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Messaggi del 23/01/2018
Post n°1563 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 31 marzo 2015 La fine di un supercontinente stimolò la biodiversità nel Cambriano
La grande proliferazione di forme differenti di vita che caratterizzò l'inizio del Cambriano, oltre mezzo miliardo di anni fa, fu innescata dalla frantumazione dell'antichissimo super= continente di Pannotia. Nei nuovi mari che si aprirono si crearono nicchie ecologiche diverse che favorirono l'evoluzione di gruppi animali distinti(red) biodiversitàevoluzionescienze della terra Fu la tettonica a placche a innescare il più ampio aumento della biodiversità che si sia mai verificato sul nostro pianeta, la cosiddetta esplosione del Cambriano, avvenuta tra 540 e 520 milioni di anni fa. La scoperta è di Lin Na e Wolfgang Kiessling, della Friedrich Alexander Universität a Erlangen-Nürnberg e della Humboldt Universität a Berlino, che la descrivono sui "Proceedings of the National Academy of Sciences". Nell'arco di tempo geologicamente breve in cui si verificò l'esplosione del Cambriano, emersero una cinquantina di nuovi phyla animali (il phylum è il raggruppamento tassonomico più generale, appena sotto il regno e sopra la classe), ma non è mai stato chiaro se i fattori che guidarono questa eccezionale diversificazione siano stati abiotici (per esempio, salinità e temperatura delle acque), ecologici, genetici o qualche complessa interazione tra di essi. La struttura corporea fondamentale di tutti gli animali marini oggi viventi è riconducibile a una delle nove forme di base apparse durante l'esplosione cambriana. Molti animali della precedente fauna di Ediacara, vissuta fra 620 e 550 milioni di anni fa, avevano strutture differenti, che nessun animale odierno possiede più (Cortesia Eric Cheng/Stanfod University) Lu e Kiessling hanno analizzato i dati disponibili sui fossili dell'epoca e le formazioni geologiche che li contenevano, per poi classificare le informazioni sulla base del tipo di diversificazione osservata nelle serie storiche in funzione delle località di ritrovamento. Per valutare la biodiversità, hanno preso in esame tutti e tre i livelli a cui può essere considerata: il numero di specie presenti in una comunità che occupa un certo ambiente in una certa località geografica (detta biodiversità alfa); il numero di comunità presenti in una determinata area geografica (diversità beta); e il numero totale di specie presenti in una data regione geografica (diversità gamma). del Cambriano è stata determinata anzitutto dall'aumento della biodiversità beta, ossia da una intensa proliferazione di differenti comunità "provinciali". Questa proliferazione fu innescata dalla frantumazione dell'antico supercontinente di Pannotia, che portò all'apertura degli oceani Giapeto e Aegir, e quindi alla separazione e migrazione nei quattro continenti di Laurentia, Baltica, Siberia e Gondwana. Laurentia comprendeva le placche che oggi formano l'America settentrionale, la Groenlandia e la Scozia, mentre il nucleo del continente di Gondwana era formato dalla riunione degli attuali Sud America, Australia, India, Africa, Antartide, ed era circondato da numerosi microcontinenti (corrispondenti a Cina meridionale, Iran, e Turchia e altre attuali aree dell'Europa). in tempi geologicamente molto ristretti, non più di venti milioni di anni, e comportò la dislocazione delle diverse regioni costiere in posizioni caratterizzate da climi più caldi e più freddi, e l'alterazione delle correnti marine. Tutto ciò determinò una moltiplicazione di nicchie marine differenti in cui si svilupparono forme animali diverse. sovrappose poi un ulteriore meccanismo, quello dell'aumento della predazione locale, forse legato anch'esso alle minori dimensione delle nicchie rispetto a quelle originarie. |
Post n°1562 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
17 settembre 2015 Le aree cerebrali che valutano colpa e punizione Il livello di responsabilità dell'autore di un misfatto e l'entità della punizione che merita vengono elaborati nel cervello da aree diverse. Quella che stabilisce la pena normalmente considera il rapporto fra la gravità della colpa e quella dei danni arrecati, ma se la sua attività viene ridotta artificialmente decide solo sulla base dei danni. La valutazione della gravità di una colpa e quella dell'entità della relativa punizione, pur essendo correlate, vengono determinate in aree distinte del cervello. In particolare, l'entità di una giusta punizione è elaborata all'interno di una specifica area del cervello, la corteccia prefrontale dorsolaterale. A scoprirlo è uno studio condotto da ricercatori della Vanderbilt University e della Harvard University che firmano un articolo su "Neuron". di cooperare su larga scala, una capacità che dipende strettamente da quella di stabilire e far rispettare le norme sociali. E per decidere come punire chi viola queste norme, è necessario integrare le informazioni sulla gravità della colpa con quelle relative all'entità delle conseguenze della trasgressione. una delle aree evolutivamente più recenti - è molto attiva quando sono da svolgere compiti cognitivi impegnativi; in particolare, provvede a integrare i diversi flussi di informazioni in modo da selezionare le risposte adeguate. non in compiti sociali. Ora Joshua W. Buckholtz e colleghi hanno colmato questa lacuna sottoponendo a una serie di scansioni cerebrali con risonanza magnetica funzionale un gruppo di volontari mentre erano impegnati in compiti di valutazione di colpe e punizioni. e la giusta punizione per il protagonista di una racconto che si era macchiato di un reato, dal semplice furto fino a un omicidio. A volte, il reato era deliberato, in altri casi, la responsabilità era ridotta a causa di uno stato di necessità, psicosi, o altre circostanze attenuanti. attività della corteccia prefrontale dorsolaterale attraverso la cosiddetta stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS), una tecnica che permette di stimolare o disattivare l'attività di specifiche aree cerebrali attraverso campi magnetici. veniva smorzata, le pene considerate giuste dalla persona erano in genere più lievi, pur restando invariato il giudizio sul livello di responsabilità del reo. Ciò indica che gravità della colpa e punizione sono elaborate da aree distinte. Inoltre è apparso che quando l'area era inattivata, l'entità della pena veniva stabilita solo in base all'entità del danno, indipendentemente dal livello di responsabilità. limitata esclusivamente a valutare la punizione sulla base del rapporto fra responsabilità e danni causati. A stabilire il livello di responsabilità provvede invece qualche altra area del cervello che resta ancora da determinare con precisione, anche se vi sono indizi - osservano gli autori - che possa trattarsi della cosiddetta giunzione temporo-parietale. |
Post n°1561 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 23 gennaio 2012 Le basi cerebrali dei valori inviolabili
Le decisioni che coinvolgono principi personali considerati inviolabili vengono elaborate da specifici processi cerebrali, nei quali non interviene il sistema della ricompensa, e che sono distinti da quelli che presiedono alla valutazione del rapporto costo-benefici. Il metodo usato nella ricerca consente di iniziare a rispondere in modo scientifico a questioni relative a come le persone prendono decisioni che coinvolgono valori "sacri". I valori personali a cui ci si rifiuta di rinunciare, anche quando viene offerto denaro per farlo, vengono elaborati dal cervello in modo differente da quelli che sono "negoziabili". A stabilirlo è stata una ricerca condotta da un gruppo di neuroscienziati, antropologi ed economisti della Emory University e dell'Istituto Jean Nicod di Parigi."Il nostro esperimento ha scoperto che il regno del 'sacro' - che si tratti di una forte convinzione religiosa, di un'identità nazionale o di un codice etico - è un processo cognitivo distinto", spiega Gregory Berns, direttore del Centro di neuroscienze della politica alla Emory University, che ha diretto lo studio pubblicato sulle "Philosophical Transactions of the Royal Society". "Abbiamo ideato un metodo per iniziare a rispondere in modo scientifico a questioni relative a come le persone prendono decisioni che coinvolgono valori sacri, e che ha importanti implicazioni, se si vuole capire meglio che cosa influenza il comportamento umano nei diversi paesi e nelle diverse culture", spiega Berns. "Stiamo osservando come i valori culturali fondamentali sono rappresentati nel cervello". le risposte cerebrali di 32 soggetti nel corso di un esperimento in cui, in una prima fase, veniva chiesto di scegliere fra coppie di dichiarazioni opposte che spaziavano da questioni banali (come "Tu sei un bevitore di tè") a temi scottanti (come "Tu sei favorevole al matrimonio fra gay"). la possibilità di mettere all'asta le loro dichiarazioni personali: disconoscendo le scelte precedenti in cambio di soldi reali, potevano cioè guadagnare fino a 100 dollari semplicemente accettando di firmare un documento che affermava il contrario di ciò in cui credevano; oppure, per le dichiarazioni a cui attribuivano grande valore, potevano ritirarsi dall'asta. dichiarazione, abbiamo ritenuto che questo valore fosse per loro sacro. Ma se ha preso i soldi, allora considerato che non si ritenessero particolarmente vincolati e che il valore non era sacro." sacri e l'attivazione dei sistemi neuronali associati con la valutazione di ciò che è giusto e sbagliato (la giunzione temporo-parietale sinistra) e con il recupero delle regole semantiche (corteccia prefrontale ventro-laterale sinistra), ma non di quelli relativi al sistema della ricompensa. del cervello associata a reazioni emotive, ma solamente nei casi in cui i partecipanti rifiutavano di prendere prendere i soldi in cambio dell'abiura di ciò in cui credono. "Le affermazioni che si chiede di sottoscrivere rappresentano quanto di più ripugnate ci sia per quella persona ed facile aspettarsi che provochino una maggiore attivazione, il che è coerente con l'idea che quando sono violati i valori sacri si induce l'indignazione morale". La maggior parte delle politiche pubbliche si basa sull'offerta di incentivi e disincentivi", osserva Berns. "I nostri risultati indicano che è irragionevole pensare che una politica basata sull'analisi costi-benefici possa influenzare il comportamento della gente quando si tratta dei loro valori personali sacri, perché sono elaborati da sistemi cerebrali completamente diversi da quelli per li incentivi." gruppi ambientalisti, sportivi o musicali hanno mostrato in generale una più elevata attività in quelle regioni del cervello correlate ai valori sacri: "I gruppi organizzati possono instillare valori più saldamente, attraverso l'uso di regole e norme sociali", commenta Berns. sul nostro cervello, e il modo in cui cambia il nostro cervello influisce sulla nostra cultura. Non è possibile separarli. Ora abbiamo i mezzi per cominciare a comprendere questa relazione, e a porre le basi di un campo relativamente nuovo sul scena globale, quello delle neuroscienze della cultura, osserva Berns. "Quando cambia la cultura, ciò influisce sul nostro cervello, e quando cambia il nostro cervello, ciò influisce sulla nostra cultura. Non è possibile separare i due aspetti", commenta Berns che, citando come esempi le battaglie sui diritti riproduttivi delle donne e il matrimonio gay, conclude osservando che nei futuri conflitti fra religione e politica alcune culture sceglieranno di cambiare la loro biologia, e in questo processo, anche la loro cultura. |
Post n°1560 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 19 dicembre 2014 Il pensiero complesso dei bambini generosi Anche nei bambini, l'essere generosi in prima persona coinvolge un pensiero di tipo morale piuttosto complesso, che va oltre il giudizio emotivo immediato che si attiva osservando il comportamento altrui. Lo ha scoperto uno studio registrando l'attività cerebrale di bambini da tre ai cinque anni, dimostrando una connessione tra la capacità di riflettere sul comportamento delle altre persone e generosità che potrebbe essere utile a fini educativi. Si ritiene comunemente che i bambini piccoli siano molto egoisti, e spesso lo sono davvero. Ma alcuni studi hanno dimostrato che anche in età infantile c'è una sensibilità per le diseguaglianze e le ingiustizie, e una notevole capacità di agire a beneficio di altri. Quando i bambini si trovano in gruppo, per esempio, la loro generosità aumenta. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" a firma di Jason M. Cowell e Jean Decety dell'Università di Chicago mostra ora alcuni interessanti dettagli sul collegamento tra giudizio morale e generosità: nel giudicare il comportamento altrui, la mente dei bambini attiva in modo immediato e automatico una risposta emotiva, ma quando si tratta di essere generosi in prima persona bisogna pensare di più.
Questi risultati, ottenuti combinando una serie di elettroencefalogrammi e con l'analisi dei movimenti oculari dei piccoli, sono i primi a collegare valutazioni morali implicite a comportamenti effettivi e a identificarne gli specifici marcatori neurali. simile a quella degli adulti: è complessa e costituita da aspetti sia emotivi sia cognitivi", ha spiegato Decety. cerebrale di un gruppo di bambini tra i tre e i cinque anni mentre assistevano a scene in cui i protagonisti avevano tra di loro un comportamento collaborativo o viceversa ostile. In una seconda fase, i piccoli erano coinvolti in prima persona in una serie di test in cui era offerta l'opportunità di comportarsi in modo generoso verso un bambino che non conoscevano, condividendo un certo numero di adesivi che avevano ricevuto in dono all'inizio. destinavano due adesivi allo sconosciuto. I tracciati elettroencefalografici e i movimenti oculari indicavano che nella prima fase si attivava in modo automatico un giudizio morale di tipo emotivo, ma solo nella seconda erano coinvolti dei processi di pensiero morale più complessi, connessi al comportamento dei piccoli nella condivisione degli adesivi. tra giudizio morale e generosità. "Questi risultati portano a ipotizzare che incoraggiando i bambini a riflettere sul comportamento morale degli altri è possibile stimolare la loro generosità", ha concluso Decety. |
Post n°1559 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Einstein aveva ragione anche sull'energia oscura La rilevazione da parte della collaborazione LIGO-Virgo di onde gravitazionali emesse dalla fusione di due stelle di neutroni mette in discussione teorie esotiche sulla natura della misteriosa energia oscura, responsabile dell'espansione accelerata dell'universo. Rimangono invece in piedi le teorie ispirate a una vecchia idea di Albert Einstein, quella della costante cosmologica.Nell'agosto scorso, la collaborazione LIGO-Virgo ha ottenuto una delle scoperte scientifiche più significative di sempre: la prima rilevazione diretta di un'onda gravitazionale generata dalla fusione di una coppia di stelle di neutroni, che segue le precedenti rilevazioni di onde gravitazionali generate alla fusione di due buchi neri. La rilevazione di agosto è stata l'ultima conferma in ordine di tempo della correttezza delle leggi della relatività generale di Albert Einstein, a poco più di un secolo dalla loro formulazione. Illustrazione della fusione di due stelle di neutroni Una manciata di fisici teorici di tutto il mondo era interessata ai risultati di LIGO-Virgo anche per un altro motivo, oltre alla conferma della relatività generale. Sono i fisici che cercano di dare una risposta al più grande mistero della cosmologia: la natura dell'energia oscura, che rende conto del 68 per cento della massa e dell'energia totali dell'universo. da Miguel Zumalacárregui dell'Università della California a Berkeley, i risultati di agosto escluderebbero molte teorie sull'energia oscura mentre rimarrebbero in piedi quelle ispirate a una vecchia idea dello stesso Einstein: la costante cosmologica. concetti fondamentali di cosmologia, a partire dal concetto di energia oscura. di loro le masse, l'energia oscura agisce come una sorta di antigravità, accelerando l'espansione dell'universo. La sua natura è sconosciuta perché, a parte questo effetto di accelerazione, l'energia oscura non si manifesta in altro modo. prodotte da eventi catastrofici che avvengono nel cosmo e che coinvolgono le grandi masse - potrebbero dare qualche indizio per risolvere il mistero. In particolare, le onde emesse dalla fusione delle due stelle di neutroni e rilevate ad agosto sono giunte sulla Terra dopo un viaggio di circa 130 milioni di anni luce, quasi nello stesso istante della radiazione luminosa ad alta energia emessa nello stesso evento, rilevata dal telescopio spaziale Fermi. e radiazione elettromagnetica viaggiano alla stessa velocità, quella della luce nel vuoto. In altre parole, sono influenzate nello stesso modo dalla presenza dell'energia oscura, che quindi è probabilmente costante nello spazio e nel tempo. Questa costanza era prevista da teorie basate su una vecchia idea elaborata da Einstein per rendere conto della presunta staticità dell'universo (un'idea a cui Einstein non voleva rinunciare, che però in seguito si è rivelata sbagliata): la costante cosmologica. Le leggi della relativistiche che Einstein stesso aveva elaborato prevedevano infatti che l'universo sarebbe collassato per effetto della forza di gravità, un'eventualità che il fisico più famosi di tutti non era disposto ad accettare. Einstein introdusse quindi nelle sue equazioni un termine repulsivo, la costante cosmologica, in grado di compensare la tendenza all'implosione dell'universo. dell'universo iniziata con il big bang, e poi rispolverata, con le opportune modifiche, quando divenne evidente che l'universo si espande a un tasso accelerato. prevedono un ritardo tra l'arrivo delle onde gravitazionali e quelle della radiazione elettromagnetica, che quindi dovranno essere abbandonate o profondamente riviste. La prima vittima di LIGO-Virgo sarà una teoria che assegna una massa a un'ipotetica particella elementare chiamata gravitone, che però mantiene ancora un frammento di possibilità se il gravitone ha una massa assai limitata. della relatività introducendo un sistema di riferimento privilegiato e violando così uno dei principi alla base della stessa relatività generale, la cosiddetta l'invarianza di Lorenz, e le teorie di tipo MOND, che riprendono la concezione della gravitazione universale di Newton modificandola; e altre teorie ancora ancora più complesse. di colmare la discrepanza tra le stime diverse della costante di Hubble, legata all'espansione dell'universo. A causa di questa espansione, dalla Terra si osservano tutte le galassie allontanarsi in ogni direzione dello spazio, con una velocità che è tanto maggiore quanto più elevata è la loro distanza da noi. E la costante di Hubble esprime questa proporzionalità diretta tra distanza e velocità. e che è possibile rilevare la "firma" delle fusioni di coppie di stelle di neutroni, queste ultime possono servire come nuovi riferimenti per stabilire le distanze e per misurare la rapidità di espansione dell'universo, arrivando a una stima più precisa della costante di Hubble. |
Post n°1558 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 04 novembre 2016 L'energia oscura non è finita Secondo alcuni mezzi di comunicazione una recente ricerca avrebbe confutato la scoperta dell'espansione accelerata dell'universo, che nel 2011 è stata premiata con il premio Nobel per la fisica. Le cose però non stanno cosìdi Dan Scolnic e Adam G. Riess/Scientifica American astronomiacosmologiaIn queste settimane, alcuni mezzi di comunicazione hanno sparato titoli come "L'universo si sta espandendo a un tasso accelerato, o no?" E, "L'universo è in espansione, ma non a tasso accelerato. Una nuova ricerca smonta la teoria premiata con il Nobel." Questa eccitazione è dovuta a un articolo pubblicato da poco su "Scientific Reports" intitolato Marginal evidence for cosmic acceleration from Type Ia supernovae firmato da Nielsen, Guffanti e Sarkar. Illustrazione di un'esplosione si supernova di tipo Ia. Dopo aver letto lo studio, però, si può tranquillamente dire che non c'è alcuna necessità di rivedere la nostra attuale concezione dell'universo. Tutto l'articolo non fa che ridurre leggermente la nostra certezza su quello che sappiamo, e per di più solo scartando la maggior parte dei dati cosmologici su cui si basa la nostra comprensione dell'universo. E ignora anche dettagli importanti nei dati che considera. Ma anche tralasciando questi problemi, i titoli sono comunque sbagliati. Lo studio ha concluso che ora siamo sicuri solo al 99,7 per cento che l'universo sta accelerando, il che non è certo la stessa cosa di "non sta accelerando". accelerato è stata fatta da due gruppi di astronomi nel 1998 usando supernove di tipo Ia come strumenti di misura cosmici. Le supernove - stelle che esplodono - provocano alcune delle più potenti esplosioni di tutto il cosmo, più o meno equivalenti a un miliardo di miliardi di miliardi di bombe atomiche che esplodano in una sola volta. Quelle di tipo Ia sono particolari perché, a differenza di altre supernove, esplodono tutte sempre con la stessa luminosità o quasi, probabilmente a causa di un limite di massa critica. Questa somiglianza significa che le differenze nelle loro luminosità osservate sono quasi interamente legate a quanto distanti sono. E questo le rende ideali per misurare le distanze cosmiche. Inoltre, sono oggetti relativamente comuni, e sono così luminose che possiamo vederle a miliardi di anni luce di distanza. Questo ci mostra come appariva l'universo miliardi di anni fa, e quindi possiamo paragonarlo a come appare oggi. "candele standard", ma sarebbe più corretto chiamarle "candele standardizzabili" perché in pratica la loro precisione e accuratezza può essere ulteriormente migliorata tenendo conto delle piccole differenze nelle loro esplosioni, osservando il tempo necessario all'esplosione per dispiegarsi e quanto vira verso il rosso il colore delle supernove a causa della polvere tra noi e loro. La ricerca del modo per rendere solide queste correzioni è stato ciò che ha portato alla scoperta dell'accelerazione dell'universo. Simulazione dell'espansione dell'universo. Il recente articolo che ha dato origine a quei titoli ha usato un catalogo di supernove di tipo Ia messo insieme dalla comunità scientifica (noi compresi), che è stato analizzato già numerose volte. Ma gli autori hanno usato un diverso metodo di calibrazione, e crediamo che questo comprometta l'accuratezza dei risultati. Gli autori assumono che le proprietà medie delle supernove di ciascuno dei campioni usati per misurare la storia dell'espansione siano uguali, anche se è stato dimostrato che sono diverse, e analisi effettuate in passato hanno dato conto di queste differenze. Tuttavia, anche ignorando queste differenze, gli autori trovano comunque che c'è una possibilità del 99,7 per cento circa che l'universo stia accelerando: qualcosa di molto diverso da quello che suggeriscono i titoli. si stia espandendo più velocemente di quanto avvenisse miliardi di anni fa è basata su molto più che sulle misurazioni delle supernove, fra cui le piccole fluttuazioni nello schema del calore residuo dopo il big bang (vale a dire, la radiazione cosmica di fondo) e l'impronta di quelle flut= tuazioni nell'attuale distribuzione delle galassie che ci circondano (le cosiddette oscillazioni barioniche acustiche). nell'universo - confermata numerose volte e con metodi diversi fin dagli anni settanta - riducendo ulteriormente la fiducia in quell'analisi. Questi ulteriori dati mostrano - in modo indipendente dalle supernove - che l'universo sta accelerando. Se combiniamo queste altre osservazioni con i dati sulle supernove, si passa da una sicurezza del 99,99 per cento a una del 99,99999 per cento. Questo è abbastanza sicuro! Il fondo cosmico a microonde mappato dal satellite Planck dell'ESA. Attualmente sappiamo che l'energia oscura - quella che crediamo essere la causa dell'espansione accelerata dell'universo - costituisce il 70 per cento dell'universo, mentre la materia costituisce il resto. La natura dell'energia oscura è ancora uno dei misteri più grandi di tutta l'astrofisica. Ma da quando questo quadro si è consolidato un decennio fa, non c'è stato alcun dibattito veramente approfondito sul fatto che esista l'energia oscura, né che l'universo stia accelerando. priorità nel corso dei prossimi due decenni è capire esattamente che cosa potrebbe essere questa energia oscura. Per ora, dobbiamo continuare a migliorare le nostre misurazioni e mettere in discussione i nostri presupposti. Anche se questo recente articolo non smentisce alcuna teoria, è pur sempre buono per indurre tutti noi a fermarci un attimo e ricordare quanto sono impegnative le domande che poniamo, il modo in cui abbiamo raggiunto le attuali conclusioni e con quanta serietà dobbiamo testare ogni elemento costitutivo della nostra conoscenza. Saul Perlmutter e Brian P. Schmidt per i loro studi sull'accelerazione dell'espansione dell'universo. Insegna alla Johns Hopkins University e lavora come astrofisico allo Space Telescope Science Institute. dell'Università di Chicago. Ha preso parte a diverse ricerche sulla mappatura celeste e in particolare delle supernove. |
Post n°1557 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 02 maggio 2016 L'enigma dell'energia oscura Quasi vent'anni fa si è scoperto che l'espansione dell'universo sta accelerando; alla fonte di questa accelerazione è stato dato il nome di «energia oscura». Le indagini approfondite condotte da allora non hanno svelato la natura dell'energia oscura, ma anzi hanno messo in luce vari altri problemi: perché l'energia oscura sia assai più debole di quanto sembra prevedere la teoria, che cosa significhi per il futuro del cosmo, e se l'energia oscura possa portarci a concludere che viviamo in un multiverso. Con l'arrivo di vari esperimenti degli ultimi anni e altri imminenti, si può sperare di ottenere presto qualche risposta. di Adam G. Riess e Mario Livio |
Post n°1556 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 18 gennaio 2018 I circuiti cerebrali che ci fanno mettere in movimento La capacità di mettersi in movimento e quella di mantenere una certa andatura dipendono da due piccole aree cerebrali distinte. La loro precisa identificazione potrebbe rivelarsi di aiuto per chi soffre di deficit di locomozione, come nel caso del morbo di Parkinson. neuroscienzeDue piccole regioni del cervello controllano la capacità di mettersi in movimento e quella di regolare la velocità di locomozione. A identificarle è stato un gruppo di ricercatori del Karolinska Institut a Stoccolma, che firmano un articolo pubblicato su "Nature". controllata da circuiti neuronali nel midollo spinale, ma il controllo dell'inizio e della fine del movimento, così come la selezione di una certa andatura dipendono da segnali che provengono dal tronco cerebrale e attivano i circuiti neuronali nel midollo spinale. da specifiche strutture cerebrali In una serie di esperimenti su topi, Vittorio Caggiano, Ole Kiehn e colleghi hanno scoperto che due regioni del mesencefalo, il nucleo cuneiforme (CnF) e il nucleo pedunculopontino (PPN), sono i registi di questa capacità. PPN e nel CnF operano insieme per iniziare la locomozione, ma mentre il PPN regola la velocità di spostamento quando questa è lenta (locomozione esplorativa), solo il CnF è responsabile della capacità di scattare e raggiungere una velocità elevata, quella che serve, per esempio, quando è necessario fuggire. una ricerca iniziata anni fa, che li aveva condotti all'individuazione dei gruppi di neuroni che presiedono alla capacità di fermare la locomozione. utili a chi soffre di disabilità locomotorie. In particolare, ha detto Kiehn, "Nel morbo di Parkinson, che colpisce i gangli basali - una delle principali fonti di apporti al PPN - i disturbi dell'andatura e il suo congelamento sono molto pronunciati. Con l'impianto di sottili elettrodi nel cervello - una tecnica chiamata stimolazione cerebrale profonda già utilizzata per trattare alcuni sintomi - si potrebbe prendere a bersaglio i circuiti di CnF o di PPN così da aumentare le capacità locomotorie dei pazienti". anche nel caso di danni al midollo spinale in cui è particolarmente colpito l'innesco della locomozione. |
Post n°1555 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet I CHIRURGHI DELL'INVISIBILE. Mai come negli ultimi 12 mesi abbiamo assistito all'espansione degli strumenti di editing genetico, per eseguire riparazioni "chirurgiche" di DNA e RNA. L'ormai nota e rivoluzionaria tecnica CRISPR/Cas9 è passata alla sperimentazione sull'uomo, in approcci inediti per prevenire o trattare tumori o lenire i sintomi di rare malattie genetiche. Un altro tipo di bisturi molecolare chiamato nucleasi a dita di zinco è stato utilizzato anche "in diretta" nel corpo di un pazienteaffetto da una sindrome genetica ereditaria: lo strumento ha permesso di intervenire sul suo DNA come se un micro-chirurgo fosse stato inviato in loco, e favorire la produzione di un enzima necessario al metabolismo. La "scatola degli attrezzi" dell'editing genetico si è allargata, con nuove tecniche che consentono di intervenire in modo ancora più mirato su DNA e RNA, senza tagliare la doppia elica, ma ridisponendo gli atomi delle basi azotate che li compongono. È la differenza che passa tra usare un machete per togliere una verruca, o ricorrere a un laser. La CRISPR è stata anche utilizzata per studiare le fasi iniziali di sviluppo dell'embrione umano (la prima volta, in Europa) e indagare le ragioni degli aborti precoci. Infine c'è chi vi ha fatto ricorso per trasformare i microbi in banche dati viventi, capaci di trasmettere le informazioni acquisite alle generazioni successive. In ambito medico, inoltre, non va dimenticata la costruzione di uno dei primi sistemi di utero artificiale: alcuni feti di agnello prematuri si sono sviluppati al suo interno per quattro settimane, sopravvivendo senza particolari complicazioni.
dell'area vuota trovata grazie ai muoni. NOVITÀ DAL PASSATO. In un connubio sempre meno raro tra fisica delle particelle e archeologia, i muoni, cioè le particelle che si formano quando i raggi cosmici ad alta energia colpiscono l'atmosfera, sono serviti a individuare due camere nascoste nella Piramide di Cheope. Una di queste è troppo grande per essere stata creata senza uno scopo preciso. Gli appassionati di civiltà del passato hanno anche seguito le scopertedegli ultimi tesori del relitto di Antikythera, e sulla fine della civiltà dell'Isola di Pasqua: gli abitanti di Rapa Nui non si sarebbero estinti per lo sfruttamento sconsiderato delle risorse ambientali, ma per una verità per noi più scomoda. Il 2017 ha visto anche un intero filone di ricerche mettere in discussione i tempi e le modalità di uscita dall'Africa dei nostri antenati sapiens, che potrebbero aver iniziato incursioni fuori dalla culla dell'umanità 60 mila anni prima del previsto. Un nuovo fossile umano di 300 mila anni fa rinvenuto in Marocco toglierebbe all'Africa orientale il primato di unico luogo di nascita della nostra specie. SEGNALI AMBIENTALI. Nell'anno in cui l'amministrazione Trump ha deciso per l'uscita degli USA dagli accordi di Parigi, abbiamo assistito al distacco di un super icerberg di 6000 km quadrati dalla piattaforma antartica Larsen C: un fenomeno naturale - quello delcalving dalle piattaforme glaciali - avvenuto però con modalità sorprendenti e del quale si sta ora studiando il rapporto con il global warming. Il riscaldamento globale non ha direttamente causato l'ablazione, ma potrebbe averla in qualche modo "accelerata". Le scoperte in tema ecologico non sono state all'insegna dell'ottimismo: nell'anno dei grandi uragani e dell'onnipresenteinquinamento da plastica - persino nell'acqua del rubinetto! - siamo però riusciti a trovare una larva ghiotta di polietilene e a bandire per 16 anni almeno la pesca commerciale nell'Artico centrale. Da qualche parte bisognerà iniziare.
staccatosi da Larsen C. | NASA/NATHAN KURTZ SORPRESE ANIMALI. Gli amanti degli animali hanno appreso quest'anno chi è più intelligente tra cane e gatto (almeno stando alla quantità di neuroni), e quanto arrivano a mangiare, complessivamente, i ragni: 800 milioni di tonnellate di insetti all'anno, due volte il peso degli animali che tutti gli esseri umani consumano in 12 mesi! Anche scimmie e api ci hanno stupito in quanto ad acume: le prime sanno capire quando ci sbagliamo, e le seconde VISITATORI (E PIANETI) ALIENI. Non abbiamo ancora trovato E.T., ma un asteroide extrasolare è venuto a farci visita. Lo strano oggetto dalla forma allungata, ribattezzato Oumuamua, è il primo oggetto mai osservato proveniente dall'esterno del Sistema Solare, evi stiamo cercando segni di tecnologia artificiale - per ora, senza grande successo. In quanto a pianeti extrasolari, è stato un anno ricchissimo: a febbraio, a 40 anni luce dalla Terra, sono stati individuati 7 piccoli esopianeti rocciosi attorno alla stella Trappist-1, una nana rossa ultrafredda. Se su alcuni di essi potrebbero esserci le condizioni adatte alla vita, le radiazioni del loro sole rischiano però di renderla impossibile. Kepler ha continuato egregiamente la sua missione di cacciatore di nuove Terre, trovando anche il primo sistema planetario gemello di quello solare, con ben 8 esopianeti. Intanto la stella di Tabby ha nuovamente e più volte richiamato l'attenzione per il suo misterioso comportamento, anche se all'ipotesi della megastruttura aliena se ne preferiscono altre , scientificamente più plausibili.
sonda venisse fatta precipitare sul pianeta degli anelli. Ingrandisci l'immagine | NASA CASSINI & JUNO. In generale, le ricerche di esopianeti quest'anno si sono concentrate attorno alle meno brillanti e più fredde stelle nane rosse. Per quanto riguarda lo Spazio "vicino", invece, tutti gli ingredienti chimici per sostenere la vita sono stati trovati sulla luna di Saturno Encelado (anche se questo non significa che effettivamente ci sia). Questo è stato anche l'anno in cui abbiamo imparato a conoscere meglio Giove, grazie alle rivelazioni della missione Juno; e quellodell'eclissi solare del secolo, per gli abitanti degli Stati Uniti (un'occasione irripetibile per studiare la nostra stella). Ma soprattutto questo è stato l'anno del saluto a Cassini, la sonda della Nasa, ESA e Asi che ha gloriosamente terminato la sua missione lo scorso settembre. Il 2017 verrà poi ricordato come un'anno chiave per l'esplorazione spaziale: per la prima volta sono stati utilizzati razzi e navicelle di seconda mano, già impiegati in precedenti missioni e poi riciclati. Il ricorso a materiali "ricondizionati" anche in questo settore è una tappa fondamentale nella riduzione dei costi per raggiungere lo spazio. ALLIEVI RIBELLI. Trovare un'altra casa planetaria ci servirà, se nei prossimi mesi i progressi dell'intelligenza artificiale continueranno spediti come è stato nel 2017. Nell'ultimo anno abbiamo assistito a conversazioni autonome e incomprensibili tra i bot di Facebook, e siamo stati battuti a Go - ancora - da un sistema di apprendimento automatico del tutto autodidatta. Che cosa ci riservano i prossimi 12 mesi? Qualunque cosa sia, speriamo che venga in pace...
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Post n°1554 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Le scoperte scientifiche più importanti del 2017 La nascita di una nuova stella e - allo stesso tempo - di una nuova astronomia; i progressi nell'editing genetico e nella comprensione delle prime migrazioni umane; le imprese eroiche delle sonde e la caccia a nuove Terre. La scienza è meravigliosa, e anche quest'anno ne abbiamo avuto prova.
un'elaborazione artistica.|NATIONAL SCIENCE FOUNDATION /LIGO/SONOMA STATE UNIVERSITY/A. SIMONNET Ogni piccola scoperta scientifica è un passo avanti nella comprensione dell'Universo. Ma in tempo di bilanci di fine anno, ce ne sono alcune che ricorderemo più di altre, e il 2017 - segnato dal boom delle fake news e dei tentativi di screditare la scienza - è stato particolarmente ricco di risultati importanti. Eccone alcuni tra i più significativi, per rinfrescarci la memoria. NUOVI OCCHI SUL COSMO. Il 2017 sarà ricordato come l'anno della svolta nelle osservazioni celesti. Il 17 agosto gli astrofisici di tutto il mondo hanno assistito "in diretta" alla collisione tra due stelle di neutroni, un evento preannunciato dalle onde gravitazionali - la perturbazione dello spazio-tempo captata dagli interferometri di LIGO e Virgo - e poi rilevato in ogni forma possibile: sotto forma di lampi gamma, nella luce visibile, all'infrarosso e negli ultravioletti, ai raggi X e attraverso onde radio. La storica osservazione ha segnato l'inizio di una nuova astronomia, detta multi-messaggero perché studia in contemporanea tutte le informazioni fisiche disponibili, in uno sforzo condiviso e partecipato, che permette una verifica precisa degli oggetti studiati. Per fare un paragone cinematografico, è come se fossimo passati da un film muto a un colossal con una colonna sonora d'autore, e con una decina di anni di anticipo. Non a caso le collaborazioni internazionali che studiano le onde gravitazionali hanno ottenuto il Premio Nobel per la Fisica. |
Post n°1553 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Tutti gli occhi puntati verso Beta Pictoris Attorno alla stella è in corso il transito di un esopianeta di nuova formazione: è una corsa contro il tempo per as= sistere all'evento, che potrebbe rivelare preziose informa= zioni sulla nascita dei sistemi solari.
A 63 anni luce dalla Terra c'è un laboratorio naturale dove studiare la formazione dei sistemi stellari: è Beta Pictoris, un giovane sole attorno a cui gravitano l'unico disco protoplanetario osservato direttamente, oltre a centinaia di comete e a un pianeta gigante. La prima rilevazione di Beta Pictoris b avvenuta nel 2014 grazie al Gemini Planet Imager (vedi la notizia). Il pianeta, Beta Pictoris b, un mondo caldo e gassoso con 10 volte la massa di Giove, è nel pieno di un transito davanti alla sua stella madre: tra gli astronomi è in atto una mobilitazione generale per cercare di catturarlo "sul fatto". UN TUFFO NEL PASSATO. Il sistema Beta Pictoris ha circa 24 milioni di anni, che in termini "stellari" equivale a un neonato di poche ore... Osservandolo possiamo capire, come in una macchina del tempo, che cosa è avvenuto nelle prime fasi di vita del Sistema Solare. Il giovane pianeta gigante del sistema completa un'orbita attorno alla sua stella ogni 18-20 anni. Il transito è in corso: se le stime sono corrette, la finestra di osservazione dovrebbe restare aperta per pochi mesi. Che cosa succederebbe nel nostro Sistema Solare CHE COSA C'È, INTORNO? Tra gli osservatori che stanno seguendo l'evento c'è: il nano-satellite francese PicSat, messo in orbita il 12 gennaio e al momento dedicato esclusivamente a questo compito. La Nasa sta seguendo la scena da Terra con i telescopi robotizzati degli osservatori in Australia e Sudafrica. Oltre all'osservazione diretta del transito del pianeta, che potrebbe non essere possibile, gli astronomi vorrebbero studiare la sua sfera di Hill, cioè quella zona sotto la sua influenza gravitazionale dove potrebbero trovarsi anelli planetari, nubi di polveri o lune di recente formazione. |
Post n°1552 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 18 gennaio 2018 Un buco nero svelato dalle stranezze di una stella Lo strano comportamento di una stella in un ammasso globulare ha permesso di svelare l'esistenza di un buco nero con una massa pari a quattro volte circa quella del Sole. Si tratta del primo buco nero di un ammasso globulare scoperto rilevando direttamente la sua forza di attrazione gravitazionale(red) Il primo buco nero di un ammassa globulare individuato grazie alla rilevazione diretta della sua forza di attrazione gravitazionale è stato scoperto da un gruppo internazionale di astronomi che avevano osservato lo strano comportamento di una stella. La scoperta, illustratasulle "Monthly Notices of the Royal Astronomical Society", è stata realizzata grazie alle osservazioni con lo strumento MUSE, del Very Large Telescope dell'ESO in Cile, dell'ammasso globulare NGC 3201. di stelle che orbitano intorno alla maggior parte delle galassie. Sono tra i sistemi stellari più antichi dell'universo e risalgono all'inizio dell'evoluzione delle galassie; attorno alla Via Lattea ne sono stati finora individuati oltre 150. invisibile postrebbero apparire al centro dell'am= masso globulare.Benjamin Giesers, della Georg- August-Universität a Göttingen, e colleghi stavano osservando l'ammasso globulare NGC 3201, nella costellazione meridionale della Vela, quando hanno notato una stella che sembrava oscillare avanti e indietro a una velocità di diverse centinaia di migliaia di chilometri all'ora, con un periodo di 167 giorni. "Era in orbita attorno a qualcosa che era completamente invisibile, che poteva essere solamente un buco nero", ha detto Giesers. contemporaneamente i movimenti di migliaia di stelle lontane, i ricercatori sono stati in grado di stabilire la massa della stella, pari a 0,8 volte quella del Sole, e a partire da questa a calcolare anche la massa del suo compagno invisibile, che è risultata pari a circa 4,36 volte la massa del Sole. zione stellare continua, e quindi i buchi neri di massa stellare devono essere presto diventati gli oggetti più massicci presenti. Recenti teorie hanno concluso che questi buchi neri formano un nucleo denso all'interno dell' ammasso, destinato a staccarsi dal resto del materiale globulare. Nel giro di un miliardo di anni solo pochissimi di essi dovrebbero sopravvivere all'interno dell'ammasso. poneva che quasi tutti i buchi neri dovessero essere rapidamente scomparsi dagli ammassi globulari e che sistemi come questo non potessero neppure esistere! Ma chiaramente non è così." |
Post n°1551 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 17 gennaio 2018 I veri responsabili della Peste Nera Le ondate di peste che colpirono l'Europa tra il XIV e i XIX secolo, tra cui la famigerata Peste Nera della metà del 1300, probabilmente furono causate da un contagio diretto da persona a persona, con pulci e pidocchi come vettori. Lo afferma uno studio basato su dati di diffusione e mortalità raccolti in varie fonti storiche, che scagiona i ratti dal ruolo di untori (red) Nel film di Werner Herzog Nosferatu (1979) i moli del porto di Brema, in Germania, vengono invasi dai ratti arrivati con le navi. Poco dopo, la peste si diffonde nella città. La scena è ispirata dal fatto che negli studi di epidemiologia - e nell'immaginario collettivo - questi roditori sono considerati il vettore della peste, sia nella cosiddetta "prima pandemia", più famosa col nome di Peste di Giustiniano, che colpì l'Impero Romano d'Oriente tra il 541 e il 542, sia nella "seconda pandemia", che colpì in diverse ondate l'Europa tra il XIV e il XIX secolo, oltre al Medio Oriente e al Nord Africa; una di queste ondate, nota con il lugubre nome di Peste Nera, tra il 1347 e il 1352 uccise un terzo della popolazione europea. su "Proceedings of the National Academy of Sciences" da Nils Stenseth dell'Università di Oslo, in Norvegia, e colleghi, tra i quali Barbara Bramanti dell'Università di Ferrara, chiama in causa vettori infettivi diversi: la pulce dell'uomo (Pulex irritans) e il pidocchio del capo (Pediculus humanus). La peste è una malattia provocata dall'infezione del batterio Yersinia pestis. Le forme più comuni sono la peste bubbonica e quella polmonare. La prima insorge quando i batteri penetrano attraverso la pelle, di solito con il morso di una pulce infetta, e arrivano nei linfonodi, causando i caratteristici gonfiori o "bubboni". diffusa tra roditori selvatici o commensali dell'uomo, come il ratto (Rattus rattus), ma l'infezione può anche essere trasmessa da persona a persona tramite i parassiti che vivono sulla superficie della pelle, come la pulce e il pidocchio. sono trasportati da particelle di aerosol che vengono inalate, e di peste polmonare secondaria, che insorge come complicanza della peste bubbonica. I soggetti infettati dalla forma polmonare possono trasmettere direttamente l'infezione per via aerea, anche se le epidemie di peste polmonare in genere fanno meno vittime e si diffondono poco, poiché le persone colpite e non curate muoiono rapidamente. Stenseth e colleghi hanno usato i dati di mortalità disponibili di nove epidemie di peste polmonare; l'obiettivo dei ricercatori era lo sviluppo di modelli delle vie di trasmissione della malattia, quella veicolata dai roditori e quella da pulci e pidocchi. nove eventi studiati, gli schemi di mortalità sono maggiormente compatibili con il modello di trasmis= sione tramite pulci e pidocchi. pandemia abbia avuto una diffusione e una mortalità molto più elevate delle epidemie della terza pandemia, che si sviluppò a partire dal 1855 dalla provincia dello Yunnan, in Cina. ed epidemiologici. Nei secoli interessati dalla seconda pandemia, infatti, non risulta che i ratti fossero molto diffusi in nord Europa, né che ci siano stata una diffusa moria di questi roditori contemporanea o immediatamente precedente alle epidemie. Molte infezioni, infine, avvennero in ambienti domestici, il che fa pensare a una via di trasmissione più diretta. |
Post n°1550 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 22 ottobre 2015 Il lungo passato del batterio della peste Yersina pestis, l'agente patogeno della peste, iniziò a infettare gli esseri umani già nel 2800 a.C., cioè 3300 anni prima dell'epidemia che colpì l'impero bizantino sotto Giustiniano, la prima a essere documentata storicamente. Ci vollero però circa mille anni perché il DNA del batterio subisse le mutazioni genetiche necessarie per utilizzare la pulce del ratto come vettore d'infezione ed eludere il sistema immunitario dell'ospite, sviluppando così la sua notevole virulenza storiaepidemiologiamicrobiologia L'infezione da Yersinia pestis, il batterio responsabile della peste, iniziò a colpire l'umanità circa 3300 anni prima di quanto ricostruito in base alle documentazioni storiche. È quanto emerge dal sequenziamento del DNA ottenuto da campioni di denti risalenti all'età del Bronzo e appartenuti a individui europei e asiatici vissuti tra 5000 e 2800 anni fa, su cui riferiscono sulla rivista "Cell" Eske Willerslev dell'Università di Copenhagen e colleghi. Tuttavia, per sviluppare i suoi terribili effetti patogeni il batterio ha impiegato altri mille anni circa, quando due mutazioni chiave gli hanno permesso di usare le pulci dei ratti come vettori e di eludere l'attacco del sistema immunitario dell'ospite. numerose epidemie letali, chiamate genericamente pesti o pestilenze, di cui sono rimaste tracce nelle testimonianze storiche. La Peste di Giustiniano, che si diffuse nell'Impero Bizantino nel VI secolo, la Morte Nera, che uccise il 30-40 per cento della popolazione europea nel 1300 e la pandemia che colpì la Cina nel 1850, furono in effetti epidemie di peste, come stabilito da recenti studi. anche nel caso delle epidemie delle epoche precedenti, come quella che colpì Atene circa 2500 anni fa, e la Peste Antonina, tra il 180 e il 165 d.C., che decimò le legioni romane: un'ipotesi alternativa è che fossero epidemie di vaiolo, morbillo o tifo. Cranio di un individuo appartenente alla cultura Yamnaya, sviluppatasi in Asia centrale nell'età del Bronzo (Cortesia Rasmussen et al./Cell 2015)I risultati di alcuni studi hanno però suggerito che le epidemie fossero comuni già molti secoli prima: i profili genomici delle popolazioni dell'età del Bronzo (tra 3000 a.C. e 1500 a.C.) hanno un'elevata variabilità, indice probabilmente di migrazioni su larga scala, responsabili in gran parte dell'attuale struttura demografica europea e asiatica. Una delle possibilità, secondo gli studiosi, è che queste migrazioni siano state provocate da epidemie di grandi dimensioni. hanno analizzato 89 milioni di sequenze di DNA grezze, ottenute da 101 individui dell'età del Bronzo, i cui resti, datati a 5000-2800 anni fa, sono stati scoperti in Europa e in Asia. In sette di questi individui, risalenti a un'epoca compresa tra il 2794 a.C. e il 951 a.C. è stato trovato il DNA di Y. Pestis. Inoltre, si è scoperto che il più recente antenato comune a tutti i ceppi noti del batterio risale a 5783 anni fa. del Bronzo mancavano di un gene, chiamato ymt (Yersinia murine toxin), che protegge il patogeno all'interno dell'intestino delle pulci, che sono i vettori della peste, permettendone la successiva propagazione nell'organismo umano. Lo stesso gene era però presente nei soggetti risalenti all'età del Ferro, corrispondente all'incirca al primo millennio a.C. , indicando che la trasmissione mediata dalle pulci si sviluppò tra 3700 e 3000 anni fa. è emerso sempre nell'età del Ferro, grazie a una mutazione che ha impedito la sintesi della proteina flagellina, che viene riconosciuta dal sistema immunitario dell'ospite. |
Post n°1549 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 24 febbraio 2015 Fu il clima in Asia a innescare le epidemie di peste in Europa. I focolai di peste che continuarono a colpire l'Europa fra il XIV e il XIX secolo furono dovuti alla periodica reintroduzione del batterio Yersinia pestis dall'Asia centrale. Le oscillazioni del clima in quelle regioni innescarono infatti brusche variazioni nelle popolazioni locali di roditori, serbatoio permanente di pulci infette, inducendo queste ultime a cercare nuovi ospiti(red) All'origine delle epidemie di peste in Europa ci furono le fluttuazioni del clima in Asia centrale. La riaccensione dei focolai di peste che hanno continuato ad affliggere il continente dalla grande pandemia della Morte Nera del 1347-1353 fino alle soglie del XIX secolo non fu infatti dovuta alla soprav= vivenza di serbatoi dell'infezione in Europa, ma alla periodica reintroduzione della malattia dall'Asia, in concomitanza con fluttuazioni climatiche che influirono pesantemente sulle locali popolazioni di roditori. studio condotto da ricercatori delle Università di Oslo e di Berna, che firmano un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences". Cammelli della regione dell'Altai. Facilmente infettabili, questi animali furono il principale veicolo di diffusione della peste lungo le vie carovaniere. (© Colin Monteath/ Hedgehog House/Minden Pictures/Corbis) ed è veicolata dalle pulci infette che infestano i roditori. Finora si è ritenuto che in seguito all'arrivo della peste in Europa nel XIV secolo, che decimò la popolazione del continente, si fossero creati dei serbatoi del batterio nella fauna selvatica locale o nei roditori urbani. Per cercare di identificare questi serbatoi Nils Chr. Stenseth e colleghi hanno esaminato i dati relativi a 7711 focolai storici di peste confrontandoli con gli andamenti meteo-climatici in Europa e in Asia, desunti dalle registrazioni dendrocronologiche (la dendrocronologia studia le correlazioni tra gli accrescimenti annuali degli alberi e le condizioni climatiche vigenti in ciascun anno). che si siano creati serbatoi persistenti della peste fra i roditori dell'Europa, con l'eccezione di un'area al suo confine orientale, vicino al Mar Caspio. E' invece emersa una correlazione con le variazioni nel regime monsonico in Asia, chiaramente registrato nei tronchi degli alberi della regione del Karakorum, che hanno influenzato il clima dell'Asia centrale, innescando un meccanismo di diffusione della peste. di circa 15 anni la comparsa di focolai di peste in Europa, un arco di tempo necessario perché la malattia potesse diffondersi attraverso le rotte commerciali, lungo le quali i ricercatori hanno potuto seguire la progressiva comparsa dei focolai. Tempi di diffusione della peste dall'Asia centrale all'Europa. (Cortesia B.V. Schmid/PNAS)Per quanto riguarda più specificamente il meccanismo all'origine del fenomeno, le primavere calde seguite da estati umide favoriscono l'espansione delle popolazioni di roditori, comprese quelle che sono i principali vettori di pulci infettate dal bacillo della peste - il grande gerbillo (Rhombomys Opimus) in Kazakhstan, lo scoiat= tolo delle steppe (Spermophilus undulates) e la marmotta grigia (Marmota baibacina) nella regione dell'Altai. Quando le popolazioni di questi animali crollano in risposta alle fluttuazioni climatiche, la densità delle pulci per animale aumenta drammatica= mente, facilitando la diffusione della peste fra quei roditori, tanto da indurre le pulci a cercare ospiti alternativi, fra cui gli animali domestici e in particolare i cammelli. il principale mezzo di diffusione della malattia lungo le vie carovaniere fino ai porti del Mediterraneo e del Mar Nero, dove il loro posto è preso dai ratti. |
Post n°1548 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 02 novembre 2010 La storia naturale delle pandemie di peste La raccolta dei dati relativi ai diversi ceppi è stata molto complessa a causa dei rigidi regolamenti sui campioni, volti a prevenirne un uso a fini terroristici(gg Grazie a un lungo lavoro di sequenziamento e confronto del genoma di numerosi ceppi di Yersinia pestis, un gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a tracciare l'evoluzione e lo sviluppo delle pandemie di peste fin dal loro primo apparire nelle steppe centro-asiatiche in prossimità della Cina, oltre duemila anni fa. La ricerca, che fornisce dettagli senza precedenti sulla storia delle pandemie batteriche, è stata coordinata da Mark Achtman dell'University College Cork, in Irlanda, ed è pubblicata sulla rivista Nature Genetics. completi del genoma della peste analizzando 933 siti di variabilità del DNA da una collezione di 286 ceppi isolati del batterio. Le informazioni ottenute hanno permesso di tracciare il progresso delle pandemie storiche nel mondo e di calcolare l'età delle differenti ondate. La maggior parte di questi eventi può essere messo in relazione a eventi storici documentati. era apparso chiaro ai ricercatori che la comprensione delle origini della peste avrebbe richiesto un confronto dei genomi isolati da svariate istituzioni scientifiche, dato che nessuna ne possedeva una che fosse rappresentativa della situazione globale. La creazione si una simile raccolta era però apparsa ardua a causa dell'impossibilità di inviare i campioni, sottoposti a stringenti regolamenti governativi volti a prevenirne un uso a fini terroristici. Per questa ragione l'analisi è stata condotta in modo decentrato da una collabora= zione internazionale di ricercatori irlandesi, tedeschi, francesi, cinesi, brirtannici, statunitensi, e malgasci. si è evoluto in Cina o in una regione limitrofa, e che da lì si è diffusa attraverso numerose epidemie, seguendo diversi percorsi, fra cui la Via della seta, fino all'Africa, fra il 1409 e il 1433, trasportata in questo caso dall'esploratore cinese Zheng He. In precedenza dal 1347 al 1351, la Morte Nera imperversò dall'Asia all'Europa all'Africa riducendo drasticamente la popolazione mondiale: la Cina perse in quell'occasione circa la metà della popolazione, l'Europa un terzo e l'Africa un ottavo. all'India per irradiarsi poi in molte aree del globo, compresi gli Stati Uniti, dove la malattia continua a rimanere endemica in alcune popolazioni di roditori. da Achtman è specializzato nella biologia evolutiva dei batteri patogeni e sta studiando anche l'evoluzione di Salmonella, Helicobacter pylori e Listeria monocytogenes. |
Post n°1547 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: da Internet 13 dicembre 2013 Il cimitero di un'antica abbazia racconta mille anni di epidemie Vaiolo, morbillo, tubercolosi, tifo, colera e soprattutto peste: sono le malattie infettive che si diffondevano lungo l'Italia con gli spostamenti di pellegrini e soldati lungo la Via Francigena. Molte nuove informazioni su questi agenti patogeni potranno essere ottenute grazie alla scoperta di un cimitero nell'antica abbazia di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca, che raccoglie gli scheletri di pellegrini morti lungo il cammino nell'arco di circa mille anni(red) Erano sepolti in un cimitero finora sconosciuto dell'Abbazia camaldolese di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca, gli scheletri che consentiranno di aprire una finestra inattesa su salute e malattia in Europa, nel corso dei secoli, rivelando importanti informazioni su eventi epocali come la peste nera del 1300 o l'epidemia di colera del 1800. Un articolo apparso su "Science" a firma della giornalista Ann Gibbons racconta l'eccezionale scoperta fatta da Giuseppe Vercellotti e Clark Larsen, dell'Ohio State University, e da Hendrik Poinar, della McMaster University, che da tre anni conducono una meticolosa campagna di scaviper riportare alla luce i reperti, per poi studiarli con diverse tecniche, dall'analisi degli isotopi radioattivi alle scansioni di tomografia computerizzata tridimensionale. particolare dalla Francia, portava a Roma. Il cammino poi proseguiva poi fino al sud d'Italia, e una volta attraversato il mare, in Terrasanta. La Via Francigena era percorsa da cavalieri, monaci e contadini e, con loro, anche da gravi malattie infettive. L'Abbazia di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di Lucca, dove da tre anni proseguono gli scavi (Wikimedia Commons) fossili e genomi di individui appartenenti a classi sociali diverse e a diverse epoche storiche e di capire in che modo vivevano e morivano dal Medioevo in poi. Il confronto tra i vari genomi può aiutare inoltre a comprendere in che modo si sono evoluti gli organismi patogeni nelle varie condizioni, dalla carestia alla guerra, presenti durante i viaggi dei pellegrini, ma anche delle truppe che si spostavano lungo la penisola. con i soldati di ritorno dalle Crociate. I primi focolai si registrarono infatti in Toscana nel XXII secolo, quando sorsero nella regione ben tre lebbrosari. morbillo, tubercolosi, tifo, colera e soprattutto della peste. Una specifica zona di scavi probabilmente ospita infatti le vittime della terribile epidemia, la cosiddetta Morte Nera, che uccise metà della popolazione europea tra il 1348 e il 1350. Una ricerca condotta nel 2011 su resti dell'epoca, ritrovati a Londra dal gruppo dello stesso Poinar, ha confermato che a causare la Morte Nera fu Yersinia pestis, il batterio che causa la peste, escludendo altri possibili agenti patogeni. Immagine elaborata al computer di Yersinia pestis (© Science Picture Co./Corbis)Questi nuovi campioni dell'Abbazia di San Pietro consentiranno di affrontare questioni rilevanti sulla virulenza di Y. pestis. Il batterio è infatti ancora presente negli Stati Uniti sud occidentali, in Asia e in Africa, e colpisce da 1000 a 3000 persone all'anno, ma si trasmette molto lentamente da uomo a uomo. I ricercatori vogliono dunque scoprire perché il batterio è molto meno virulento oggi di quanto fosse centinaia di anni fa.
poi la malaria, e la sua presenza nella Toscana del 1300, oppure le malattie a trasmissione sessuale come la sifilide tra il 1400 e il 1500, o ancora la pandemia di colera che colpì l'Italia nel 1855. iniziato a svelare i segreti di quasi mille anni di storia sanitaria dell'Italia e dell'intera Europa.Tweet |
Post n°1546 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte : Internet 13 ottobre 2011 Ricostruito l'intero genoma del batterio responsabile della Morte Nera. Per la prima volta è stato possibile ricostruire l'intero genoma di un agente patogeno antico, quello della peste che falcidiò nel XIV secolo tutta Europa. Grazie alla nuova metodologia adottata dovrebbe essere possibile studiare il genoma di tutti i tipi di agenti patogeni storici (red) L'intero genoma della peste nera che imperversò in Europa a metà del XIV secolo è stato sequenziato da un gruppo di ricercatori della McMaster University a Hamilton, in Canada, e dell'Università di Tubinga in Germania. ricostruire l'intero genoma di un agente patogeno antico, un'impresa riuscita grazie a un un nuovo approccio metodologico - recentemente messo a punto e descritto dallo stesso gruppo di lavoro - per integrare le lacune e i difetti che interessano i frammenti di DNA degradato recuperabili da antichi reperti. su Nature- sono riusciti a dimostrare che la peste che fra il il 1347 e il 1351 sterminò oltre 50 milioni di europei è imputabile a una specifica variante del batterio Yersinia pestis, di cui esiste ancor oggi una discendenza diretta che risulta letale per circa 2000 persone ogni anno. permesso di fare passi enormi nell'ambito della paleopatologia: ancora nel 2003 era stato messo in dubbio che la peste del XIV secolo fose effettivamente tale, dato che in resti di presunte vittime di quella epidemia rinvenute in Francia e non erano state trovate tracce di Y. pestis e del suo DNA. "Utilizzando la stessa metodologia, ora dovrebbe essere possibile studiare il genoma di tutti i tipi di agenti patogeni storici", ha commentato Johannes Krause, uno dei coordinatori della ricerca. "Questo ci permetterà di avere una cognizione diretta dell'evoluzione dei patogeni umani e delle pandemie storiche." patogeno, ci sono stati relativamente pochi cambiamenti nel genoma dell'organismo antico, ma questi cambiamenti, per quanto piccoli, possono aiutarci a chiarire i cambiamenti di virulenza in questo batterio che ha devastato l'Europa ", spiega Hendrik Poinar, il secondo coordinatore dello studio. "Il prossimo passo è quello di determinare perché era così mortale." resti di vittime della peste sepolte nelle antiche fosse comuni a East Smithfield, a Londra. disponibili su altri ceppi moderni e antichi, in modo da calcolare l'età in cui si è sviluppato quel ceppo, scoprendo così che la sua prima manifesta= zione deve essere avvenuta fra il XII e il XIII secolo. che sconvolse l'Impero Romano d'Oriente, non può essere imputata a Yersinia pestis, o quanto meno non al ceppo che in epoche successive colpì l'Europa. una nave genovese proveniente dalla Criema. per raggiungere quindi la Norvegia. |
Post n°1545 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 25 ottobre 2013 Come la Peste Nera favorì lo sviluppo del capitalismo Sterminando quasi un terzo della popolazione europea, la peste del XIV secolo ruppe quell'equilibrio fra crescita della produzione e crescita demografica che aveva lasciato quasi invariati per secoli gli standard di vita. Dando maggior valore al lavoro e opportunità di impiego anche alle donne, l'epidemia ridusse stabilmente la natalità, almeno nelle regioni protestanti, rendendo possibile l'accumulazione di capitale(red) La famigerata Peste Nera è stata uno dei fattori chiave che ha permesso la rivoluzione industriale, l'instaurarsi di un'economia di tipo capitalista e lo sviluppo e la prosperità di molte nazioni europee. A sostenerlo è Alberto Alesina, economista italiano che insegna alla Harvard University, in un articolo Com'è noto, agli inizi del XX secolo Max Weber nel famoso saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo sostenne che l'insegnamento luterano e calvinista di una vita improntata al duro lavoro e alla frugalità, ma anche del successo economico come segno di benevolenza divina, aveva posto le basi per l'accumulazione di capitale indispensabile a creare le condizioni necessarie per attività che andassero al di là della dimensione artigianale. Queste basi erano poi ulteriormente rafforzate dall'incoraggiamento all'alfabetizzazione, indispensabile per leggere in prima persona la Bibbia, che stimolò anche l'accumula= zione di capitale umano nelle regioni protestanti. una premessa: che ci siano i margini e la possibilità di accumulare capitale. In realtà, "prima della rivoluzione industriale - osserva Alesina - il reddito pro capite (in termini di cibo, vestiario e alloggio, per esempio) general= mente non è cambiato. Gli standard di vita media in Europa sono rimasti pressoché costanti", sostanzial= mente al livello di sussistenza. Miniatura tratta da un manoscritto svizzero del 1411 che illustra l'epidemia di peste. (Corbis). .Per la maggior parte della storia umana, infatti, al crescere della produzione economica totale ha corrisposto un aumento parallelo della popolazione totale, lasciando il loro rapporto (ossia il reddito pro capite) sostanzialmente stabile. Questo parallelismo è stato interrotto solo dalla diffusione della Peste Nera fra il 1348 e il 1350, che ridusse di un terzo la popolazione europea, con un importante effetto indiretto: a fronte di una terra sempre abbondante, la forza lavoro diventò una risorsa scarsa. sviluppo di tecnologie (come l'uso di migliori aratri) che permettessero pratiche di coltivazione più intensiva e anche a opportunità di lavoro per le donne e dei bambini. Un'ulteriore conseguenza fu l'aumento dell'età a cui si sposavano le donne e quindi una diminuzione della natalità. subentra il fattore religioso descritto da Weber, al quale è possibile attribuire le differenze di sviluppo fra le varie regioni del continente, con il Centro e Nord Europa incamminato verso una rapida accumulazione di capitale economico e umano, e l'Europa meridionale e orientale, dove tassi di natalità e popolazione tornarono ai livelli precedenti all'epidemia in tempi relativamente brevi. |
Post n°1544 pubblicato il 23 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet 16 novembre 2017 Le disparità economiche risalgono al Neolitico Le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza fra i membri di una società hanno iniziato a diventare rilevanti durante il Neolitico, con l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento. A parità di sviluppo economico, le antiche culture del Nord e Centro America erano però più ugualitarie di quelle del Vecchio Mondo(red) Nella storia dell'umanità, le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza hanno iniziato ad accentuarsi durante il Neolitico e sono general= mente aumentate con la domesticazione di piante e animali e con la complessità delle strutture sociali. Queste disuguaglianze, inoltre, sono state decisa= mente più marcate nelle società euroasiatiche che in quelle dell'America settentrionale e centrale. A stabilirlo è lo studio di un gruppo di ricercatori diretto da Timothy A. Kohler della Washington State University a Pullman, negli Stati Uniti, che ne riferiscono su "Nature". Uno dei più antichi insediamenti agricoli nella cosiddetta mezzaluna fertile, nell'attuale Siria, risalente all'8000 a.C. (Cortesia Dr. Alejandro Pérez-Pérez, University of Barcelona )Gli archeologi si interrogano da tempo sulle differenze di accesso alle risorse nelle società più antiche, ma si sono scontrati con la difficoltà di individuare variabili che riflettessero la condizione economica delle famiglie e al tempo stesso permettessero un confronto fra culture ed epoche diverse. (Le offerte collocate nelle tombe, per esempio, non sono un buon parametro, dato che le tumula= zioni che possiamo ritrovare oggi erano riservate in genere a persone di stato sociale elevato e non sono rappresentative di tutta la popolazione.) relativamente semplice e universale della capacità economica di una famiglia sono le dimensioni delle case all'interno di una comunità. Nelle società in cui gran parte delle persone hanno una posizione economica simile, le abitazioni tendono ad avere le stesse dimensioni. Ma per i gruppi in cui alcuni hanno una ricchezza maggiore di altri, si osserva di solito la coesistenza di case piccole e grandi. Una famiglia delle cultura BaYaka, dell'Africa centrale, ancora oggi prevalentemente dedita alla caccia e raccolta. (Cortesia Gul Deniz Salali)Sulla base dei dati raccolti i ricercatori hanno rilevato una maggiore disparità economica nei siti agricoli rispetto a quelli occupati da cacciatori-raccoglitori o da popolazioni con un'economia "mista" (costituite da piccoli gruppi che integravano piccole colture con le risorse ottenute con la caccia o la pesca), e questa disparità era tanto maggiore quanto più era importante la domesticazione di grandi mammiferi e l'estensione delle coltivazioni agricole. A questo si sovrap= pone poi il livello di strutturazione e complessità della società, con la creazione di élite politiche. raggiunto livelli di disuguaglianza significativamente più elevati rispetto a quelli nordamericani, anche quando le rispettive economie agricole erano durate per periodi di tempo equivalenti. un classico strumento socioeconomico, il cosiddetto indice di Gini, sviluppato più di un secolo fa dallo statistico e sociologo italiano Corrado Gini. In teoria, un paese in cui vi è una distribuzione della ricchezza perfettamente equa avrebbe un indice di Gini pari a 0, mentre un paese in cui tutta la ricchezza è concentrata in una sola famiglia avrebbe un indice pari a 1. Terracotte pueblo rinvenute a Pueblo Bonito, nel New Mexico, risalenti a 1000 anni fa circa. I ricercatori hanno scoperto che l'indice di Gini delle società di cacciatori-raccoglitori è tipicamente 0,17, il che segnala una bassa disparità nella distribuzione delle risorse, coerente con l'elevata mobilità che rende difficile l'accumulazione della ricchezza. a 0,27 e cresce ulteriormente - in media a 0,35 - nelle società in cui l'agricoltura predominava nettamente. Questa media nasconde però forte differenze: se nel Nuovo Mondo l'indice difficilmente superava lo 0,3, nel Vecchio Mondo si raggiunge anche un indice pari a 0,59. valori, l'articolo riporta anche alcuni esempi dell'indice di Gini di paesi contemporanei: l'indice di Gini attribuito alla Grecia di oggi è 0,56 e quello della Spagna 0,58 (l'Italia è a 0,59): valori decisamente elevati, ma ancora ben inferiori a quelli attribuibili alla Cina (0,73) e agli Stati Uniti (0,80). |
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