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L’estinzione dei dinosauri sul grande raccordo anulare. Ovvero ne ammazza più l'indifferenza che la glaciazione

Post n°451 pubblicato il 30 Maggio 2017 da viburnorosso

Nel frattempo sono successe delle cose.
Una di queste, per esempio, è che a gennaio la nonna, che poi è mia madre, si è rotta una gamba. A dire che se l’è rotta sembra che ci abbia messo del suo, tipo che è inciampata e caduta. E invece no, il collo del femore ha fatto tutto da solo: un giorno è venuto giù come una mensola troppo carica di libri. Dalla statica dell’equilibrio al collasso senza nessun preavviso.
Che poi è quello che succede anche con tante altre cose della vita, come gli amori, le passioni che ci accendono o la batteria della macchina. L’asciugacapelli no, perché di solito prima di abbandonarci saluta con un rumore di ferraglia sbullonata, una triste folata di fumo nero e l’odore acre degli addii.

A me questa cosa che le gambe si possono spezzare per usura non me l'aveva detta nessuno, ma pare che alle persone anziane ogni tanto accada: buono a sapersi, anche se a dirla tutta mi sarei accontentata di impararlo per esperienza indiretta. Magari leggendolo sull'allegato "salute" del giornale. 

Così per oltre un mese e mezzo la mia giornata è stata cadenzata dall’orario visite dell’ospedale: all'ospedale, per arrivarci, 30 chilometri di GRA, da Nomentana ad Aurelia, che diventano 60 col ritorno, e un numero incalcolato di file sul viadotto allo svincolo Flaminia.

Per l’orario d’ingresso delle 18,30 avevo calcolato un'ora di viaggio: uscivo di casa che era già buio e all’altezza della Salaria, dove la prospettiva si spalanca su un apparente rettilineo, la fila dei lampioni accesi rivelava il lunghissimo collo ondeggiante di un dinosauro erbivoro naturalmente proteso a sinistra verso il suo obiettivo. Poi il rettilineo diventava vero, e la radio mi distraeva dall’individuazione di altre antropomorfie stradali.

La simpatica bestiola mi ha fatto compagnia per un bel pezzo, almeno fino al crepuscolo serale di metà marzo, poi un giorno mi sono dimenticata di gettarle un sguardo, e anche quello successivo, e così via: lei era sempre lì, ma senza il suo collo luminoso non faceva più lo stesso effetto e finiva per mimetizzarsi con gli altri arredi urbani. 

L’arrivo della primavera, insomma, è stato il cretaceo del mio dinosauro elettrico, e per me, fortunatamente, la fine delle visite serali e l’inizio di una nuova era: quella della terapia domiciliare.

A volte le cose si estinguano semplicemente per indifferenza.  E allora significa che è così che deve andare.

 
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