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Messaggi del 06/05/2019
Post n°2180 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 25 maggio 2017 Una ricerca ha tracciato un antichissimo flusso genetico che in epoca neolitica si è diffuso da Cipro e dalle isole anatoliche fino alla Calabria e alla Sicilia e che sarebbe il risultato di ondate migratorie iniziate molto prima dell'espansione greca che portò alla nascita della Magna Grecia(red) Le popolazioni dell'area che va da Sicilia a Cipro, passando passando per Creta, le isole dell'Egeo e l'Anatolia, hanno un substrato genetico comune, leggermente diverso da quello della Grecia continentale e dei Balcani meridionali. Questa origine mediterranea condivisa sarebbe il risultato di diverse ondate migratorie iniziate molto prima dell'espansione greca che portò alla nascita della Magna Grecia. Questa scoperta può avere importanti implicazioni per la storia culturale dell'Europa, e in particolare per la comprensione della diffusione di alcune lingue indoeuropee. La ricerca, pubblicata su "Nature Scientific Reports" è stata effettuata da ricercatori dell'Università di Bologna, in collaborazione con il Max-Planck -Institut per la scienza della storia umana a Jena, la National Geographic Society e l'Università di Tirana. I bronzi di Riace sono l'emblema dell'antica presenza greca in Italia. Le coste mediterranee che si estendono tra Sicilia, Italia meridionale e Balcani meridionali sono state teatro di una lunga serie di migrazioni e scambi culturali che hanno portato numerosi , differenti apporti genetici alle popolazioni attuali, rendendo difficile l'individuazione dei diversi contributi. Nello studio, Stefania Sarno, Alessio Boattini e colleghi hanno analizzato il genoma di 511 individui appartenenti a 23 popolazioni di Sicilia, Italia continentale meridionale, Albania e Grecia, con particolare attenzione ai gruppi etno- linguistici italiani che parlano arbereshe (una variante dell'albanese parlata in Italia) e greco. miscela delle principali componenti genetiche presenti nel continente europeo, e in particolare degli antichi cacciatori-raccoglitori europei, dei cacciatori-raccoglitori del Caucaso e dei primi agricoltori neolitici provenienti dal Vicino Oriente. Tutte le popolazioni dell'Italia meridionale, della Grecia continente e insulare e dei Balcani meridionali condividono una importante componente genetica "sarda", risalente al Neolitico, e caucasica. Ma per la parte restante i dati raccolti dai ricercatori indicano una chiara differenziazione. Mappa dei campionamenti genetici eseguiti nello studio. (Cortesia Sarno et al./Nature) Nell'area costiera che va dalla Sicilia a Cipro si osserva un background genetico predominante che ha origine dal Vicino Oriente, risalente principalmente al Neolitico, con un successivo importante contributo durante l'età del bronzo. Questo contributo distingue le popolazioni costiere da quelle dell'entroterra greco, Peloponneso incluso, più vicine alle altre popolazioni dei Balcani meridionali, dell'Albania e del Kosovo. I gruppi balcanici nord-occidenta li (slavi meridionali e rumeni) mostrano invece un'affinità con gli europei orientali. Sicilia e Calabria, mostrano la loro antica affinità con i greci delle isole, i dati relativi alle minoranze di lingua arbereshe indicano che il flusso genetico è giunto in Italia solo in epoca storica. |
Post n°2179 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 09 marzo 2017
Gli schemi dei movimenti delle mandrie di bestiame alla ricerca di pascoli in un'ampia regione che va dal Mediterraneo orientale alla Cina sono correlati alle posizioni dei siti archeologici della Via della seta, l'antico reticolo di cammini che collegava l'impero romano e quello cinese. E' quanto risulta dall'analisi dei dati raccolti da satellite con modelli derivati dalla mappatura dei corsi d'acqua(red) La Via della seta anticamente collegava l'impero romano con l'impero cinese. Il suo nome è tradizionalmente declinato al singolare, ma in realtà si tratta di una complessa serie di cammini che formavano una struttura reticolare, attraverso la quale si muovevano beni, persone e idee. altre antiche vie di comunicazione ha permesso di ricostruirne a grandi linee il percorso, ma finora non si è riusciti a stabilire con certezza i dettagli di come abbiano avuto origine i contatti commerciali e quali forze spingessero i primi viaggiatori. Michael Frachetti della Washington University a St. Louis e colleghi della stessa Università e dell'University college di Londra hanno analizzato i movimenti dei mandriani nomadi nelle aree dedicate alla pastorizia dell'Asia scoprendo che esiste una significativa correlazione con i siti archeologici lungo la Via della seta. dell'Asia interna mostrano che per circa 4500 anni i mandriani hanno portato il bestiame verso pascoli in quota d'estate, riportandolo verso zone più calde e più basse d'inverno. più o meno gli stessi schemi di transumanza stagionale, seguendo non solo i percorsi più agevoli e diretti da un punto all'altro, ma andas- sero anche alla ricerca di pascoli freschi. Da qui l'idea di verificare se questi schemi di spostamento delle mandrie potesse avere a che fare con il reticolo di cammini della Via della seta. Modello grafico degli spostamenti di transumanza lungo la Via della seta ottenuto nel corso dello studio (Credit: M. Frachetti)Gli autori hanno utiliz- zato un software chiamato GIS (geographic information systems) che in genere serve a mappare e modellizzare i corsi d'acqua di una regione sulla base dei dati raccolti dai satellite. ottenere una dettagliata mappa della copertura vegetale in una vasta area compresa tra il Mediterraneo orientale e la Cina a quote comprese tra 750 e 4000 metri, sulla base di misurazioni del grado di riflettività della luce solare. I dati sono poi stati confrontati con le posizioni dei principali siti archeologici della Via della seta, seguendo l'ipotesi che la distribuzione dei pascoli più redditizi sia rimasta più o meno la stessa per secoli. delle mandrie sono fortemente correlati alle posizioni dei siti archeologici della Via della seta: ciò indica che la distribuzione spaziale delle praterie e la ricerca di pascoli per il nutrimento delle mandrie contribuì in modo significativo alla formazione della rete di cammini di questa importante e antichissima via di comunicazione tra est e ovest. nello studio di un'antica rete di vie commerciali, uno sviluppo raggiunto attraverso di strumenti di analisi spaziale che potranno contribuire a una sempre migliore comprensione delle antiche civiltà. |
Post n°2178 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
21 febbraio 2017 Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Cortesia Roderick Mickens ©American Museum of Natural History L'analisi genomica condotta sui resti di membri dell'élite della cultura Chaco, la più complessa società sviluppatasi nel Nord America precolombiano, indica che lo status sociale veniva tramandato per la linea materna(red) Nella più complessa società indigena del Nord America, quella della cultura Chaco, l'appartenenza allo stato sociale più elevato veniva trasmessa per linea materna. A stabilirlo è uno studio di genetica condotto da ricercatori della Pennsylvania State University e della Harvard Medical School a Boston, che lo illustrano in un articolo su "Nature Il sito di Pueblo Bonito. (Cortesia Douglas Kennett, Penn State University) Fra l'800 e il 1130 della nostra era, la popolazione delle tribù pueblo che vivevano nella regione del Chaco Canyon - oggi nel territorio del New Mexico - aumentò in modo significativo, come accadde anche alle popolazioni pueblo del resto del continente. A differenza delle popolazioni più occidentali, tuttavia, il fenomeno fu accompagnato da un significativo cambiamento sociale: le comunità sparse si fusero in un'unica società, caratterizzata da grandi insediamenti, il più importante dei quali era quello di Pueblo Bonito. Resti di una delle grandi case. (Cortesia George Perry, Penn State University.) A Pueblo Bonito esiste una dozzina di grandi case in muratura a più piani, con un numero elevato di stanze, da 50 a 650, e collegate da strade oltre a una serie di strutture di rilevanza evidentemente rituale. I reperti archeologici presenti nel sito indicano che fin dal IX secolo questa comunità era caratterizzata da un elevato grado di complessità e differenziazione sociale. all'élite sociale era trasmessa in via ereditaria, secondo differenti modalità: per linea paterna, oppure materna, con le regole del maggiorascato eccetera, di cui spesso abbiamo testimonianze scritte. Il ruolo della successione ereditaria nelle società prive di scrittura - come appunto la cultura Chaco - resta però un problema generalmente irrisolto. Monili e manufatti rinvenuti nella "camera 33". (Cortesia Roderick Mickens ©American Museum of Natural History) All'interno della più grande casa di Pueblo Bonito, Douglas Kennett e colleghi hanno raccolto DNA da nove individui sepolti nella "camera 33", una cripta funeraria destinata a un membro dell'élite Chaco e ai suoi discendenti. L'accurata datazione dei reperti ha mostrato che queste sepolture sono state effettuate nell'arco di 330 anni, mentre le analisi genetiche condotte dai ricercatori hanno rivelato che avevano genomi mitocondriali identici, segno che tutti appartenevano alla stessa linea materna. Altri manufatti rinvenuti nella "camera 33". (Cortesia Roderick Mickens ©American Museum of Natural History.) La successiva analisi del DNA nucleare sui sei campioni meglio conservati ha quindi mostrato che i rapporti di parentela fra quei soggetti erano quelli di madre-figlia o nonna-nipote. Ciò mostra che, fino al collasso di quella cultura, avvenuta intorno al 1130 d.C., la leadership sociale veniva tramandata per linea femminile. |
Post n°2177 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze La preistoria europea è scritta nel DNA dei sardi Uno studio di un gruppo internazionale di scienziati ha messo in luce alcune caratteristiche peculiari del patrimonio genetico dei sardi. In particolare, l'analisi del DNA mitocondriale degli attuali abitanti della Sardegna sembrerebbe indicare che la prima occupazione dell'isola risale al Mesolitico, mostrando inoltre l'esistenza di due origini genetiche ben distinte dei primi abitanti di Matteo Serra Il patrimonio genetico dei sardi è unico nel suo genere, e contiene informazioni molto preziose sulle origini dell'occupazione della Sardegna nel contesto della preistoria europea. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista "Molecular Biology and Evolution" da un gruppo di ricerca internazionale guidato dalla genetista Anna Olivieri, dell'Università di Pavia. biologi evoluzionisti, genetisti e archeologi per via dell'isolamento geografico e delle caratteristiche spesso uniche delle popolazioni che le abitano. In particolare la Sardegna, per la sua posizione chiave nel cuore del Mediterraneo, rappresenta un'arena di studio ideale. ricercatori hanno analizzato il DNA mitocondriale (contenuto nei mitocondri, le "centrali energetiche" delle cellule) di 3491 attuali abitanti della Sardegna, confrontandolo con 21 campioni preistorici, con un ampio database di genomi mitocondriali non appartenenti a sardi e anche con quello di Ötzi, la più antica mummia europea (risalente all'età del rame, attorno al 3300 a.C.), scoperta nel 1991 ai piedi del ghiacciaio del Similaun, al confine tra Italia e Austria. un'anomalia nel panorama genetico europeo, e per più di un motivo. Anzitutto, i ricercatori hanno scoperto che quasi l'80 per cento dei genomi mitocondriali dei sardi di oggi appartiene a rami genetici che non si trovano in nessun altro luogo al di fuori dell'isola. CC0 Public DomainInoltre, gli scienziati hanno classificato i genomi mitocondriali dei sardi in 89 gruppi genetici, detti aplogruppi. Quasi tutti gli aplogruppi, che probabilmente comparvero nell'isola dopo la sua prima occupazione, risalgono a un periodo compreso tra il Neolitico (tra 4000 e 7800 anni fa), il Nuragico (tra 2000 e 4000 anni fa) e il post-Nuragico (meno di 2000 anni fa). ai sardi moderni sono ancora più antiche, precedenti alla data di inizio più probabile del Neolitico in Sardegna, ossia circa 7800 anni fa. aplogruppi potessero essere già presenti nell'isola prima del Neolitico", sottolinea Francesco Cucca, dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica del CNR di Cagliari, co-autore dello studio. di un'occupazione della Sardegna già ai tempi del Mesolitico (quindi tra il 10.000 e l'8000 a.C.), suggerirebbe anche l'esistenza di una duplice origine genetica dei suoi abitanti. Due tra gli aplogruppi più antichi, chiamati K1a2d e U5b1i1 (che rappresentano quasi il tre per cento del totale), hanno infatti origini geografiche molto diverse: le radici dell'aplogruppo K1a2d sono collocate nel Vicino Oriente, mentre quelle di U5b1i1 nell'Europa occidentale. portatori di un'eredità genetica unica, maturata soprattutto grazie al relativo isolamento dai tanti sconvolgimenti demografici che hanno caratterizzato il continente europeo. Un isolamento che ha favorito la conservazione di tracce genetiche così antiche. l'intercomunicazione e il flusso genetico attorno al Mediterraneo fin dai tempi dell'ultima era glaciale hanno lasciato firme ben precise, che sono sopravvissute fino ai giorni nostri. E alcuni di questi segni del passato sono conservati dai sardi". |
Post n°2176 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Un consorzio tra diversi istituti di ricerca ha prodotto la prima mappa genetica della popolazione degli Stati Uniti, che registra le tracce dei flussi migratori avvenuti dopo la colonizzazione europea. Sono evidenti i contributi dei neri africani, dovuti alla tratta degli schiavi, ma anche di migrazioni minori, come quella degli scandinavi, dei portoricani o dei canadesi francofoni(red) Che la popolazione degli Stati Uniti sia composta in larghissima misura da discendenti di emigranti è cosa ben nota. Incrociando i dati genetici di 770.000 cittadini statunitensi con 20 milioni di dati genealogici, un gruppo di ricercatori guidato da Catherine Ball della Harvard University è ora riuscito a ricostruire una mappa della struttura della popolazione americana così come si è sviluppata negli ultimi secoli. La ricerca è illustrata in un articolo apparso online su "Nature Communications". Dopo l'arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492, infatti, la demografia del continente americano si è sviluppata a un ritmo eccezionalmente elevato, e ha subito l'influenza di un gran numero di eventi storici che hanno coinvolto ampie popolazioni di diverse etnie: schiavitù dei neri provenienti dall'Africa, flussi migratori da tutto il mondo, guerre e cambiamenti climatici. indicazioni sulle migrazioni umane antiche, permettendo di determinare con notevole precisione la provenienza degli antenati dei nativi americani, più che sui cambiamenti demografici recenti. basato sulla determinazione della frequenza degli alleli, cioè delle diverse varianti di specifici geni, che divergono molto lentamente e perciò forniscono indicazioni demografiche su periodi di tempo molto lunghi. più adatto a un arco temporale di alcuni secoli soltanto, basato su analisi sull'intero genoma, cioè sulla quasi totalità dei geni del DNA dei 770.000 soggetti coinvolti. I dati genetici così ricavati sono stati incrociati con un database di circa 20 milioni di registrazioni genealogiche, cioè di rapporti di parentela tra diversi individui. L'analisi ha prodotto una mappa che evidenzia i diversicluster, aggregazioni di varianti genetiche tra loro correlate, associati alle diverse origini etniche. I risultati sono così accurati da riuscire a mostrare, oltre ai contributi più importanti come quello dei neri africani, anche flussi migratori minori, come quello di popolazioni di origine scandinava, dei canadesi francofoni, dei portoricani e di altri coloni storici, come la comunità Amish, che ha subito per molto tempo un isolamento geografico e culturale. abbastanza completa dei cambiamenti demografici nelle popolazioni del Nord America dopo la coloniz- zazione europea, che potrebbe avere anche un'utilità pratica in campo sanitario, dato che i vari cluster possono essere associati a specifiche malattie. genetica che conferisce un maggior rischio di tumore ha una frequenza del 5,6 per cento nel cluster degli afroamericani mentre è molto rara al di fuori di esso. Analogamente, un gene protettivo nei confronti del tumore polmonare squamocellulare è 10 volte più frequente del normale nel cluster finlandese. poco definiti, sottolineano gli autori, potrebbe portare all'identificazione di altri fattori di rischio sanitario, permettendo così di approntare le adeguate misure di prevenzione e di cura. |
Post n°2175 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 09 dicembre 2016 Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo Kiril Cachovski of the Lithuanian Mummy Project, 2015 09/12/2016 Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo lo trovato in una mummia del XVII secolo suggerisce che la malattia non sia antica quanto si credeva ma sia comparsa solo verso la fine del XVI secolo. I presunti antichissimi casi risalenti a 3000-4000 anni fa sarebbero in realtà casi di morbillo o varicella, che lasciano lesioni molto simili(red) Il sequenziamento del DNA del virus del vaiolo (Variola virus) estratto dai resti mummificati di un bambino del XVII secolo impone la riscrittura della storia naturale della malattia, che forse ha iniziato ad aggredire la nostra specie in un'epoca ben successiva a quanto si pensasse. ad Hamilton, in Canada, e dell'Università di Vilnius, in Lituania - con la collaborazione di diversi centri di ricerca internazionali - data infatti l'origine al periodo compreso fra 1588 e il 1645 invece che a 3000-4000 anni fa. Lo studio è pubblicato su "Current Biology". La cripta in cui è stata ritrovata la mummia (Cortesia Kiril Cachovski of the Lithuanian Mummy Project, 2015) Dopo aver ottenuto il permesso dell'Organizzazione mondiale della sanità, Hendtik N. Poinar e colleghi hanno prelevato campioni della pelle della mummia di un bambino morto di vaiolo scoperti nella chiesa del Santo Spirito di Vilnius, per cercare di isolare il DNA del virus. nell'impresa, tanto da ricostruire l'intero genoma dell'antico ceppo del virus. A questo punto lo hanno confrontato con i ceppi del virus del vaiolo risalenti alla metà del XX secolo e al periodo immediatamente precedente alla sua eradicazione, avvenuta alla fine degli anni settanta. e all'epoca della comparsa del virus, compresa fra il 1588 e il 1645, ossia al periodo delle grandi esplorazioni e colonizzazioni, che ne avrebbero favorito la diffusione in tutto il mondo. "Quindi, ora dobbiamo chiederci se le prove storiche che suggerivano l'esistenza del vaiolo già all'epoca di Ramses V per arrivare a tutto il Cinquecento sono vere", ha detto Poinar. "Erano autentici casi di vaiolo o errori di identificazione, molto facili dacommettere, data la somiglianza delle lesioni del vaiolo con quelle della varicella e del morbillo?" La classificazione di quei presunti antichissimi casi di vaiolo era infatti avvenuta sulla sola base dell'osservazione delle lesioni lasciate dalla malattia, e non di reperti genetici. I ricercatori hanno anche individuato alcuni momenti specificidi evoluzione del virus. Per esempio, quando nel XVIII secolo Jenner sviluppò il suo vaccino contro il virus, modificò la pressione selettiva sull'agente patogeno, che si divise in due ceppi: Variola major, che causava il vaiolo propriamente detto, e Variola minor, che provocava la forma molto meno aggressiva e letale della malattia nota come alastrim. Ma la ricerca sulla storia naturale del vaiolo non è conclusa: "Ora conosciamo l'evoluzione dei ceppi dal 1650, ma ancora non sappiamo quando il vaiolo fece la sua prima comparsa negli esseri umani, né da quale animale proviene. E non lo sappiamo perché non abbiamo campioni storici ancora più antichi su cui lavorare." |
Post n°2174 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze Confermata la presenza della malaria nell'Impero Romano La malaria trasmessa dal plasmodio della specie Plasmodium falciparum, responsabile della maggior parte delle infezioni e delle morti che avvengono oggi, era presente già nell'antica Roma. Lo dimostra una nuova analisi genetica dei resti di individui sepolti in tre cimiteri diversi, situati nelle attuali provincie di Roma, Salerno e Bari, e risalenti al I-III secolo d.C, confermando scientificamente le testimonianze storiche(red) storiaepidemiologiamicrobiologia La malaria è una malattia descritta nelle cronache fin dai tempi antichi. Le prime testimonianze risalgono ad alcuni testi babilonesi, e si fanno molto più precise nell'antica Grecia con i testi di Ippocrate (460 a.C.-370 a.C), che descrivono gli effetti di febbri intermittenti che si manifestavano con una frequenza di tre o quattro giorni, chiamate rispettivamente terzana e quartana. (130 d.C.-216 d.C.) a ipotizzare che la malattia venisse contratta respirando i miasmi delle zone con acque stagnanti e paludose, da cui l'etimo "mal'aria", che si rintraccia in varie forme e in varie regioni italiane a partire dal XV e XVI secolo. Cranio conservato nel cimitero di Velia (Credit: Luca Bandioli/Museo Pigorini) Dunque, con tutta probabilità la malaria era endemica nella penisola. Ora però uno studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" da un gruppo di ricercatori della McMaster University in collaborazione con Luca Bandioli del Museo nazionale di preistoria ed etnografia "Luigi Pigorini" di Roma, ed Edward Holmes dell'Università di Sydney, in Australia, ha fornito le prove scientifiche della presenza della malattia in Italia durante l'Impero Romano, grazie all'analisi del DNA mitocondriale estratto da alcuni denti umani risalenti al I-III secolo d.C. 10 bambini inumati in tre diversi cimiteri nel periodo imperiale : Isola Sacra, in provincia di Roma, Velia, in provincia di Salerno, e Vagnari, in provincia di Bari. Velia e Isola Sacra erano importanti porti e centri commerciali sulla costa, mentre Vagnari, situata in una zona rurale della Puglia, è nota come sito funerario. particolare, i ricercatori sono riusciti a estrarre il genoma mitocondriale del plasmodio. I dati genetici confermano che la specie in questione era con tutta probabilità Plasmodium falciparum, la stessa responsabile ancora oggi della maggior parte delle attuali infezioni in tutto il mondo, in particolare nell'Africa sub-Sahariana. storia significativa nell'antica Roma, causando numerosi decessi", ha spiegato il genetista evoluzionista Hendrik Poinar, direttore dell'Ancient DNA Centre della McMaster University. "Le fonti scritte che descrivono febbri molto simili a quelle malariche nell'antica Grecia e nell'antica Roma sono numerose, ma finora non si è mai riusciti a chiarire quali specie di plasmodio fossero diffuse allora; questi risultati aprono nuovi interrogativi a cui occorre dare risposta, in particolare su quanto era diffuso il parassita e quale impatto ebbe sui popoli italici durante l'Impero Romano". |
Post n°2173 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Wikipedia 27 settembre 2016 La storia naturale della malaria nel Vecchio Continente L'analisi del DNA mitocondriale estratto da vecchi vetrini per microscopia rivela le origini dei ceppi europei della malaria, dichiarati estinti oltre mezzo secolo fa. Il ceppo europeo di P.falciparum proveniva dall'India e non dall'Africa, dove questo plasmodio è particolarmente diffuso, mentre P. vivax europeo è stato trasportato dall'Europa in America all'epoca di Colombo(red) L'analisi genetica di campioni di sangue risalenti a oltre 70 anni fa ha permesso di ricostruire la storia naturale dei ceppi di malaria presenti in Europa prima della sua eradicazione, avvenuta circa mezzo secolo fa. Lo studio, realizzato da un gruppo internazionale diretto da Pere Gelabert dell'Universitè Pompeu Fabra a Barcellona, è pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences ". protozoi del generePalsmodium, ma due sono quelli a cui si deve la stragrande maggioranza delle infezioni: P. falciparum, di gran lunga il più diffuso nell'Africa subsahariana e responsabile del 90 per cento dei decessi per questa patologia, e P. vivax che predomina invece al di fuori del continente africano. In viola plasmodi di P. falciparum, (Cortesia Le Roch lab, UC Riverside) Finora si sapeva che la malaria un tempo presente in Europa era dovuta a queste due specie, ma la loro storia naturale - per esempio le vie seguite dai plasmodi per rag- giungere il nostro continente - non era nota, dato che i parassiti erano stati eradicati prima dello sviluppo delle tecniche di analisi genetica. estrarre del DNA mitocondriale da piccoli campioni di sangue di tre pazienti che avevano contratto la malaria lavorando nelle risaie del delta dell'Ebro. I campioni - ricavati dai vetrini da microscopia conservati in una collezione privata - risalgono a un periodo compreso fra il 1942 e il 1944, una ventina di anni prima che la malattia fosse dichiarata eradicata in tutta la Spagna. cento del genoma mitocondriale di P. vivax e l'intero genoma di P. falciparum. Dalle analisi condotte è risultato che il P. falciparum europeo era affine agli attuali ceppi indiani, in accordocon quanto si può desumere da resoconti storici secondo cui in India già 3000 anni fa era diffusa una febbre intermit- tente con caratteristiche tipiche di una grave forma di malaria. Da lì la malattia sarebbe approdata in Grecia 500 anni dopo, per poi dilagare in tutte le regioni costiere del Mediterraneo all'inizio dell'era cristiana. da un ceppo ancestrale eurasiatico, e sarebbe stato portato in America dagli europei poco dopo la sua scoperta da parte di Colombo. I ceppi americani di P. falciparumsarebbero invece giunti nel Nuovo Continente diretta- mente dall'Africa, molto probabilmente con la tratta degli schiavi. |
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