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Messaggi del 23/01/2018

ALTRE SCOPERTE.....

Post n°1563 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

31 marzo 2015

La fine di un supercontinente stimolò

la biodiversità nel Cambriano

La fine di un supercontinente stimolò la biodiversità nel Cambriano

 

La grande proliferazione di forme differenti

di vita che caratterizzò l'inizio del Cambriano,

oltre mezzo miliardo di anni fa, fu innescata

dalla frantumazione dell'antichissimo super=

continente di Pannotia. Nei nuovi mari che si

aprirono si crearono nicchie ecologiche diverse

che favorirono l'evoluzione di gruppi animali distinti(red)

biodiversitàevoluzionescienze della terra

Fu la tettonica a placche a innescare il più

ampio aumento della biodiversità che si sia

mai verificato sul nostro pianeta, la cosiddetta

esplosione del Cambriano, avvenuta tra 540 e

520 milioni di anni fa. La scoperta è di Lin Na 

e Wolfgang Kiessling, della  Friedrich Alexander

Universität a Erlangen-Nürnberg e della Humboldt

Universität a Berlino, che la descrivono

 sui "Proceedings of the National Academy of Sciences".

Nell'arco di tempo geologicamente breve in cui si

verificò l'esplosione del Cambriano, emersero una

cinquantina di nuovi phyla animali (il phylum è il

raggruppamento tassonomico più generale,

appena sotto il regno e sopra la classe), ma non

è mai stato chiaro se i fattori che guidarono questa

eccezionale diversificazione siano stati abiotici (per

esempio, salinità e temperatura delle acque),

ecologici, genetici o qualche complessa interazione

tra di essi.

La fine di un supercontinente stimolò la biodiversità nel Cambriano

La struttura corporea fondamentale di tutti

gli animali marini oggi viventi è riconducibile

a una delle nove forme di base apparse

durante l'esplosione cambriana. Molti animali

della precedente fauna di Ediacara, vissuta

fra 620 e 550 milioni di anni fa, avevano

strutture differenti, che nessun animale odierno

possiede più (Cortesia Eric Cheng/Stanfod University)

Lu e Kiessling hanno analizzato i dati disponibili

sui fossili dell'epoca e le formazioni geologiche che

li contenevano, per poi classificare le informazioni

sulla base del tipo di diversificazione osservata nelle

serie storiche in funzione delle località di ritrovamento.

Per valutare la biodiversità, hanno preso in esame

tutti e tre i livelli a cui può essere considerata:

il numero di specie presenti in una comunità che

occupa un certo ambiente in una certa località

geografica (detta biodiversità alfa); il numero di

comunità presenti in una determinata area geografica

(diversità beta); e  il numero totale di specie presenti

in una data regione geografica (diversità gamma).

Dall'analisi dei dati hanno concluso che l'esplosione

del Cambriano è stata determinata anzitutto

dall'aumento della biodiversità beta, ossia da una

intensa proliferazione di differenti comunità "provinciali".

Questa proliferazione fu innescata dalla frantumazione

dell'antico supercontinente di Pannotia, che portò

all'apertura degli oceani Giapeto e Aegir, e quindi

alla separazione e migrazione nei quattro continenti

di Laurentia, Baltica, Siberia e Gondwana.

Laurentia comprendeva le placche che oggi formano

l'America settentrionale, la Groenlandia e la Scozia,

mentre il nucleo del continente di Gondwana era

formato dalla riunione degli attuali Sud America,

Australia, India, Africa, Antartide, ed era circondato

da numerosi microcontinenti (corrispondenti a Cina

meridionale, Iran, e Turchia e altre attuali aree dell'Europa).

Questo impressionante smembramento si consumò

in tempi geologicamente molto ristretti, non più di

venti milioni di anni, e comportò  la dislocazione

delle diverse regioni costiere in posizioni caratterizzate

da climi più caldi e più freddi, e l'alterazione delle

correnti marine. Tutto ciò determinò una  moltiplicazione

di nicchie marine differenti in cui si svilupparono forme

animali diverse.

Alla riduzione delle dimensioni delle varie nicchie si

sovrappose poi un ulteriore meccanismo, quello

dell'aumento della predazione locale, forse legato

anch'esso alle minori dimensione delle nicchie

rispetto a quelle originarie.

 
 
 

Le aree cerebraliche valutano colpa e punizione....

Post n°1562 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

17 settembre 2015

Le aree cerebrali che valutano colpa e punizione

Il livello di responsabilità dell'autore di un misfatto e

l'entità della punizione che merita vengono elaborati nel

cervello da aree diverse. Quella che stabilisce la pena

normalmente considera il rapporto fra la gravità della

colpa e quella dei danni arrecati, ma se la sua attività

viene ridotta artificialmente decide solo sulla base dei danni.

La valutazione della gravità di una colpa e quella dell'entità

della relativa punizione, pur essendo correlate, vengono

determinate in aree distinte del cervello. In particolare, l'entità

di una giusta punizione è elaborata all'interno di una specifica

area del cervello, la corteccia prefrontale dorsolaterale. A scoprirlo

è  uno studio condotto da ricercatori della Vanderbilt University

e della Harvard University che firmano un articolo su "Neuron".

Il successo della nostra specie è fondato in gran parte sulla capacità

di cooperare su larga scala, una capacità che dipende strettamente

da quella di stabilire e far rispettare le norme sociali. E per decidere

come punire chi viola queste norme, è necessario integrare le

informazioni sulla gravità della colpa con quelle relative all'entità

delle conseguenze della trasgressione.

Studi precedenti hanno indicato che la corteccia prefrontale dorso laterale -

una delle aree evolutivamente più recenti - è molto attiva quando sono da

svolgere compiti cognitivi impegnativi; in particolare, provvede a

integrare i diversi flussi di informazioni in modo da selezionare le risposte

adeguate.

Questa funzione era stata però dimostrata in compiti cognitivi generali e

non in compiti sociali. Ora Joshua W. Buckholtz e colleghi hanno colmato

questa lacuna sottoponendo a una serie di scansioni cerebrali con risonanza

magnetica funzionale un gruppo di volontari mentre erano impegnati in

compiti di valutazione di colpe e punizioni.

In ogni sessione, i partecipanti dovevano stabilire il livello di responsabilità

e la giusta punizione per il protagonista di una racconto che si era macchiato

di un reato, dal semplice furto fino a un omicidio. A volte, il reato era deliberato,

in altri casi, la responsabilità era ridotta a causa di uno stato di necessità,

psicosi, o altre circostanze attenuanti.

Durante il compito i ricercatori hanno alterato in vari modi il livello di

attività della corteccia prefrontale dorsolaterale attraverso la cosiddetta

stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS), una tecnica che

permette di stimolare o disattivare l'attività di specifiche aree cerebrali

attraverso campi magnetici.

E' risultato che quando l'attività della corteccia prefrontale dorsolaterale

veniva smorzata, le pene considerate giuste dalla persona erano in genere

più lievi, pur restando invariato il giudizio sul livello di responsabilità

del reo. Ciò indica che gravità della colpa e punizione sono elaborate

da aree distinte. Inoltre è apparso che quando l'area era inattivata,

l'entità della pena veniva stabilita solo in base all'entità del danno,

indipendentemente dal livello di responsabilità.

La funzione della corteccia prefrontale dorsolaterale sembra dunque

limitata esclusivamente a valutare la punizione sulla base del rapporto

fra responsabilità e danni causati. A stabilire il livello di responsabilità

provvede invece qualche altra area del cervello che resta ancora da

determinare con precisione, anche se vi sono indizi - osservano gli autori -

che possa trattarsi della cosiddetta giunzione temporo-parietale.

 
 
 

Le basi cerebrali dei valori inviolabili.....

Post n°1561 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet
23 gennaio 2012

Le basi cerebrali dei valori inviolabili

Le basi cerebrali dei valori inviolabili 

Le decisioni che coinvolgono principi personali considerati

inviolabili vengono elaborate da specifici processi cerebrali,

nei quali non interviene il sistema della ricompensa, e che

sono distinti da quelli che presiedono alla valutazione del

rapporto costo-benefici. Il metodo usato nella ricerca consente

di iniziare a rispondere in modo scientifico a questioni relative

a come le persone prendono decisioni che coinvolgono valori "sacri".

I valori personali a cui ci si rifiuta di rinunciare, anche quando viene

offerto denaro per farlo, vengono elaborati dal cervello in modo differente

da quelli che sono "negoziabili". A stabilirlo è stata una ricerca condotta

da un gruppo di neuroscienziati, antropologi ed economisti della Emory

University e dell'Istituto Jean Nicod di Parigi."Il nostro esperimento

ha scoperto che il regno del 'sacro' - che si tratti di una forte convinzione

religiosa, di un'identità nazionale o di un codice etico - è un processo

cognitivo distinto", spiega Gregory Berns, direttore del Centro di

neuroscienze della politica alla Emory University, che ha diretto lo

studio pubblicato sulle "Philosophical Transactions of the Royal Society".

"Abbiamo ideato un metodo per iniziare a rispondere in modo scientifico

a questioni relative a come le persone prendono decisioni che coinvolgono

valori sacri, e che ha importanti implicazioni, se si vuole capire meglio che

cosa influenza il comportamento umano nei diversi paesi e nelle diverse

culture", spiega Berns. "Stiamo osservando come i valori culturali fondamentali

sono rappresentati nel cervello".

I ricercatori hanno usato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per registrare

le risposte cerebrali di 32 soggetti nel corso di un esperimento in cui, in

una prima fase, veniva chiesto di scegliere fra coppie di dichiarazioni

opposte che spaziavano da questioni banali (come "Tu sei un bevitore di tè")

a temi scottanti (come "Tu sei favorevole al matrimonio fra gay").

Le basi cerebrali dei valori inviolabili© Images.com/Corbis Successivamente, i partecipanti avevano

la possibilità di mettere all'asta le loro dichiarazioni personali:

disconoscendo le scelte precedenti in cambio di soldi reali,

potevano cioè guadagnare fino a 100 dollari semplicemente

accettando di firmare un documento che affermava il contrario

di ciò in cui credevano; oppure, per le dichiarazioni a cui attribuivano

grande valore, potevano ritirarsi dall'asta.

"Se una persona ha rifiutato di prendere i soldi per cambiare una

dichiarazione, abbiamo ritenuto che questo valore fosse per loro sacro.

Ma se ha preso i soldi, allora considerato che non si ritenessero

particolarmente vincolati e che il valore non era sacro."

I dati di brain imaging hanno mostrato una forte correlazione tra i valori

sacri e l'attivazione dei sistemi neuronali associati con la valutazione di ciò

che è giusto e sbagliato (la giunzione temporo-parietale sinistra) e con

il recupero delle regole semantiche (corteccia prefrontale ventro-laterale

sinistra), ma non di quelli relativi al sistema della ricompensa.

L'esperimento ha rilevato anche l'attivazione dell'amigdala, una regione

del cervello associata a reazioni emotive, ma solamente nei casi in cui i

partecipanti rifiutavano di prendere prendere i soldi in cambio dell'abiura

di ciò in cui credono. "Le affermazioni che si chiede di sottoscrivere

rappresentano quanto di più ripugnate ci sia per quella persona ed  

facile aspettarsi che provochino una maggiore attivazione, il che è

coerente con l'idea che quando sono violati i valori sacri si induce

l'indignazione morale".

Le basi cerebrali dei valori inviolabili 

La maggior parte delle politiche pubbliche si basa sull'offerta

di incentivi e disincentivi", osserva Berns. "I nostri risultati

indicano che è irragionevole pensare che una politica basata

sull'analisi costi-benefici possa influenzare il comportamento

della gente quando si tratta dei loro valori personali sacri,

perché sono elaborati da sistemi cerebrali completamente

diversi da quelli per li incentivi."

I soggetti più attivamente coinvolti in organizzazioni come chiese,

gruppi ambientalisti, sportivi o musicali hanno mostrato in generale

una più elevata attività in quelle regioni del cervello correlate ai valori

sacri: "I gruppi organizzati possono instillare valori più saldamente,

attraverso l'uso di regole e norme sociali", commenta Berns.

Lo studio mostra che "il modo in cui varia la cultura influisce

sul nostro cervello, e il modo in cui cambia il nostro cervello influisce

sulla nostra cultura. Non è possibile separarli. Ora abbiamo i mezzi

per cominciare a comprendere questa relazione, e a porre le basi di un

campo relativamente nuovo sul scena globale, quello delle neuroscienze

della cultura, osserva Berns.

Le basi cerebrali dei valori inviolabili 

 "Quando cambia la cultura, ciò influisce sul nostro cervello,

e quando cambia il nostro cervello, ciò influisce sulla nostra

cultura. Non è possibile separare i due aspetti", commenta Berns

che, citando come esempi le battaglie sui diritti riproduttivi delle

donne e il matrimonio gay, conclude osservando che nei futuri

conflitti fra religione e politica alcune culture sceglieranno di cambiare

la loro biologia, e in questo processo, anche la loro cultura. 

 
 
 

Il pensiero complesso dei bambini...

Post n°1560 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet
19 dicembre 2014

Il pensiero complesso dei bambini generosi

Il pensiero complesso dei bambini generosi

Anche nei bambini, l'essere generosi in prima persona

coinvolge un pensiero di tipo morale piuttosto complesso,

che va oltre il giudizio emotivo immediato che si attiva

osservando il comportamento altrui. Lo ha scoperto uno

studio registrando l'attività cerebrale di bambini da tre ai

cinque anni, dimostrando una connessione tra la capacità

di riflettere sul comportamento delle altre persone e generosità

che potrebbe essere utile a fini educativi.

Si ritiene comunemente che i bambini piccoli siano molto egoisti,

e spesso lo sono davvero. Ma alcuni studi hanno dimostrato che

anche in età infantile c'è una sensibilità per le diseguaglianze e le

ingiustizie, e una notevole capacità di agire a beneficio di altri.

Quando i bambini si trovano in gruppo, per esempio, la loro

generosità aumenta.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" 

a firma di Jason M. Cowell e Jean Decety dell'Università di Chicago

mostra ora alcuni interessanti dettagli sul collegamento tra giudizio

morale e generosità: nel giudicare il comportamento altrui, la mente

dei bambini attiva in modo immediato e automatico una risposta

emotiva, ma quando si tratta di essere generosi in prima persona

bisogna pensare di più.

Il pensiero complesso dei bambini generosi

 

Questi risultati, ottenuti combinando una serie di elettroencefalogrammi

e con l'analisi dei movimenti oculari dei piccoli, sono i primi a collegare

valutazioni morali implicite a comportamenti effettivi e a identificarne

gli specifici marcatori neurali.

"La valutazione morale nei bambini in età prescolare appare del tutto

simile a quella degli adulti: è complessa e costituita da aspetti sia emotivi

sia cognitivi", ha spiegato Decety.

In una prima fase dei test, Decety e Cowell hanno monitorato l'attività

cerebrale di un gruppo di bambini tra i tre e i cinque anni mentre

assistevano a scene in cui i protagonisti avevano tra di loro un

comportamento collaborativo o viceversa ostile. In una seconda fase,

i piccoli erano coinvolti in prima persona in una serie di test in cui era

offerta l'opportunità di comportarsi in modo generoso verso un bambino

che non conoscevano, condividendo  un certo numero di adesivi che

avevano ricevuto in dono all'inizio.

Dall'analisi statistica dei dati è emerso che i soggetti del test

destinavano due adesivi allo sconosciuto. I tracciati elettroencefalografici

e i movimenti oculari indicavano che nella prima fase si attivava in modo

automatico un giudizio morale di tipo emotivo, ma solo nella seconda

erano coinvolti dei processi di pensiero morale più complessi, connessi

al comportamento dei piccoli nella condivisione degli adesivi.

Lo studio, secondo i ricercatori, getta una luce sul collegamento

tra giudizio morale e generosità. "Questi risultati portano a ipotizzare

che incoraggiando i bambini a riflettere sul comportamento morale

degli altri è possibile stimolare la loro generosità", ha concluso Decety.

 
 
 

L'opinione di Einstein sulla materia oscura....

Post n°1559 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Einstein aveva ragione anche sull'energia oscura

Einstein aveva ragione anche sull'energia oscura

La rilevazione da parte della collaborazione LIGO-Virgo di

onde gravitazionali emesse dalla fusione di due stelle di neutroni

mette in discussione teorie esotiche sulla natura della misteriosa

energia oscura, responsabile dell'espansione accelerata dell'universo.

Rimangono invece in piedi le teorie ispirate a una vecchia idea

di Albert Einstein, quella della costante cosmologica.Nell'agosto

scorso, la collaborazione LIGO-Virgo ha ottenuto una delle scoperte

scientifiche più significative di sempre: la prima rilevazione diretta

di un'onda gravitazionale generata dalla fusione di una coppia di stelle

di neutroni, che segue le precedenti rilevazioni di onde gravitazionali

generate alla fusione di due buchi neri. La rilevazione di agosto è stata

l'ultima conferma in ordine di tempo della correttezza delle leggi della

relatività generale di Albert Einstein, a poco più di un secolo

dalla loro formulazione.


Einstein aveva ragione anche sull'energia oscura

Illustrazione della fusione di due stelle di neutroni

Una manciata di fisici teorici di tutto il mondo era interessata

ai risultati di LIGO-Virgo anche per un altro motivo, oltre alla

conferma della relatività generale. Sono i fisici che cercano di

dare una risposta al più grande mistero della cosmologia: la

natura dell'energia oscura, che rende conto del 68 per cento

della massa e dell'energia totali dell'universo.

E stando a uno studio pubblicato su "Physical Review Letters" 

da Miguel Zumalacárregui dell'Università della California a Berkeley,

i risultati di agosto escluderebbero molte teorie sull'energia oscura

mentre rimarrebbero in piedi quelle ispirate a una vecchia idea dello

stesso Einstein: la costante cosmologica.

Per capire di che cosa si tratta occorre ripercorrere brevemente alcuni

concetti fondamentali di cosmologia, a partire dal concetto di energia oscura.

Mentre la gravità, una delle forze fondamentali della natura, attira tra

di loro le masse, l'energia oscura agisce come una sorta di antigravità,

accelerando l'espansione dell'universo. La sua natura è sconosciuta perché,

a parte questo effetto di accelerazione, l'energia oscura non si manifesta

in altro modo.

Ora, le onde gravitazionali - le sottili increspature dello spazio-tempo,

prodotte da eventi catastrofici che avvengono nel cosmo e che coinvolgono

le grandi masse - potrebbero dare qualche indizio per risolvere il mistero.

In particolare, le onde emesse dalla fusione delle due stelle di neutroni e

rilevate ad agosto sono giunte sulla Terra dopo un viaggio di circa

130 milioni di anni luce, quasi nello stesso istante della radiazione luminosa

ad alta energia emessa nello stesso evento, rilevata dal telescopio spaziale Fermi.

Proprio questa contemporaneità indica che onde gravitazionali

e radiazione elettromagnetica viaggiano alla stessa velocità, quella

della luce nel vuoto. In altre parole, sono influenzate nello stesso modo

dalla presenza dell'energia oscura, che quindi è probabilmente costante

nello spazio e nel tempo. Questa costanza era prevista da teorie basate

su una vecchia idea elaborata da Einstein per rendere conto della presunta

staticità dell'universo (un'idea a cui Einstein non voleva rinunciare,

che però in seguito si è rivelata sbagliata): la costante cosmologica.

Le leggi della relativistiche che Einstein stesso aveva elaborato prevedevano

infatti che l'universo sarebbe collassato per effetto della forza di gravità,

un'eventualità che il fisico più famosi di tutti non era disposto ad accettare.

Einstein introdusse quindi nelle sue equazioni un termine repulsivo, la costante

cosmologica, in grado di compensare la tendenza all'implosione dell'universo.

L'ipotesi fu prima abbandonata di fronte all'evidenza dell'espansione

dell'universo iniziata con il big bang, e poi rispolverata, con le opportune

modifiche, quando divenne evidente che l'universo si espande a un tasso accelerato.

Tempi duri dunque per una serie di teorie esotiche dell'energia oscura che

prevedono un ritardo tra l'arrivo delle onde gravitazionali e quelle della

radiazione elettromagnetica, che quindi dovranno essere abbandonate o

profondamente riviste. La prima vittima di LIGO-Virgo sarà una teoria

che assegna una massa a un'ipotetica particella elementare chiamata gravitone,

che però mantiene ancora un frammento di possibilità se il gravitone ha una

massa assai limitata.

Ben più compromesse appaiono le teorie che modificano la teoria generale

della relatività introducendo un sistema di riferimento privilegiato e violando

così uno dei principi alla base della stessa relatività generale, la cosiddetta

l'invarianza di Lorenz, e le teorie di tipo MOND, che riprendono la concezione

della gravitazione universale di Newton modificandola; e altre teorie

ancora ancora più complesse.

Un'altra conseguenza delle rilevazioni delle onde gravitazionali è la possibilità

di colmare la discrepanza tra le stime diverse della costante di Hubble, legata

all'espansione dell'universo. A causa di questa espansione, dalla Terra si osservano

tutte le galassie allontanarsi in ogni direzione dello spazio, con una velocità

che è tanto maggiore quanto più elevata è la loro distanza da noi. E la

costante di Hubble esprime questa proporzionalità diretta tra distanza e velocità.

Ora che si è aperto il nuovo campo osservativo dell'astronomia gravitazionale

e che è possibile rilevare la "firma" delle fusioni di coppie di stelle di neutroni,

queste ultime possono servire come nuovi riferimenti per stabilire le distanze

e per misurare la rapidità di espansione dell'universo, arrivando a una stima più

precisa della costante di Hubble. 

 
 
 

L'energia oscura non è finita.....

Post n°1558 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet
04 novembre 2016

L'energia oscura non è finita

L'energia oscura non è finita

Secondo alcuni mezzi di comunicazione una recente

ricerca avrebbe confutato la scoperta dell'espansione

accelerata dell'universo, che nel 2011 è stata premiata

con il premio Nobel per la fisica. Le cose però non stanno

cosìdi Dan Scolnic e Adam G. Riess/Scientifica American

astronomiacosmologiaIn queste settimane, alcuni mezzi di

comunicazione hanno sparato titoli come "L'universo si sta

espandendo a un tasso accelerato, o no?" E, "L'universo è in

espansione, ma non a tasso accelerato. Una nuova ricerca

smonta la teoria premiata con il Nobel." Questa eccitazione

è dovuta a un articolo pubblicato da poco su "Scientific Reports"

intitolato Marginal evidence for cosmic acceleration from Type

Ia supernovae firmato da Nielsen, Guffanti e Sarkar.

L'energia oscura non è finita

Illustrazione di un'esplosione si supernova di tipo Ia.

Dopo aver letto lo studio, però, si può tranquillamente

dire che non c'è alcuna necessità di rivedere la nostra attuale

concezione dell'universo. Tutto l'articolo non fa che ridurre 

leggermente la nostra certezza su quello che sappiamo, e per

di più solo scartando la maggior parte dei dati cosmologici su

cui si basa la nostra comprensione dell'universo. E ignora

anche dettagli importanti nei dati che considera. Ma anche

tralasciando questi problemi, i titoli sono comunque sbagliati.

Lo studio ha concluso che ora siamo sicuri solo al 99,7 per

cento che l'universo sta accelerando, il che non è certo la stessa

cosa di "non sta accelerando".

La scoperta iniziale che l'universo si sta espandendo a un tasso

accelerato è stata fatta da due gruppi di astronomi nel 1998

usando supernove di tipo Ia come strumenti di misura cosmici.

Le supernove - stelle che esplodono - provocano alcune delle

più potenti esplosioni di tutto il cosmo, più o meno equivalenti

a un miliardo di miliardi di miliardi di bombe atomiche che esplodano

in una sola volta. Quelle di tipo Ia sono particolari perché,

a differenza di altre supernove, esplodono tutte sempre con la

stessa luminosità o quasi, probabilmente a causa di un limite di

massa critica. Questa somiglianza significa che le differenze nelle

loro luminosità osservate sono quasi interamente legate a quanto

distanti sono. E questo le rende ideali per misurare le distanze

cosmiche. Inoltre, sono oggetti relativamente comuni, e sono così

luminose che possiamo vederle a miliardi di anni luce di distanza.

Questo ci mostra come appariva l'universo miliardi di anni fa, e

quindi possiamo paragonarlo a come appare oggi.

Per la loro coerenza queste supernove sono spesso chiamate

"candele standard", ma sarebbe più corretto chiamarle "candele

standardizzabili" perché in pratica la loro precisione e accuratezza

può essere ulteriormente migliorata tenendo conto delle piccole

differenze nelle loro esplosioni, osservando il tempo necessario

all'esplosione per dispiegarsi e quanto vira verso il rosso il colore

delle supernove a causa della polvere tra noi e loro. La ricerca del

modo per rendere solide queste correzioni è stato ciò che ha portato

alla scoperta dell'accelerazione dell'universo.

L'energia oscura non è finita

Simulazione dell'espansione dell'universo.

Il recente articolo che ha dato origine a quei titoli ha usato un

catalogo di supernove di tipo Ia messo insieme dalla comunità

scientifica (noi compresi), che è stato analizzato già numerose

volte. Ma gli autori hanno usato un diverso metodo di calibrazione,

e crediamo che questo comprometta l'accuratezza dei risultati.

Gli autori assumono che le proprietà medie delle supernove di

ciascuno dei campioni usati per misurare la storia dell'espansione

siano uguali, anche se è stato dimostrato che sono diverse, e analisi

effettuate in passato hanno dato conto di queste differenze. Tuttavia,

anche ignorando queste differenze, gli autori trovano comunque che

c'è una possibilità del 99,7 per cento circa che l'universo stia accelerando:

qualcosa di molto diverso da quello che suggeriscono i titoli.

Inoltre, la straordinaria fiducia degli astronomi nel fatto che l'universo

si stia espandendo più velocemente di quanto avvenisse miliardi di anni

fa è basata su molto più che sulle misurazioni delle supernove, fra cui le

piccole fluttuazioni nello schema del calore residuo dopo il big bang

(vale a dire, la radiazione cosmica di fondo) e l'impronta di quelle flut=

tuazioni nell'attuale distribuzione delle galassie che ci circondano

(le cosiddette oscillazioni barioniche acustiche).

Lo studio ignora anche la presenza di una notevole quantità di materia

nell'universo - confermata numerose volte e con metodi diversi fin dagli

anni settanta - riducendo ulteriormente la fiducia in quell'analisi. Questi

ulteriori dati mostrano - in modo indipendente dalle supernove - che

 l'universo sta accelerando. Se combiniamo queste altre osservazioni

con i dati sulle supernove, si passa da una sicurezza del 99,99 per cento

a una del 99,99999 per cento. Questo è abbastanza sicuro!

L'energia oscura non è finita

Il fondo cosmico a microonde mappato dal satellite Planck dell'ESA.

Attualmente sappiamo che l'energia oscura - quella che crediamo

essere la causa dell'espansione accelerata dell'universo - costituisce il 70

per cento dell'universo, mentre la materia costituisce il resto. La natura

dell'energia oscura è ancora uno dei misteri più grandi di tutta l'astrofisica.

Ma da quando questo quadro si è consolidato un decennio fa, non c'è stato

alcun dibattito veramente approfondito sul fatto che esista l'energia oscura,

né che l'universo stia accelerando.

Ora sono in corso molte nuove indagini, sia a terra sia nello spazio, la cui

priorità nel corso dei prossimi due decenni è capire esattamente che cosa

potrebbe essere questa energia oscura. Per ora, dobbiamo continuare a

migliorare le nostre misurazioni e mettere in discussione i nostri presupposti.

Anche se questo recente articolo non smentisce alcuna teoria, è pur sempre

buono per indurre tutti noi a fermarci un attimo e ricordare quanto sono

impegnative le domande che poniamo, il modo in cui abbiamo raggiunto

le attuali conclusioni e con quanta serietà dobbiamo testare ogni elemento

costitutivo della nostra conoscenza.

Gli autori

Adam G. Riess, ha condiviso il premio Nobel per la fisica del 2011 con

Saul Perlmutter e Brian P. Schmidt per i loro studi sull'accelerazione

dell'espansione dell'universo. Insegna alla Johns Hopkins University e

lavora come astrofisico allo Space Telescope Science Institute.

Dan Scolnic è ricercatore al The Kavli Institute For Cosmological Physics

dell'Università di Chicago. Ha preso parte a diverse ricerche sulla mappatura

celeste e in particolare delle supernove.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 26 ottobre 2016. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

Gli interrogativi della materia oscura....

Post n°1557 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

 

Fonte: Internet

02 maggio 2016

L'enigma dell'energia oscura

Quasi vent'anni fa si è scoperto che l'espansione

dell'universo sta accelerando; alla fonte di questa

accelerazione è stato dato il nome di «energia

oscura». Le indagini approfondite condotte da

allora non hanno svelato la natura dell'energia

oscura, ma anzi hanno messo in luce vari altri

problemi: perché l'energia oscura sia assai più

debole di quanto sembra prevedere la teoria,

che cosa significhi per il futuro del cosmo, e se

l'energia oscura possa portarci a concludere

che viviamo in un multiverso. Con l'arrivo di vari

esperimenti degli ultimi anni e altri imminenti,

si può sperare di ottenere presto qualche risposta.

di Adam G. Riess e Mario Livio

 
 
 

I circuiti del movimento....

Post n°1556 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

18 gennaio 2018

I circuiti cerebrali che ci fanno mettere in movimento

I circuiti cerebrali che ci fanno mettere in movimento

La capacità di mettersi in movimento e quella di mantenere

una certa andatura dipendono da due piccole aree cerebrali

distinte. La loro precisa identificazione potrebbe rivelarsi

di aiuto per chi soffre di deficit di locomozione, come nel

caso del morbo di Parkinson.

neuroscienzeDue piccole regioni del cervello controllano la

capacità di mettersi in movimento e quella di regolare la velocità

di locomozione. A identificarle è stato un gruppo di ricercatori

del Karolinska Institut a Stoccolma, che firmano un articolo

pubblicato su "Nature".

La precisa coordinazione dei movimenti di locomozione è

controllata da circuiti neuronali nel midollo spinale, ma il controllo

dell'inizio e della fine del movimento, così come la selezione di una

certa andatura dipendono da segnali che provengono dal tronco

cerebrale e attivano i circuiti neuronali nel midollo spinale.

I circuiti cerebrali che ci fanno mettere in movimentoL'innesco del movimento e l'andatura da adottare sono controllati

da specifiche strutture cerebrali

In una serie di esperimenti su topi, Vittorio Caggiano,

Ole Kiehn e colleghi hanno scoperto che due regioni del

mesencefalo, il nucleo cuneiforme (CnF) e il nucleo

pedunculopontino (PPN), sono i registi di questa capacità.

In particolare i ricercatori hanno scoperto che i neuroni nel

PPN e nel CnF operano insieme per iniziare la locomozione,

ma mentre il PPN regola la velocità di spostamento quando

questa è lenta (locomozione esplorativa), solo il CnF è responsabile

della capacità di scattare e raggiungere una velocità elevata, quella

che serve, per esempio, quando è necessario fuggire.

Con questo studio Caggiano, Kiehn e colleghi portano a temine

una ricerca iniziata anni fa, che li aveva condotti all'individuazione

dei gruppi di neuroni che presiedono alla capacità di fermare la

locomozione.

Secondo gli autori questi risultati potrebbero portare a sviluppi

utili a chi soffre di disabilità locomotorie. In particolare, ha detto

Kiehn, "Nel morbo di Parkinson, che colpisce i gangli basali - una

delle principali fonti di apporti al PPN - i disturbi dell'andatura e

il suo congelamento sono molto pronunciati. Con l'impianto di

sottili elettrodi nel cervello - una tecnica chiamata stimolazione

cerebrale profonda già utilizzata per trattare alcuni sintomi - si

potrebbe prendere a bersaglio i circuiti di CnF o di PPN così da

aumentare le capacità locomotorie dei pazienti".

Approcci simili, concludono i ricercatori, potrebbero essere tentati

anche nel caso di danni al midollo spinale in cui è particolarmente

colpito l'innesco della locomozione.

 
 
 

Le scoperte importanti del 2017...

Post n°1555 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

I CHIRURGHI DELL'INVISIBILE.

 Mai come negli ultimi 12 mesi abbiamo assistito all'espansione

degli strumenti di editing genetico, per eseguire riparazioni

"chirurgiche" di DNA e RNA. L'ormai nota e rivoluzionaria

tecnica CRISPR/Cas9 è passata alla sperimentazione sull'uomo,

in approcci inediti per prevenire o trattare tumori o lenire i

sintomi di rare malattie genetiche.

Un altro tipo di bisturi molecolare chiamato nucleasi a dita

di zinco è stato utilizzato anche "in diretta" nel corpo di un

pazienteaffetto da una sindrome genetica ereditaria: lo strumento

ha permesso di intervenire sul suo DNA come se un micro-chirurgo

fosse stato inviato in loco, e favorire la produzione di un enzima

necessario al metabolismo.

La "scatola degli attrezzi" dell'editing genetico si è allargata,

 con nuove tecniche che consentono di intervenire in modo

ancora più mirato su DNA e RNA, senza tagliare la doppia elica,

ma ridisponendo gli atomi delle basi azotate che li compongono.

È la differenza che passa tra usare un machete per togliere

una verruca, o ricorrere a un laser.

La CRISPR è stata anche utilizzata per studiare le fasi iniziali di

sviluppo dell'embrione umano (la prima volta, in Europa) e

indagare le ragioni degli aborti precoci. Infine c'è chi vi ha fatto

ricorso per trasformare i microbi in banche dati viventi, capaci

di trasmettere le informazioni acquisite alle generazioni successive.

In ambito medico, inoltre, non va dimenticata la costruzione

di uno dei primi sistemi di utero artificiale: alcuni feti di agnello

prematuri si sono sviluppati al suo interno per quattro settimane,

sopravvivendo senza particolari complicazioni.

La sezione della Piramide di Cheope con la posizione

dell'area vuota trovata grazie ai muoni.

NOVITÀ DAL PASSATO. In un connubio sempre meno

raro tra fisica delle particelle e archeologia, i muoni, cioè le particelle

che si formano quando i raggi cosmici ad alta energia colpiscono

l'atmosfera, sono serviti a individuare due camere nascoste nella 

Piramide di Cheope. Una di queste è troppo grande per essere

stata creata senza uno scopo preciso.

Gli appassionati di civiltà del passato hanno anche seguito 

le scopertedegli ultimi tesori del relitto di Antikythera, e sulla

fine della civiltà dell'Isola di Pasqua: gli abitanti di Rapa Nui

 non si sarebbero estinti per lo sfruttamento sconsiderato delle

risorse ambientali, ma per una verità per noi più scomoda.

Il 2017 ha visto anche un intero filone di ricerche mettere in

discussione i tempi e le modalità di uscita dall'Africa dei

nostri antenati sapiens, che potrebbero aver iniziato incursioni

fuori dalla culla dell'umanità 60 mila anni prima del previsto.

Un nuovo fossile umano di 300 mila anni fa rinvenuto in

Marocco toglierebbe all'Africa orientale il primato di unico

luogo di nascita della nostra specie.

SEGNALI AMBIENTALI. Nell'anno in cui l'amministrazione

Trump ha deciso per l'uscita degli USA dagli accordi di Parigi,

abbiamo assistito al distacco di un super icerberg di 6000 km

quadrati dalla piattaforma antartica Larsen C: un fenomeno

naturale - quello delcalving dalle piattaforme glaciali - avvenuto

però con modalità sorprendenti e del quale si sta ora studiando

il rapporto con il global warming.

Il riscaldamento globale non ha direttamente causato l'ablazione,

 ma potrebbe averla in qualche modo "accelerata"

Le scoperte in tema ecologico non sono state all'insegna dell'ottimismo: 

nell'anno dei grandi uragani e dell'onnipresenteinquinamento

da plastica - persino nell'acqua del rubinetto! - siamo però riusciti

 a trovare una larva ghiotta di polietilene e a bandire per 16 anni

almeno la pesca commerciale nell'Artico centrale. Da qualche

parte bisognerà iniziare.

 

Il limitare di A68, l'iceberg di mille miliardi di tonnellate di peso

staccatosi da Larsen C. | NASA/NATHAN KURTZ

SORPRESE ANIMALI. Gli amanti degli animali hanno

appreso quest'anno chi è più intelligente tra cane e gatto

 (almeno stando alla quantità di neuroni), e quanto arrivano

a mangiare, complessivamente, i ragni: 800 milioni di tonnellate

di insetti all'anno, due volte il peso degli animali che tutti

gli esseri umani consumano in 12 mesi!

Anche scimmie e api ci hanno stupito in quanto ad acume:

le prime sanno capire quando ci sbagliamo, e le seconde

 riconoscono lo zero.

VISITATORI (E PIANETI) ALIENI. Non abbiamo ancora

trovato E.T., ma un asteroide extrasolare è venuto a farci

visita. Lo strano oggetto dalla forma allungata, ribattezzato

Oumuamua, è il primo oggetto mai osservato proveniente

dall'esterno del Sistema Solare, evi stiamo cercando segni di

tecnologia artificiale - per ora, senza grande successo.

In quanto a pianeti extrasolari, è stato un anno ricchissimo:

a febbraio, a 40 anni luce dalla Terra, sono stati individuati 

7 piccoli esopianeti rocciosi attorno alla stella Trappist-1,

una nana rossa ultrafredda. Se su alcuni di essi potrebbero

esserci le condizioni adatte alla vita, le radiazioni del loro sole

rischiano però di renderla impossibile.

Kepler ha continuato egregiamente la sua missione di cacciatore

di nuove Terre, trovando anche il primo sistema planetario

gemello di quello solare, con ben 8 esopianeti.

Intanto la stella di Tabby ha nuovamente e più volte richiamato

l'attenzione per il suo misterioso comportamento, anche se

all'ipotesi della megastruttura aliena se ne preferiscono altre

scientificamente più plausibili.

 

L'ultima immagine di Saturno di Cassini, prima che la

sonda venisse fatta precipitare sul pianeta degli anelli.

 Ingrandisci l'immagine | NASA

CASSINI & JUNO. In generale, le ricerche di esopianeti

quest'anno si sono concentrate attorno alle meno brillanti

e più fredde stelle nane rosse.  Per quanto riguarda lo Spazio

"vicino", invece, tutti gli ingredienti chimici per sostenere la vita

 sono stati trovati sulla luna di Saturno Encelado (anche se

questo non significa che effettivamente ci sia).

Questo è stato anche l'anno in cui abbiamo imparato a

conoscere meglio Giove, grazie alle rivelazioni della missione

Juno; e quellodell'eclissi solare del secolo, per gli abitanti degli

Stati Uniti (un'occasione irripetibile per studiare la nostra stella).

Ma soprattutto questo è stato l'anno del saluto a Cassini,

la sonda della Nasa, ESA e Asi che ha gloriosamente

terminato la sua missione lo scorso settembre. 

Il 2017 verrà poi ricordato come un'anno chiave per 

l'esplorazione spaziale: per la prima volta sono stati utilizzati

 razzi e navicelle di seconda mano, già impiegati in precedenti

missioni e poi riciclati. Il ricorso a materiali "ricondizionati" anche

in questo settore è una tappa fondamentale nella riduzione dei

costi per raggiungere lo spazio.

ALLIEVI RIBELLI. Trovare un'altra casa planetaria ci servirà,

se nei prossimi mesi i progressi dell'intelligenza artificiale

continueranno spediti come è stato nel 2017.

Nell'ultimo anno abbiamo assistito a conversazioni autonome e

incomprensibili tra i bot di Facebook, e siamo stati battuti a Go -

ancora - da un sistema di apprendimento automatico del tutto

autodidatta. Che cosa ci riservano i prossimi 12 mesi? Qualunque

cosa sia, speriamo che venga in pace...

 

 

 
 
 

Le scoperte scientifiche del 2017....

Post n°1554 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Le scoperte scientifiche più importanti del 2017

La nascita di una nuova stella e - allo stesso tempo -

di una nuova astronomia; i progressi nell'editing genetico

e nella comprensione delle prime migrazioni umane; le

imprese eroiche delle sonde e la caccia a nuove Terre.

La scienza è meravigliosa, e anche quest'anno ne abbiamo

avuto prova.

collisionestelleLa collisione tra due stelle di neutroni, in

un'elaborazione artistica.|NATIONAL SCIENCE FOUNDATION

/LIGO/SONOMA STATE UNIVERSITY/A. SIMONNET

Ogni piccola scoperta scientifica è un passo avanti nella

comprensione dell'Universo. Ma in tempo di bilanci di

fine anno, ce ne sono alcune che ricorderemo più di altre,

e il 2017 - segnato dal boom delle fake news e dei tentativi

di screditare la scienza - è stato particolarmente ricco di

risultati importanti. Eccone alcuni tra i più significativi,

per rinfrescarci la memoria.

NUOVI OCCHI SUL COSMO.

 Il 2017 sarà ricordato come l'anno della svolta nelle

osservazioni celesti. Il 17 agosto gli astrofisici di tutto

il mondo hanno assistito "in diretta" alla collisione tra

due stelle di neutroni, un evento preannunciato dalle

onde gravitazionali - la perturbazione dello spazio-tempo

captata dagli interferometri di LIGO e Virgo - e poi rilevato

in ogni forma possibile: sotto forma di lampi gamma, nella

luce visibile, all'infrarosso e negli ultravioletti, ai raggi X e

attraverso onde radio.

La storica osservazione ha segnato l'inizio di una nuova

astronomia, detta multi-messaggero perché studia in

contemporanea tutte le informazioni fisiche disponibili,

in uno sforzo condiviso e partecipato, che permette una

verifica precisa degli oggetti studiati. Per fare un paragone

cinematografico, è come se fossimo passati da un film muto

a un colossal con una colonna sonora d'autore, e con una

decina di anni di anticipo. Non a caso le collaborazioni

internazionali che studiano le onde gravitazionali hanno

ottenuto il Premio Nobel per la Fisica.

 
 
 

La formazione di un nuovo pianeta.....

Post n°1553 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Tutti gli occhi puntati verso Beta Pictoris

Attorno alla stella è in corso il transito di un esopianeta

di nuova formazione: è una corsa contro il tempo per as=

sistere all'evento, che potrebbe rivelare preziose informa=

zioni sulla nascita dei sistemi solari.

betapic-bBeta Pictoris b in viaggio attorno alla sua stella: un'illustrazione artistica.|ESO/L. CALÇADA

A 63 anni luce dalla Terra c'è un laboratorio naturale

dove studiare la formazione dei sistemi stellari: è Beta Pictoris,

un giovane sole attorno a cui gravitano l'unico disco protoplanetario

osservato direttamente, oltre a centinaia di comete e a un pianeta gigante.


Beta Pictoris, esopianeti, pianeti extrasolari

La prima rilevazione di Beta Pictoris b avvenuta nel 2014 grazie

al Gemini Planet Imager (vedi la notizia).

Il pianeta, Beta Pictoris b, un mondo caldo e gassoso con 10

volte la massa di Giove, è nel pieno di un transito davanti alla

sua stella madre: tra gli astronomi è in atto una mobilitazione

generale per cercare di catturarlo "sul fatto".

UN TUFFO NEL PASSATO.

Il sistema Beta Pictoris ha circa 24 milioni di anni, che in termini

"stellari" equivale a un neonato di poche ore... Osservandolo

possiamo capire, come in una macchina del tempo, che cosa è

avvenuto nelle prime fasi di vita del Sistema Solare. Il giovane

pianeta gigante del sistema completa un'orbita attorno alla sua

stella ogni 18-20 anni. Il transito è in corso: se le stime sono

corrette, la finestra di osservazione dovrebbe restare aperta

per pochi mesi.


Che cosa succederebbe nel nostro Sistema Solare

se ci fossero due Soli?


CHE COSA C'È, INTORNO? 

Tra gli osservatori che stanno seguendo l'evento c'è:

 il nano-satellite francese PicSat, messo in orbita il 12 gennaio

e al momento dedicato esclusivamente a questo compito.

La Nasa sta seguendo la scena da Terra con i telescopi robotizzati

degli osservatori in Australia e Sudafrica. Oltre all'osservazione

diretta del transito del pianeta, che potrebbe non essere possibile,

gli astronomi vorrebbero studiare la sua sfera di Hill, cioè quella

zona sotto la sua influenza gravitazionale dove potrebbero trovarsi

anelli planetari, nubi di polveri o lune di recente formazione.

 
 
 

Indagando il comportamento inusuale di una stella...

Post n°1552 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

18 gennaio 2018

Un buco nero svelato dalle stranezze

di una stella

Un buco nero svelato dalle stranezze di una stella

Lo strano comportamento di una stella

in un ammasso globulare ha permesso

di svelare l'esistenza di un buco nero

con una massa pari a quattro volte circa

quella del Sole. Si tratta del primo buco

nero di un ammasso globulare scoperto

rilevando direttamente la sua forza di

attrazione gravitazionale(red)

buchi neriastronomia

Il primo buco nero di un ammassa globulare

individuato grazie alla rilevazione diretta

della sua forza di attrazione gravitazionale

è stato scoperto da un gruppo internazionale

di astronomi che avevano osservato lo strano

comportamento di una stella. La scoperta,

illustratasulle "Monthly Notices of the Royal

Astronomical Society", è stata realizzata grazie

alle osservazioni con lo strumento MUSE, del Very

Large Telescope dell'ESO in Cile, dell'ammasso

globulare NGC 3201.

Gli ammassi globulari sono cluster di decine di migliaia

di stelle che orbitano intorno alla maggior parte

delle galassie. Sono tra i sistemi stellari più antichi

dell'universo e risalgono all'inizio dell'evoluzione delle

galassie; attorno alla Via Lattea ne sono stati

finora individuati oltre 150.

Un buco nero svelato dalle stranezze di una stellaRaffigurazione di come la stella e il suo compagno

invisibile postrebbero apparire al centro dell'am=

masso globulare.Benjamin Giesers, della Georg-

August-Universität a Göttingen, e colleghi stavano

osservando l'ammasso globulare NGC 3201, nella

costellazione meridionale della Vela, quando hanno

notato una stella che sembrava oscillare avanti e

indietro a una velocità di diverse centinaia di migliaia

di chilometri all'ora, con un periodo di 167 giorni.

"Era in orbita attorno a qualcosa che era completamente

invisibile, che poteva essere solamente un buco

nero", ha detto Giesers.

Grazie allo strumento MUSE, che può misurare

contemporaneamente i movimenti di migliaia di stelle

lontane, i ricercatori sono stati in grado di stabilire

la massa della stella, pari a 0,8 volte quella del Sole,

e a partire da questa a calcolare anche la massa

del suo compagno invisibile, che è risultata pari a

circa 4,36 volte la massa del Sole.

Negli ammassi globulari non si osserva una forma=

zione stellare continua, e quindi i buchi neri di massa

stellare devono essere presto diventati gli oggetti più

massicci presenti. Recenti teorie hanno concluso che

questi buchi neri formano un nucleo denso all'interno

dell' ammasso, destinato a staccarsi dal resto del

materiale globulare. Nel giro di un miliardo di anni

solo pochissimi di essi dovrebbero sopravvivere

all'interno dell'ammasso.

"Fino a poco tempo - ha concluso Giesers - si sup=

poneva che quasi tutti i buchi neri dovessero essere

rapidamente scomparsi dagli ammassi globulari e che

sistemi come questo non potessero neppure esistere!

Ma chiaramente non è così."

 
 
 

I veri responsabili della morte nera....

Post n°1551 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

17 gennaio 2018

I veri responsabili della Peste Nera

Le ondate di peste che colpirono l'Europa tra il XIV e i XIX secolo,

tra cui la famigerata Peste Nera della metà del 1300,

probabilmente furono causate da un contagio diretto da

persona a persona, con pulci e pidocchi come vettori.

Lo afferma uno studio basato su dati di diffusione e mortalità

raccolti in varie fonti storiche, che scagiona i ratti dal ruolo di untori (red)

Nel film di Werner Herzog Nosferatu (1979)

i moli del porto di Brema, in Germania, vengono invasi

dai ratti arrivati con le navi. Poco dopo, la peste si diffonde

nella città.

La scena è ispirata dal fatto che negli studi di epidemiologia

- e nell'immaginario collettivo - questi roditori sono

considerati il vettore della peste, sia nella cosiddetta

"prima pandemia", più famosa col nome di Peste di

Giustiniano, che colpì l'Impero Romano d'Oriente tra

il 541 e il 542, sia nella "seconda pandemia", che

colpì in diverse ondate l'Europa tra il XIV e il XIX

secolo, oltre al Medio Oriente e al Nord Africa;

una di queste ondate, nota con il lugubre nome

di Peste Nera, tra il 1347 e il 1352 uccise un terzo

della popolazione europea.

Ma fu veramente colpa dei ratti? Uno studio pubblicato

su "Proceedings of the National Academy of Sciences" 

da Nils Stenseth dell'Università di Oslo, in Norvegia,

e colleghi, tra i quali Barbara Bramanti dell'Università

di Ferrara, chiama in causa vettori infettivi diversi:

la pulce dell'uomo (Pulex irritans) e il pidocchio del capo

(Pediculus humanus).

La peste è una malattia provocata

dall'infezione del batterio Yersinia pestis. Le forme più comuni

sono la peste bubbonica e quella polmonare. La prima insorge

quando i batteri penetrano attraverso la pelle, di solito

con il morso di una pulce infetta, e arrivano nei linfonodi,

causando i caratteristici gonfiori o "bubboni".

La pulce in questo caso funge solo da vettore di un'infezione

diffusa tra roditori selvatici o commensali dell'uomo, come

il ratto (Rattus rattus), ma l'infezione può anche essere

trasmessa da persona a persona tramite i parassiti che vivono

sulla superficie della pelle, come la pulce e il pidocchio.

Si parla invece di peste polmonare primaria quando i batteri

sono trasportati da particelle di aerosol che vengono inalate,

e di peste polmonare secondaria, che insorge come

complicanza della peste bubbonica. I soggetti infettati

dalla forma polmonare possono trasmettere direttamente

l'infezione per via aerea, anche se le epidemie di peste

polmonare in genere fanno meno vittime e si diffondono

poco, poiché le persone colpite e non curate muoiono

rapidamente.

Per capire in che modo si siano diffuse le epidemie storiche,

Stenseth e colleghi hanno usato i dati di mortalità

disponibili di nove epidemie di peste polmonare;

l'obiettivo dei ricercatori era lo sviluppo di modelli

delle vie di trasmissione della malattia, quella

veicolata dai roditori e quella da pulci e pidocchi.

I modelli ottenuti hanno mostrato che in sette dei

nove eventi studiati, gli schemi di mortalità sono

maggiormente compatibili con il modello di trasmis=

sione tramite pulci e pidocchi.

Questa conclusione spiegherebbe perché la seconda

pandemia abbia avuto una diffusione e una mortalità

molto più elevate delle epidemie della terza pandemia,

che si sviluppò a partire dal 1855 dalla provincia dello

Yunnan, in Cina.

Ed è un risultato anche più coerente con altri dati storici

ed epidemiologici. Nei secoli interessati dalla seconda

pandemia, infatti, non risulta che i ratti fossero molto

diffusi in nord Europa, né che ci siano stata una diffusa

moria di questi roditori contemporanea o immediatamente

precedente alle epidemie. Molte infezioni, infine, avvennero

in ambienti domestici, il che fa pensare a una via di

trasmissione più diretta.

 
 
 

Il passato del batterio della peste....

Post n°1550 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

22 ottobre 2015

Il lungo passato del batterio della peste

Yersina pestis, l'agente patogeno della peste,

iniziò a infettare gli esseri umani già nel 2800

a.C., cioè 3300 anni prima dell'epidemia che

colpì l'impero bizantino sotto Giustiniano, la

prima a essere documentata storicamente.

Ci vollero però circa mille anni perché il DNA

del batterio subisse le mutazioni genetiche

necessarie per utilizzare la pulce del ratto

come vettore d'infezione ed eludere il sistema

immunitario dell'ospite, sviluppando così la

sua notevole virulenza
 (red)

storiaepidemiologiamicrobiologia

L'infezione da Yersinia pestis, il batterio

responsabile della peste, iniziò a colpire

l'umanità circa 3300 anni prima di quanto

ricostruito in base alle documentazioni storiche.

È quanto emerge dal sequenziamento del DNA

ottenuto da campioni di denti risalenti all'età

del Bronzo e appartenuti a individui europei e

asiatici vissuti tra 5000 e 2800 anni fa, su cui

riferiscono sulla rivista "Cell" Eske Willerslev

dell'Università di Copenhagen e colleghi. Tuttavia,

per sviluppare i suoi terribili effetti patogeni il

batterio ha impiegato altri mille anni circa, quando

due mutazioni chiave gli hanno permesso di usare

le pulci dei ratti come vettori e di eludere l'attacco

del sistema immunitario dell'ospite.

La storia dell'umanità è stata caratterizzata da

numerose epidemie letali, chiamate genericamente

pesti o pestilenze, di cui sono rimaste tracce nelle

testimonianze storiche. La Peste di Giustiniano, che

si diffuse nell'Impero Bizantino nel VI secolo, la Morte

Nera, che uccise il 30-40 per cento della popolazione

europea nel 1300 e la pandemia che colpì la Cina nel

1850, furono in effetti epidemie di peste, come stabilito

da recenti studi.

È invece solo una congettura che si trattasse di peste

anche nel caso delle epidemie delle epoche precedenti,

come quella che colpì Atene circa 2500 anni fa, e la Peste

Antonina, tra il 180 e il 165 d.C., che decimò le legioni

romane: un'ipotesi alternativa è che fossero epidemie

di vaiolo, morbillo o tifo.

Il lungo passato del batterio della peste

Cranio di un individuo appartenente alla cultura

Yamnaya, sviluppatasi in Asia centrale nell'età del

Bronzo  (Cortesia Rasmussen et al./Cell 2015)I

risultati di alcuni studi hanno però suggerito che le

epidemie fossero comuni già molti secoli prima: i profili

genomici delle popolazioni dell'età del Bronzo

(tra 3000 a.C. e 1500 a.C.) hanno un'elevata variabilità,

indice probabilmente di migrazioni su larga scala,

responsabili in gran parte dell'attuale struttura

demografica europea e asiatica. Una delle possibilità,

secondo gli studiosi, è che queste migrazioni siano

state provocate da epidemie di grandi dimensioni.

Per verificare questa ipotesi, Willerslev e colleghi

hanno analizzato 89 milioni di sequenze di DNA

grezze, ottenute da 101 individui dell'età del

Bronzo, i cui resti, datati a 5000-2800 anni fa,

sono stati scoperti in Europa e in Asia. In sette

di questi individui, risalenti a un'epoca compresa

tra il 2794 a.C. e il 951 a.C. è stato trovato il DNA

di Y. Pestis. Inoltre, si è scoperto che il più recente

antenato comune a tutti i ceppi noti del batterio

risale a 5783 anni fa.

L'analisi ha inoltre rivelato che i genomi dell'età

del Bronzo mancavano di un gene, chiamato ymt

(Yersinia murine toxin), che protegge il patogeno

all'interno dell'intestino delle pulci, che sono i vettori

della peste, permettendone la successiva propagazione

nell'organismo umano. Lo stesso gene era però

presente nei soggetti risalenti all'età del Ferro,

corrispondente all'incirca al primo millennio a.C.

, indicando che la trasmissione mediata dalle pulci

si sviluppò tra 3700 e 3000 anni fa.

L'altro tratto cruciale per la patogenicità della peste

è emerso sempre nell'età del Ferro, grazie a una

mutazione che ha impedito la sintesi della proteina

flagellina, che viene riconosciuta dal sistema

immunitario dell'ospite.

 
 
 

Le cause dell'epidemie di peste......

Post n°1549 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet
24 febbraio 2015

Fu il clima in Asia a innescare le

epidemie di peste in Europa.

Fu il clima in Asia a innescare le epidemie di peste in Europa

I focolai di peste che continuarono a

colpire l'Europa fra il XIV e il XIX secolo

furono dovuti alla periodica reintroduzione

del batterio Yersinia pestis dall'Asia centrale.

Le oscillazioni del clima in quelle regioni

innescarono infatti brusche variazioni nelle

popolazioni locali di roditori, serbatoio permanente

di pulci infette, inducendo queste ultime a cercare

nuovi ospiti(red)

All'origine delle epidemie di peste in Europa ci furono

le fluttuazioni del clima in Asia centrale.

La riaccensione dei focolai di peste che hanno

continuato ad affliggere il continente dalla grande

pandemia della Morte Nera del 1347-1353 fino alle

soglie del XIX secolo non fu infatti dovuta alla soprav=

vivenza di serbatoi dell'infezione in Europa, ma alla

periodica reintroduzione della malattia dall'Asia, in

concomitanza con fluttuazioni climatiche che influirono

pesantemente sulle locali popolazioni di roditori. 

E' questa la conclusione a cui è giunto un ampio

studio condotto da ricercatori delle Università di

Oslo e di Berna, che firmano un articolo pubblicato

sui "Proceedings of the National Academy of Sciences"

Fu il clima in Asia a innescare le epidemie di peste in Europa

Cammelli della regione dell'Altai. Facilmente

infettabili, questi animali furono il principale

veicolo di diffusione della peste lungo le vie

carovaniere. (© Colin Monteath/ Hedgehog

House/Minden Pictures/Corbis) 
 La peste è causata dal batterio Yersinia pestis,

ed è veicolata dalle pulci infette che infestano i

roditori. Finora si è ritenuto che in seguito all'arrivo

della peste in Europa nel XIV secolo, che decimò

la popolazione del continente, si fossero creati

dei serbatoi del batterio nella fauna selvatica locale

o nei roditori urbani. Per cercare di identificare

questi serbatoi Nils Chr. Stenseth e colleghi hanno

esaminato i dati relativi a 7711 focolai storici di

peste confrontandoli con gli andamenti meteo-climatici

in Europa e in Asia, desunti dalle registrazioni

dendrocronologiche (la dendrocronologia studia le

correlazioni tra gli accrescimenti annuali degli alberi e

le condizioni climatiche vigenti in ciascun anno). 

Dall'analisi di questi dati è apparso che nulla indica

che si siano creati serbatoi persistenti della peste

fra i roditori dell'Europa, con l'eccezione di un'area

al suo confine orientale, vicino al Mar Caspio. E'

invece emersa una correlazione con le variazioni

nel regime monsonico in Asia, chiaramente registrato

nei tronchi degli alberi della regione del Karakorum,

 che hanno influenzato il clima dell'Asia centrale,

innescando un meccanismo di diffusione della peste. 

Questi eventi climatici in Asia hanno sempre preceduto

di circa 15 anni la comparsa di focolai di peste in Europa,

un arco di tempo necessario perché la malattia potesse

diffondersi attraverso le rotte commerciali, lungo le

quali i ricercatori hanno potuto seguire la progressiva

comparsa dei focolai. 

Fu il clima in Asia a innescare le epidemie di peste in Europa

Tempi di diffusione della peste dall'Asia centrale

all'Europa. (Cortesia B.V. Schmid/PNAS)Per quanto

riguarda più specificamente il meccanismo all'origine

del fenomeno, le primavere calde seguite da estati

umide favoriscono l'espansione delle popolazioni di

roditori, comprese quelle che sono i principali vettori

di pulci infettate dal bacillo della peste - il grande

gerbillo (Rhombomys Opimus) in Kazakhstan, lo scoiat=

tolo delle steppe (Spermophilus undulates) e la

marmotta grigia (Marmota baibacina) nella regione

dell'Altai. Quando le popolazioni di questi animali

crollano in risposta alle fluttuazioni climatiche, la

densità delle pulci per animale aumenta drammatica=

mente, facilitando la diffusione della peste fra quei

roditori, tanto da indurre le pulci a cercare ospiti

alternativi, fra cui gli animali domestici e in particolare

i cammelli. 

I cammelli, facilmente infettabili, sono stati infatti

il principale mezzo di diffusione della malattia lungo

le vie carovaniere fino ai porti del Mediterraneo e del

Mar Nero, dove il loro posto è preso dai ratti.

 
 
 

La storia della peste......

Post n°1548 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

02 novembre 2010

La storia naturale delle pandemie di peste

La storia naturale delle pandemie di peste

La raccolta dei dati relativi ai diversi ceppi è

stata molto complessa a causa dei rigidi

regolamenti sui campioni, volti a prevenirne

un uso a fini terroristici(gg

epidemiologiamedicinastoria

Grazie a un lungo lavoro di sequenziamento

e confronto del genoma di numerosi ceppi di

 Yersinia pestis, un gruppo internazionale di

ricercatori è riuscito a tracciare l'evoluzione e lo

sviluppo delle pandemie di peste fin dal loro

primo apparire nelle steppe centro-asiatiche in

prossimità della Cina, oltre duemila anni fa.

La ricerca, che fornisce dettagli senza precedenti

sulla storia delle pandemie batteriche, è stata

coordinata da Mark Achtman dell'University College

Cork, in Irlanda, ed è pubblicata sulla rivista Nature

Genetics

I ricercatori hanno confrontato 17 sequenziamenti

completi del genoma della peste analizzando 933

siti di variabilità del DNA da una collezione di 286 

ceppi isolati del batterio. Le informazioni ottenute

hanno permesso di tracciare il progresso delle

pandemie storiche nel mondo e di calcolare l'età

delle differenti ondate. La maggior parte di questi

eventi può essere messo in relazione a eventi

storici documentati. 

Fin da una ricerca preparatoria condotta nel 2004,

era apparso chiaro ai ricercatori che la comprensione

delle origini della peste avrebbe richiesto un confronto

dei genomi isolati da svariate istituzioni scientifiche,

dato che nessuna ne possedeva una che fosse

rappresentativa della situazione globale. La creazione

si una simile raccolta era però apparsa ardua a causa

dell'impossibilità di inviare i campioni, sottoposti a

stringenti regolamenti governativi volti a prevenirne

un uso a fini terroristici. Per questa ragione l'analisi

è stata condotta in modo decentrato da una collabora=

zione internazionale di ricercatori irlandesi, tedeschi,

francesi, cinesi, brirtannici, statunitensi, e malgasci. 

Questo nuovo lavoro mostra che il bacillo della peste

 si è evoluto in Cina o in una regione limitrofa, e

che da lì si è diffusa attraverso numerose epidemie,

seguendo diversi percorsi, fra cui la Via della seta,

fino all'Africa, fra il 1409 e il 1433, trasportata in

questo caso dall'esploratore cinese Zheng He.

In precedenza dal 1347 al 1351, la Morte Nera

imperversò dall'Asia all'Europa all'Africa riducendo

drasticamente la popolazione mondiale: la Cina

perse in quell'occasione circa la metà della

popolazione, l'Europa un terzo e l'Africa un ottavo. 

L'ultima pandemia di peste si diffuse nel 1894 prima

all'India per irradiarsi poi in molte aree del globo,

compresi gli Stati Uniti, dove la malattia continua

a rimanere endemica in alcune popolazioni di roditori. 

Il centro di ricerca dell'University College Cork diretto

da Achtman è specializzato nella biologia evolutiva

dei batteri patogeni e sta studiando anche l'evoluzione

di SalmonellaHelicobacter pylori Listeria monocytogenes.

 
 
 

Altre curiosità............

Post n°1547 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: da Internet

13 dicembre 2013

Il cimitero di un'antica abbazia racconta mille anni di epidemie

Il cimitero di un'antica abbazia racconta mille anni di epidemie

Vaiolo, morbillo, tubercolosi, tifo, colera e soprattutto peste:

sono le malattie infettive che si diffondevano lungo l'Italia con

gli spostamenti di pellegrini e soldati lungo la Via Francigena.

Molte nuove informazioni su questi agenti patogeni potranno

essere ottenute grazie alla scoperta di un cimitero nell'antica

abbazia di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca,

che raccoglie gli scheletri di pellegrini morti lungo il cammino

nell'arco di circa mille anni(red)

Erano sepolti in un cimitero finora sconosciuto dell'Abbazia

camaldolese di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca,

gli scheletri che consentiranno di aprire una finestra inattesa su salute

e malattia  in Europa, nel corso dei secoli, rivelando importanti

informazioni su eventi epocali come la peste nera del 1300 o l'epidemia

di colera del 1800. Un articolo apparso su "Science" a firma della

giornalista  Ann Gibbons racconta l'eccezionale scoperta fatta da

Giuseppe Vercellotti e Clark Larsen, dell'Ohio State University, e

da Hendrik Poinar, della McMaster University, che da tre anni conducono

una meticolosa campagna di scaviper riportare alla luce i reperti, per poi

studiarli con diverse tecniche, dall'analisi degli isotopi radioattivi alle

scansioni di tomografia computerizzata tridimensionale.

L'abbazia si trova lungo la Via Francigena, che dal centro dell'Europa, e in

particolare dalla Francia, portava a Roma. Il cammino poi proseguiva poi

fino al sud d'Italia, e una volta attraversato il mare, in Terrasanta. La Via

Francigena era percorsa da cavalieri, monaci e contadini e, con loro,

anche da gravi malattie infettive. 

Il cimitero di un'antica abbazia racconta mille anni di epidemie

L'Abbazia di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca,

dove da tre anni proseguono gli scavi (Wikimedia Commons)
 I reperti di Badia Pozzeveri consentono di confrontare resti

fossili e genomi di individui appartenenti a classi sociali diverse

e a diverse epoche storiche e di capire in che modo vivevano e

morivano dal Medioevo in poi. Il confronto tra i vari genomi

può aiutare inoltre a comprendere in che modo si sono evoluti

gli organismi patogeni nelle varie condizioni, dalla carestia alla

guerra, presenti durante i viaggi dei pellegrini, ma anche delle

truppe che si spostavano lungo la penisola.

La lebbra, per esempio, arrivò probabilmente dal Medio Oriente

con i soldati di ritorno dalle Crociate. I primi focolai si registrarono

infatti in Toscana nel XXII secolo, quando sorsero nella regione

ben tre lebbrosari. 

I pellegrini probabilmente sono stati il veicolo di diffusione di vaiolo,

morbillo, tubercolosi, tifo, colera e soprattutto della peste. Una specifica

zona di scavi probabilmente ospita infatti le vittime della terribile epidemia,

la cosiddetta Morte Nera, che uccise metà della popolazione europea

tra il 1348 e il 1350. Una ricerca condotta nel 2011 su resti dell'epoca,

ritrovati a Londra dal gruppo dello stesso Poinar, ha confermato che a

causare la Morte Nera fu Yersinia pestis, il batterio che causa la peste,

escludendo altri possibili agenti patogeni.

Il cimitero di un'antica abbazia racconta mille anni di epidemie

Immagine elaborata al computer di Yersinia pestis (© Science Picture

Co./Corbis)Questi nuovi campioni dell'Abbazia di San Pietro

consentiranno di affrontare questioni rilevanti sulla virulenza di Y. pestis.

Il batterio è infatti ancora presente negli Stati Uniti sud occidentali, in Asia

e in Africa, e colpisce da 1000 a 3000 persone all'anno, ma si trasmette

molto lentamente da uomo a uomo. I ricercatori vogliono dunque

scoprire perché il batterio è molto meno virulento oggi di quanto

fosse centinaia di anni fa. 


Altri capitoli importanti per lo studio delle antiche malattie riguardano

poi la malaria, e la sua presenza nella Toscana del 1300, oppure le

malattie a trasmissione sessuale come la sifilide tra il 1400 e il 1500,

o ancora la pandemia di colera che colpì l'Italia nel 1855. 

I resti dell'abbazia di San Pietro, conclude Gibbons, hanno appena

iniziato a svelare i segreti di quasi mille anni di storia sanitaria

dell'Italia e dell'intera Europa.Tweet

 
 
 

Il batterio responsabile della peste

Post n°1546 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte : Internet

13 ottobre 2011

Ricostruito l'intero genoma del batterio

responsabile della Morte Nera.

Ricostruito l'intero genoma del batterio responsabile della Morte Nera

Tweet

Per la prima volta è stato possibile ricostruire l'intero genoma

di un agente patogeno antico, quello della peste che falcidiò nel

XIV secolo tutta Europa. Grazie alla nuova metodologia adottata

dovrebbe essere possibile studiare il genoma di tutti i tipi di

agenti patogeni storici (red)

L'intero genoma della peste nera che imperversò in Europa a metà

del XIV secolo è stato sequenziato da un gruppo di ricercatori della

McMaster University a Hamilton, in Canada, e dell'Università di

Tubinga in Germania.

Questa è la prima volta che gli scienziati sono stati in grado di

ricostruire l'intero genoma di un agente patogeno antico, un'impresa

riuscita grazie a un un nuovo approccio metodologico - recentemente

messo a punto e descritto dallo stesso gruppo di lavoro - per integrare

le lacune e i difetti che interessano i frammenti di DNA degradato

recuperabili da antichi reperti. 

In questo modo i ricercatori - che firmano un articolo pubblicato

su Nature- sono riusciti a dimostrare che la peste che fra il il 1347

e il 1351 sterminò oltre 50 milioni di europei è imputabile a una

specifica variante del batterio Yersinia pestis, di cui esiste ancor oggi

una discendenza diretta che risulta letale per circa 2000 persone ogni anno.

La messa a punto di metodologie via via più sensibili e sofisticate ha

permesso di fare passi enormi nell'ambito della paleopatologia: ancora

nel 2003 era stato messo in dubbio che la peste del XIV secolo fose

effettivamente tale, dato che in resti di presunte vittime di quella epidemia

rinvenute in Francia e non erano state trovate tracce di Y. pestis e del suo

DNA. "Utilizzando la stessa metodologia, ora dovrebbe essere possibile

studiare il genoma di tutti i tipi di agenti patogeni storici", ha commentato

Johannes Krause, uno dei coordinatori della ricerca. "Questo ci permetterà

di avere una cognizione diretta dell'evoluzione dei patogeni umani e delle

pandemie storiche."

"Abbiamo scoperto che in 660 anni di evoluzione di questo un agente

patogeno, ci sono stati relativamente pochi cambiamenti nel genoma

dell'organismo antico, ma questi cambiamenti, per quanto piccoli, possono

aiutarci a chiarire i cambiamenti di virulenza in questo batterio che ha

devastato l'Europa ", spiega Hendrik Poinar, il secondo coordinatore dello

studio. "Il prossimo passo è quello di determinare perché era così mortale."

Lo studio è stato condotto prelevando campioni dalla polpa dentale dei

resti di vittime della peste sepolte nelle antiche fosse comuni a East

Smithfield, a Londra. 

Successivamente i ricercatori hanno confrontato i dati ottenuti con quelli

disponibili su altri ceppi moderni e antichi, in modo da calcolare l'età in

cui si è sviluppato quel ceppo, scoprendo così che la sua prima manifesta=

zione deve essere avvenuta fra il XII e il XIII secolo. 

Ne segue, osservano i ricercatori, che la peste di Giustiniano del VI secolo,

che sconvolse l'Impero Romano d'Oriente, non può essere imputata a Yersinia

pestis, o quanto meno non al ceppo che in epoche successive colpì l'Europa. 


Ricostruito l'intero genoma del batterio responsabile della Morte NeraLe date della peste del XIV secolo

1346 Inizio della peste fra i tartari che assediano Caffa, in Crimea.

1347 A ottobre si sviluppa l'epidemia a Messina, portata da

una nave genovese proveniente dalla Criema.

1348 A gennaio la peste si manifesta a Venezia e a Genova.

1348 Fra giugno e agosto la peste si diffonde in Inghilterra,

per raggiungere quindi la Norvegia.

1402-3 La peste raggiunge l'Islanda.

 
 
 

La peste nera ed il capitalismo

Post n°1545 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

25 ottobre 2013

Come la Peste Nera favorì lo sviluppo

del capitalismo

Come la Peste Nera favorì lo sviluppo del capitalismo

Sterminando quasi un terzo della popolazione

europea, la peste del XIV secolo ruppe quell'equilibrio

fra crescita della produzione e crescita demografica

che aveva lasciato quasi invariati per secoli gli

standard di vita. Dando maggior valore al lavoro e

opportunità di impiego anche alle donne, l'epidemia

ridusse stabilmente la natalità, almeno nelle regioni

protestanti, rendendo possibile l'accumulazione di

capitale(red)

economiaepidemiologiasocietà

La famigerata Peste Nera è stata uno dei fattori

chiave che ha permesso la rivoluzione industriale,

l'instaurarsi di un'economia di tipo capitalista e lo

sviluppo e la prosperità di molte nazioni europee.

A sostenerlo è Alberto Alesina, economista italiano

che insegna alla Harvard University, in un articolo

pubblicato su "Science"

Com'è noto, agli inizi del XX secolo Max Weber nel

famoso saggio L'etica protestante e lo spirito del

capitalismo sostenne che l'insegnamento luterano e

calvinista di una vita improntata al duro lavoro e alla

frugalità, ma anche del successo economico come

segno di benevolenza divina, aveva posto le basi per

l'accumulazione di capitale indispensabile a creare le

condizioni necessarie per attività che andassero al di

là della dimensione artigianale. Queste basi erano

poi ulteriormente rafforzate dall'incoraggiamento

all'alfabetizzazione, indispensabile per leggere in

prima persona la Bibbia, che stimolò anche l'accumula=

zione di capitale umano nelle regioni protestanti.

Questa analisi, di per sé corretta, dà però per scontata

una premessa: che ci siano i margini e la possibilità di

accumulare capitale. In realtà, "prima della rivoluzione

industriale - osserva Alesina - il reddito pro capite (in

termini di cibo, vestiario e alloggio, per esempio) general=

mente non è  cambiato. Gli standard di vita media in

Europa sono rimasti pressoché costanti", sostanzial=

mente al livello di sussistenza. 

Come la Peste Nera favorì lo sviluppo del capitalismo

Miniatura tratta da un manoscritto svizzero del

1411 che illustra l'epidemia di peste. (Corbis).

.Per la maggior parte della storia umana, infatti,

al crescere della produzione economica totale ha

corrisposto un aumento parallelo  della popolazione

totale, lasciando il loro rapporto (ossia il reddito

pro capite) sostanzialmente stabile. Questo parallelismo

è stato interrotto solo dalla diffusione della Peste

Nera fra il 1348 e il 1350, che ridusse di un terzo la

popolazione europea, con un importante effetto

indiretto: a fronte di una terra sempre abbondante,

la forza lavoro diventò una risorsa scarsa.

Ciò provocò un aumento dei salari, una spinta allo

sviluppo di tecnologie (come l'uso di migliori aratri)

che permettessero pratiche di coltivazione più

intensiva e anche a opportunità di lavoro per le

donne e dei bambini. Un'ulteriore conseguenza

fu l'aumento dell'età a cui si sposavano le donne

e quindi una diminuzione della natalità. 

E' solo a questo punto, secondo l'economista, che

subentra il fattore religioso descritto da Weber,

al quale è possibile attribuire le differenze di

sviluppo fra le varie regioni del continente, con

il Centro e Nord Europa incamminato verso una

rapida accumulazione di capitale economico e

umano, e l'Europa meridionale e orientale, dove

tassi di natalità e popolazione tornarono ai livelli

precedenti all'epidemia in tempi relativamente brevi.

 
 
 

Le disparità economiche......

Post n°1544 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

16 novembre 2017

Le disparità economiche risalgono al Neolitico

Le disuguaglianze nella distribuzione della

ricchezza fra i membri di una società hanno

iniziato a diventare rilevanti durante il Neolitico,

con l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento.

A parità di sviluppo economico, le antiche culture

del Nord e Centro America erano però più ugualitarie

di quelle del Vecchio Mondo(red)

archeologiaecomomia

Nella storia dell'umanità, le disuguaglianze nella

distribuzione della ricchezza hanno iniziato ad

accentuarsi durante il Neolitico e sono general=

mente aumentate con la domesticazione di piante

e animali e con la complessità delle strutture sociali.

Queste disuguaglianze, inoltre, sono state decisa=

mente più marcate nelle società euroasiatiche che

in quelle dell'America settentrionale e centrale. A

stabilirlo è lo studio di un gruppo di ricercatori

diretto da Timothy A. Kohler della Washington

State University a Pullman, negli Stati Uniti,

che ne riferiscono su "Nature".


Le disparità economiche risalgono al Neolitico

Uno dei più antichi insediamenti agricoli nella cosiddetta

mezzaluna fertile, nell'attuale Siria, risalente all'8000 a.C.

(Cortesia Dr. Alejandro Pérez-Pérez, University of Barcelona

)Gli archeologi si interrogano da tempo sulle differenze

di accesso alle risorse nelle società più antiche, ma si

sono scontrati con la difficoltà di individuare variabili che

riflettessero la condizione economica delle famiglie e  al

tempo stesso permettessero un confronto fra culture ed

epoche diverse. (Le offerte collocate nelle tombe, per

esempio, non sono un buon parametro, dato che le tumula=

zioni che  possiamo ritrovare oggi erano riservate in genere

a persone di stato sociale elevato e non sono rappresentative

di tutta la popolazione.)

Kohler e colleghi hanno ora mostrato che un parametro

relativamente semplice e universale della capacità

economica di una famiglia sono le dimensioni delle

case all'interno di una comunità. Nelle società in cui

gran parte delle persone hanno una posizione economica

simile, le abitazioni tendono ad avere le stesse dimensioni.

Ma per i gruppi in cui alcuni hanno una ricchezza maggiore

di altri, si osserva di solito la coesistenza di case piccole e grandi.

Le disparità economiche risalgono al Neolitico

Una famiglia delle cultura BaYaka, dell'Africa centrale,

ancora oggi prevalentemente dedita alla caccia e raccolta.

(Cortesia Gul Deniz Salali)Sulla base dei dati raccolti i

ricercatori hanno rilevato una maggiore disparità economica

nei siti agricoli rispetto a quelli occupati da cacciatori-raccoglitori

o da popolazioni con un'economia "mista" (costituite da piccoli

gruppi che integravano piccole colture con le risorse ottenute

con la caccia o la pesca), e questa disparità era tanto maggiore

quanto più era importante la domesticazione di grandi mammiferi

e l'estensione delle coltivazioni agricole.  A questo si sovrap=

pone poi il livello di strutturazione e complessità della società,

con la creazione di élite politiche.

I risultati hanno mostrato che i siti eurasiatici avevano

raggiunto livelli di disuguaglianza significativamente più

elevati rispetto a quelli nordamericani, anche quando le

rispettive economie agricole erano durate per periodi di

tempo equivalenti.

Per realizzare i confronti i ricercatori hanno adattato

un classico strumento socioeconomico, il cosiddetto

indice di Gini, sviluppato più di un secolo fa dallo statistico

e sociologo italiano Corrado Gini. In teoria, un paese in cui

vi è una distribuzione della ricchezza perfettamente equa

avrebbe un indice di Gini pari a 0, mentre un paese in cui

tutta la ricchezza è concentrata in una sola famiglia avrebbe

un indice pari a 1.

Le disparità economiche risalgono al Neolitico

Terracotte pueblo rinvenute a Pueblo Bonito,

nel New Mexico, risalenti a 1000 anni fa circa.

I ricercatori hanno scoperto che l'indice di Gini

delle società di cacciatori-raccoglitori è tipicamente

0,17, il che segnala una bassa disparità nella

distribuzione delle risorse, coerente con l'elevata

mobilità che rende difficile l'accumulazione della ricchezza.

Nel caso delle antiche economie miste, l'indice sale

a 0,27 e cresce ulteriormente - in media a 0,35 - nelle

società in cui l'agricoltura predominava nettamente.

Questa media nasconde però forte differenze: se

nel Nuovo Mondo l'indice difficilmente superava lo 0,3,

nel Vecchio Mondo si raggiunge anche un indice pari

a 0,59.

Per dare un'idea più concreta del significato di questi

valori, l'articolo riporta anche alcuni esempi dell'indice

di Gini di paesi contemporanei: l'indice di Gini attribuito

alla Grecia di oggi è 0,56 e quello della Spagna 0,58

(l'Italia è a 0,59): valori decisamente elevati, ma ancora

ben inferiori a quelli attribuibili alla Cina (0,73) e agli Stati

Uniti (0,80).

 
 
 

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