Creato da zancarlo2010 il 02/06/2011
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« L'eterno ritornoAlla deriva »

Il naufragio

Post n°5 pubblicato il 01 Settembre 2011 da zancarlo2010

E' il naufragio non so come sia accaduto, ma io come Giobbe posso dire: "cio che temevo è accaduto". Alcuni sostengono che in queste parole si colga l'archetipo della psicosomatica il potere che noi abbiamo di ammalarci semplicemente perchè crediamo di esserlo. Mi conforto e cerco di sentirmi esente da colpa pensando e constatando che la mia immaginazione non ha potuto fornicare con la paura tanto da dare simili risultati. Non sono potuto entrare nei circuiti parlamentari, nel merito, nella legittimità e tantomeno nella oppurtunità delle leggi, dei decreti e dei regolamenti. Ma allora dove stà la mia colpa? La verità è che ho subito e continuo a subire felicemente, perchè a me delle rivoluzioni delle, urla di piazza, dei comizi e delle promesse di una società migliore o di un mondo equo e giusto non me ne frega un piffero. Come tutti, anche quelli che dicono di vivere per nobili ideali e sono tanti, aspiro ad avere la pancia piena, i soldi, sesso e tutti quei gadget che ci rendono la vita di ogni giorno meno noiosa e meritevole di essere vissuta.

Si è il naufragio e con me i più nobili ideali che come le pulci di un topo muoiono quando il la gabbia viene immersa nell'acqua per farlo afogare. Mi viene da pensare che gli ideali siano come delle pulci non ci lasciano riposare e ci spingono a sacrificare noi stessi in loro nome ma alla fine non ci sono più come se non fossero mai esistiti.

Così io arrivo alla soglia dei cinquanta e mi sveglio perche cado in acqua e questa nei pomoni mi fa tossire, sputare e lacrimare e mi spinge a riemergere per cercare nell'aria se non la vita almeno la fine del tormento di una tosse contratta e di una bocca bavosa.

Il dirigente scolastico mi ha accolto disponibile e gentile  come pochi ha chiesto di sedermi la con lui per parlare dell'estate passata, del mare e delle gite in bicicletta. Ma io ero la per essere un peso come lo è un mendicante che chiede l'elemosina che  disturba non perchè vuole denaro ma perchè turba la nostra coscienza e diventa un peso per il nostro ventre sazio e per  la nostra coscienza sopita durante la digestione e che aspira a riposare e niente altro. Inizio il discorso da lontano la butto sull'economia che è ferma lo vedo ogni giorno in in cantiere si vende poco e così anche i nostri clienti non vendono e non hanno liquidità per pagare con costanza le nostre forniture. Procedo nel parlare con cautela perchè mendicare è umiliante e io devo avere la testa china e lo sguardo che fugge il suo per la vergogna non è un granchè di discorso. Mi risponde che a causa di tutto è il conflitto tra produzione e dipendenti questi ultimi se non consumano non provocano aumenti dell'ocupazione e della produzione. Non mi riesce di rispondergli e dirgli che il suo raggionamento è valido solamente in una economia chiusa ie non in un mondo come il nostro dove la globalizazione e il libero scambio fanno fluire il denaro nei luoghi dove il prezzo dei prodotti è più conveniente, la dove il costo della manodopera è più basso e questo non è certamente quella parte del mondo in cui viviamo noi. Potrei dirgli semplicemente che ho necessità di lavorare e anche che se non mi spaventa il presente sono preocupato per il futuro quando sarò vecchio senza forze e senza denaro. 

Mi guarda sorridendo per dirmi che non è rimasto niente neanche un'ora, come è possibile che sia accaduto due anni fà le ore di lavoro erano tante più di una catedra. A cosa posso paragonare quanto accadeva? Potrei sicuramente paragonarlo a un ricco banchetto dove si peparano tante porzioni poi si fanno sedere gli ospiti e si fa la conta per distribuirlo, tutto il cibo che avanza, il funzionario magiordomo, incaricato, lo porta sulla soglia e convoca per una data ora in un giorno da stabilire tutti gli affamati e la comincia la distribuzione. E così ogniuno rientra a casa con il cibo che rosichierà durante l'anno. Non porto via niente da mangiare.

Ricordo un salmo in cui il salmista paragona la distruzione del tempio di Gerusalemma da parte degli Assiri: una scure che si abbatte sulla selva per per far rovinare gli alberi così gli invasori calavano le loro scuri sulle porte del tempio. Così è accaduto a quei rami della mia esistenza che sono stati potati dal tronco con la scure senza alcuna cura perchè non si facesse un danno ancora più grande sui rami vicini e sulla corteccia strappandola e lei che porta la linfa al tronco

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