Una studentessa universitaria fuori sede a Milano, un pò sprovveduta e confusa. Ero io, un certo numero di anni fa, piena di speranze, timori e con una vita dentro che chiedeva di essere realizzata. Non sapevo ancora come ma volevo provarci, ero lì anche per quello. Ogni tanto frequentavo un residence universitario, dove incontravo amici anch’essi fuori sede. Lì avevo conosciuto un ragazzo di Lisbona dall'aria timida e pulita. Me ne ero innamorata. Un amore allegro e primaverile. Molta passione. A volte lo raggiungevo già dal giovedì sera e stavo con lui fino alla domenica, spesso chiusi nella striminzita stanzetta di quel residence, con un letto a una piazza sola. Mi raccontava di sé, di un' isola dell’arcipelago di Capo Verde dov’era nato e cresciuto per un certo periodo, della sua famiglia numerosa, di una grande casa che guardava l’Oceano, di governanti di colore che accudivano lui e i molti fratelli. Lo ascoltavo, a mia volta raccontavo e poi immaginavo, pensavo. ”Sentivo”.
Soprattutto imparavo sentimenti e sensazioni nuove, attraverso dimensioni e linguaggi che di parole hanno poco bisogno. Spesso, spesso davvero, mi faceva ascoltare una musica che non conoscevo. Sentivo parole misteriose tessute su melodie languide e malinconiche, struggenti. Era il Fado cantato dalla sua Regina, Amàlia Rodriguez, un nome che ai più non significa nulla. Certo non è Beyoncè, certo non Lady Gaga, certo non Alicia Keys. Un altro pianeta, un intero pianeta di terra e sangue che entrava nell’anima accarezzando e infiammando con la Saudade. Non la Saudade brasiliana, quella di un Paese equatoriale festaiolo e magico che si ritrova all’improvviso depresso, no. Amàlia cantava il dolore di vivere, la tristezza amara e tosta, forte e consapevole, un languore affettuoso e caldo dell’appartenere a qualcosa.
Me ne ricordo alcune di quelle canzoni che oggi si direbbero nenie melense e lente, senza batteria, strumenti elettrici, senza effetti elettronici o campionatori. Tutti gli effetti erano dentro la voce di Amàlia. Era come sentire mia madre che mi chiamava a casa, era la voce della madre di tutte le madri che piangeva di gioia e di dolore, di nostalgia di abbracci. Ai mouraria, Que Deus me perdoe, Casa Portuguesa, Tudo isto è Fado. Lui le cantava appassionato, me le spiegava e traduceva, io ascoltavo una favola ad occhi chiusi, immaginavo paesaggi e l’Oceano Atlantico, vedevo scialli neri e femmine di sangue vivo come al paese dei miei nonni. Nessuno ne parla più di Amàlia, nessuno l’ascolta più. Ma provarci anche solo una volta può dare un’esperienza profonda e forte, comunicare vite ed energie che mille prodotti di fabbrica musicale non potranno mai. Chissà quel mio amore di allora dove sarà oggi, chissà se canta ancora Amàlia.
“Se è pois um pecado ter amor au Fado que Deus me perdoe …”
...Sempre airosa O branco veu de saudade Cobre o teu rosto, linda Princesa! Olhai, senhores, Esta Lisboa d'outras eras Dos cinco reis, das esperas E das toiradas reais Das festas, das seculares procissoes Dos populares pregoes matinais Que ya nao voltam mais
Ma è bellissimo. E non lo trovo affatto lagnoso. Non c'entrerà niente ma quelle corde pizzicate mi riportano a questo: http://www.youtube.com/watch?v=te9fqm6rUPY Poi ci sarebbe una citazione "franchista" in portoghese, ma non è giorno perché oggi è martedì.
Si, forse c'entra poco ma la melodia è altrettanto bella... Oggi per fortuna è giovedì. :) (Pure la citazione "franchista" in lingua lusitana conosce... sono sorprendenti questi Brianzoli)
Ma oh! Non si può, è troppo lontano. Ti devi accontentare dell'Atlantico... accontentare per modo di dire... La costa dell'Algarve che si affaccia su quell'oceano è meravigliosa. Tutta.
E' bellissimo. Il fado. E questo post. E il ricordo così caldo di un amore passato. Vorrei che almeno uno dei miei amori passati, un giorno, mi ricordasse così. E mi hai ricordato Lisbona...