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Messaggi del 23/05/2019
Post n°2207 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
11 marzo 2019 La prima analisi mondiale della diffusione dei geni della resistenza batterica agli antibiotici, ottenuta analizzando le acque reflue di decine città di tutto il mondo, ha evidenziato che questo fenomeno è correlato più alle condizioni sanitarie del paese e allo stato di salute generale della popolazione che all'uso di antibiotici geneticamicrobiologiaepidemiologia A livello globale, i geni della resistenza batterica agli antibiotici sono molto più diffusi nei paesi in cui le condizioni sanitarie sono scadenti e lo stato di salute generale della popolazione è peggiore. È il risultato di un'analisi che ha prodotto anche la prima mappa mondiale della diffusione dei geni che causano antibiotico- resistenza. Lo studio, effettuato da un gruppo internazionale di ricercatori coordinato da Rene S. Hendriksen e Frank M. Aarestrup della Technical University of Denmark a Lyngby, è stato illustrato su "Nature Communications". conduttura a cielo aperto del Ghana. (Cortesia Courage Kosi Setsoafia Saba, University for Development Studies, Ghana) Finora lo studio delle resistenze batteriche si era concentrato solo su pochi agenti patogeni, per lo più isolati da infezioni cliniche umane, e questo ha portato a individuare nella riduzione dell'uso degli antibiotici la principale strategia per il contenimento dello sviluppo delle resistenze. Tuttavia è noto che altri fattori possono concorrere alla loro insorgenza e diffusione, a partire dalla trasmissione di geni fra batteri anche di specie diverse (la cosiddetta "trasmissione orizzontale"). dell'antibioticoresistenza in una popolazione umana è però ostacolato dalla necessità di chiedere il consenso al prelievo di materiale biologico anche a persone sane, che possono essere restie a fornirlo, e dalla carenza di strutture sanitarie adeguate in molti paesi poveri. I ricercatori hanno così pensato di effettuare un'analisi metagenomica di quei geni nelle acque reflue, che, spiega Aarestrup, "mostra in modo rapido e relativamente economico quali batteri abbondano in un'area e non richiede un consenso informato, poiché non è possibile risalire dai dati a specifici individui". Gli studi di metagenomica analizzano infatti l'insieme dei genomi di un ambiente nel loro complesso. 74 città di 60 paesi hanno mostrato che la resistenza agli antibiotici ha una diffusione bassa in Nord America, Europa occidentale, Australia e Nuova Zelanda, mentre è elevata in Asia, Africa e Sud America. I minimi sono stati registrati in Paesi Bassi, Nuova Zelanda e Svezia, e i massimi in Tanzania, Vietnam e Nigeria. Inoltre in Brasile, India e Vietnam è stata registrata la maggiore diversità di geni di resistenza. L'intensità dei colori sulla mappa indica l'abbondanza di ceppi batterici resistenti, a partire dal blu chiaro (bassa abbondanza) fino al blu scuro (alta abbondanza). Confrontando questi risultati con una dati ambientali e indicatori socio-economici forniti dalla Banca mondiale, Hendriksen e colleghi hanno mostrato che diffusione e varietà delle resistenze batteriche sono correlate in primo luogo alle condizioni sanitarie del paese e allo stato di salute generale della popolazione.
tecnica da loro usata permetta di avviare lo sviluppo di un sistema di sorveglianza mondiale in grado di monitorare continuamente l'insorgenza e la diffusione di microrganismi che causano malattie e la resistenza agli antibiotici. (red |
Post n°2206 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 12 dicembre 2014 Lo sviluppo degli aspetti morali delle religioni - un fenomeno storicamente abbastanza recente - sarebbe legato al raggiungimento di una disponibilità energetica minima per le persone. Solo il benessere che essa ha portato ha infatti permesso di passare da strategie di vita a breve termine basate sull'acquisizione delle risorse e su interazioni coercitive, a strategie di lungo periodo che puntano su interazioni cooperative(red) L'etica delle grandi religioni moraleggianti nasce dalla ricchezza. E' così che si potrebbe riassumere la tesi di un gruppo di ricercatori dell'Ecole Normale Supérieure di Parigi, dell'Università della Pennsylvania a Filadelfia, della Stanford University e dell'Università di Lione, secondo i quali la nascita e la diffusione delle grandi religioni che pongono l'accento sui comportamenti morali sono il frutto del miglioramento delle condizioni di vita e di una maggiore "capacità energetica" delle società. risultati su "Current Biology", hanno cercato di dare una risposta dotata di qualche supporto sperimentale a un quesito che ha assillato molti storici: perché le religioni moraleggianti sono tutte sorte in un arco di tempo ben definito che va dal 500 a.C. al 300 a.C.? (E' in questo periodo -che gli autori indicano come "Periodo Assiale", riprendendo un termine introdotto dal filosofo Karl Jaspers - che nascono buddismo, giainismo, brahmanesimo, taoismo, giudaismo del secondo tempio e stoicismo, di cui altre religioni, come cristianesimo, manicheismo e islam, sono storicamente filiazioni). Sciamano di Papua. Oggi diamo per scontato che le preoccupazioni spirituali e morali siano un elemento essenziale delle religioni, ma in realtà per lunga parte della storia dell'umanità non è stato così. Nelle società di cacciatori-raccoglitori, ma non solo, la tradizione religiosa si concentrava sui rituali, sulle offerte sacrificali e su tabù progettati per allontanare la sfortuna e il male. Senza contare che - osserva Baumard, alludendo all'antico Egitto, all'impero romano e agli Aztechi - "anche antichi imperi di grande successo avevano divinità dotate di un senso morales orprendentemente ridotto". autori - che le religioni iniziano a "sottolineare il valore della trascendenza personale, l'idea che l'esistenza umana ha uno scopo, distinto dal successo materiale, che si trova in una vita morale e che richiede il controllo dei propri desideri materiali, attraverso la moderazione (rispetto a cibo, sesso, ambizione, eccetera), l'ascetismo (digiuno, astinenza, distacco), e la compassione (aiutare, soffrire con gli altri)". combinando modelli statistici con le teorie psicologiche basate su approcci sperimentali, e sono giunti a una conclusione differente da quelle attualmente più accreditate, secondo le quali a determinare i cambiamenti del fenomeno religioso sarebbero la complessità politica o le dimensioni demografiche delle società. di sviluppo più rispondente alla realtà storica è quello che vede al proprio centro il concetto di energy capture, che misura la disponibilità energetica complessiva di una persona, sotto forma di cibo, combustibili, e materiali vari (manufatti, costruzioni, vestiti). transizione verso le religioni moraleggianti quando gli individui hanno iniziato ad avere una disponibilità complessiva di 20.000 chilocalorie al giorno, corrispondente a un buon livello di benessere, tale cioè da garantire una certa sicurezza, un tetto sulla testa e cibo sufficiente non solo per l'immediato ma anche per il prossimo futuro. moraleggianti - dicono i ricercatori - è coerente con il passaggio da strategie di vita a breve termine (basate sull'acquisizione delle risorse e su interazioni coercitive) a strategie di lungo periodo, che puntano sull'autocontrollo e su interazioni cooperative). Nicolas Baumard - è che le religioni mondiali e le spiritualità secolari probabilmente condividono più di quanto pensiamo. Al di là delle dottrine molto diverse, probabilmente tutte attingono agli stessi sistemi di ricompensa [nel cervello umano]." altre caratteristiche della società umana moderna, come l'elevato investiimento parentale di entrambi i genitori o la monogamia a lungo termine, possano derivare dallo stesso tipo di cambiamento storico. |
Post n°2205 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Il virus dell'influenza A, responsabile di pandemie come l'influenza aviaria e la febbre suina, durante il processo di r eplicazione nell'organismo infettato produce nella cellula ospite speciali compartimenti per assemblare i segmenti del suo genoma Il virus dell'influenza A si presenta sempre sotto forma di ceppi diversi, evitando così di essere riconosciuto dal sistema immunitario degli animali, in particolare uccelli e mammiferi. agli esseri umani causando vaste e pericolose epidemie e pandemie, com'è avvenuto nel 2009 con il ceppo H1N1 nelle due varianti responsabili dell'influenza aviaria e della febbre suina. Immagine al microscopio elettronico di cellula infettata dal virus dell'influenza A. La tecnica di fluorescenza mette in evidenza le inclusioni virali (in verde, Credit: Sílvia Vale-Costa and Ana Laura Sousa)Maria João Amorim e colleghi del Gulbenkian Institute of Science a Oeira, in Portogallo, annunciano ora sulla rivista "Nature Communication" di aver scoperto il sito all'interno delle cellule infette dove vengono assemblati i genomi di questo virus, un risultato che potrebbe aiutare a prevenire e combattere questo tipo di influenza. sono costituiti da materiale genetico (DNA o RNA) e da un involucro proteico, chiamato capside. Durante l'infezione di una cellula ospite, il virus inietta il suo materiale genetico nel nucleo cellulare, dove può sfruttare il macchinario molecolare della cellula per replicarsi. un genoma suddiviso in otto segmenti, che codificano per 11 differenti proteine. Durante la moltiplicazione del virus, questi otto segmenti vengono replicati molte volte e poi assemblati, il che implica una selezione molto precisa di migliaia di molecole. del materiale genetico è fatta in compartimenti prodotti dal virus nella cellula ospite chiamati inclusioni virali. questi compartimenti non sono delimitati da una membrana, come avviene per esempio nel caso degli organelli cellulari. Invece, le inclusioni virali sono separate dall'ambiente da un processo chiamato separazione di fase liquido-liquido, un po' come avviene quando si produce una macchia di olio sull'acqua: i due liquidi non si mescolano. mescolanza, il materiale genetico del virus rimane segregato in un piccolo spazio: qui risulta più agevole l'assemblaggio successivo delle otto unità che formano il genoma. alternative che potrebbero avere come bersaglio il processo di sintesi del genoma o il luogo in cui si forma", ha spiegato Amorim. "Questo lavoro è innovativo perché è una delle prime osservazioni che dimostra che le infezioni virali utilizzano processi di separazione di fase". terapeutici, ma anche perché, dimostrando il ruolo della separazione di fase nelle infezioni virali, getta un ponte verso altre branche della ricerca biomedica: la separazione di fase è un fenomeno che si sta rivelando cruciale in molti ambiti, tra cui quello delle malattie neurologiche. |
Post n°2204 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
31 gennaio 2018 La recente realizzazione di microprocessori simili ai neuroni che elaborano le informazioni in modo molto più rapido ed efficiente del nostro cervello segna un importante passo avanti nello sviluppo di hardware "neuromorfico" per fornire la necessaria potenza di calcolo ai sistemi di intelligenza artificiale che si ispirano al cervello umanodi Sara Reardon/Nature Microchip di calcolo a superconduttori realizzati imitando i neuroni sono in grado di elaborare le informazioni in modo più rapido ed efficiente del cervello umano. Il risultato, descritto sul numero del 26 gennaio di "Science Advances", è una pietra miliare nello sviluppo di dispositivi informatici avanzati progettati per imitare i sistemi biologici. E potrebbe aprire la strada a un software di apprendimento automatico più naturale, anche se rimangono molti ostacoli prima che possa essere usato commercialmente. più spesso il cervello. Algoritmi come quelli realizzati da Google per i programmi automatici di classificazione delle immagini e di apprendimento delle lingue utilizzano reti di neuroni artificiali per svolgere compiti complessi. Ma poiché l'hardware dei computer convenzionali non era progettato per eseguire algoritmi simili a quelli del cervello, questi compiti di apprendimento automatico richiedono una potenza di calcolo di alcuni ordini di grandezza superiore a quella del cervello umano. perché la natura l'ha trovato", dice Michael Schneider, fisico del National Institute of Standards and Technology (NIST) degli Stati Uniti a Boulder, Colorado, coautore dello studio. gruppi che cercano di sviluppare l'hardware "neuromorfico" che imita il cervello umano, nella speranza che esegua il software simile a quello del cervello in modo più efficiente. elaborano le informazioni a intervalli regolari e in quantità precise: bit che assumono i valori 1 o 0. Ma i dispositivi neuromorfici possono accumulare piccole quantità di informazioni da più fonti, alterarle per produrre un diverso tipo di segnale e far partire una scarica elettrica solo quando necessario, proprio come i neuroni biologici. Di conseguenza, i dispositivi neuromorfici richiedono meno energia per funzionare. specialmente quando trasmettono informazioni attraverso lo spazio, o sinapsi, tra i transistor. Così il gruppo di Schneider ha creato elettrodi simili a neuroni con superconduttori a niobio, che conducono elettricità senza resistenza, riempiendo gli spazi tra i superconduttori con migliaia di nanocluster di manganese magnetico. sinapsi, i nanocluster possono essere allineati per puntare in diverse direzioni. Ciò consente al sistema di codificare le informazioni sia nel livello di elettricità sia nella direzione del magnetismo, garantendo una potenza di calcolo molto maggiore rispetto ad altri sistemi neuromorfici, senza occupare spazio fisico aggiuntivo. un miliardo di volte al secondo - vari ordini di grandezza più velocemente dei neuroni umani - e usare un decimillesimo della quantità di energia usata da una sinapsi biologica. al NIST (Cortesia NIST)Nelle simulazioni al computer, i neuroni sintetici potevano raccogliere l'input da un massimo di nove fonti prima di trasmetterlo all'elettrodo successivo. Ma sarebbero necessarie milioni di sinapsi prima che un sistema basato su questa tecnologia possa essere utilizzato per il calcolo complesso, afferma Schneider, e resta da vedere se sarà possibile riprodurlo a quella scala. funzionare solo a temperature prossime allo zero assoluto e devono essere raffreddate con elio liquido. di Manchester, nel Regno Unito, che studia il calcolo neuromorfico, afferma che questo potrebbe rendere i chip poco pratici per l'uso in piccoli dispositivi, anche se un grande centro dati potrebbe riuscire a gestirli. Ma Schneider afferma che il raffreddamento dei dispositivi richiede molta meno energia rispetto al funzionamento di un sistema elettronico convenzionale con una quantità equivalente di potenza di calcolo. Institute of Technology di Pasadena, elogia la ricerca, definendola un nuovo approccio al calcolo neuromorfico. "Il campo è pieno di esagerazioni propagandistiche, ed è bello vedere un lavoro di qualità presentato in modo obiettivo", afferma. Ma aggiunge che ci vorrà molto tempo prima che i chip possano essere utilizzati per il vero calcolo, e sottolinea che si trovano ad affrontare una forte concorrenza da parte di molti altri dispositivi di calcolo neuromorfici in fase di sviluppo. sono di là da venire. "Le tecnologie dei dispositivi sono potenzialmente molto interessanti, ma non sappiamo ancora abbastanza sulle proprietà cruciali delle sinapsi biologiche per capire come usarle efficacemente", dice. Per esempio, ci sono interrogativi aperti su come le sinapsi si rimodellano in modo autonomo quando si codifica un ricordo, rendendo difficile ricreare il processo in un chip di memoria. i nuovi dispositivi di calcolo raggiungano il mercato, afferma Furber, vale la pena di sviluppare il maggior numero di approcci tecnologici possibili, anche se i neuroscienziati lottano ancora per comprendere il cervello umano. Nature il 26 gennaio 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2203 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 13 marzo 2019 L'incremento della fusione dei ghiacciai in Groenlandia è legato in parte significativa alle piogge invernali che interessano sempre più spesso le regioni meridionali dell'isola. Le precipitazioni innescano un meccanismo che influisce anche sulla velocità di fusione dei ghiacci in estate L'aumento della frequenza, della durata e dell'estensione dell'area di fusione dei ghiacciai della Groenlandia è legato in parte significativa all'aumento degli episodi di pioggia durante il periodo invernale, causati dal riscaldamento globale. Lo ha stabilito uno studio pubblicato sulla rivista "The Cryosphere", condotto da un gruppo di ricercatori fra cui gli italiani Fiammetta Straneo e Marco Tedesco, rispettivamente della Scripps Institution of Oceanography a La Jolla, in California, e della Columbia University. Un ruscello di acqua di fusione attraversa il ghiacciaio Russell in Groenlandia. (Cortesia Kevin Krajick/Earth Institute)Si stima che la Groenlandia stia perdendo circa 270 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno. Fino a poco tempo fa si riteneva che gran parte di questa perdita fosse legata al distacco di grandi iceberg dai margini dei ghiacciai, ma studi recenti hanno mostrato che ben il 70 per cento di essa è in realtà dovuta al deflusso delle acque di fusione. deflusso nel corso degli ultimi decenni è imputabile al riscaldamento dell'atmosfera - che ha portato a un aumento della temperatura superficiale del ghiaccio di 1,8 °C in estate, e fino a 3 °C in inverno - l'entità di questo aumento non è in grado da sola di giustificare il forte incremento del deflusso. accelerazione della fusione avvenuti fra il 1979 e il 2012, analizzando le immagini satellitari e i dati relativi a temperatura, vento e precipitazioni rilevati da 20 stazioni meteorologiche installate sui ghiacciai groenlandesi. delle precipitazioni non sia cambiata nel periodo in esame, è cambiata la loro struttura, con un aumento degli eventi di pioggia anche d'inverno, a latitudini e altitudini progressivamente maggiori. fanno sciogliere gli strati superficiali di quella che si era depositata, innescando un fenomeno di deflusso fuori stagione, che resta comunque piuttosto contenuto. Uno scorcio del ghiacciaio Russell. L'effetto principale di queste piogge infatti è ritardato: gran parte della neve fusa per la pioggia torna a gelare rapidamente, ma questa volta sotto forma di uno strato di ghiaccio. Poiché il ghiaccio riflette la radiazione solare molto meno della neve, quando arriva l'estate questo strato si scioglie molto più rapidamente, dando origine a una imponente massa di acqua di fusione, che accelera lo scioglimento anche del ghiaccio sottostante. d'inverno è dovuto alla maggiore frequenza con cui la Groenlandia meridionale e sud-occidentale è interessata da venti oceanici umidi e relativamente caldi provenienti dal sud - che le popolazioni locali chiamano neqqqajaaq - legata ai mutamenti nelle correnti a getto stratosferiche indotti dai cambiamenti climatici. (red) |
Post n°2202 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze In uno studio statunitense, soggetti esposti a pesticidi prima della nascita hanno mostrato un rischio di autismo più alto rispetto a soggetti che invece non ne erano stati esposti a questi prodotti chimici. Questa correlazione però non dice che l'autismo è collegato in maniera certa all'esposizione ai pesticidi sebbene faccia suonare un forte campanello di allarmedi Salvo Di Grazia neuroscienzeagricolturaautismo Chi conosce il linguaggio della scienza sa che c'è un concetto fondamentale, utile per non incorrere in errori clamorosi e conclusioni affrettate: correlazione non è causalità. Non tutto ciò che è collegato a qualcosa è causato da questa cosa. Di esempi se ne potrebbero fare tanti e uno spunto proviene da uno studio recente che si occupa di due argomenti attuali e molto interessanti. I disturbi del neurosviluppo (l'autismo è uno di essi) e l'uso di pesticidi. un disturbo molto complesso (non per niente si parla di "spettro autistico") con molte varianti, caratteristiche diverse e difficile da definire. Sembra sempre più evidente che la sua origine sia genetica, legata alla fase di sviluppo embrionale ma sembra esserci anche una piccola componente ambientale. Il secondo presupposto è che sono pochissime le sostanze "veramente" tossiche per l'uomo. Tutto può essere tossico ma anche la cosa più tossica del mondo, in piccolissime dosi, può essere innocua o addirittura utile alla salute umana (vedi alcuni farmaci). capire di cosa parliamo. Lo studio recente di cui parlavo all'inizio si collega a questi due concetti. Pubblicato sul "British Medical Journal" (non è un particolare secondario, si tratta di una delle riviste mediche più importanti al mondo), lo studio trova una correlazione tra i disturbi del neurosviluppo e l'uso di pesticidi. Si tratta di un classico "studio osservazionale", i ricercatori cioè, hanno preso dei dati, li hanno studiati e collegati, ottenendo dei risultati e si sono fermati a questi. che negli Stati Uniti sono obbligatori, sull'uso di diserbanti e pesticidi in una precisa regione agricola. Hanno studiato 2961 persone con diagnosi di autismo, (445 delle quali con disabilità intellettiva) e 35.370 controlli (cioè persone in salute dello stesso sesso ed età). Hanno calcolato, con una stima, l'esposizione di queste persone ai pesticidi: tramite i registri si stimavano le quantità di pesticida usate nei due chilometri di superficie attorno a ciascun individuo e quindi si poteva risalire a quanto pesticida era stato esposto ognuno di essi prima della nascita. i quali glifosato, chlorpyrifos, avermectin e diazinone). I risultati finali hanno mostrato come le persone esposte prima della nascita (quindi le cui madri, in gravidanza, abitavano vicino ai campi trattati) a questi pesticidi mostravano un rischio di autismo più alto delle persone che invece non ne erano state esposte. Questo rischio era (in generale) minore nel periodo del concepimento e un anno dopo la nascita. La correlazione più forte è stata quindi quella durante la gravidanza, in particolare per glifosato e avermectin. Come leggere questi dati? L'autismo è causato dai pesticidi? pesticidi sono usati anche da noi e ormai le zone agricole sono spesso densamente abitate) anche perché non è nuovo e conferma osservazioni precedenti, ma probabilmente basta fare un po' di chiarezza per capirlo meglio e non vedere tutto nero. Intanto possiamo dire che, per le caratteristiche dello studio, ci troviamo davanti a una correlazione non per forza indice di causalità. Questi dati, infatti, non ci dicono che l'autismo sia collegato in maniera certa all'esposizione ai pesticidi ma fa suonare un campanello di allarme che inizia a essere forte. Mai però trarre conclusioni da una semplice correlazione, sarebbe ingenuo. Negli anni, infatti, l'autismo è stato correlato (anche in maniera importante) con moltissime cose. materno in gravidanza, lo è l'uso di antibiotici in gravidanza e la nonna del nascituro fumatrice, l'età paterna e persino la carenza di ferro, e questa è solo una parte dell'elenco di ciò che le ricerche hanno correlato con i disturbi dello spettro autistico. Correlare freddamente due dati può quindi farci arrivare a conclusioni inutili. Che peso dobbiamo dare allora a questa ulteriore correlazione? Quello giusto. alcune ipotesi (per esempio quella che l'origine dell'autismo risalga al periodo di gestazione) e ne rafforza altre (per esempio che una piccola ma quasi certa porzione dei casi di autismo abbia causa ambientale) ma ha sicuramente parecchie limitazioni. Per esempio la correlazione, seppur presente, è molto bassa, per alcuni tipi di pesticida bassissima, cosa che fa pensare a un alto rischio di errore, anche perché l'esposizione ai pesticidi è stata solo stimata (tramite i dati registrati negli archivi statunitensi), non sappiamo cioè quale quantità di pesticidi abbia raggiunto veramente quelle persone in epoca gestazionale ma possiamo solo "immaginarlo". studiate hanno un altissimo utilizzo di pesticidi e si tratta di aree agricole e rurali dove già può esserci un più alto rischio di problemi dello sviluppo neurologico, indipendentemente quindi dall'uso di pesticidi. Gli studiosi inoltre non hanno seguito i bambini nel loro sviluppo (si sono fermati alla diagnosi di autismo). I soggetti con questa diagnosi analizzati nello studio sono in maggioranza maschi (e l'autismo ha un'incidenza maggiore proprio nel sesso maschile) e hanno madri di età più avanzata (e questo è un ulteriore fattore di rischio). questo studio, insomma, rischia di portarci in una strada senza uscita. Se è vero (e anche scientificamente plausibile) che pesticidi (e inquinamento in generale), insetticidi e smog siano fattori di rischio per i disturbi dello spettro autistico non possiamo ancora dire fino a che punto lo siano, per quali motivi e per quali quantità e d'altronde sono centinaia le sostanze considerate potenzialmente dannose in gravidanza. Però il dato c'è e conferma dati simili. è la conferma di un fatto di buon senso quasi proverbiale: in gravidanza bisogna essere cauti. Se già è bene vivere in un ambiente pulito e salubre, questo deve valere ancora di più nel periodo della gestazione. Un dato che sembra ovvio ma che non sarà mai ripetuto a sufficienza e l'Italia, nazione con tradizione agricola secolare, deve ricordarsene. |
Post n°2201 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 28 marzo 2019 Nei prossimi mesi è in programma un'analisi con tecniche all'avanguardia di un campione di rocce lunari raccolto nel 1972 dalla missione Apollo 17 - l'ultima a visitare la Luna e l'unica che aveva a bordo un geologo - e rimasto sigillato da allora. Sarà una nuova occasione per carpire i segreti della formazione del sistema solaredi Alexandra Witze/Nature Il prossimo anno, i curatori del Johnson Space Center della NASA a Houston, in Texas, indosseranno tute e guanti protettivi, entreranno nel laboratorio high-tech che ospita la raccolta statunitense delle rocce lunari e apriranno un lungo tubo metallico che è rimasto sigillato dal 1972, cioè da quando gli astronauti dell'Apollo 17 lo affondarono nel terreno nella Valle Taurus -Littrow della Luna per raccogliere campioni. apre un campione di roccia incontaminato raccolto dalle missioni Apollo. "Questa dovrebbe essere considerata come una nuova missione sulla Luna", dice Chip Shearer, geologo dell'Università del New Mexico, che studierà il campione usando le più recenti tecniche di laboratorio. Ottenere informazioni da un campione vecchio di decenni "è in realtà una continuazione delle missioni Apollo e un ponte verso il nostro futuro", ha affermato il 20 marzo alla Lunar and Planetary Science Conference di The Woodlands, in Texas. Il geologo Harrison H. Schmitt, qui ripreso dal comandante Gene Cernan accanto al modulo lunare dell'Apollo 17, è stato l'unico scienziato a partecipare alle missioni del programma (Credit: NASA)Nuovi studi su campioni dell'era Apollo potrebbero aiutare a definire la prossima generazione di scoperte geologiche lunari, hanno detto i ricercatori all'incontro. Gli scienziati stanno usando tecniche moderne per analizzare i 382 chilogrammi di rocce lunari che gli astronauti raccolsero tra il 1969 e il 1972, e si servono delle informazioni degli studi Apollo storici e moderni per decidere la prossima serie di siti da esplorare sulla superficie lunare. opportuno, perché la NASA intende iniziare a portare strumenti scientifici sulla superficie della Luna già dal prossimo anno, nel suo primo ritorno lassù dal 1972. I ricercatori dovrebbero fare pressione per ottenere la maggiore quantità possibile di dati scientifici da quelle missioni, per esempio insistendo che si rivolgano a obiettivi per lo più inesplorati, come per esempio il lato più lontano della Luna, ha spiegato David Kring, planetologo del Lunar and Planetary Institute di Houston, durante la riunione. Anche altre nazioni corrono verso la Luna: a gennaio, una sonda cinese ha effettuato un atterraggio storico sul lato più lontano della Luna, e il mese scorso una società israeliana ha lanciato il primo lander privato per la Luna. determinare le date degli eventi chiave dei 4,5 miliardi di anni di storia del sistema solare, come il bombardamento di asteroidi che si ritiene sia avvenuto circa mezzo miliardo di anni dopo la formazione della Terra. "La crosta lunare è un vero e proprio museo di scienza planetaria", ha detto Juliane Gross, planetologa della Rutgers University di Piscataway, nel New Jersey. delle rocce dell'era Apollo con nuovi metodi. Alla conferenza, Beck Strauss, geofisico planetario del National Institute of Standards and Technology degli Stati Uniti a Gaithersburg, nel Maryland, ha descritto la caccia a deboli campi magnetici in rocce di 3,1 miliardi di anni raccolte dagli astronauti dell'Apollo 12. che la forza del campo magnetico della Luna raggiunse un picco tra 3,9 miliardi e 3,6 miliardi di anni fa e poi crollò - il che suggerisce che qualcosa deve essere cambiato nell'interno della Luna, dove l'antico campo magnetico si è evoluto in modi sconosciuti. "Nuove tecniche ci danno accesso a cose che non erano possibili durante l'era Apollo". lunari formatesi durante le eruzioni vulcaniche, stanno portando ad alcune scoperte. Megan Guenther, specializzando del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, ha provato a replicare le condizioni chimiche in cui probabilmente si sono formate le inclusioni di vetro nero nelle rocce prelevate dall'Apollo 14. Ha scoperto che le inclusioni avrebbero potuto formarsi fino a 900 chilometri nel sottosuolo, cioè molto più in profondità di quanto gli scienziati avessero sospettato. Schmitt mentre raccoglie campioni con il "rastrello lunare", uno strumento studiato appositamente per gli studi di geologia lunare (Credit: NASA)Anche le inclusioni vetrificate verdi delle rocce dell'Apollo 15 raccontano una storia sulla Luna primordiale, ha detto Evelyn Füri, geochimica del CNRS a Vandœuvre -lès-Nancy, in Francia. Il suo gruppo ha analizzato il neon e altri gas all'interno di 22 delle minuscole inclusioni e ha scoperto che due di esse sono particolarmente ricche di gas. Quei gas potrebbero essere resti delle epoche primordiali del sistema solare, il che sosterrebbe l'idea che la Luna sia riuscita a catturare alcuni dei materiali volatili che molti ricercatori pensavano fossero andati completamente persi. composti volatili quando apriranno il campione dell'Apollo 17. Gli astronauti lo riempirono con le rocce ammassate da una frana alla base di una piccola montagna nella Valle Taurus-Littrow. Il tubo di carotaggio fu affondato abbastanza in profondità da penetrare nel terreno gelato, e il campione di roccia potrebbe ancora contenere acqua o altre sostanze volatili intrap- polate sotto la frana. Se fosse così, i ricercatori saranno in grado di misurare le sostanze volatili in modo molto più preciso di quanto avrebbero potuto fare 50 anni fa e iniziare a rispondere a domande ancora irrisolte su come si formò la valle, che è profonda quanto il Grand Canyon. dice Andrea Mosie, tra i curatori del centro di Houston. Ricorda ancora di aver analizzato il suo primo campione Apollo decenni fa, indossando tre set di guanti e lavorando in un vano riempito di azoto. "Anche solo afferrarlo fu davvero emozionante", dice, "perché stavo prendendo un pezzo di Luna". "Nature" il 25 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2200 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 12 marzo 2019 L'intensificarsi dei conflitti nella Repubblica Democratica del Congo ostacola gli sforzi per debellare il virus, che si sta diffondendo al di fuori delle catene di trasmissione conosciute e ha raggiunto un tasso di mortalità del 60 per cento superiore a quello della crisi del 2014-2016 nell'Africa occidentaledi Amy Maxmen / Nature medicinaepidemiologiapolitiche sanitarie Più di 900 persone hanno contratto il virus Ebola da quando ha iniziato a diffondersi nella Repubblica democratica del Congo (RDC) all'inizio di agosto. L'epidemia, ora la seconda più diffusa mai registrata, non mostra alcun segno di rallentamento, alimentata, dicono gli operatori umanitari e i funzionari governativi, da un cocktail tossico di violenza e sfiducia. dell'epidemia di Ebola, negli ultimi mesi si è intensificato. Alla fine di dicembre - dopo che il governo della RDC aveva impedito a più di un milione di persone nelle zone colpite dall'Ebola di votare per le elezioni presidenziali del paese - gruppi di manifestanti hanno assaltato e bruciato un centro per la cura dell'Ebola a Beni. E il mese scorso, assalitori armati hanno incendiato i centri di cura a Butembo e Katwa. Le persone impegnate in prima linea per combattere l'Ebola in quelle città - che diffondono appelli sanitari, identificano i casi potenziali e seppelliscono i morti - affrontano minacce e aggressioni quasi quotidianamente. Il numero di vittime di Ebola nella Repubblica democratica del Congo continua a salire. (ZUMAPRESS.com / AGF)Le continue violenze hanno ostacolato gli sforzi per contenere il virus. "Qui ci sono così tanti gruppi armati che non si sa dove capiterà il prossimo problema", dice uno di loro, che ha chiesto di restare anonimo perché non è autorizzato a parlare con la stampa. "Siamo gettati nel fuoco". sono i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che indicano che il virus si sta diffondendo inosservato. Durante le ultime tre settimane di febbraio, il 43 per cento delle persone morte per Ebola a Katwa e Butembo sono state trovate già decedute nelle loro comunità, senza che fossero state isolate negli ospedali durante le ultime fasi della malattia, quando è più contagiosa. E tre quartidi coloro ai quali è stata diagnosticato l'Ebola non erano stati precedentemente identificati come persone a contatto di soggetti che avevano contratto il virus. il virus si stia diffondendo al di fuori delle catene di trasmissione conosciute, rendendo più difficile contenerlo e facendo salire il tasso di mortalità rispetto ai focolai precedenti. L'attuale tasso di mortalità, il 60 per cento circa, è superiore a quello registrato durante la crisi dell'Ebola del 2014-16 in Africa occidentale, e questo nonostante i miglioramenti ottenuti nella cura delle persone colpite, compresa l'introduzione di diversi farmaci sperimentali. trattamenti al mondo, ma la mortalità non diminuirà se i pazienti non si presentano o arrivano troppo tardi", dice Chiara Montaldo, coordinatrice medica del gruppo di soccorso di Médecins Sans Frontières (MSF, noto anche come Medici Senza Frontiere) nella provincia del Nord Kivu della RDC. Questo focolaio di Ebola è il decimo nella RDC da quando il virus è stato scoperto nel 1976. È di gran lunga la più grande e più lunga epidemia che abbia mai colpito il paese, con circa 907 casi e 569 decessi, al 5 marzo. [Saliti a 921 casi e 582 decessi all'11 marzo. N.d.R.] A differenza delle precedenti, è iniziata nella regione nord-orientale della RDC devastata dalla guerra, dove le ondate di conflitti che si susseguono dal 1997 hanno causato fino a sei milioni di vittime. è anche una roccaforte degli oppositori del partito politico al potere nella RDC. Molti abitanti guardano con sospetto alle iniziative per debellare l'epidemia di Ebola, perché le considerano collegate alla lotta del governo ai suoi nemici politici. La decisione presa l'anno scorso dall'ex presidente Joseph Kabila di impedire il voto agli abitanti delle città di Beni, Butembo e Yumbi - per prevenire la diffusione di Ebola - ha aggravato i sospetti. l 24 e il 27 febbraio a Katwa e a Butembo sono stati dati alle fiamme i centri di MSF per la cura di Ebola. (Cortesia WHO)La risposta costante del Ministero della sanità della RDC, dell'OMS e di MSF (Médecins Sans Frontières), tra gli altri gruppi, ha arginato l'epidemia nelle comunità in cui il virus è comparso per la prima volta, come Mabalako, Komanda e Beni. Ma quando la gente si sposta, si sposta anche Ebola. Il virus si è diffuso in nuove aree, tra cui Butembo e Katwa. Le continue violenze hanno indotto MSF a sospendere le attività nelle due città il 28 febbraio. Le principali agenzie sanitarie pubbliche non congolesi - come i Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti - hanno ritenuto la provincia del Nord Kivu, dove si trovano Butembo e Katwa, troppo rischiosa per andarci. Così, gli epidemiologi degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali stanno monitorando la situazione da lontano. sta valutando se utilizzare le truppe di pace delle Nazioni Unite per cercare di rendere sicure le cliniche e le strutture in cui lavorano i suoi dipendenti. "Siamo preoccupati per la nostra gente", dice Ibrahima Socé-Fall, vicedirettore generale dell'OMS per gli interventi di emergenza, che ha sede a Brazzaville, nella Repubblica del Congo, che si affaccia sul fiume che la separa dalla RDC. Nel frattempo, l'OMS ha intensificato i colloqui con i leader della comunità e sta preparando i residenti a contribuire alla realizzazione della risposta a Ebola. "Vogliamo ridurre la dipendenza dai partner internazionali", dice Socé-Fall. Per contribuire ad arrestare la diffusione dell'Ebola, alcuni analisti esperti in politica sanitaria vorrebbero che l'OMS definisse l'epidemia nella RDC come un'emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale. Questo potrebbe aumentare la cooperazione internazionale e mobilitare gli aiuti, come avvenne quando l'OMS dichiarò l'emergenza sette mesi dopo lo scoppio dell'epidemia di Ebola nell'Africa occidentale nel 2014-16. nella RDC costerebbe 148 milioni di dollari. Secondo il direttore generale dell'agenzia, Tedros Adhanom Ghebreyesus, al 26 febbraio i paesi membri dell'OMS avevano impegnato meno di 10 milioni di dollari. Avvisi sulle modalità di trasmissione del virus affissi per sensibilizzare la popolazione. (Cortesia WHO/L. Gutcher)"Se questa non è un'emergenza sanitaria globale, che cosa lo è?", dice Lawrence Gostin, specialista in diritto e politica sanitaria della Georgetown University a Washington DC: il conflitto in corso nel nord-est della RDC, osserva, rende l'epidemia eccezionale e le migliaia di persone che si spostano regolarmente dal nord-est della RDC in Sud Sudan, Uganda e Ruanda aumentano il rischio che il virus si diffonda. affermano che permetterebbe all'OMS di denunciare le azioni governative che potrebbero danneggiare la risposta dell'Ebola, come le restrizioni di voto della RDC dell'anno scorso o la decisione degli Stati Uniti di non entrare nella zona di diffusione del virus. Una dichiarazione potrebbe anche far pressione sulla RDC perché migliori i servizi sanitari e la sicurezza nelle comunità colpite da Ebola e dalla violenza, dice Oyewale Tomori, un virologo indipendente di Ibadan, in Nigeria. di non dichiarare un'emergenza sanitaria pubblica, affermando che è improbabile che Ebola si diffonda a livello globale e che i gruppi di aiuto stanno fornendo un aiuto sufficiente a limitare l'epidemia. Alcuni esperti di problemi sanitari globali ipotizzano che la riluttanza dell'OMS a dichiarare l'emergenza sia influenzata anche da questioni geopolitiche. Dichiarare un'emergenza potrebbe indurre i paesi confinanti con la RDC a chiudere le frontiere, per esempio, e questo potrebbe deprimere l'economia della regione e rendere ancora più difficile sapere quando le persone con Ebola entrano in altri paesi. School of Hygiene and Tropical Medicine, afferma che i leader dei gruppi armati della regione potrebbero usare una dichiarazione di emergenza come leva per negoziare il controllo del territorio o delle risorse in cambio del permesso ai soccorritori di fare il loro lavoro. "Gli agenti infettivi possono essere usati come ostaggi", dice. di emergenza serva effettivamente a qualcosa. Adia Benton, antropologa della Northwestern University a Evanston, in Illinois, dice che la svolta nell'epidemia dell'Africa occidentale potrebbe essere stata la notizia di una manciata di casi di Ebola negli Stati Uniti, e non la decisione di dichiarare lo stato di emergenza. E teme che - ci sia o meno la dichiarazione di emergenza dell'OMS - la situazione continuerà a peggiorare, proprio come gli incendi dolosi, la fame e la violenza che da un quarto di secolo affliggono la Repubblica Democratica del Congo, ampiamente ignorati dal resto del mondo. su "Nature" l'8 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2199 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Il virus West Nile si trova raramente in Cina. Ma la proteina CCR5 interagisce anche con le proteine chiamate beta-chemochine che aiutano il corpo a predisporre una risposta immunitaria contro un gruppo di virus chiamati flavivirus. Questi includono virus trasmessi da zecche e virus che causano dengue e febbre gialla, così come il virus West Nile, dice Marcus Kaul, immunologo dell'Università della California a Riverside. Gli studi hanno rilevato che le persone con CCR5-Δ32 hanno maggiori probabilità di contrarre l'encefalite grave da malattie trasmesse da zecche e di avere una reazione grave al vaccino per la febbre gialla. "L'assenza di CCR5 può avere gravi svantaggi", afferma Kaul. rischio maggiore per le gemelle. Il lavoro sui topi ha dimostrato che la proteina CCR5 aiuta a reclutare le cellule immunitarie cruciali per combattere il virus nei polmoni. Senza il gene, questo sistema di difesa fallisce. Uno studio in Spagna ha rilevato che le persone con la delezione CCR5-Δ32 hanno una probabilità quattro volte superiore alla media di morire per influenza. E la Cina è un hot-spot per le epidemie d'influenza. persone con sclerosi multipla, quelle con delezione CCR5-Δ32 hanno il doppio delle probabilità di morire precocemente rispetto a quelle senza la mutazione. Quale ruolo potrebbe avere CCR5 in altre condizioni croniche, come epatite C e diabete, non è chiaro: gli studi non sono concordi nel dimostrare se aiuta, danneggia o non fa differenza rispetto a queste condizioni. Sulla base delle informazioni contenute nel modulo di consenso informato, nessuno di questi effetti sembra essere stato comunicato ai genitori delle ragazze né ad altre coppie che hanno partecipato agli esperimenti di He. La sua procedura di consenso informato "era un disastro", afferma Megan Allyse, esperta di bioetica della Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota. da parte di "Nature". può avere un effetto positivo, almeno nei topi. I roditori senza il gene hanno imparato a orientarsi nei labirinti e a ricordare stimoli dolorosi più velocemente dei roditori con il gene. Complessivamente, la delezione del gene ha migliorato la capacità cognitiva degli animali del 30-60 per cento, afferma Kevin Fox, neuroscienziato dell'Università di Cardiff, nel Regno Unito, e coautore dello studio. "L'effetto era notevole ed evidente", dice. velocemente di quanto avrebbero fatto senza la mutazione, mentre altri scienziati dubitano che la delezione del gene avrà un effetto significativo sull'apprendimento delle bambine. Centinaia e forse migliaia di geni contribuiscono all'intelligenza umana, afferma Kevin Mitchell, genetista del Trinity College di Dublino, in Irlanda. E l'effetto osservato nei topi potrebbe non tradursi negli esseri umani. La mutazione potrebbe anche avere un effetto negativo sulla cognizione, dice Mitchell: per esempio, se accelera la formazione della memoria, ma rende difficile filtrare i ricordi non importanti. "Anche se questa mutazione avesse un effetto cognitivo negli esseri umani così come nei topi, il che non è detto, non significa che sarebbe una buona cosa", dice Mitchell. Silva Alcino, neuroscienziata dell'Università della California di Los Angeles e coautrice di Fox, concorda sul fatto che qualsiasi effetto sarà probabilmente imprevedibile. "Nelle neuroscienze la delezione di questo recettore conferisce alcuni vantaggi e molto probabilmente porta anche a deficit in alcune forme di funzione cognitiva", dice. più grande di studi sulla mutazione, sia difficile trarre conclusioni sui suoi effetti complessivi. Solo un piccolo numero di persone ha la mutazione, il che rende difficile reclutare un gran numero di soggetti per gli studi. Tuttavia, le potenziali conseguenze della mancanza di un gene CCR5 funzionante sono probabilmente maggiori di quanto abbiamo stabilito finora, afferma Murphy. "Quello che sappiamo potrebbe essere la punta dell'iceberg", dice. su "Nature" il 12 dicembre 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2198 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze IIT- L'umanoide WALK-MAN è più leggero ed è stato testato come avatar robotico in supporto alle squadre di emergenza Comunicato stampa - Più leggero di 31 chili, WALK-MAN ha affrontato uno scenario che ricrea un impianto industriale danneggiato da un terremoto in cui sono presenti detriti, fughe di gas e fuoco Genova, 22 febbraio 2018 - Spegnere gli incendi e supportare le squadre di emergenza come un "avatar" robotico sono i compiti per cui è stata testata una nuova versione del robot umanoide WALK-MAN all'IIT-Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Il robot è in grado di localizzare le fiamme di un incendio, camminare verso di esse, e attivare un estintore per spegnerle, mentre un operatore lo guida da lontano. L'ultima versione di WALK-MAN ha un nuovo design, più leggero di 31 chili grazie all'utilizzo di leghe di magnesio, e nuove mani più abili nelle manipolazioni. Il nuovo design è stato pensato per ridurre i costi di costruzione e migliorare le prestazioni in termini energetici. progettato e realizzato dall'IIT, in collaborazione con altri partner internazionali, nell'ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea dal 2013 e in fase di conclusione. Nel giugno 2015, WALK-MAN era stato l'unico progetto italiano e finanziato dall'UE a partecipare a Los Angeles alla gara internazionale di robotica DARPA Robotics Challenge (DRC), promossa per definire gli standard tecnologici dei robot capaci di fornire assistenza in caso di disastri naturali o provocati dall'uomo. Durante la sfida il robot aveva affrontato uno scenario ispirato all'incidente nucleare di Fukushima. Nel 2016 WALK-MAN è stato testato in uno scenario reale, in seguito al terremoto ad Amatrice, all'interno di edifici danneggiati per eseguire un'ispezione della struttura e fornire informazioni sulla stabilità dell'edificio. affrontato uno scenario definito dai ricercatori insieme alla Protezione Civile di Firenze: un im pianto industriale danneggiato da un terremoto in cui sono presenti detriti, fughe di gas e fuoco, quindi una situazione pericolosa per l'uomo. Lo scenario è stato ricreato in laboratorio attraverso la costruzione di un ambiente fittizio, dove WALK-MAN è stato in grado di muoversi ed eseguire quattro compiti specifici: aprire e attraversare una porta per entrare nella zona; localizzare una valvola di tipo industriale e chiuderla, così da simulare l'interruzione della perdita di gas; rimuovere gli ostacoli sul suo percorso; e infine identificare la posizione delle fiamme e attivare l'estintore. controllato a distanza da un operatore umano tramite un'interfaccia virtuale e una tuta sensorizzata, vestita dall'operatore, che consente di azionare il robot in modo naturale, controllandone la manipolazione e la locomozione, come un avatar. L'operatore riceve in modo continuo immagini e informazioni dai sistemi di percezione del robot. parte superiore del corpo (busto e braccia) più leggera, la cui realizzazione ha richiesto 6 mesi, coinvolgendo una squadra di circa 10 ricercatori coordinata da Nikolaos Tsagarakis, ricercatore presso IIT e coordinatore del progetto. alto 1,85 metri, realizzato in metallo leggero, come ergal (60%), leghe di magnesio (25%) e titanio, ferro e plastica. I ricercatori hanno ridotto il suo peso di 31 chili - dai 133 chili originari, a 102 chili - per rendere il robot più dinamico. Le gambe possono muoversi più velocemente avendo una massa superiore del corpo più leggera da trasportare. Inoltre, il robot riesce a reagire più velocemente a spinte esterne, realizzando dei passi laterali per mantenere l'equilibrio; una caratteristica che gli permette di adattare il proprio passo a terreni accidentati o a situazioni in cui l'interazione con l'ambiente è variabile. L'alleggerimento del busto ha permesso di ridurre anche il suo consumo di energia, utilizzando così una batteria da 1 kWh per operare circa due ore. di magnesio e altri compositi, e presentano una nuova versione di attuatori che hanno ottimizzato le prestazioni: la capacità di carico è più elevata (10 kg/braccio) rispetto alla prima versione (7 kg/braccio), e può trasportare e sostenere oggetti pesanti per un periodo di 10 minuti. La nuova parte di corpo ha anche dimensioni più compatte: la larghezza delle spalle è di 62 m e la profondità del busto è di 31 cm, conferendo al robot un profilo più adeguato per passare attraverso le porte e i passaggi stretti. robotiche Soft-Hand sviluppate dal Centro Ricerche E. Piaggio dell'Università di Pisa (gruppo del Prof. A. Bicchi) in collaborazione con IIT. Le dita sono state costruite con un nuovo materiale composito leggero, e hanno un migliore rapporto dita-palmo (più simile a quello umano) che aumenta la varietà di forme degli oggetti che il robot può afferrare. 32 motori e schede di controllo, 4 sensori di forza e coppia (2 ai piedi e 2 alle mani) e 2 accelerometri per il controllo del suo equilibrio. Le sue articolazioni mostrano un movimento elastico che consente al robot di essere "morbido" nelle sue azioni e di avere interazioni sicure con l'uomo e l'ambiente. La sua architettura software è basata su framework XBotCore, piattaforma YARP, ROS e Gazebo. Nella testa sono presenti telecamere, scanner laser 3D e microfoni, e nel futuro potranno essere aggiunti sensori per riconoscere la presenza di sostanze tossiche. di istituti di ricerca composto da: l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e il Centro Ricerche E. Piaggio dell'Università di Pisa in Italia, l'École Polytechniq ue Fédérale di Losanna (EPFL) in Svizzera, il Karlsruhe Institute of Technology (KIT) in Germania e l'Université catholique de Louvain (UCL) in Belgio. |
Post n°2197 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 05 giugno 2018 Un esperimento è riuscito a produrre un movimento riflesso in una zampa di blatta in risposta a input sensoriali di diversa entità. Per gli autori, potrebbe trattarsi di un primo passo verso una pelle artificiale sensibile che potrà essere integrata in futuro su arti protesici per gli esseri umani(red) Per ora è in grado di restituire la sensibilità al tatto alla zampa di una blatta. Oppure, in un'applicazione del tutto diversa, l eggere la scrittura Braille per non vedenti e ipovedenti. Ma in futuro, il sistema sensoriale artificiale descritto su "Science" potrebbe costituire la base per realizzare pelle artificiale per arti protesici per gli esseri umani, almeno secondo le previsioni degli autori. Schema del nervo artificiale: il sensore tattile rileva la pressione (freccia verde in alto a destra), il segnale che viene così prodotto percorre il nervo (nastro azzurro in diagonale) arriva al transistor sintetico (cerchio punteggiato di rosso a sinistra). Da qui il segnale è convertito in una tensione elettrica che fa muovere la zampa della blatta (destra). (Credit: Yeongin Kim/Stanford University; Alex Chortos/Stanford University; Wentao Xu, Seoul National University; Zhenan Bao, Stanford University; Tae-Woo Lee/Seoul National University) Lo studio s'inserisce nell'ambito di ricerca sui robot che integrano apparati e funzionalità che sono tipici degli esseri viventi. E il primo passo per ogni nuova realizzazione è spesso l'imitazione di quello che si trova in natura. Da alcuni anni, il gruppo di Zhenan Bao della Stanford University studia la pelle per capire come si possa riprodurre artificialmente la sua capacità di allungarsi, riparare se stessa e infine agire come una rete sensoriale intelligente che non solo sa come trasmettere sensazioni piacevoli al cervello, ma sa anche quando ordinare ai muscoli di reagire di riflesso e in modo tempestivo. si tratta invece di un sistema complesso di rilevamento, segnalazione e decisione", ha spiegato Bao. "Questo sistema nervoso sensoriale artificiale è un passo in avanti verso la creazione di reti neurali sensoriali simili alla pelle per ogni tipo di applicazione." da tre parti. La prima è un sensore tattile in grado di rilevare una forza anche minuscola. Una volta catturato questo input dal mondo esterno, il suo compito è inviare un segnale attraverso il secondo componente, un neurone elettronico flessibile, verso il terzo componente, un transistor sinaptico artificiale modellato sulle sinapsi del sistema nervoso umano, ovvero i punti di contatto tra le cellule nervose. Il nervo artificiale integrato nella blatta dello studio. (Credit: Yeongin Kim/Stanford University; Alex Chortos/Stanford University; Wentao Xu, Seoul National University; Zhenan Bao, Stanford University; Tae-Woo Lee/Seoul National University)Mentre il sensore tattile e il neurone elettronico sono versioni migliorate di dispositivi sviluppati in precedenza nel laboratorio di Bao, il transistor sinaptico è una novità assoluta, nata da un'idea di Lee Tae-Woo della Seoul National University. e anche memorizzare le informazioni per prendere decisioni semplici", ha sottolineato Tae-Woo. "Il transistor sinaptico svolge queste funzioni nel circuito formato dal nervo artificiale". 'obiettivo era dimostrare la capacità di questo dispositivo di generare un tatto sensibile e con ciò un movimento riflesso in risposta a questo input sensoriale. Gli autori hanno quindi collegato il loro nervo artificiale a una zampa di blatta e hanno applicato piccoli incrementi di pressione al sensore tattile. Il neurone elettronico ha convertito il segnale del sensore in segnali digitali e li ha trasmessi attraverso il transistor sinaptico, causando una contrazione della zampa più o meno vigorosa quando la pressione sul sensore tattile aumentava o diminuiva. artificiale poteva rilevare diverse sensazioni tattili. In un secondo esperimento, il nervo artificiale è stato in grado di riconoscere alcune lettere Braille. In un altro, infine, gli autori hanno fatto rotolare un cilindro sul sensore in diverse direzioni e hanno rilevato con precisione la direzione del movimento. |
Post n°2196 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 20 dicembre 2017 NAC - Federico II, Napoli: Modelli neuro-robotici della paura. La gestione del rischio tra evoluzione e sistemi artificiali Comunicato stampa - Pubblicato su PLOS ONE uno studio di un team di psicologi del NAC della Federico II di Napoli che ha sviluppato un modello neurale computazionale in grado di osservare l'evoluzione di diverse strategie di gestione del rischio attraverso generazioni di popolazioni di robot "Essere freddo come un robot" potrebbe presto diventare un luogo comune superato dai fatti. Anche i robot possono provare sentimenti e, quindi, diventare più intelligenti. Riuscire a instillare emozioni in sistemi di intelligenza artificiale non serve infatti solo a renderli più "umani", serve innanzitutto a renderli più efficienti. La psicologia evoluzionistica ha dimostrato da tempo la stretta correlazione tra processi neuro-cognitivi e gli stati emotivi, segnalando in particolare come i sentimenti più profondi, come per esempio rabbia o paura, svolgano un ruolo fondamentale nelle scelte e nelle decisioni degli individui, salvaguardandoli da situazioni di pericolo e aumentandone così le possibilità di sopravvivenza. La paura segnala una situazione di rischio e "addestra" alle condizioni di emergenza. Laboratory del Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II di Napoli e del Centre for Robotics and Neural Systems (Crns) dell'Università di Plymouth (UK) ha sviluppato un modello neurale computazionale in grado di osservare come emergono diverse strategie di gestione del rischio attraverso generazioni di popolazioni di robot. Il modello è stato descritto nello studio "Basic emotions and adaptation. A computational and evolutionary model" in corso di pubblicazione sulla rivista PLOS ONE (qui il link) a firma di Daniela Pacella , Michela Ponticorvo, Onofrio Gigliotta e Orazio Miglino. emozioni di base nel comportamento di robot e agenti intelligenti - spiega Orazio Miglino, direttore del Nac e ordinario di Psicologia evolutiva alla Federico II - in pochi hanno approcciato il problema da un punto di vista evolutivo. Questo lavoro rappresenta un modello neurale computazionale ispirato alla biologia umana e animale di come la gestione del rischio può emergere dall'apprendimento attraverso l'evoluzione, e di come ciò influisca in particolare sulla fitness in robot simulati controllati da una rete neurale evoluta con algoritmi genetici. I robot sono evoluti e testati in ambienti con livelli diversi di pericolo e le loro performance sono analizzate e comparate". Innanzitutto, un agente artificiale in grado di gestire adeguatamente il rischio può essere di supporto all'uomo in situazioni improvvise di pericolo o ansiogene, può essere di aiuto nel prendere delle decisioni in situazioni quotidiane di incertezza, come quando guidiamo, quando attraversiamo la strada, quando scegliamo un percorso o abbiamo necessità di acquistare un articolo. Una rete neurale artificiale in grado di isolare i circuiti emotivi dalle altre funzioni cognitive potrà dare informazioni importanti e chiare su quali aree del cervello sono implicate nella genesi della paura, e potrà quindi guidare i ricercatori nei prossimi studi da applicare all'uomo. Le teorie evoluzionistiche hanno mostrato come le emozioni di base, come la paura, siano manifestazioni per lo più innate, prive di mediazione cognitiva e modellate nel corso di generazioni dalla selezione naturale. "E' proprio la semplicità e l'immediatezza di queste risposte - mette in evidenza Daniela Pacella, research fellow all'Università di Plymouth e ricercatrice del Nac - che ne determina l'efficacia, e di conseguenza aumenta le probabilità di sopravvivenza di un organismo o individuo in situazioni di rischio o pericolo. Grazie alle reti neurali artificiali e agli algoritmi genetici siamo in grado di riprodurre ed evolvere questi comportamenti anche nei robot, studiando il modo in cui emergono e si consolidano". Laddove la capacità di gestione del rischio non sia funzionale possono emergere comportamenti disorganizzati, per esempio stati di ansia, di shock o disturbo post-traumatico da stress. partenopei sono partiti da una semplice considerazione: in natura i predatori sono un rischio variabile ma sempre presente per ogni organismo vivente, specialmente durante l'esplorazione del territorio alla ricerca di cibo. Come fanno gli animali a imparare a gestire questo rischio in maniera efficace e a fare le giuste decisioni in situazioni di stress? Grazie al modello neurale diventa ora possibile osservare come evolve la capacità di gestione del rischio attraverso generazioni di popolazioni di robot, proprio come è accaduto in passato nelle specie umane e animali. serve a fornire contributi fondamentali alla conoscenza dei meccanismi di apprendimento sia umani sia artificiali. "Le emozioni - conclude la ricercatrice - sono fortemente connesse alla memoria, alle decisioni, alla motivazione, alla sopravvivenza. Se vogliamo che i nostri cervelli artificiali diventino sempre più umani, integrare i circuiti delle emozioni diventa non solo fondamentale ma imprescindibile". |
Post n°2195 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 12 luglio 2016 Quando i primi vertebrati sono usciti dalle acque, la coda potrebbe avere avuto un ruolo determinante nel permettere gli postamenti sulla terraferma. E' questo lo scenario emerso da una ricerca che ha coniugato osservazioni naturalistiche, ricostruzioni robotiche e modelli matematici.(red) La conquista della terraferma da parte degli animali acquatici - avvenuta fra i 385 e i 360 milioni di anni fa - sarebbe avvenuta a colpi di coda. E' questa la conclusione a cui sono giunti gli autori di un articolo pubblicato su "Science" che illustra una ricerca multidiscipliare che ha coinvolto biologi, paleontologi, esperti di robotica e matematici del Georgia Institute of Technology, della Carnegie Mellon University e dell'Università del Tennessee a Knoxville. Alcuni esemplari di pesce perioftalmo su un tratto di spiaggia. Benjamin McInroe e colleghi hanno iniziato la loro ricerca studiando il movimento del moderno perioftalmo altlantico (Periophthalmus barbarus), uno dei pochi organismi viventi la cui struttura corporea è considerata simile a quella dei primi vertebrati terrestri. Questo pesce a volte esce dall'acqua per spostarsi sul terreno, in parte con l'aiuto delle pinne e in parte con piccoli balzi compiuti facendo leva sulla coda. I ricercatori hanno scoperto che quando il terreno è in piano la coda dà un contributo minimo allo spostamento, ed è usata soprattutto negli spostamenti laterali. Ma se la pendenza aumenta, come di solito avviene lungo gli argini, il vantaggio dell'uso della coda aumenta notevolmente: con una pendenza di 10° la coda è coinvolta in un terzo circa di tutti i "passi", mentre per pendenze prossime ai 20° è usata in metà degli spostamenti. hanno poi costruito "MuddyBot", un robot che è una versione semplificata di Periophthalmus, nella quale però potevano varia |
Post n°2194 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
LE SCIENZEIl mistero delle origini Il rover cinese rivela le profondità nascoste della Luna La missione Chang'e-4 sembra aver scoperto del materiale proveniente da un oceano di magma congelato che si trova molto al di sotto della superficie lunare. Ma solo future missioni in grado di portare a terra dei campioni potranno confermare la scopertadi Jonathan O'Callaghan/Scientific American Negli anni sessanta e settanta, Stati Uniti e Unione Sovietica condussero programmi di esplorazione lunare senza precedenti ancora senza eguali. Gli allunaggi delle missioni Apollo furono completati da sbarchi sovietici senza equipaggio, ed entrambi hanno dati contributi rivoluzionari dal punto di vista scientifico, come le centinaia di chilogrammi di roccia e suolo lunari che le missioni hanno riportato sulla Terra. campioni era del materiale che provenisse indiscutibilmente dal mantello roccioso della Luna. Trovandosi appena al di sotto della crosta desolata e craterizzata, si pensa che il mantello superiore della Luna sia il residuo congelato di un vasto oceano di magma che esisteva più di 4 miliardi di anni fa. potrebbe svelare aspetti nascosti della storia lunare, rimodellando forse la nostra comprensione complessiva della formazione e dell'evoluzione planetaria. Ora, una missione cinese ha scoperto segni di materiale del mantello sulla superficie della Luna, ponendo di fatto una "X" sulle mappe lunari per futuri esploratori alla ricerca di questo tesoro geologico non così tanto sepolto. Chang'e-4 sulla superficie lunare (Xinhua/China National Space Administration) La missione Chang'e-4 cinese è arrivata vicino al polo sud sul lato nascosto della Luna il 3 gennaio 2019, diventando la prima navicella spaziale a scendere in questa regione in gran parte inesplorata del satellite. Composta da un lander e un rover, la missione è ancora attiva, con il rover, chiamato Yutu-2, che continua il suo percorso sulla superficie. A bordo ci sono diversi strumenti e gli scienziati dell'Accademia delle scienze cinese di Pechino riportano su "Nature" i primi risultati scientifici della missione, suggerendo che il materiale del mantello lunare è stato finalmente localiz- zato. di allunaggio di Chang'e-4 è composto principalmente da olivina e pirosseno a basso contenuto di calcio", afferma Dawei Liu, uno dei coautori dell'articolo. "Questa combinazione di minerali è candidata come materiale derivato dal mantello". South Pole-Aitken (SPA) che, con i suoi 2500 chilometri di diametro, è uno dei più antichi e più grandi crateri d'impatto del sistema solare. Nello specifico, la missione è atterrata nel cratere Von Kármán, che ha un diametro di 186 chilometri, all'interno del bacino più grande. miliardi di anni fa dall'impatto di una grande cometa o di un asteroide; queste collisioni possono far emergere dalle profondità del sottosuolo del materiale del mantello, che si disperde poi sulla superficie per effetto di impatti successivi. "Questi risultati sembrano rivelare che i materiali del mantello lunare potrebbero essere effettivamente esposti sulla superficie della Luna", afferma Patrick Pinet, del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) di Parigi, che ha scritto un articolo di commento sui risultati. II cratere Von Kármán, dov'è avvenuto l'atterraggio di Chang'e-4 materiale del mantello è stato scoperto utilizzando lo spettrometro Visible e Near Infrared montato su Yutu-2, che può determinare la composizione chimica delle rocce studiandone la luce riflessa. Si ritiene che l'olivina e il pirosseno siano tra i primi minerali che si sono congelati dal magma oceanico della Luna in via di raffreddamento, cadendo verso la sua solida base più in profondità nel mantello. hanno rivelato che gran parte del suolo del cratere Von Kármán è composto da lava proveniente da eruzioni vulcaniche anziché dal mantello dissepolto, gli autori dell'articolo sospettano che il materiale rilevato da Yutu-2 sia stato proiettato all'interno del cratere dal mantello superiore che si trova sotto un altra struttura da impatto vicina, il cratere di Finsen, largo 72 chilometri. Non tutti sono convinti che Yutu-2 abbia individuato definitivamente il materiale proveniente dal mantello lunare. Azzurra a Nizza, osserva che lo stesso colossale impatto da cui è nato il bacino di South Pole-Aitken avrebbe potuto portare alla formazione di materiale che, per quanto simile a quello del mantello, sarebbe stato piuttosto diverso dal vero mantello della Luna. E le previsioni avevano suggerito che dalla cristallizzazione dell'oceano di magma sarebbe derivata una composizione diversa - forse un segno di diversità inaspettata nella composizione del mantello lunare, se non un indizio del fatto che Yutu-2 non ha visto alcun materiale del mantello. "Anche se i dati di Chang'e-4 sono entusiasmanti, la vera origine di quelle rocce probabilmente sarà determinata solo raccogliendo nuovi campioni in questo bacino e riportandoli sulla Terra", dice. del materiale del mantello sulla superficie lunare consentirebbe di gettare un nuovo sguardo sulla struttura della Luna. Schema della struttura interna della Luna dell'Università del Rhode Island, nota che, sui 1737 chilometri del raggio lunare, circa 300 formano un nucleo metallico denso al suo centro e 40 comprendono la crosta. "Quindi, i rimanenti 1397 chilometri sono il mantello, che è enorme!" dice, con i dati sismici delle indagini dell'era Apollo che forniscono la maggior parte di quella conoscenza preliminare. "Quindi, capire di che cosa è fatto il mantello è collocare un enorme tasselo del puzzle che svela la struttura e la composizione interna della Luna". per il programma di esplorazione lunare della Cina, aiutando a giustificarne i costi e rafforzando le argomentazioni a favore di missioni future, comprese le incursioni di un equipaggio sulla superficie, dice Andrew Jones, un giornalista che segue il programma spaziale cinese. "La presunta scoperta di materiale derivato dal mantello lunare e la missione nel suo insieme dimostrano che il paese può pianificare ed eseguire missioni scientifiche all'avanguardia e portare nuovi contributi in termini di conoscenza", dice. "Stiamo iniziando a vedere i primi risultati scientifici". superficie, dove percorso quasi 200 metri, e potrebbe sopravvivere per molti mesi a venire. Verso la fine del 2019, la Cina spera di lanciare anche un'altra missione sulla Luna, chiamata Chang'e-5, che sarà la prima del paese dedicata alla campionatura della superficie lunare. Purtroppo, quella missione è diretta sul lato visibile del satellite, lontano da Von Kármán e dalla notevole potenziale scoperta di Yutu-2. L'esplorazione del profondo interno della Luna - e del suo passato più remoto - per ora dovrà aspettare. su "Scientific American" il 15 maggio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2193 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
08 luglio 2016 messo a punto da un gruppo di ricerca della Harvard University imitando la forma dell'elegante animale marino, il prototipo può muoversi grazie a una serie di cellule cardiache di topo ingegnerizzate in modo da rispondere agli stimoli luminosi impartiti dagli sperimentatori(red) Razze, torpedini e mante sono animali marini dotati di un modo di nuotare più simile al battito d'ali verticale degli uccelli che al pinneggiamento in senso laterale dei pesci. Ma oltre a essere molto elegante, questo è anche un modo molto efficiente di muoversi in un liquido. Proprio per questo Kevin Kit Parker della Harvard University a Cambridge, nel Massachusetts, e colleghi di una collaborazione internazionale si sono ispirati a questi animali, e in particolare alla razza, per progettare un robot miniaturizzato, descritto su "Science", che è mosso e guidato da cellule cardiache di topo ingegnerizzate in modo da essere sensibili alla luce. Una suggestiva immagine del nuovo microrobot Il mondo della robotica non è nuovo a questo tipo di realizzazioni. La natura è infatti una grande fonte d'ispirazione sia per la morfologia dei dispositivi sia per il loro movimento, plasmati da milioni di anni di evoluzione della vita. Negli anni passati sono così stati progettati e costruiti diversi prototipi che riproducono fattezze e moto di insetti, pesci, serpenti e salamandre. I progressi sono stati evidenti, con il passaggio dalle strutture rigide a quelle sempre più soffici basate sui più recenti risultati della scienza dei materiali: polimeri elettroattivi, in grado cioè di reagire a stimoli elettrici, leghe a memoria di forma, nonché biosensori e bioattuatori, cioè materiali di derivazione biologica in grado di percepire e trasformare in comandi di movimento diversi tipi di input fisici. 16 millimetri e del peso di 10 grammi, è costituito essenzialmente da uno scheletro di oro elettricamente neutro che riproduce la forma della razza della specie Leucoraja erinacea, ricoperto da un sottile strato di polimero soffice ed estensibile. Sulla parte superiore, gli autori hanno posto una serie di circa 200.000 cardiomiociti, le cellule del tessuto muscolare cardiaco, di topo. Quando sono stimolati, i cardiomiociti si contraggono, muovendo le pinne verso il basso. richiesto in teoria un'altra schiera di cardiomiociti, disposti in modo da essere antagonisti ai primi. Invece gli autori hanno scelto una soluzione diversa, dotando lo scheletro di oro di una certa elasticità, che permette di accumulare una quantità di energia durante il moto verso il basso. Questa energia viene poi riconvertita nel moto delle pinne verso l'alto quando i cardiomiociti si rilassano. In una serie di test, il prototipo ha dimostrato di potersi muovere agilmente e in modo controllato lungo un percorso a ostacoli. |
Post n°2192 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
07 giugno 2016 Quando si sentono minacciate da un predatore solo parzialmente immerso, le anguille elettriche emergono dall'acqua, premono l'organo elettrico contro il bersaglio e liberano una scossa capace di stordire animali di grossa taglia. Una ricerca conferma il racconto, finora ritenuto di fantasia, fatto dal naturalista Alexander von Humbolt più di L'eccezionale capacità di difesa delle anguille elettriche (Electrophorus electricus ), note anche come elettrofori, è stata dimostrata da Kenneth C. Catania della Vanderbilt University a Nashville, che in un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences"conferma la veridicità di quanto riferì agli inizi del XIX secolo il grande naturalista ed esploratore Alexander von Humboldt . von Humbo. Di ritorno dalla sua spedizione in Sud America, nel 1807 Humboldt riferì sugli "Annalen der Physik" che gli era capitato di assistere a una battuta di pesca alle anguille di alcuni abitanti della regione fra l'Orinoco e i suoi affluenti Meta e Apuré. I pescatori, che montavano 30 cavalli, cercavano di catturare le anguille elettriche rimaste isolate in alcune pozze d'acqua. Invece di tentare la fuga, le anguille iniziarono a saltare fuori dall'acqua e ad attaccare i cavalli per colpirli con le loro scosse. Le anguille riuscirono a far annegare due cavalli, e stordirne a lungo diversi altri. Tuttavia, poiché mancavano dimostrazioni scientifiche di questo comportamento e di una simile potenza di scarica, per oltre 200 anni fu dato poco peso alla relazione del naturalista. Imbattutosi nel racconto, Catania, incuriosito, ha iniziato a studiare il comportamento delle anguille elettriche, scoprendo dapprima che questi animali ignorano la maggior parte degli oggetti che non conducono l'elettricità, il che - osserva il ricercatore - ha un senso, perché le cose viventi in genere conducono l'elettricità. Per contro, si avvicinano e aggrediscono i materiali molto conduttori anche se inerti, per esempio una rete metallica, scambiandoli per prede. di spostare con un'asta le anguille dalla vasca dell'acquario dove sono solitamente ospitate in quella usata per gli esperimenti, una di esse saltò addosso all'attrezzo liberando una scossa particolarmente forte. Negli esperimenti successivi, il ricercatore ha scoperto che quando l'anguilla è completamente sommersa, la potenza dei suoi impulsi elettrici si disperde in tutta la massa d'acqua e non può arrecare danni sensibili ad animali di una certa stazza. fuori dall'acqua, e l'organo di produzione della scarica (situato all'alteza del mento) è a diretto contatto con il bersaglio, la corrente elettrica passa viaggia attraverso di esso per tornare in acqua e arrivare alla coda dell'anguilla, chiudendo il circuito e provocando effetti molto più significativi. "Questo permette alle anguille di somministrare una scossa della massima potenza quando degli animali terrestri invadono il loro territorio rimanendo parzialmente immersi", ha detto Catania. Schema dell'esperimento. L'anguilla elettrica dall'acqua, aderisce con l'organo elettrico al predatore e libera una potente scarica elettrica. Inoltre, con questo comportamento le anguille elettriche che allevano i piccoli durante la stagione secca riescono a difendere con efficacia la loro prole. "sembra ragionevole supporre che abbia osservato un comportamento simile delle anguille elettriche il 19 marzo del 1800", ha detto Catania. |
Post n°2191 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Incontro ravvicinato con un fossile del Sistema SolareLa sonda New Horizon e Ultima Thule Redazione ANSA 17 maggio 201909:47 FOTORappresentazione artistica dell'Ultima Thule (fonte: NASA) © ANSA/Ansa Incontro ravvicinato della sonda New Horizons della Nasa con un fossile del Sistema Solare. Si trova nella fascia di Kuiper, ai confini del nostro sistema planetario, a circa 6,4 miliardi di chilometri dalla Terra, ed è rimasto incontaminato da almeno 4,5 miliardi di anni. I dettagli di questo incontro sono illustrati nello studio pubblicato sulla rivista Science. L'inquilino del Sistema Solare visitato dalla sonda New Horizons è 2014 MU69 Ultima Thule, il corpo celeste più lontano mai esplorato dall'uomo. L'incontro è avvenuto il giorno di Capodanno del 2019, ma i risultati di queste osservazioni ravvicinate sono stati pubblicati solo oggi. I dati mostrano un oggetto con un'orbita piuttosto stabile, lungo circa 32 chilometri e largo 16, con due lobi e appiattito. Come la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko della missione Rosetta. L'ipotesi degli esperti della Nasa è che Ultima Thule sia nato dalla collisione tra due piccoli corpi celesti avvenuta nelle prime fasi di formazione del Sistema Solare. Attorno a questo fossile cosmico non sono stati osservati oggetti come lune, anelli o nuvole di polveri. "Lo studio di corpi celesti come Ultima Thule è importante perché conservano indizi sulle origini del Sistema Solare", ha spiegato all'ANSA Andrea Longobardo, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) di Roma dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). "Trattandosi di corpi lontani, infatti, sono ancora piuttosto incontaminati: è come se vedessimo i mattoni crudi di un futuro edificio", ha chiarito l'esperto dell'Inaf. Dopo avere visitato Plutone nel 2015 restituendoci le prime immagini ravvicinate del pianeta nano, la sonda della Nasa ha proseguito il suo viaggio raggiungendo la fascia di Kuiper, una cintura popolata da piccoli corpi di ghiaccio che si trova oltre l'orbita di Nettuno. "I dati pubblicati oggi - ha concluso Longobardo - sono il 10% di quelli raccolti dalla sonda Nasa su Ultima Thule, che in futuro continuerà quindi a riservarci sorprese" |
Post n°2190 pubblicato il 23 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte Le Scienze Modificate con il taglia-incolla del Dna FOTOGrazie alla Crispr possibile cambiare orientamento al guscio delle lumache da destra a sinistra. (fonte: Dr Hiromi Takahashi of the Kuroda laboratory) © ANSA/ Piccole lumache con il guscio orientato in senso opposto a quello naturale sono state ottenute con la tecnica del taglia -incolla il Dna, la Crispr. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Development dal gruppo dell'Università di Tokyo coordinato da Masanori Abe e Reiko Kuroda. Secondo gli autori dello studio, si tratta di uno strumento concreto per esplorare le regole della simmetria della natura. I biologi giapponesi hanno applicato la tecnica della Crispr, scoperta nei batteri come strumento di difesa dall'infezione dei virus, per disattivare il gene Lsdia1 della lumaca d'acqua dolce Lymnaea stagnalis. Hanno, così, dimostrato che basta inattivare un singolo gene per ottenere piccole chiocciole con il guscio orientato a sinistra anziché a destra. "Ci ha sorpreso molto - ha spiegato Kuroda - osservare che queste lumache con il guscio orientato in senso opposto non solo erano in salute e fertili, ma l'alterazione del loro guscio si trasmetteva di generazione in generazione. Attualmente - ha rilevato - siamo alla quinta. Non è ancora chiaro come il singolo gene Lsdia1 regoli la costruzione e l'orientamento del guscio, ma lo studio - ha concluso Kuroda - potrà aiutarci a capire l'evoluzione di queste piccole lumache e, in generale, della simmetria nel regno animale". Messa a punto nel 2013 da due donne, Jennifer Doudna, dell'Università di Berkely, ed Emmanuelle Charpentier, dell'Università di San Francisco, la Crispr-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) è uno strumento che consente di tagliare il Dna in punti specifici, permettendo ai ricercatori di riscrivere intere sequenze del codice genetico. |
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