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Messaggi del 29/05/2019
Post n°2219 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Dio sconosciuto rinvenuto in Turchia: l'incredibile scoperta archeologica Un rilievo di un metro e mezzo scolpito sul basalto raffigurante un dio fino ad orasconosciuto, sta facendo interrogare gli archeologi di tutto il mondo da due anni. Si tratta di una figura maschile con una folta barba che emerge da un calice, contornato da foglie ed accompagnato da simboli che rimandano al mondo astrale. Una serie di elementi misteriosi ed inediti per l'epoca romana. Il ritrovamento è avvenuto nella regione di Gaziantep, all'estremo sud dell'Anatolia ed a pochi chilometri dalla Siria in un tempio dedicato a Giove Dolicheno: una struttura di oltre duemila anni sulla quale è stato costruito successivamente un monastero cristiano circondato da mura dell'Età del ferro. scoperta archeologica Fonte: University of Muenster Proprio a questa antichissima epoca potrebbe risalire il culto del dio sconosciuto. E' la posizione delle braccia e le caratteristiche della barba a rimandare ad un lontanissimo passato. Una misteriosa devozione che avrebbe resistito un secoli, fino all'arrivo dei Romani. Si tratta di una testimonianza preziosissima sulla religione delle popolazioni orientali, centinaia di anni prima di Cristo. Secondo una datazione comunemente accettata l'Età del ferro ha avuto inizio verso la fine del secondo millennio per terminare con l'avvento dell'Ellenismo nel 323 a.C. |
Post n°2218 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze L'eccezionale diversificazione delle forme di vita animale che oltre 500 milioni di anni fa caratterizzò la cosiddetta esplosione del Cambriano fu legata a fluttuazioni estreme dei livelli di ossigeno atmosferico che provocarono una serie di picchi evolutivi e di episodi di estinzione paleontologiaevoluzionebiodiversità La cosiddetta esplosione del Cambriano - il periodo in cui la Terra passò in breve tempo dall'essere popolata da organismi semplici e unicellulari a ospitare una multiforme varietà di forme di vita - fu legata a una serie di drastici aumenti e diminuzioni dei livelli di ossigeno. Nel corso di poco più di 13 milioni di anni queste variazioni estreme provocarono una rapida successione di diversificazioni di nuove specie - ossia una serie di quelle che sono dette "radiazioni" - e di estinzioni. Trilobite del periodo Cambriano. A dimostralo è stato uno studio effettuato da un gruppo internazionale di ricercatori coordinato da Graham A. Shields dello University College di Londra, che firmano un articolo
ossigeno ed esplosione cambriana era sospettata da molto tempo; finora però non era stato possibile dimostrarla a causa dell'assenza di qualsiasi registrazione diretta dell'ossigeno atmosferico durante quel lontano periodo geologico (fra 540 e 480 milioni di anni fa circa). gigante del generePhytophilaspis (Cortesia Andrey Zhuravlev, Lomonosov Moscow State University),Shields e colleghi sono ora riusciti a determinarli in modo indiretto analizzando gli isotopi di carbonio e zolfo presenti in campioni di rocce calcaree che un tempo costituivano i sedimenti del fondale di un antico mare poco profondo e che ora formano parte del bacino in cui scorrono i fiumi siberiani Lena e Aldan. "La piattaforma siberiana - spiega Benjamin Mills, dell'Università di Leeds e coautore dello studio - offre una finestra unica sui primi ecosistemi marini. Quest'area contiene oltre la metà di tutta la diversità fossile dell'esplosione del Cambriano attualmente conosciuta". modello matematico, i ricercatori sono risaliti all'andamento dei livelli di ossigeno durante quel periodo; in questo modo hanno prima osservato una serie di picchi e crolli d quell'elemento in atmosfera, poi hanno confrontato quelle variazioni con la quantità e varietà di fossili nei corrispondenti strati rocciosi, trovando una perfetta corrispondenza. In particolare Shields e colleghi hanno individuato un picco particolarmente intenso di ossigeno e di radiazione delle specie fra 524 e 514 milioni di anni fa, a cui è seguito un crollo e un'estinzione diffusa fra 514 e 512 milioni di anni fa. Secondo gli autori proprio questo andamento a "impulsi" dei livelli di ossigeno ha contribuito a una più vasta e complessa diversificazione delle forme di vita. |
Post n°2217 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 08 febbraio 2016 I discendenti dei cacciatori-raccoglitori sopravvissuti all'ultimo massimo glaciale in Europa furono in gran parte sostituiti da una popolazione di origine diversa circa 14.500 anni fa, in un periodo di grande instabilità climatica. Lo testimonia l'analisi genetica dei resti di individui dell'epoca scoperti in varie nazioni del Vecchio Continente(red) Circa 14.500 anni fa, in un periodo di grande instabilità climatica, la popolazione preistorica europea si è quasi completamente rinnovata. Lo testimoniano i resti di DNA di 35 cacciatori -raccoglitori che vissero tra 35.000 e 7000 anni fa nelle attuali Italia, Germania, Francia, Repubblica Ceca e Romania, analizzati in uno studio apparso sulla rivista "Current Biology" a firma di Cosimo Posth, dell'Università di Tubinga, in Germania, e colleghi di una collaborazione internazionale che include anche l'Università di Siena. della storia umana sconosciuto, in corrispondenza dell'ultimo massimo glaciale", ha spiegato Johannes Krause, coautore dello studio. "I dati relativi a quel periodo sono sempre stati scarsi, ed è per questo che si finora si sapeva assai poco sulla struttura e sulla dinamica delle prime popolazioni dell'uomo moderno in Europa". mitocondriale, materiale genetico che si trova negli organelli cellulari denominati mitocondri, che viene ereditato solo dalla madre e che può quindi essere usato per ricostruire le antiche discendenze matrilineari attraverso l'individuazione dei diversi aplogruppi, cioè le famiglie delle diverse varianti genetiche osservabili sui differenti cromosomi. tre individui, vissuti prima dell'ultimo massimo glaciale nella regione occupata attualmente da Belgio e Francia, appartenevano a uno specifico gruppo genetico, l'aplogruppo M, praticamente assente nelle popolazioni europee moderne ma molto comune nelle popolazioni moderne di asiatici, australasiani e nativi americani. Resti umani scoperti nel sito di Les Closeaux at Rueil-Malmaison, nei pressi di Parigi, utilizzati nello studio (Credit: L. Lang)Proprio sulla base dell'assenza dell'aplogruppo M in Europa e della sua presenza in altre parti del mondo, alcuni antropologi avevano ipotizzato che la colonizzazione dell'Eurasia e dell'Australasia da parte di popolazioni non africane fosse avvenuta a più riprese. dell'aplogruppo M in un antico ramo filogenetico materno europeo indica che tutti i non africani del mondo abbiano avuto origine dalla diaspora di un'unica popolazione avvenuta circa 50.000 anni fa. In seguito, l'aplogruppo M è apparentemente scomparso dal Vecchio Continente. glaciale, le popolazioni di cacciatori-raccoglitori si ritirarono verso sud, concentrandosi in alcune zone limitate: ne è risultato un 'collo di bottiglia' genetico che ha determinato la perdita di questo aplogruppo", ha aggiunto Posth. ricercatori è stata la prova di profondo rinnova- mento della popolazione europea avvenuto 14.500 anni fa, quando il clima iniziò a riscaldarsi. periodo di cambiamento climatico, i discendenti dei cacciatori-raccoglitori sopravvissuti all'ultimo massimo glaciale furono in gran parte sostituiti da una popolazione di origine diversa", ha sottolineato Adam Powell, autore senior dello studio. |
Post n°2216 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 28 maggio 2019 Le mutazioni del DNA spazzatura associate all'autismo Sono migliaia le mutazioni spontanee nel cosiddetto "junk DNA" che possono aumentare il rischio di autismo. La scoperta è avvenuta grazie a una tecnica di intelligenza artificiale che potrebbe essere applicata anche nella ricerca sui tumori e le malattie cardiovascolari autismointelligenza artificialegenetica Il genoma umano è costituito solo in minima parte da DNA codificante, cioè da geni che contengono le informazioni per sintetizzare le proteine utili al funzionamento dell'organismo. Il resto - il 98 per cento circa - era stato ribattezzato junk DNA, DNA spazzatura, perché tradizionalmente considerato inutile. Questa visione è cambiata in anni recenti, quando si sono accumulate sempre più prove che alcune parti di quel DNA hanno importanti ruoli di regolazione dell'espressione dei geni codificanti. una nuova ricerca pubblicata su "Nature Genetics" da Olga Troyanskaya della Princeton University, e colleghi, rivela ora che è proprio nel DNA spazzatura che possono insorgere mutazioni che aumentano il rischio di insorgenza di autismo. artificiale, l'apprendimento automatico, per analizzare i genomi di 1790 famiglie in cui è presente un figlio con un disturbo dello spettro autistico, che invece non si riscontra negli altri familiari. Si tratta di un campione di studio particolare, in cui, non essendo evidente un'ereditarietà del disturbo, si può concludere che la mutazione genetica è sorta in modo spontaneo nel soggetto. Science Photo Library RF / AGFIl risultato non sarebbe stato possibile senza l'apprendimento automatico, che procede effettuando analisi sempre più approfondite del genoma, fino a rivelare schemi d'interazione tra porzioni del DNA spazzatura e geni codificanti. di basi, i "mattoni elementari" che costituiscono la lunga catena della molecola di DNA, e verifica la sua relazione con un migliaio di coppie di basi vicine. Alla fine del processo, l'algoritmo produce una lista di sequenze di DNA che, con probabilità crescente, hanno una funzione di regolazione dei geni, e delle relative mutazioni in grado d'interferire con queste regolazioni: gli autori lo definiscono come una sorta di "punteggio d'impatto sul disturbo". potenzialità nelle ricerche in cui occorre una grande capacità di analisi massiccia del genoma, inarrivabile per le tecniche tradizionali. L'inconveniente è che non individua nuove cause genetiche precise dell'autismo o alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso, ma solo migliaia di possibili fattori in grado di alterare l'espressione dei geni nel cervello correlati al disturbo, come quelli coinvolti nello sviluppo o nella migrazione dei neuroni. interessanti prospettive di ricerca biomedica, non solo sull'autismo, ma anche in su tumori e patologie cardiovascolari. codificanti non ereditarie che causano una malattia o un disturbo complesso", ha commentato Troyanskaya. "Finora, il 98 per cento del genoma è stato trascurato: i nostri risultati permettono di guardare a questa porzione del DNA come a un terreno da esplorare". (red) |
Post n°2215 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Le Scienze 28 maggio 2019 Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione L'osservazione del comportamento dei plasmi che provocano i periodici brillamenti sul Sole ha permesso di ottenere dati preziosi per progettare i reattori a fusione nucleare L'enigmatico comportamento del plasma solare, che è all'origine dei periodici brillamenti del Sole, è stato tracciato per la prima volta ad alta risoluzione da un gruppo di ricerca franco-irlandese, che ne dà notizia in un articolo su "Nature Communications". Il risultato fornirà informazioni essenziali per la realizzazione di reattori nucleari a fusione che siano in grado di garantire una produzione di energia stabile e continua. energia nucleare molto diverso dalla fissione: non richiede combustibile altamente radioattivo e produce scorie inerti. Ma mentre i reattori a fissione si basano su una fisica consolidata, i reattori a fusione (o almeno quelli detti a confinamento magnetico) devono fare i conti con la fisica dei plasmi, un terreno in buona parte inesplorato. I brillamenti solari sono una conseguenza dei complessi moti dei plasmi nell'atmosfera del Sole (NASA/SDO)Il plasma - un fluido di atomi ionizzati ed elettroni che si forma ad altissima temperatura - è considerato il "quarto stato" della materia (accanto a quello solido, liquido e gassoso), e si distingue per il comportamento particolarmente complesso dei suoi costituenti, che possono interagire fra loro a distanze molto superiori di quanto accada in un gas. si trova allo stato di plasma, che è estremamente difficile da studiare perché sulla Terra le condizioni che ne permettono la formazione, come i fulmini, sono rare. Anche i laboratori appositamente allestiti per studiare il plasma riescono a riprodurre solo alcune delle condizioni in cui esso si forma, ma non quelle estreme, in cui il comportamento di questo stato della materia può cambiare in modi non ancora compresi. Carley e i suoi colleghi del TrinityCollege di Dublino dell'Osservatorio di Parigi sono riusciti a sfruttare analizzando i dati raccolti dalla sonda Solar Dynamics Observatory della NASA. In particolare, i ricercatori sono stati in grado di monitorare con un'alta risoluzione temporale e spaziale le pulsazioni delle emissioni luminose e radio prodotte dal plasma. L'interno del Joint European Torus (JET), il più grande reattore a fusione nucleare a confinamento magnetico finora costruito (EUROfusion)Questi dati sono essenziali per comprendere i cosiddetti fenomeni di instabilità del plasma contro cui combattono gli scienziati e gli ingeneri alle prese con la creazione di impianti di fusione nucleare. Gallagher, coautore dello studio. "Non appena il plasma inizia a generare energia, un processo naturale blocca la reazione. Da un lato questo rappresenta un interruttore di sicurezza intrinseco: nei reattori a fusione non si possono innescare reazioni fuori controllo; ma significa anche che è difficile mantenere in uno stato stabile per la produzione di energia. Studiando come i plasmi diventano instabili sul Sole, possiamo imparare a controllarli sulla Terra." (red) |
Post n°2214 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 23 maggio 2019 Dal 2013 i livelli atmosferici dei CFC, ovvero gas che distruggono lo strato di ozono, sono tornati ad aumentare nonostante la loro messa al bando in tutto il mondo. Una parte consistente di queste nuove emissioni illegali proviene da province della Cina orientale Dal 2013, le emissioni annuali di clorofluorocarburi (CFC) - una delle più importanti classi di molecole che distruggono lo strato di ozono che ci protegge dalle radiazioni ultraviolette del Sole - il cui uso è vietato dal Protocollo di Montreal, sono aumentate in modo inaspettato. L'immissione in atmosfera di questi gas proviene in buona pare da alcune regioni della Cina orientale. A documentarlo è uno studio effettuato da un gruppo internazionale di ricercatori diretto da Matt Rigby dell'Università di Bristol, e pubblicato su "Nature", che ha in particolare tracciato il CFC-11, uno dei clorofluorocarburi in passato più diffusi. discesa in seguito agli accordi internazionali per una loro progressiva messa al bando. Le analisi dei dati registrati da varie reti di monitoraggio sparse per il mondo hanno però mostrato che dal 2013 c'è stato un nuovo inaspettato rialzo, indice che da qualche parte erano riprese emissioni illegali di questo composto, un tempo ampiamente usato come fluido di refrigerazione nei frigoriferi e come schiumogeni negli isolati degli edifici. Il confronto fra le emissioni di CFC in Cina orientale nel periodo 2008-2012 (sinistra) e 2014-2017 (destra) indica un netto aumento. Per escludere che l'aumento fosse realmente dovuto a una nuova produzione, ha spiegato Rigby, "abbiamo esaminato le stime sulla quantità di CFC-11 che potrebbe essere inglobato in schiume isolanti in edifici o frigoriferi prodotti prima del 2010, ma le quantità erano troppo piccole per spiegare il recente aumento". allestire una nuova rete di rilevazione; le centraline di quella usata fino ad allora erano collocate in punti molto lontani dalle possibili fonti di emissione, proprio per essere sicuri di rilevare le concentrazioni medie globali di CFC-11. L'analisi dei dati provenienti dalla nuova rete - che copre diverse aree parti di Nord America, Europa, Australia meridionale , Corea e Giappone - ha ora mostrato che dal 40 al 60 per cento delle nuove emissioni, pari a circa 7000 tonnellate all'anno di gas, proviene dalla Cina orientale, e in particolare dalle province di Shandong e di Hebei. Per l'individuazione dei responsabili specifici bisognerà chiedere la collaborazione diretta delle autorità cinesi, che peraltro proprio di recente hanno individuato e chiuso alcuni impianti di produzione illegali. anche in altri paesi o nelle regioni più occidentali della Cina, tutte aree troppo lontane dagli attuali punti di monitoraggio della rete di monitoraggio. specie nei paesi in via di sviluppo, ma quel che è peggio, osservano i ricercatori, è che "probabilmente abbiamo rilevato solo una parte del totale dei CFC prodotti. Il resto potrebbe essere incluso in edifici e refrigeratori e verrà rilasciato nell'atmosfera nei prossimi decenni", ritardando il tempo necessario allo strato di ozono e al "buco" dell'ozono antartico per riprendersi. (red) |
Post n°2213 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 18 dicembre 2009 I primi cereali di Homo sapiens Scoperte le più antiche testimonianze del consumo di cereali selvatici della storia. Questi dati archeologici sono in accordo con altri rinvenuti in ogni parte del mondo, risalenti alla fine dell'ultima Era glaciale, circa 12.000 anni fa. In questo caso però i reperti sono datati all'inizio di quell'era, cioè a circa 90.000 anni prima(red) archeologiaantropologiaalimentazione Il consumo di cereali selvatici tra le popolazioni di cacciatori e raccoglitori potrebbe essere molto più antica di quanto ritenuto finora, stando a una recente ricerca dell'Università di Calgary, in Canada, nell'ambito della quale gli archeologi hanno trovato il più antico esempio di dieta basata in buona parte su cereali e radici in una popolazione di Homo sapiens più di 100.000 anni fa. archeologia dell' Università di Calgary ha recuperato infatti decine di strumenti di osso in una profonda grotta in Mozambico che mostra come il sorgo selvatico, antenato del principale cereale consumato tutt'oggi nell'Africa sub-sahariana per produrre farina, pane, pappe e bevande alcoliche era presente nella "dispensa" di Homo sapiens insieme con palma, falsa banana (Enset ventricosum), il legume della specie Cajanus cajan e la patata africana.Si tratta della prima e più antica diretta evidenza di cereali pre-domesticati ovunque nel mondo. dei semi da parte delle specie umane e rappresenta una prova di una dieta estesa e sofisticata molto prima di quanto ritenuto", ha spiegato Mercader. "Ciò avvenne durante l'Età della pietra quando la raccolta di cereali selvatici è stata percepita come attività irrilevante se non altrettanto importante di radici, frutti e frutta secca." effettuarono alcuni scavi nella grotta di calcare nei pressi del Lago Niassa che venne utilizzata in modo intermittente da antichi raccoglitori nel corso di 60.000 anni. Nel fondo della grotta, i ricercatori hanno scoperto decine di strumenti di osso, ossa animali e resti di piante, tutti segni indicativi di pratiche alimentari preistoriche. La scoperta di diverse migliaia di particelle di amido e di strumenti per raschiare e molare il sorgo selvatico dimostrano come tale cereale venisse portato nella grotta e lavorato in modo sistematico. passo cruciale nell'evoluzione umana, poiché migliorò la qualità della dieta nelle savane e nelle foreste africane, in cui si è evoluta la prima linea di esseri umani moderni", ha commentato Mercader. "L'inclusione dei cereali nella nostra dieta è considerato un passo importante in virtù della complessità tecnica della manipolazione culinaria richiesta per convertire i cereali in alimenti." in accordo con altre dello stesso tipo rinvenute in ogni parte del mondo, durante gli ultimi stadi dell'ultima Era glaciale, approssimativamente 12.000 anni fa. In questo caso i reperti sono datati all'inizio dell'Era Glaciale, cioè a circa 90.000 anni prima. |
Post n°2212 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 23 ottobre 2018 Acqua salata e ossigeno, gli ingredienti per la vita su Marte Nuovi calcoli e simulazioni hanno dimostrato che l'ossigeno molecolare disciolto nell'acqua salmastra che si trova sulla superficie del Pianeta Rosso è sufficiente a supportare la presenza di batteri aerobici o, in alcuni casi, di animali semplici come le spugne(red) In varie regioni della superficie di Marte, e più spesso negli strati sotterranei meno profondi, si trova acqua salmastra, come hanno documentato nel 2015 le analisi dei dati della sonda Curiosity della NASA. da un gruppo di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory del California Institute of Technology di Pasadena, guidati da Vlada Stamenkovic, ha dimostrato che questa acqua salmastra è in grado di contenere una quantità di ossigeno molecolare sufficiente a sostenere la vita di batteri aerobici e, in alcuni casi, di animali semplici come le spugne. Vista globale della superficie di Marte ottenuta componendo circa 100 immagini catturate dalla sonda Viking Il risultato è un ulteriore, importante passo avanti per arrivare a chiarire se e come il Pianeta Rosso può ospitare qualche forma di vita, o possa averlo fatto nel suo lungo passato. metabolismo basato sulla respirazione aerobica, che è la più efficiente tra quelle note (le forme di respirazione anaerobica sono riservate a rare specie di batteri e funghi). Per vivere, gli organismi multicellulari hanno bisogno di un'atmosfera ricca di ossigeno, come quella terrestre, in cui questo gas raggiunge una percentuale del 21 per cento circa in volume grazie al processo di fotosintesi clorofilliana dei vegetali. nell'atmosfera, che ha una pressione di 6,1 millibar, cioè appena 6 millesimi circa di quella terrestre. E le misurazioni condotte da Terra e con i rover che hanno percorso la superficie del Pianeta Rosso indicano che l'ossigeno vi si trova solo in tracce, per effetto della dissociazione dell'anidride carbonica prodotta dalla radiazione solare. attenzione, ma ora le cose sono cambiate per diversi motivi. Il primo è la scoperta di brine sulla superficie di Marte, che occasionalmente può dare vita a flussi di acqua liquida, ricca di sali. Il secondo è che alcuni studi hanno provato che la concentrazione di ossigeno nei liquidi in grado di sostenere forme di vita è inferiore di quella stimata finora. per calcolare la quantità di ossigeno molecolare che può essere disciolto in salamoie liquide composte di sale e acqua in varie condizioni di pressione e temperatura che si possono trovare sulla superficie di Marte o poco al di sotto di essa. sono particolarmente elevate nelle regioni polari. Inoltre, alcuni dei depositi di acqua salmastra nel sottosuolo marziano potrebbero contenere abbastanza ossigeno per supportare la vita aerobica. Questi risultati possono anche spiegare in che modo potrebbero essersi formate le rocce ossidate viste dai rover durante l'esplorazione della superficie di Marte. |
Post n°2211 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 30 gennaio 2019 Un piccolo testimone della formazione del sistema solare Nella remota fascia di Kuiper, oltre i confini dell'orbita di Nettuno, è stato individuato per la prima volta un asteroide con un diametro di appena 1,3 chilometri. La presenza in quella regione del sistema solare di corpi celesti così piccoli, che risalgono alle prime fasi di formazione dei pianeti, era stata prevista 70 anni fa, ma finora la loro ricerca era andata a vuoto(red) Un asteroide di appena 1,3 chilometri di diametro è stato scoperto per la prima volta nella fascia di Kuiper, agli estremi margini del sistema solare. La scoperta, illustrata su "Nature Astronomy", suggerisce che oggetti di dimensioni analoghe o poco superiori - risalenti all'inizio dell'epoca di formazione dei pianeti - siano molti di più di quanto si credesse. Raffigurazione artistica del corpo celeste appena scoperto. La fascia di Kuiper è un insieme di piccoli corpi celesti situati oltre l'orbita di Nettuno, fra i quali si annovera anche Plutone, dopo il suo declassamento, nel 2006, da pianeta a pianeta nano.
che anche quei corpi siano residui della fase di formazione del sistema solare, quando, aggregandosi in gran numero, diedero origine ai pianeti. stati alterati dal costante bombardamento di radiazioni provenienti dal Sole e dalle frequenti collisioni, quelli della fascia di Kuiper - sparsi in un volume di spazio immenso e lontani dal Sole - devono essere rimasti sostanzialmente nelle condizioni originarie. l'esistenza di oggetti di diametro compreso fra uno e pochi chilometri oltre l'orbita di Nettuno, oggetti però troppo piccoli e poco visibili per essere osservati direttamente anche dai telescopi più potenti. Giappone, e colleghi sono ora riusciti a scoprirne uno ricorrendo a un metodo indiretto, detto delle occultazioni, che misura la variazione della luce proveniente da una stella quando un oggetto passa davanti a essa. Usando solo due piccoli telescopi e monitorando 2000 stelle per 60 ore, i ricercatori sono riusciti a individuare un evento di occultazione coerente con il passaggio davanti a una stella di un oggetto di 1300 metri di diametro. di osservazione, osservano gli autori, le probabilità di registrare un evento simile sembravano molto basse. Il successo dell'impresa suggerisce quindi che il numero di corpi celesti di quelle dimensioni sia molto superiore a quello finora stimato. progetti. Il nostro team aveva meno dello 0,3 per cento del budget dei grandi progetti internazionali, eppure siamo riusciti a fare una scoperta che non era riuscita a progetti ben più grandi. Ora che sappiamo che il nostro sistema funziona, studieremo più in dettaglio la fascia di Kuiper, ma abbiamo gli occhi puntati anche sulla Nube di Oort". |
Post n°2210 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 30 giugno 2017 Nel più antico sito monumentale neolitico, quello di Göbekli Tepe, vicino al confine turco con la Siria, sono stati rinvenuti dei crani che portano tracce di incisioni, fori e pitture. Queste alterazioni intenzionali probabilmente erano legate al culto degli antenati o alla credenza di poter acquisire particolari capacità del defunto(red) A Göbekli Tepe, un sito archeologico nella Turchia sud- orientale famoso perché nel 1995 vi fu scoperto il primo complesso monumentale megalitico, datato fra il 9600 e l'8000 a.C., sono state ritrovate le prove dell'esistenza di un "culto dei teschi" risalente agli inizi del Neolitico. Le analisi di una serie di crani che hanno portato a questa conclusione sono state condotte da ricercatori dell'Istituto archeologico tedesco di Berlino, che firmano un articolo Veduta aerea di Göbekli Tepe. Gli studi antropologici registrano numerosi casi di culto dei teschi, che possono essere venerati per vari motivi, dal culto degli antenati alla credenza nella trasmissione di particolari abilità del defunto al vivente. Questo culto può assumere forme diverse, dalla deposizione dei teschi in luoghi speciali, alla loro decorazione con diversi colori fino alla ricostruzione dei tratti del volto con la malta. Pilastro di un edificio di Göbekli Tepe.Non è chiaro se Göbekli Tepe fosse un complesso di templi, come ritiene la maggioranza degli archeologi, o di un insediamento anche abitativo, come suggerito da altri, ma gli scavi condotti a Göbekli Tepe finora non hanno portato alla luce alcuna tomba. umane, gran parte delle quali (408 su 691) sono frammenti di ossa del cranio. La frammentazione dei crani e le tracce e scalfitture presenti su di essi finora erano stati attribuiti a processi di degradazione naturali, tanto più che tutto il sito era stato ricoperto con terra e sassi fino a formare una vera e propria collina artificiale. colleghi ora hanno identificato in tre crani parziali delle profonde incisioni praticate con utensili litici, dimostrandone cosi l'origine intenzionale. Ulteriori analisi hanno escluso che le incisioni fossero una conseguenza secondaria di un'asportazione dello scalpo. Uno dei crani, inoltre, mostra anche un foro nell'osso parietale sinistro e residui di ocra rossa. forse adornati, per venerare gli antenati o per esibire nemici uccisi. |
Post n°2209 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 30 maggio 2017 Dal genoma delle mummie la storia degli antichi Egizi 30/05/2017 L'analisi del DNA ricavato da mummie egizie mostra che il flusso genetico proveniente dalle popolazioni sub-sahariane presente nella popolazione odierna è piuttosto recente. Le precedenti, floride colonie greche e romane in Egitto non sembrano invece aver lasciato una traccia apprezzabile di sé(red) Gli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola anatolica e dell'Europa. Nel genoma degli egiziani di oggi si trovano invece chiare tracce di significative interazioni con popolazioni sub-sahariane, del tutto assenti negli egizi del tempo dei faraoni. di Tübingen e del Max Planck Institut per la scienza della storia umana a Jena, che sono riusciti a sequenziare il genoma mitocondriale e nucleare tratto da antiche mummie. La ricerca è descritta in un articolo su "Nature Communications". ricavato da mummie egizie, gli autori osservano che si tratta dei primi risultati veramente affidabili, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche di sequenziamento e all'uso sistematico di test di autenticità per garantire l'origine effettivamente antica dei dati ottenuti. e alcune delle sostanze chimiche usate nelle tecniche di mummificazione contribuiscono al degrado del DNA. Si riteneva quindi che fosse improbabile la sopravvivenza a lungo termine del DNA nelle mummie egiziane", spiega Johannes Krause, coautore dello studio. musei di Tübingen e Berlino, i ricercatori sono riusciti a estrarre e sequenziare il genoma mitocondriale di 90 individui e quello nucleare di tre. Ricostruzione artistica del sito di Abusir (Heritage / AGF) Le mummie prese in esame coprono un lasso di tempo di circa 1300 anni, e provengono tutte dal sito di di Abusir el-Meleq, nel Medio Egitto. popolazioni di Abusir el-Meleq vissute in epoca pre-tolemaica (prima del 332 a.C.), tolemaica (fra il 332 e il 30 a.C.) e romana (successiva al 30 a.C.), indicando che a dispetto della notevole influenza culturale e politica esercitate nel periodo più tardo da greci e romani, il loro contributo genetico alla popolazione egizia fu trascurabile. genetico dell'immigrazione greca e romana sia stato più pronunciato nel Delta nord-occidentale del Nilo, nella regione di Fayum, dove risiedeva un'importante colonia greco-romana, oppure tra le classi più alte della società egizia. della politica di Roma di ostacolare i matrimoni fra romani e locali. Sposandosi con un cittadino romano, si acquisiva infatti la cittadinanza romana, ambita per i privilegi che comportava. Sarcofago proveniente dal sito di Abusir Steiss)I dati suggeriscono anche che il flusso genetico dalle regioni sub-sahariane - che nella popolazione egiziana attuale costituisce l'8 per cento del genoma - si è verificato ben più tardi. All'origine della mescolanza - ipotizzano i ricercatori - vi fu forse il miglioramento della mobilità lungo il Nilo, l'aumento dei commerci su lunga distanza tra l'Africa sub-sahariana e l'Egitto e ancor più, la tratta degli schiavi lungo le vie carovaniere che attraversano il Sahara e che iniziò solo 1300 anni fa. |
Post n°2208 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 28 aprile 2017 Una tecnica innovativa è riuscita a identificare DNA di specie umane estinte da sedimenti di siti archeologici in cui erano assenti resti fossili. Il risultato permetterà di individuare la presenza di antichi gruppi umani dove non è possibile stabilirla con le tecniche attuali(red) antropologiaarcheologiagenetica DNA di uomini di Neanderthal e di Denisova è stato rinvenuto nei sedimenti di quattro siti archeologici contenenti reperti attribuibili a questi nostri antichi cugini, dei quali però non c'è traccia sotto forma di resti fossili. La scoperta è opera di ricercatori del Max- Planck-Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia in collaborazione con studiosi di altri centri di ricerca, ed è illustrata in un articolo pubblicato su "Science". contengono strumenti e altri manufatti sono numerosi, tuttavia i resti scheletrici degli antichi umani sono rari, rendendo difficile e lacunosa la ricostruzione dei loro spostamenti e delle relazioni fra i diversi gruppi. La grotta di El Sidrón, in Spagna. (Cortesia Joan Costa / CSIC)La possibilità di analizzare i sedimenti in cerca di DNA antico aiuterà quindi a completare la mappa degli i nsediamenti umani del remoto passato, e a identificare le regioni in cui le diverse specie umane possono avere convissuto, e interagito. mente importante per l'uomo di Denisova, finora identificato in una sola grotta sui Monti Altai, nella Siberia meridionale, ma di cui persistono tracce genetiche in popolazioni odierne, suggerendo che un tempo questa specie fosse diffusa in molte regioni dell'Asia. Ma non si sa esattamente dove e quando. tracce, nei sedimenti antichi è nota dal 2003, quando il genetista danese Eske Willerslev è riuscito a sequenziare parte dei genomi di antichi mammut, cavalli e piante rilevati in sedimenti prelevati non solo dal freddo permafrost, ma anche in grotte situate in regioni dal clima temperato. Finora tuttavia non si era riusciti a trovare il modo per distinguere le sequenze umane antiche dalle possibili contaminazioni dei campioni con materiale biologico umano moderno. e colleghi sono riusciti a sviluppare una "sonda" genetica costruita su frammenti di DNA mitocondriale, ovvero il DNA che è presente solo negli organelli mitocondri delle cellule, che permette di filtrare i possibili contaminanti attribuibili a esseri umani odierni e isolare così i frammenti antichi. in sette siti archeologici in Belgio, Croazia, Francia, Russia e Spagna, che coprono un intervallo di tempo compreso fra 14.000 e 550.000 anni fa. siti di Trou Al'Wesse in Belgio, El Sidrón in Spagna, Chagyrskaya in Russia e Denisova, sempre in Russia - contenevano DNA mitocondriale di uno o più Neanderthal, specie umana scomparsa circa 40.000 anni fa, mentre uno conteneva DNA dell'uomo di Denisova, vissuto tra 70.000 e 40.000 anni fa, per quel poco che ne sanno i ricercatori. individuare la presenza di gruppi di antichi umani nei siti e nelle aree in cui non è possibile stabilirla con altri metodi", ha detto Pääbo, coautore dello studio. "Questo dimostra che l'analisi dei DNA dei sedimenti è una procedura archeologica molto utile, che in futuro potrà diventare di routine". |
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