Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Luglio 2021

Arte, musica e pastorale

Post n°3623 pubblicato il 23 Luglio 2021 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Giugno.

Arte, musica e pastorale nel Mulino di Leonardo

A Vinci, l’associazione Suonamidite gestisce il Mulino del Ronzone, situato sui terreni che fino alla metà del 1800 sono appartenuti alla famiglia di Leonardo. Qui grazie agli sforzi portati avanti da don Mario C., convivono musica, spettacolo, arte, teatro e opera pastorale.

Le persiane rosse sui muri di pietra attirano l’attenzione quando, camminando sui sentieri alle pendici del Montalbano, si passa davanti al Mulino del Ronzone. Siamo nei pressi di Vinci e su questi prati, accanto al torrente che faceva girare le pale del mulino, un Leonardo da Vinci bambino giocava spensierato quando ancora il suo nome non era celebre in tutto il mondo. Oggi Mario C. ha trasformato questo mulino in un centro d’arte e musica. Le serate estive animano il grande prato sul retro dell’edificio, dove lo scorrere dell’acqua accompagna le note dei concerti, mentre il raccolto cortile interno offre la location ideale alle rappresentazioni teatrali.

«I proprietari nel tempo hanno impiegato questo spazio in vari modi, ma spesso era inutilizzato. Mi hanno chiesto: “Ma te che ci faresti?”, io da anni cercavo un luogo in cui realizzare uno studio, un ambiente in cui fare musica, che fosse inserito in un contesto di campagna». Così Mario racconta i primi passi fatti per dar vita ad un centro artistico in cui attuare laboratori e creare uno studio di registrazione per la musica. Amici, conoscenti, artisti si sono rimboccati le maniche per rendere concreto il progetto e nell’estate 2019 hanno preso forma i primi eventi. Fondamentale la rete creata con l’amministrazione comunale di Vinci, la Pro Loco, le associazioi del territorio, oltre all’esperienza di laboratori e progetti musicali portati avanti negli anni con le scuole.

Oggi il Mulino è attrezzato per ospitare iniziative artistico-culturale e qui si può anche pernottare grazie alle stanze sistemate al piano superiore. Questo permette di aprire le porte a progetti residenziali e di ospitare laboratori ed attività di più giorni consecutivi per gli artisti che lo desiderano. Anche se lo studio di registrazione non è ancora pronto, la musica è già di casa e si sta sviluppando un passo alla volta. «In particolare – sottolinea Mariomi sono orientato sulla musica antica e barocca, anche per mantenere un legame storico-artistico con questo luogo. Questo Mulino sorge sui terreni che appartenevano al nonno di Leonardo e proprio lì – dice indicando un punto dell’edificio – c’era il macchinario per contare le dosi di grano. Leonardo stesso cita questo torrente che va a finire nel Vincio e quindi nel Padule di Fucecchio. Questo legame con Leonardo per noi diventa un punto cruciale per la promozione del progetto».

Proprio sulla figura di Leonardo è stato recentemente realizzato al Mulino un breve docufilm, e sempre lui è stato protagonista di uno spettacolo teatrale. Sebbene la musica sia il cuore del progetto, infatti, altre forme d’arte si stanno sviluppando nei locali del vecchio mulino. «Lo studio musicale è ciò a cui teniamo di più, anche perché può creare continuità nel tempo, ma è anche molto complesso e costoso da mettere in piedi e la pandemia ci ha rallentati molto nella raccolta dei fondi necessari. Per questo si sono sviluppati più rapidamente tutti gli eventi collaterali. Abbiamo realizzato spettacoli di racconti popolari toscani e quest’estate organizzeremo una giornata rinascimentale; qui si è tenuto un laboratorio di meditazione filosofica e ci hanno contattato per farey yoga e scuola di ballo».

Leonardo da Vinci come personaggio fu un ponte fra il Rinascimento e l’Umanesimo, anche nel suo sottolineare la capacità dell’uomo di vivere in sinergia con la Natura, di comprenderla ed amarla. Al Mulino del Ronzone si parte da questo spunto per trasformare l’arte in un mezzo di comunicazione e in una modalità d’incontro con l’altro. Qui l’arte e la cultura diventano uno spunto di pastorale.

«Un amico salesiano un giorno mi disse che le nostre parrocchie sono come i centri benessere della spiritualità – perché quando entri in parrocchia hai tutti i servizi possibili: la messa, le confessioni, i momenti di meditazione, le attività, ecc. Però come accade nei centri benessere, anche in parrocchia ci va una minoranza di popolazione: gli altri restano estranei a quei servizi. Per questo sono convinto che ci sia bisogno di iniziative di inclusione con il mondo della cultura, dell’arte, dello sport. Il mondo della cultura è quasi totalmente scristianizzato. Dal punto di vista pastorale si può arrivare più lontano con progetti di questo tipo che stare chiusi solo in ambito parrocchiale».

 
 
 

Music for Peace

Post n°3622 pubblicato il 22 Luglio 2021 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Giugno

Music for Peace

Con gli ultimi per garantire più opportunità

 I volontari di Music for Peace nei lunghi mesi della pandemia.

«Buoni non buonisti. Facciamo sì, il sabato sera, alla stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe, un servizio di distribuzione e di prossimità, il più completo e accogliente possibile, rivolto a persone senza dimora; ma senza dimenticare il versante educativo. Chi si appresta a ricevere il pasto deve aderire a delle regole: igienizzarsi prima di ricevere la cena, portare rispetto reciproco, essere educati, rispettare la fila». Così inquadra lo stile delle attività

Stefano R., presidente dell’associazione Music for Peace. «Offriamo una serie di servizi, opportunità, che però devono essere partecipati, non fini a se stessi. Le persone si devono coinvolgere nelle attività e collaborare. Questo spazio è di tutti; e proprio per questo a ciascuno è richiesto di partecipare in prima persona, per il buon andamento delle attività». «Anche il Festival che organizziamo vuole avere un intento educativo: avvicinare le persone alle tematiche sociali, garantire a tutti l’accessibilità ad un evento musicale o culturale. Approfondire la conoscenza reale delle situazioni. Music for Peace è attivo con interventi all’estero, attualmente in Sudan e nella Striscia di Gaza. Ma i generi alimentari, i medicinali, mobilio e materiale scolastico non vengono semplicemente inviati attraverso il container. Ogni cosa viene consegnata direttamente, casa per casa, conoscendo di persona i beneficiari dell’intervento, intessendo un dialogo che col tempo si fa sempre più profondo».

A partire dal Solidarbus, da cui tutto è partito. L’ambulatorio medico, provvisto di ecografo, dove operano medici volontari. «A giugno – ci informa Barbara – torneremo in Sudan, a Khartoum. Là non c’è nulla; c’è un campo profughi a Mayo, vicino alla capitale. Chi è fortunato vive in una casa fatta di cartone o altri materiali poveri, altrimenti c’è chi vive per strada, su una coperta. Ci sono persone che in loco lavorano incessantemente, missionari, suore di Madre Teresa di Calcutta; noi ci inseriamo in questo clima di cooperazione internazionale. E poi andremo nuovamente in Palestina, dove andiamo in missione da ormai undici anni. Dobbiamo peraltro passare attraverso innumerevoli problemi di natura burocratica».

Nel 1994 Stefano R. decide di organizzare un evento che possa rappresentare un aiuto concreto dai genovesi alla popolazione di Mostar. Nasce quindi Music for Peace, dieci giorni di musica e divertimento, in cui artisti, musicisti e dj partecipano gratuitamente. Il pubblico, da parte sua, acquista il biglietto d’ingresso non in denaro, ma portando beni di prima necessità. Tutto quello che viene raccolto viene portato, attenzione, non inviato, direttamente dall’organizzazione in Bosnia Erzegovina.

Da quel momento, e negli anni successivi, il lavoro di quei dieci giorni si sviluppa, cresce cambia. Si struttura meglio che diventerà il Chefestival, appuntamento di cultura, dibattito, gastronomia, concerti, praticamente unico in Italia: ogni inizio estate, nel cuore del porto di Genova, 80 mila persone si riuniscono per passare pomeriggi e serate a discutere, bere, cantare, mangiare, e magari incontrare artisti noti… sempre guadagnandosi l’ingresso con beni, che poi andranno a dare sollievo di volta in volta in Kossovo, Afghanistan, Kurdistan, Sudan o Palestina. Ma anche Abruzzo, Umbria ed Emilia, nel dopo terremoto, o ancora più vicino a casa la stessa Genova, ad esempio dopo l’alluvione del 2014.

I numeri del lavoro di Music for Peace fanno impressione: 30 interventi di emergenza in varie parti del mondo, 1492 tonnellate di generi di prima necessità distribuiti nelle missioni internazionali, 5 tonnellate ogni mese distribuite alle famiglie sul territorio locale, 20 mila studenti incontrati in un anno.

 
 
 

Parlando con Greta Thunberg

Post n°3621 pubblicato il 22 Luglio 2021 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Giugno.

«È ormai fuori controllo», ci dice in collegamento dalla sua casa a Stoccolma, con il cane al suo fianco che fa sentire la sua presenza. «Da un lato sembra ieri, ma dall’altro sembrano passati dieci anni. Era così strano che stesse succedendo una cosa simile e fosse così difficile da capire. Ma ora ci sono quasi».

Da quel momento Greta Thunberg è diventata una delle persone più famose del Pianeta. «È qualcosa a cui ancora non sono abituata», dice Greta che ha compiuto 18 anni a gennaio 2021. «Perché sono una persona di poche parole e che nessuno ascoltava veramente. Ho sempre provato imbarazzo nelle relazioni sociali. Quindi, partire dall’essere quasi invisibile ad essere qualcuno che la gente ascolta davvero è un cambiamento molto grande. Ed è difficile adattarsi».

«Questa è stata la vera ragione per cui ho deciso di girarlo. Volevo che andassimo oltre i titoli acchiappa like che la gente usa per catturare l’attenzione e che ci concentrassimo invece sul contenuto. Quindi, se usare le mie idee e il programma per dare voce alla scienza o alle persone che ne hanno veramente bisogno funziona, allora il documentario raggiunge il suo scopo principale. Parlare con persone diverse e vedere prospettive differenti fornisce un quadro più completo». Il documentario ha seguito Greta durante l’anno trascorso in viaggio per il mondo, i suoi discorsi agli eventi, incluso quello alla COP25, gli incontri con scienziati, attivisti ed esperti.

«Non è necessario visitare il mondo per volerlo proteggere. Ma poterlo visitare è stata un’opportunità fantastica. Facciamo come se niente fosse finché i nostri giardini e le nostre città bruciano e allora agiamo, ma non ha senso. Prendiamo ad esempio gli incendi scoppiati nel Nord dell’America occidentale, è chiaro ed evidente che siano collegati alla crisi climatica. Ma questo non vuol dire che le persone che vivono cambino i loro stili di vita. Voglio far crescere la consapevolezza di ascoltare e seguire ciò che gli scienziati suggeriscono. Vediamo la crisi climatica come qualcosa che ci colpirà in futuro. E di certo lo farà. Ma ci dimentichiamo che ci sono innumerevoli persone che già oggi soffrono e muoiono per le sue conseguenze, perché la crisi climatica ci sta già colpendo. Non riusciremo ad evitare tutte le ripercussioni – è ormai troppo tardi – ma non lo è per fare quanto più ci è possibile. Ogni frazione di grado è importante e siamo ancora in tempo per evitare gli effetti peggiori».

«Tendiamo a scegliere quali problemi affrontare. Ma non possiamo più permettercelo. Non possiamo passare il tempo a discutere su cosa sia meglio fare se poi non abbiamo più il tempo per agire. Dobbiamo fare ora tutto ciò che è possibile, pensare olisticamente e a lungo termine, sviluppare tutte le possibili soluzioni è non concentrarci sul paragonarle una con l’altra. Perché è solo una perdita di tempo».

«Possiamo stare seduti e non fare nulla e sentirci inutili, ma non appena ci mettiamo in azione, allora c’è speranza. È questa la mentalità con cui sto cercando di vivere. E immaginate se ci mettessimo veramente in azione, non sappiamo dove potremmo arrivare, quali punti di svolta potremmo superare. Perché non l’abbiamo mai fatto prima. Non abbiamo mai affrontato una sfida come quella del cambiamento climatico. Quindi non sappiamo cosa potrebbe succedere se agissimo, ma sarebbe molto incoraggiante».

«Se i media iniziassero a trattare la crisi climatica come una vera crisi, tutto potrebbe cambiare velocemente. Certo, dobbiamo fare tutto il possibile, comprese quelle piccole e semplici azioni che coinvolgono ogni singola persona. Ma allo stesso tempo non dobbiamo essere ingenui e pensare che tutto questo sia sufficiente. Devono anche essere messa in atto strategie più ampie».

«Al momento i media parlano di cambiamento climatico, della questione ambientale e dei suoi effetti, come lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello del mare e degli incendi sempre più frequenti. Ma questi sono solo gli effetti. La crisi climatica è causata soprattutto dalla quantità di CO2 accumulata nell’atmosfera. Non dobbiamo concentrarci su scenari vaghi e ipotetici del futuro, ma piuttosto su quello che dobbiamo fare ora, trattandola come una crisi vera e propria. Non è impossibile. Prendiamo la recente pandemia da coronavirus. L’abbiamo considerata una crisi? Certo. Ciò dimostra che i media sono in grado di trattare alcuni temi come un’emergenza e cambiare il modo in cui operano. Fino a quando il cambiamento climatico non dominerà i titoli dei telegiornali, il segnale percepito dal grande pubblico è che non sia una notizia importante. Non conta la quantità di articoli pubblicati ma la loro qualità. Quando un politico afferma di voler costruire una nuova strada, dobbiamo anche pensare all’impatto che questa nuova opera avrà sul clima».

«Altri due anni di scuola superiore, poi l’università. Mi concentrerò comunque su molte altre cose, ma le farò in aggiunta a questo mio impegno. Voglio poter dire di aver fatto il possibile e sto cercando a tutti i costi di mantenere la mia parola. Ma se dovessi immaginare cosa direbbe una me stessa più adulta alla me di oggi, probabilmente mi consiglierebbe di avere più cura della mia persona e di divertirmi come fanno tutti i ragazzi. Per goderti la giovinezza devi fare delle pause ogni tanto. E infatti sto cercando di farlo».

«Tutte queste questioni sono interconnesse. Essere un’attivista del clima o dell’ambiente non vuol dire preoccuparsi solo di alberi o fiori. Certo, ci prendiamo cura anche di quelli, ma lo facciamo perché ciò che noi facciamo alla Natura, la Natura fa a noi. La crisi climatica è anche una crisi sociale, colpisce per lo più le persone vulnerabili. Quindi se non lo teniamo a mente e non lo prendiamo in considerazione, non riusciremo a risolvere tutti gli aspetti collegati a questa emergenza. Di solito dico che non voglio intromettermi nella politica, come i diritti umani fondamentali. Stiamo parlando di giustizia sociale. Mi sembra ovvio che tutti dobbiamo occuparcene».

«Tutti siamo importanti e possiamo avere un ruolo. A volte siamo bloccati dall’idea che un singolo individuo non possa fare nulla da solo. La mia protesta, fatta in solitaria fuori dal parlamento svedese, dimostra che ogni persona può davvero fare la differenza. Ma se vogliamo che il mondo cambi davvero, abbiamo bisogno di tutti. Quindi nessun passo nella giusta direzione è mai troppo piccolo».

 
 
 

Gloria ha vinto

2021, Scarp de’ tenis, Luglio.

GLORIA, HA VINTO LA SUA BATTAGLIA: IN MALAWI MAI PIU’ PLASTICA MONOUSO

La sua è una di quelle lotte stile Davide contro Golia. Con il piccolo Davide che porta a casa una grande vittoria. Forse per la tenacia e la testardaggine, forse per la giusta dose di impegno e di utopia… Sta di fatto che, in questo caso, Davide ha il volto sorridente e mite di una donna trentenne del Malawi: Gloria Majiga-Kamoto. Che da più di cinque anni combatte contro i più grandi produttori di plastiche del suo Paese per metter fine innanzitutto all’utilizzo della plastica monouso.

 

Grazie alle sue campagne che hanno coinvolto molte persone e grazie alle pressioni esercitate sulle autorità del suo Paese, alla fine c’è riuscita. La Corte Suprema del Malawi ha, infatti, confermato il divieto nazionale di produrre, importare, distribuire e utilizzare plastica monouso nel luglio del 2019. Nel 2020, il Governo ha disposto la chiusura di tre industrie plastiche. E lo scorso 15 giugno, Gloria è stata insignita del prestigioso Goldman Environmetal Prize, conosciuto anche come Premio Nobel per l’ambiente.

 

Si tratta di un riconoscimento importante che ogni anno premia attivisti di tutto il mondo. Quest’anno, insieme a Gloria, figurano anche Thai Van Nguyen del Vietnam, Maida Bilal della Bosnia-Erzegovina, Kimiko Hirata del Giappone, Sharon Lavigne degli Stati Uniti e Liz Chicaje Churay del Perù. «Leader che hanno le potenzialità per ispirare altre persone ordinarie a compiere azioni straordinarie per proteggere la Terra». Gloria è certamente una di loro. «Abbiamo organizzato molte manifestazioni: abbiamo marciato verso il tribunale e incontrato le comunità per documentare esperienze e sfide che hanno incontrato a causa del problema della plastica», ha dichiarato alla Cnn. Ci sono voluti diversi anni e un grande impegno, ma alla fine, dopo una lunga battaglia legale, si è arrivati non solo alla messa al bando della plastica monouso, ma anche alla chiusura delle industrie.

 

Del resto, la situazione è davvero critica. Secondo uno studio commissionato dal Governo, si stima che ogni anno vengano prodotte circa 75 mila tonnellate di plastica e almeno l’80% viene gettato dopo l’uso. Non solo: il Malawi è la nazione che produce più rifiuti plastici pro capite rispetto a qualsiasi altro paese dell’Africa sub-sahariana. In città come Lilongwe, la capitale, la loro presenza ovunque ha aggravato gli effetti di devastanti inondazioni, ostruendo i sistemi di drenaggio.

 

Nelle campagne, invece, hanno avuto gravi ripercussioni su ambiente e animali. Gloria è rimasta particolarmente colpita dalla situazione di agricoltori e pastori. «Alcuni stanno perdendo il loro bestiame perché gli animali ingeriscono le plastiche e spesso muoiono».

 

Nonostante i successi, Gloria non ha smesso di lottare: «Il riciclaggio dei rifiuti richiede una certa tecnologia e il Malawi è molto indietro. Non solo però; ciascuno di noi deve essere consapevole delle proprie responsabilità e far sì che la plastica finisca nel posto giusto e possa essere riciclata».

 
 
 

Scegliere si può

Post n°3619 pubblicato il 14 Luglio 2021 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Luglio

 

I GUANTONI DI LUCIA, ORGOGLIO DI LIBRINO: «Scegliere si può»

Ci sono quartieri dove scegliere che direzione prendere è meno semplice che altrove e, per farlo, servono ancora più determinazione e coraggio. Perché se è vero che le croci non si scelgono, come non si sceglie dove nascere, è altrettanto vero che si può scegliere spesso che direzione prendere. Come la piccola grande Lucia Ayari, nuova stella siciliana nel firmamento dello sport giovanile italiano, che ha portato lo scorso aprile in dote al nostro Paese una medaglia di bronzo ai Mondiali di pugilato per la categoria Youth, in programma dal 13 al 24 aprile scorsi a Kielce, in Polonia.

Lo ha fatto combattendo la sera del 19 aprile, proprio mentre il suo popoloso quartiere d’origine del catanese, Librino, balzava alle cronache per l'arresto di 14 persone per una furiosa sparatoria tra bande mafiose che l’8 agosto 2020 aveva lasciato a terra due morti e feriti. Ecco perché il suo bronzo, sorprendente e gioioso, luccica già più dell’oro: a Librino devi scegliere presto se prendere direzioni del genere o no. E troppo spesso senza una famiglia in grado di sorreggerti, come accaduto proprio a Lucia da piccolissima, accolta però dall’Istituto San Giuseppe delle Suore Serve della Divina Provvidenza, zona Cibali.

Suore che sono madri di tantissimi bimbi che hanno spesso solo la colpa di nascere dalla parte sbagliata del mondo. «Grazie a loro sono cresciuta proprio come donna. Mi ero sempre rapportata con i ragazzi, avendo anche quattro fratelli più grandi di me. Mi hanno trasmesso femminilità e affetto, e grazie a loro ho iniziato ad amare le preghiere, ho fatto la prima comunione e ho conosciuto la fede. Mi hanno insegnato a vivere con pienezza. Ricordo quegli anni come una scuola di vita amorevole che mi ha aperto la mente». Tutto il contrario di bacchette e stereotipi che una congregazione di suore potrebbe far pensare.

 

«Da piccola, mi appassionavano la danza e zumba – racconta Lucia emozionata. Ma amavo tutto lo sport che mi proponessero: con la gonnellina e le ballerine ai piedi, tornata da danza, andavo a giocare a calcio coi ragazzi». Mamma italiana e papà tunisino, Lucia Ayari combatte per la categoria 51 kg dopo aver scoperto il pugilato a 13 anni. Galeotta una frase del maestro Nino Maccarrone al PalaNitta, tana del Boxing Team Catania Ring che le disse: «ma lo sai che hai la faccia da pugile? Perché non provi?».

«All’inizio ci rimasi male – confida Lucia -. Ma poco alla volta mi sono accostata a questa disciplina impegnativa. Per fare boxe serve impegno, sacrificio e tanta disciplina. Così sono anche riuscita a tenere a bada la mia esuberanza fisica e il mio carattere». Lucia è oggi un orgoglio e una speranza per Librino e le periferie dimenticate: vanta già 3 titoli italiani, l’ultimo nel 2020, un secondo posto agli Europei del 2018, 2019 e 2020. Merito anche della modicana Valeria Calabrese, ormai punto di riferimento della boxe in Sicilia, ma soprattutto di una palestra che è un centro di aggregazione sociale in grado di cambiare la storia di un quartiere di 90.000 anime. Lucia è oggi una promessa per tutto il movimento azzurro, con due sogni dichiarati: iscriversi all’università e centrare le Olimpiadi del 2024.

 
 
 

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