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LE MIGLIORI PAROLE CHIAVE DEL MESE - MAGGIO
TRA LE CALDE CHIAPPE DI MIA NONNA
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(lo so che non si direbbe, eppure è così)
Abito di fianco alla scuola elementare. Stamattina si vedevano zaini percorrere il viale: forse sotto c'era anche qualche bambino, ma alcuni sono così piccoli che potrebbero tranquillamente stare piegati all'interno dei loro zainetti.
Io non sono mai stata felice di tornare a scuola. Neppure di iniziarla a dire il vero: mia madre si preoccupò di descrivermi tutto ciò che di più atroce prevedeva la mia entrata nel mondo dello studio, ma dimenticò totalmente di illuminarmi sull'esistenza dell'intervallo. Il primo giorno di scuola suonò la campanella e rimasi immobile di fronte all'esplosione di gioia dei miei compagni di classe, i quali tiravano fuori dai loro forniti zaini quintali di cibo. Io non avevo nemmeno una misera merendina.
I miei compagni di classe chiesero i compiti alla maestra: erano ansiosi di sentire sulle loro spalle il carico della responsabilità. Io no, sbagliai fin dal secondo giorno, quando sul mio quaderno fu esibita la scritta rossa "Non hai terminato il compito assegnato". La mia carriera scolastica prometteva molto bene.
In realtà non sono mai stata brava a finire le cose. Mi manca la costanza di impegnarmi a fondo in ciò che faccio, ma soprattutto detesto tutto ciò che è imposto da qualcun altro. Non credo di essere mai tornata a scuola con i compiti delle vacanze finiti: di solito varcavo la soglia con lo zaino vuoto e il respiro affannoso carico di sensi di colpa di chi sa di essere vicino all'ennesima lavata di capo.
La mia maestra aveva una scatola piena di schede di esercizi di grammatica e le assegnava per punizione. In quarta elementare io non facevo più errori di ortografia, ma la maestra non aveva più punizioni da assegnarmi perchè le schede le avevo già fatte tutte diverse volte. A 11 anni smisi di piangere quando la maestra mi puniva: ero brava a scuola, e i miei compagni non nascondevano una certa soddisfazione nel vedere che venivo sgridata. Era umiliante, ma sono sempre stata dannatamente orgogliosa e decisi che non avrei più versato nemmeno una lacrima di coccodrillo.
Non piansi neppure quando alle medie il professore di disegno mi urlò che il mio livello di negligenza era pari a quello degli elementi più scansafatiche della mia classi. Risi amaramente, perchè sapevo che era vero. Una buona parte di professori si mise in testa di salvarmi: in terza media mi dissero chiaramente che con il mio atteggiamento sarei andata poco lontano e che mi sarei persa inesorabilmente per strada. Mi fecero uscire con ottimo, e ancora mi chiedo perché.
Mi iscrissi a ragioneria in un'altra città. Con gli anni imparai a sopravvivere abbastanza bene al meccaniscmo che regolava interrogazioni e compiti in classe, ma i professori riferivano a mia madre che ero una ragazza strana. Le mie compagne di classe vociferavano che io fossi dell'altra sponda e la maggior parte di loro non sapeva neppure in quale città vivessi. Durante una gita scolastica si chiusero in una stanza ed iniziarono un interessante discorso sulla mia presunta asocialità: rimasi molto delusa quando una mia amica si sentì in dovere di avvisarle che io ero nella stanza con loro, anche se la mia presenza era stata del tutto ignorata. Fu un vero peccato, avrei tanto voluto sentire il seguito.
Io non sono mai stata brava né ad organizzarmi né ad adeguarmi. Alla luce di tutto ciò ancora mi chiedo perché mi sono iscritta all'università e soprattutto perché sto seriamente valutando la possibilità di ritornarci.
Sono la regina delle contraddizioni.
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