesta, colletti bianchi insozzati stanno all’origine delle varie emergenze campane. Se non si ha la capacità e la volontà politica di intervenire mai sarà possibile un vero contrasto ai danni ambientali che provocano disagi, malattie e morti” (Maurizio Praticiello, FC n. 48 del 2 dic. 2018)

 
 
 

Il presepe vivente

Post n°2874 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da namy0000
 

Il presepe di cui qui si parla è vivente. Loro sono giovanissimi: Giuseppe (Yousuf), Fede (Faith) e la loro creatura. Che è già nata, è una bimba e ha appena cinque mesi. Giuseppe viene dal Ghana, Fede è nigeriana, entrambi godono – è questo il verbo tecnico – della «protezione umanitaria» accordata dalla Repubblica Italiana. Ora ne stanno godendo in mezzo a una strada. Una strada che comincia appena fuori di un Cara calabrese e che, senza passare da nessuna casa, porta dritto sino al Natale. Il Natale di Gesù: Uno che se ne intende di povertà e grandezza, di folle adoranti e masse furenti, di ascolto e di rifiuto, del "sì" che tutto accoglie e tutti salva e dei "no" che si fanno prima porte sbattute in faccia e poi chiodi di croce.

Giuseppe e Fede sono stati abbandonati, con la loro creatura, sulla strada che porta al Natale e, poi, non si sa dove. Sono parte di un nuovo popolo di "scartati", che sta andando a cercare riparo ai bordi delle vie e delle piazze, delle città e dell’ordine costituito, ingrossando le file dei senza niente.

Sono i senza più niente. Avevano trovato timbri ufficiali e un "luogo" che si chiama Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) su cui contare per essere inclusi legalmente nella società italiana, apprendendo la nostra lingua, valorizzando le proprie competenze, studiando per imparare cose nuove e utili a se stessi e al Paese che li stava accogliendo. Adesso quel luogo non li riguarda più. I "rifugiati" sì, i "protetti" no. E a loro non resta che la strada, una strada senza libertà vera, e gli incontri che la strada sempre offre e qualche volta impone: persone perbene e persone permale, mani tese a dare e a carezzare e mani tese a prendere e a picchiare, indifferenza o solidarietà.

Si può essere certi che il ministro dell’Interno, come i parlamentari che hanno votato e convertito in legge il suo decreto su sicurezza e immigrazione, non ce l’avesse con Giuseppe, Fede e la loro bimba di cinque mesi. Ma è un fatto: tutti insieme se la sono presa anche con loro tre, e con tutti gli altri che il Sistema sta scaricando fuori dalla porta. Viene voglia di chiamarla "la Legge della strada". Che come si sa è dura, persino feroce, non sopporta i deboli e, darwinianamente, li elimina. È un fatto: la nuova "Legge della strada" già comanda sulla vita di centinaia di persone che diverranno migliaia e poi decine di migliaia. Proprio come avevamo avvertito che sarebbe accaduto, passando – ça va sans dire – per buonisti e allarmisti. 

Eccolo, allora, davanti ai nostri occhi il presepe vivente del Natale 2018. Allestito in una fabbrica dell’illegalità costruita a suon di norme e di commi. Campane senza gioia, fatte suonare per persone, e famiglie, alle quali resta per tetto e per letto un misero foglio di carta, che ironicamente e ormai vuotamente le definisce meritevoli di «protezione umanitaria». Ma quelle campane tristi suonano anche per noi.

P.S. Per favore, chi ha votato la "Legge della strada" ci risparmi almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna riconoscerlo. (Marco Tarquinio, Avvenire, sabato 1 dicembre 2018)

 
 
 

L'adolescenza è un tempo bello

Post n°2873 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da namy0000
 

Cosa può aver spinto un ragazzo di 14 anni ad accoltellare un suo coetaneo? E dove ha trovato il coraggio per farlo? Gli adolescenti si preparano a scalare la montagna della vita, hanno bisogno di uno zaino zeppo di studio, educazione, sogni, progetti. Necessitano di maestri che siano anche testimoni credibili nell’indicare loro la strada da seguire, le trappole da evitare. L’adolescenza è un tempo bello e difficile, non si è più bambini e non si è ancora uomini. L’adolescente ha la forza di un leone, è impaziente, vuole arrivare subito. È anche fragile, ma non lo ammette; è capace di gesti di altruismo, di solidarietà, di volontariato. Allaccia relazioni con facilità. Riesce a commuoversi per le ingiustizie che sovente passano inosservate. Sogna e fa sognare. A volte sembra non tenga troppo in considerazione i consigli dei genitori, dei nonni, degli insegnati, del parroco che pur amava quando si preparava per la prima comunione.

Occorre avere tanta pazienza e tanta sapienza con i figli a quell’età, sospesi come su un trampolino per il grande lancio. È il tempo in cui si scavano le fondamenta, la memoria è elastica, l’intelligenza è viva. A questa età è normale che si possono commettere errori. Certo, ci sono errori ed errori. C’è lo sbaglio che accade per pigrizia, negligenza, distrazione, per la voglia di essere autonomi. E ci sono errori che lasciano segni indelebili nella propria vita e in quelle degli altri. Gli adolescenti hanno estremo bisogno degli adulti che, a loro volta, devono imparare a essere discreti, amabili, attenti, disponibili, senza invadere il loro campo. Devono indicare la via e farsi da parte. Guardarli da lontano e scattare appena è necessario, sapendo che essi non ascoltano tanto quello che diciamo ma guardano quello che facciamo.

Ad Aversa, la mia diocesi, in provincia di Caserta, un quattordicenne ha accoltellato alla schiena un suo compagno, a scuola. Avrebbe potuto ucciderlo. Il fatto ha gettato nello scompiglio i compagni, la scuola, la Chiesa aversana, i genitori delle due vittime. Solo pochi anni fa, Emanuele, un ragazzino della loro stessa età morì per una coltellata al cuore infertagli da un quasi coetaneo.

Tutti siamo stati adolescenti, quindi tutti possiamo comprendere ciò che passa nell’animo di chi attraversa quell’età. Non è difficile pensare che ci sia stato tra loro un’incomprensione, un tafferuglio, un moto di gelosia per una ragazzina contesa. Non importa, non è il movente che attira la nostra attenzione ma la reazione spropositata, spaventosa. Perché uno studente gira con il coltello in tasca? Lo portava sempre o lo aveva preso quella mattina per fare del male al compagno di scuola? Da chi ha appreso un giovane che è poco più di un ragazzino a regolare i conti con la lama di un coltello? I compagni sapevano delle sue intenzioni? Comunque stiano le cose, ancora una volta, emerge la necessità di un’alleanza educativa tra scuola, famiglia, chiesa, società civile.

Ancora una volta dobbiamo ammettere che è il mondo degli adulti che i nostri figli prendono a modello. Un mondo che potrebbe essere quello reale, della famiglia, del paese in cui si vive, o quello virtuale, spesse volte più presente del reale. Un mondo che annulla tempo e spazio e confonde fantasia e realtà. Un mondo verso il quale ci sentiamo un po’ tutti impotenti. È come se fossimo stati presi in contropiedi, alla sprovvista da qualcosa che è più grande di noi. Siamo chiamati ad essere attenti, umili, a chiedere aiuto a tutti. La battaglia educativa la si vince solo rimanendo uniti, rendendoci responsabili di ogni parola che pronunciamo e scriviamo; di ogni gesto che facciamo.

Dobbiamo convincerci che i giovani ci guardano anche quando non ce ne accorgiamo; quando sono in crisi e sembrano sicuri di sé; quando fanno i gradassi e quando hanno il coraggio di confessarci le loro insicurezze. Quando un ragazzo di 14 anni aggredisce, ferisce, fa male a un suo coetaneo, non abbiamo una vittima e un carnefice, ma, a livelli diversi e con responsabilità diverse, piangiamo due vittime accomunate nello stesso, doloroso, amaro destino. Lacrime che potranno essere evitate nel momento in cui il mondo degli adulti si fa seriamente responsabile dell’ educazione della propria, cara gioventù (Maurizio Praticiello, Avvenire, 3 dic. 2018).

 
 
 

Foulard Bianchi

Post n°2872 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da namy0000
 

Luciano Ferraris, fondatore dei Foulard Bianchi. Nato a Torino nel 1914, si è sposato con Gabriella nel 1943 e hanno avuto due figli, Daniela e Mauro. Durante un pellegrinaggio a Lourdes conobbe i Foulards Blancs e, grazie alla capacità di entrare subito in empatia con le sofferenze degli altri, coinvolse i suoi Scouts, riuscendo poi, nel 1958, a far nascere all’interno del Torino 24 la sezione italiana del Clan des Hospitaliers de Notre Dame de Lourdes. Si fece poi promotore di tante altre esperienze analoghe, che portarono alla nascita e al consolidarsi dei Foulards Blancs italiani, di cui fu Responsabile Nazionale per nove anni, affiancato da Dusan Stefani.

Per più di quarant’anni ha saputo trasmettere a generazioni di ragazzi l’entusiasmo, lo stile, il coraggio delle proprie idee, l’impegno, il senso del sacrificio, la gioia di vivere, il piacere delle cose semplici. Tutto per lui, e per i suoi ragazzi con lui, era un’impresa: nel 1945 quella di far rinascere lo Scoutismo presso l’Oratorio Salesiano Crocetta e la creazione di un coro che fece conoscere i canti scouts di tutto il mondo. inoltre, organizzò corsi di animazione e di espressione per educatori, seguiti da una serie di libri sull’argomento.

Raccontare Luciano, tanto nel suo impegno a Lourdes, quanto nello scoutismo, quanto nelle sue successive imprese, quanto nelle sue attività di animatore di bambini, giovani, genitori, nonni a Bardonecchia, quanto nella sua lunga e dolorosissima malattia (che comunque non lo ha fermato, se non proprio alla fine) è di per sé un’impresa, perché la sua vita è stata talmente vulcanica, variegata, piena di idee, di proposte, di soluzioni, ma soprattutto di persone, che non può essere mortificata in poche righe. Nel 1966 l’Hospitalité Notre Dame de Lourdes gli aveva conferito la medaglia da Hospitalier. Chi l’aveva assumeva un prestigioso potere all’interno degli Ospedali di Lourdes, alcuni la esponevano sul petto prima ancora di esserlo, ma quella conferita a Luciano non è mai stata ostentata. Luciano la portava dentro il taschino della camicia della divisa. Per Lui “essere capo” era una responsabilità, non un privilegio. Luciano aveva il dono dell’autoironia e una grande virtù: l’umiltà. La sua vita è stata una quotidianità di servizio. – S.T. (Lettera firmata pubblicata da FC n. 48 del 2 dic. 2018).

 
 
 

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