Sgosh!

Se qualcosa può andar male lo farà.

 

Messaggi di Gennaio 2009

ADDOLORATA

Post n°497 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da ausdauer
Foto di ausdauer

Se qualcuno anni fa mi avesse predetto che, a quasi 28 anni suonati, avrei sofferto senza dignità alcuna per la morte di un pesce, gli avrei risposto che non è più l'età per piangere come un vitello di fronte a certi eventi. Con tutto quello che accade nel mondo, un pesce in più o in meno che differenza vuoi che faccia?

E, invece, ora sono profondamente addolorata e affranta per l'imminente morte della mia adoratissima pesciolina, la quale agonizza senza possibilità di salvezza già da qualche giorno.

Arrivata a casa mia inaspettatamente e nemmeno particolarmente desiderata, è stata una compagna di stanza impareggiabile. Vivace, bisbetica, sempre pronta a sbranare qualsiasi cosa con voracità (tentò pure con le lumache, e fu molto delusa dell'insuccesso), sprizzava entusiasmo e voglia di vivere.

Nonostante le mie attenzioni sempre crescenti, il due gennaio è stata attaccata da un parassita che non sono riuscita a sconfiggere nemmeno con due cicli di antibiotico. Debilitata dal parassita, si è trovata in pochissimi giorni devastata da una micosi che non ho saputo prontamente riconoscere, e che l'ha ridotta a quello che è ora: un pesce morente.

Un tributo a lei che mi ha tenuto compagnia per quasi un anno e a cui ho dedicato più attenzioni di quante ne potessi immaginare nei confronti di un animaletto apparentemente così insignificante, e che invece mi ha insegnato tanto sui pesci e sulla mia voglia di prendermi cura di loro.

Forza Celeste, ormai è finita. So che non te ne vuoi andare perché non sopporti che le lumache prendano possesso dei tuoi 25 litri, ma vedrai che ne avranno cura.

 
 
 

DOCCIA FREDDA

Post n°496 pubblicato il 16 Gennaio 2009 da ausdauer

Com'è andato il mio primissimo giorno da spettatrice di vere e conclamate malattie mentali?

L'infermiera mi ha caricata in macchina, mentre io, ignara di tutto, pensavo a come avrei fatto se fossimo dovute restare via tanto da non potermi permettere di andare in bagno. Una vecchia fobia che aumentava di minuto in minuto lungo il viaggio, notando che ci allontanavamo sempre di più dalla civiltà.

"Dove stiamo andando?" chiedo con finta noncuranza.
"In un paesino di campagna immerso nel nulla... dunque, il distretto ha preso in carico questa intera famiglia..."
"Intera famiglia?" chiedo sovrappensiero, pensando che più siamo nel nulla, meno probabilità ho di trovare un bagno all'occorrenza.
"Sì, una famiglia di otto persone, non ancora tutte in cura presso il servizio, ma tutte bisognose di una terapia adeguata..."
"Terapia di che genere?" domando per distogliere la mia attenzione dalla vescica, che temo possa riempirsi improvvisamente per l'ansia da "Oddio non troverò mai un bagno".
"Beh, si tratta di una famiglia di schizofrenici e psicotici.."
Il mio sguardo si fa vitreo, mentre cerco di mantenere un'indiffirenza.
"Ma non c'è da temere niente, insomma... è vero che siamo nel nulla, è vero che andiamo a casa di una famiglia che ha gravi problemi psichici, ma faccio questo lavoro da tanti anni e..."

Dunque, ecco il mio battesimo ufficiale con la psicologia, seppure da osservatrice muta. C'è anche da dire, come risultato non trascurabile, che il brivido da "oddio, chissà se tornerò a casa" ha spazzato via completamente l'ansia patologica da "oddio, chissà se troverò un bagno", facendomi sentire discretamente normale.

Eppure devo ammettere che non ho notato grandi differenze tra comportamenti osservati nella mia decennale esperienza alberghiera e quelli di malati di mente conclamati e riconosciuto da un servizio sanitario pubblico. Probabilmente sono viva per miracolo.

 
 
 

SENTO ODORE DI MUFFA

Post n°495 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da ausdauer
 

E' andata più o meno così.

Il 20 novembre ho preso accordi con il tutor per un tirocinio che inizialmente mi ero ben guardata dal cominciare, ma che ormai si rendeva indispensabile in qualunque sua forma o tempistica. Concordo i luoghi, le date ufficiali, il programma e dopo due settimane ho creduto, assai ingenuamente, che fosse finita lì. O almeno, così mi era stato detto e così avevano fatto le altre centinaia di tirocinanti prima di me.

Invece no: alla presentazione dei documenti si apre un abisso. L'azienda sanitaria, in quel preciso momento, si ricorda di un episodio remoto risalente ad aprile in cui l'Ufficio tirocini non rispose ad una sua email di delucidazioni, e di lì è partita una guerra in cui io sono stata arruolata forzatamente. Dopo un mese di ripicche, discorsi incongruenti, viaggi assolutamente inutili ai capi della Romagna, attraverso una imperturbabile faccia da disperata ho mosso la pietà infinita dei contendenti, riuscendo finalmente a consegnare la modulistica al 18 dicembre, con possibilità di ottenere una conferma d'inizio il 19 dello stesso mese.

Peccato che da allora la mia pratica sia rimasta sospesa e dimenticata in un anfratto nascosto di chissà quale ufficio amministrativo. Me la immagino lì, sola e polverosa, sotto una scrivania a raccogliere le pedate di impiegati colpevoli solo di non aver spiegato all'impresa di pulizia che le carte non vanno raccolte soltanto dai cestini, ma anche dal pavimento.

Dunque il mio primo giorno vero di tirocinio, ottenuto l'accordo soltanto per vergogna altrui, credo, sarà domani. Telefono tutta emozionata a quella che, su suggerimento di un'altra tirociniante, sarà l'infermiera a cui mi dovrò affiancare nel mio lavoro di "apprendimento" al Centro di Salute Mentale. Già tronfia del fatto che trascorrerò un ameno pomeriggio con lei che fa le visite e io che la attendo seduta ad una scrivania guardando il soffitto, accetto senza rendermi conto che invece mi ha proposto di uscire con lei per andare in visita domiciliare. Il tempo di realizzare l'orrore e già ho chiuso la telefonata.

Ora, chiunque mi conosca un minimo, sa che soffro di una specie di claustrofobia spazio-temporale, in cui il panico mi assale al solo pensiero di essere vincolata alla volontà altrui, senza un appoggio fisso a cui ancorarmi in caso di necessità.
Inoltre vorrei considerare la questione da un punto di vista meno patologico: chiunque in una situazione nuova, che in qualche modo può spaventare, vorrebbe almeno potersi ritagliare anche la più piccola via di fuga. Prendendo coscienza del fatto che io non ho mai avuto esperienze dirette con gente veramente malata (checché si dica delle persone che mi stanno attorno), non sarebbe stato più comodo un asettico ospedale con una porta qualunque da cui uscire in caso di bisogno estremo, piuttosto che entrare in bocca al nemico direttamente dall'ingresso di casa?
Sento che il Centro di Salute Mentale, oggi come non mai, sia il posto che più mi si addice.

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 02/03/2005
 

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