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Messaggi di Ottobre 2013

Suggerimenti ortodotisticici, ovvero l’ora della buonanotte!

Post n°335 pubblicato il 30 Ottobre 2013 da viburnorosso

-      Gufetto, tu la mattina non ce la fai a svegliarti perché vai a letto troppo tardi.  A che ora sei andato a dormire ieri? Mi sono addormentata che eri ancora sveglio!

-      A mezzanotte.

-      A mezzanotte? Ma sei impazzito? Non puoi andare a dormire a quell’ora, normale che poi la mattina sei stordito! Ma perché  hai fatto così tardi?

-      Me l’ha ordinato il dentista. Anzi ad essere più precisi, l’ortodontista.

-      L’ortodontista? E di grazia, da quando in qua gli ortodontisti si occupano di educazione al sonno e corrette abitudini serali?

-      Certo che se ne occupano! Sei tu che non stai attenta! Ti ricordi che il mio ha detto che devo portare l’apparecchio tutta la notte, e almeno anche due ore durante la giornata? E siccome io me l’ero messo alle 10 di sera, come facevo ad andare a letto prima della mezzanotte?

 

 
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L'inganno del tempo ritrovato (e Proust, come sempre, aveva ragione)

Post n°334 pubblicato il 28 Ottobre 2013 da viburnorosso

 

Il copione si ripete uguale da anni.

Un giorno di ottobre alla televisione ricordano che l’indomani occorrerà spostare le lancette dell’orologio indietro di un’ora. Poi la stessa notizia ti capita di sentirla alla radio e di leggerla anche in un trafiletto sul giornale.
E tu pensi che sarà impossibile dimenticarsene stavolta.
Quando però la sera vai a dormire, l'appunto mentale che avevi preso nel frattempo è finito sotto a pensieri più recenti:
coperto dai panni che fanno la muffa in lavatrice, cancellato dalla telefonata che non hai fatto, nascosto dietro alla lasagna vegetariana che hai provato oggi al ristorante e che devi assolutamente rifare (anche se non hai mica capito bene se dentro ci va il porro o la cipolla),
è oramai troppo fuori dalla tua visuale perché tu possa ricordartene.

La mattina ti svegli, afferri il telefonino sul comodino, e controlli l’ora: sono le otto e mezza e hai un appuntamento per le dieci. È quasi ora di alzarsi, pensi, se voglio fare le cose con comodo. Accidenti a me e agli appuntamenti di domenica mattina!
Poi qualcuno dall’altra stanza ti chiede se ti sei ricordata di spostare le lancette dell’orologio un’ora indietro, e a quel punto, immancabilmente, come tutti gli anni, tiri un sospiro di sollievo e sorridi per il tempo ritrovato.
Ti piace che la stagione recuperi i suoi ritmi e non ti turba il pensiero della sera che arriverà prima. Anzi!
Chiudi nuovamente gli occhi, tiri su il piumino fino a metà testa e ti godi quell’ora in più di mattina come un regalo inatteso, ché se avessi rimesso l’orologio ieri sera te la saresti persa in quel nulla temporale tra le due e le tre di notte.

E mentre i minuti scivolano uno dietro l’altro nel dormiveglia, che sei quasi arrivata a consumarli tutti, e già pensi che potresti aggiungercene anche qualcuno dalla nuova ora solare, magari sottraendolo al tempo della colazione, ecco che vieni colta da un terribile déjà vu correttivo:
è la stessa identica scena dello scorso scorso anno. Tutto uguale, salvo il nuovo telefonino.
Quello con la funzione di aggiornamento orario automatico.

 

 
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Microscopiche felicità

Post n°333 pubblicato il 26 Ottobre 2013 da viburnorosso

 

Non fermano il cuore, né lo accelerano abbastanza da fargli inseguire un desiderio.
Non scombinano l’ordine, non mettono pace nel disordine.
Insomma, non cambiano certo la vita.

Troppo esili per essere trattenute, ma appariscenti quel che basta per non passare inosservate.
Illuminano l’esistenza come il flash di una macchinetta fotografica, che immortala la torta un attimo prima che il festeggiato soffi sulle candeline. O un attimo dopo.
Fuori tempo utile per un solo istante. Così da lasciare la sensazione che sarebbe bastato uno scatto ad afferarle.

Non servono quasi a nulla. Se non che a rendermi consapevole della fragile inconsistenza delle cose che hanno il potere di accendermi un sorriso.

Ieri, per esempio, me ne è capitata una. Una microscopica felicità, capace di inondare di luce il tratto Piramide-Marconi.
Sono uscita di casa con il solito irrecuperabile ritardo, e invece di accumularne altro, come la meccanica del traffico impone, sono arrivata alla metro con 10 minuti di inspiegabile anticipo.
Sono riuscita a prendere la corsa precedente alla solita e alla fermata Piramide è salito il mio musicista ambulante preferito, un bravissimo chitarrista sudamericano che incrocio da anni ma putroppo assai di rado, e che in virtù di questa rara ma felice combinazione, coerentemente con il mio apotropaico razionalismo, ho inserito da tempo tra i segnali di buon auspicio per la giornata.  

Non so come faccia, ma quell’uomo riesce sempre a indovinare la musica che mi suona dentro:

Canta, canta, canta que tu dicha es tanta que hasta Dios te adora
Canta, canta, canta palomita blanca mientras mi alma llora

 

 

 

 
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Complicità maschili, ovvero come rendere verosimili argomentazioni improbabili

Post n°332 pubblicato il 23 Ottobre 2013 da viburnorosso

 

-         Scrocchiazzeppi, cos’è questa storia che lo Scienziato ha detto a Giunco che non può giocare con voi, perché è troppo bassa? Vi ho sentito, sa!

-         Che c’entra, lui glielo può dire perché è sua sorella, e poi era solo un consiglio, voleva dire che è meglio che gioca con le femmine, che fanno giochi che non serve essere alti come  “smalto sulle unghie” o “balli dell’estate”.  Per giocare a “schiacciapalla” invece bisogna avere una certa altezza, lo dice pure la parola, sennò come fai a schiacciare la palla?

-         Ma se Giunco vi mangia in testa a tutti quanti! e ha pure due anni in meno di voi! Come fate a dire che è bassa?  state negando l’evidenza!

-         Ma guarda, Viburna, che hai capito male! Lo Scienziato intendeva solo dire che oggi è un po’ più bassa del solito.

 

 
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Strategie d’evitamento, ovvero la tattica del raccoglitore di penne è sempre la più affidabile

Post n°331 pubblicato il 19 Ottobre 2013 da viburnorosso
 

 

Avete presente quando ci piove addosso un’incombenza? qualcosa che ci risparmieremmo volentieri di fare?
L’istinto di sopravvivenza di cui siamo a nostra insaputa dotati si attiva immediatamente per evitarcela.

Ci sono diversi modi per raggiungere questo traguardo.
La tattica più di diffusa è quella di aggirare l’ostacolo: rendersi irreperibili, non rispondere al telefono, presentarsi con strategico ritardo.
Che poi sono tutte varianti della collaudatissima tecnica del raccoglitore di penne, quella che utilizzavamo alle superiori per evitare l’interrogazione di chimica.

Ricordate quando la professoressa entrava in classe dichiarando: “Oggi interrogo!” e cominciava a roteare il suo sguardo sadico su di noi, innocenti vittime sacrificali?
E se i suoi occhi malauguratamente intercettavano i nostri, finivamo diritti sul patibolo?
Ecco, quello era il momento di chinarsi a perlustrare il pavimento alla ricerca della penna caduta.
Per poi riemergere balzandosi da sotto al banco con la penna in mano non appena sentivamo la professoressa annunciare: “Tontodimamma, alla lavagna!”

Certo, è una tattica che funziona sempre, anche se ovviamente dopo tanti anni che ce ne serviamo comincia ad essere un po’ logora: se come me avete finito da un pezzo la scuola, ormai lo capite subito quando qualcuno finge di cercare qualcosa sotto al banco solo per evitare di fare quello che gli tocca fare!
Del resto scagli la prima penna chi non si è mai chinato a raccoglierne una!

In alternativa io mi servo della strategia dell’assalto frontale: questa tattica, da me elaborata nel tempo, parte dall’assunto che “l’ostacolo non va aggirato ma affrontato”, e se eseguita con una certa perizia, offre un’alta percentuale di successo, ma soprattutto garantisce un insperato ritorno di immagine, perché non solo permette di evitare l’ostacolo, ma anche di farci una bellissima figura, giacché nessuno penserà che vi state tirando indietro.

Vi faccio un esempio: è il compleanno della vostra amica Cicci e avete deciso di farle un regalo. Chi va a comprarlo?
Il raccoglitore di penne inventa subito una centinaio di impegni improrogabili e irrisolvibili, del tipo “Devo portare il cane dal veterinario che è allergico al pelo del gatto!” oppure “Andrei volentieri, ma oggi devo levare i pallucchi al maglione di angora”.
L’assaltatore frontale invece si offre subito volontario. Col sorriso sulle labbra annuncia: “Vado io! C’è un bellissimo negozio accanto al mio ufficio, è decisamente più caro di quello dove andiamo di solito, però è l’unico posto che riesco a raggiungere nei 6 minuti e mezzo della mia pausa pranzo. Fa nulla, vorrà dire che oggi pranzerò con una gomma da masticare”
L’assaltatore frontale fa abilmente leva sull'altrui senso di colpa e siccome non dà affatto l’idea di uno che voglia farla franca, state pur certi che qualcun altro si offrirà al suo posto.

L’altroieri mi è piombato addosso un impiccio lavorativo che mi ha messo nella situazione di dover scegliere tra una di queste due strategie: se gettare la penna a terra, o guardare in faccia il pericolo.
Era infatti ospite della mia università un collega polacco, approdato a Roma insieme ad un suo amico idraulico per tenere due lezioni al mio corso.
La regole non scritte del galateo accademico suggeriscono che l’ospitante mostri la sua ospitalità verso l’ospitato, prendendosi cura di lui durante il suo soggiorno.
Cosa che io farei anche volentieri, se non fosse che non ho nessuno a cui mollare nel frattempo le mie incombenze quotidiane. Perciò ho iniziato a destreggiarmi tra gli impegni soliti e quelli aggiunti come meglio potevo.
Il primo giorno l’ho portato a pranzo alla tavola calda della Garbatella spacciandogliela per una caratteristica trattoria romana. La lasagna della sora Teresa del resto ha giocato in mio favore.
Restava però risolvere la serata di oggi, e la semplice idea di cucinare anche un solo piatto di spaghetti, o peggio ancora, di scarrozzarli, lui e l'idraulico, in giro per locali pieni di pischelli in libera uscita (è venerdì!), mi atterriva.
È stato così che l’assaltatore frontale che mi abita dentro si è affacciato in mio soccorso, prendendo in mano la situazione:
“Ma perché non venite a cena da me?”, ha proposto.
Poi senza dar loro il tempo di replicare ha aggiunto:
“Certo, mi rendo conto che abito dall’altra parte della città e poi il tuo amico si annoierà mortalmente visto che non parla una parola dell’italico idioma e manco di nessun’altra lingua a noi intellegibile e sarebbe quasi da dire che non capirà un tubo, se non fosse che di tubi effettivamente ne capisce. E poi mi rendo conto che non è una grande prospettiva farsi tutto quel viaggio per venire a passare una serata in estrema periferia, in compagnia del mio pargolo in crisi preadolescenziale e della mia anziana madre. Però insomma, mi farebbe veramente piacere avervi a cena da me!
Vi va? Preparo la  pizza!”
ho anche azzardato con la tipica sicurezza di chi pensa ormai di aver schivato l’ostacolo e sente già la vittoria in tasca!

“FANTASTICO! per le sette va bene?”
“Ecco ... magari facciamo per le otto!”

 

 
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