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Messaggi del 02/11/2020

In memoria di Sean Connery

Post n°3297 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

L'articolo di seguito riportato è dedicato

a Sean Connery, un famosissimo attore che

interpretò un ruolo da protagonista nel film 

"Il nome della rosa", tratto dall'omonimo romanzo,

scritto dal grandissimo scrittore e semiologo

Umberto Eco.

Connery è venuto a mancare da qualche giorno

e il presente articolo vuole commemorarne la 

splendida attività artistica nel cinema che ha 

regalato momenti indimenticabili alle persone

amanti del genere letterario chiamato arte 

cinematografica.

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3296 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Il nome della rosa

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il nome della rosa è un romanzo scritto da 

Umberto Eco ed edito per la prima volta da 

Bompiani nel 1980.

Già autore di numerosi saggi, il semiologo decise

di scrivere il suo primo romanzo, cimentandosi

nel genere del giallo storico e in particolare del 

giallo deduttivo.

Tuttavia, il libro può essere considerato un

incrocio di generi, tra lostorico, il narrativo e

il filosofico.

L'opera, ambientata sul finire dell'anno 1327,

si presenta con un classicoespediente letterario,

quello del manoscritto ritrovato, opera, in

questo caso, di un monaco di nome Adso da Melk,

che, divenuto ormai anziano, decide di mettere

su carta i fatti notevoli vissuti da novizio, molti

decenni addietro, in compagnia del proprio

maestro Guglielmo da Baskerville.

La vicenda si svolge all'interno di un monastero 

benedettino di Santa Scolastica, ed è suddivisa

in sette giornate, scandite dai ritmi della 

vita monastica.

Il romanzo ha ottenuto un vasto successo di critica

e di pubblico, venendo tradotto in oltre 40 lingue

con oltre 50 milioni di copie vendute in trent'anni.

 Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui

il Premio Strega del 1981, ed è stato inserito nella

lista de "I 100 libri del secolo di Le Monde".

Dal romanzo sono state tratte diverse trasposizioni,

tra cui se ne segnalano due: l'omonimo film del 1986,

diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery

Christian Slater e F. Murray Abraham;

l'omonima miniserie del 2019, diretta da Giacomo Battiato,

con John TurturroDamian Hardung e Rupert Everett.

Nel maggio del 2020, la casa editrice

 La Nave di Teseo, fondata dallo stesso Eco,

pubblica una versione del romanzo arricchita coi

disegni e gli appunti preparatori dell'autore.

Trama

«Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani

un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d'après l'édition de Dom J. Mabillon

 (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842)»

(Umberto Eco, Incipit della prefazione a Il nome della rosa1980)

Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante

un soggiorno all'estero il manoscritto di un monaco

benedettino riguardante una misteriosa vicenda

svoltasi in età medievale in un'abbazia sulle Alpi

piemontesi.

Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo

su qualche quaderno di appunti prima di interrompere

i rapporti con la persona che gli aveva messo

il manoscritto tra le mani.

Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo

portò a recuperare alcune conferme, oltre alle parti

mancanti del testo, l'autore passa quindi a narrare

la vicenda di Adso da Melk.

Gli omicidi nell'abbazia

È la fine di novembre del 1327. Guglielmo da

Baskerville, un frate francescano inglese, e Adso

da Melk, suo allievo, si recano in un monastero

 benedettino di regola cluniacense sperduto sui

monti dell'Italia settentrionale.

Questo monastero sarà sede di un delicato

convegno che vedrà protagonisti i francescani -

sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati

dell'imperatore Ludovico - e i delegati della 

curia papale di Papa Giovanni XXII, insediata

a quei tempi ad Avignone.

I due religiosi(Guglielmo è francescano e 

inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è

un novizio benedettino) si stanno recando in

questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato

dall'imperatore di partecipare al congresso quale

sostenitore delle tesipauperistiche.

Allo stesso tempo, l'abate, timoroso che l'arrivo

della delegazione avignonese possa ridimensionare

la propria giurisdizione sull'abbazia e preoccupato

che l'inspiegabile morte del giovane confratello

Adelmo durante una bufera di neve possa far

saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa

su di lui, decide di confidare nelle capacità

inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul

tragico omicidio, cui i monaci tra l'altro attribuiscono

misteriose cause soprannaturali.

Nel monastero circolano infatti numerose credenze

circa la venuta dell'Anticristo.

Nonostante la quasi totale libertà di movimento

concessa all'ex inquisitore, un altro monaco viene

ucciso: si tratta di Venanzio, giovane monaco

traduttore dal greco e amico di Adelmo.

Un personaggio su cui si vociferano malignità è l'aiuto

bibliotecario Berengario, troppo succube del bibliotecario

Malachia.

Grasso e minato nella salute (soffre di convulsioni),

pecca anche di sodomia concupendo i giovani monaci

e scambiando favori sessuali con libri proibiti.

Guglielmo ipotizzerà infatti che è proprio a causa

di questo scambio che Adelmo si toglie la vita, non

prima di aver rivelato a Venanzio del libro e

come trovarlo.

Guglielmo sospetta sin dall'inizio e man mano

si convince sempre più che il segreto dietro tutte

le morti sia da cercare nella lotta di potere all'interno

dell'abbazia ed in un libro misterioso nascosto

nella biblioteca, vanto del monastero (costruita

come un intricato labirinto a cui hanno accesso

solo il bibliotecario e il suo aiutante).

Durante le indagini sulla morte di Adelmo e Venanzio,

infatti, Guglielmo trova su un frammento di pergamena

delle scritte fatte da due mani diverse, una in greco

(che riconduce ad uno "strano" libro) ed una in

latino (la chiave per entrare nel Finis Africae,

settore della biblioteca in cui è custodito il libro,

che riporta la frase: "Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor"). Guglielmo conclude che

Venanzio ricevette questo brandello di pergamena

da Adelmo quando lo incontrò mentre vagava tra

le tombe nel cimitero per andare incontro al suo

destino.

La notte dopo Venanzio si reca in biblioteca e riesce a

recuperare il libro. Trovatolo morto nello scriptorium, un

misterioso monaco (che si scoprirà poi essere Berengario)

- per allontanare lo scandalo dalla biblioteca - si carica il

cadavere in spalla e lo scarica nell'orcio pieno di sangue

dei maiali.

 

Mappa della biblioteca

Quella stessa mattina, convinti di dar la caccia a un

libro in greco, né Adso né Gugliemo prestano

attenzione ad un libro scritto in arabo e su diversi tipi

di pergamena che si trova sul tavolo di Venanzio.

Quello stesso libro viene quindi recuperato di notte

dall'aiuto bibliotecario Berengario, che sottrae anche

le lenti da vista di Guglielmo. Guglielmo e Adso

entrano nella biblioteca, ma non sapendo né come

orientarsi né cosa cercare rischiano di perdersi nel

labirinto, ma riescono fortuitamente ad uscirne.

Il mattino successivo anche Berengario risulta sparito

e si ritroverà solo a sera, morto, nei balnea.

All'autopsia, anche Berengario ha la punta delle

dita e della lingua nere.

Nel monastero sono presenti anche due ex

appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario

Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che

parla una strana lingua fatta da un mix di latino,

spagnolo, italiano, francese, inglese.

Remigio intrattiene un commercio illecito con una

povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori

sessuali riceve cibo dal cellario.

Anche il giovane Adso, una notte, per una serie di

circostanze, fa la conoscenza della ragazza nelle

cucine dell'edificio.

Adso scopre i piaceri dei sensi e nutre per la ragazza

un misto di amore e preoccupazione.

Confessata pudicamente a Guglielmo la sua avventura,

questi gli dice che il fatto non dovrà più ripetersi ma

che non si tratta di un peccato così grave se

paragonato a quelli che stanno avvenendo nell'abbazia

sotto i loro occhi.

L'indagine di Guglielmo è interrotta dall'arrivo della

delegazione papale.

L'inquisitore Bernardo Gui trova la fanciulla insieme a

Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo

nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare,

per accusare entrambi di essere cultori di riti satanici.

Dopo esser riuscito a ottenere una confessione

dal povero Salvatore, che ammette il suo passato

di dolciniano, Bernardo Gui processa e condanna

fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli

inoltre colpevoli delle morti avvenute nel

monastero.

All'elenco delle morti, infatti si sono aggiunti l'erborista

Severino da Sant'Emmerano - che fino ad allora aveva

aiutato Guglielmo con le sue conoscenze sulle erbe -

e, il giorno seguente, il bibliotecario Malachia da

Hildesheim che stramazza a terra morto nel mezzo

dell'ufficio delle letture di Mattutino.

Guglielmo ricostruisce l'accaduto: Berengario ha disob-

bedito per la prima volta a Malachia ed invece di

consegnargli il libro misterioso lo ha letto.

Tormentato dal veleno, si è recato in erboristeria per

cercare delle erbe lenitive per fare il bagno, ha nascosto

il libro in erboristeria ed è poi morto nei balnea.

Severino ha trovato il libro, cerca di avvertire Guglielmo

impegnato nella disputa teologica sul tema della povertà

 dellaChiesa cattolica, ma viene intercettato da Malachia,

che lo uccide.

Ma nemmeno Malachia riconosce il libro, lo trova

invece Bencio, che lo nasconde.

Quando Malachia gli propone di diventare il nuovo aiuto

bibliotecario, Bencio gli restituisce il libro.

Anche Malachia legge il libro invece di rimetterlo

al suo posto e per questo trova la morte.

Morendo mormora "aveva il morso di mille scorpioni".

Bencio è un ambizioso: ha desiderato il posto da

bibliotecario e ha nascosto informazioni a Guglielmo,

ma adesso è disperato e non sa cosa fare.

Guglielmo lo rimprovera aspramente e gli consiglia

di non fare niente se vuole aver salva la vita.

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3295 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

La lotta di potere all'interno

dell'abbazia e la genealogia

dei bibliotecari e degli abati

Guglielmo e Adso hanno modo di parlare con tutti i monaci

dell'abbazia.

In particolare i colloqui con il mastro vetraio Nicola da

Morimondo e con il vecchio Alinardo da Grottaferrata

risultano molto interessanti.

Molti monaci sono scontenti per il modo in cui l'abbazia

viene guidata.

Si maligna su Abbone, divenuto abate perché figlio di un

feudatario e non per meriti religiosi se non quello di essere

riuscito a calare il corpo di San Tommaso d'Aquino dalla

torre dell'abbazia di Fossanova (dove l'Aquinate effettivamente

morì).

Durante lo stesso colloquio con Nicola da Morimondo,

Guglielmo scopre che la nomina ad abate di Abbone ha sconvolto

le tradizioni due volte: innanzi tutto perché non era stato

bibliotecario e poi perché aveva nominato bibliotecario un tedesco

(Malachia), che si era scelto come aiuto un inglese (Berengario),

scontentando gli italiani che erano legati alla tradizione di

avere bibliotecari (e quindi abati) italiani. All'arrivo di Nicola

da Morimondo all'Abbazia, infatti, Abbone era già abate ma

il bibliotecario era Roberto da Bobbio ed i confratelli anziani

vociferavano di uno sgarbo subito in passato da Alinardo da

Grottaferrata a cui era stata negata la dignità di bibliotecario.

Roberto da Bobbio aveva un aiutante che era poi morto e al suo

posto era stato nominato Malachia che, divenuto bibliotecario,

aveva eletto Berengario come suo aiuto.

Era voce comune tra i monaci dell'Abbazia che Malachia fosse uno

sciocco che faceva il cane da guardia all'abbazia senza aver capito

nulla.

Infatti chi aveva bisogno di consigli circa i libri, chiedeva a Jorge e

non a Malachia, tanto che a molti sembrava che fosse Jorge a dirigere

il lavoro di Malachia.

Guglielmo apprende che - secondo la regola benedettina - il bibliotecario

è il candidato naturale a diventare abate.

Prima di Abbone l'abate era Paolo da Rimini, prima ancora bibliotecario

e lettore voracissimo ma incapace di scrivere e pertanto soprannominato

 abbas agraphicus e Roberto da Bobbio era il suo aiuto.

Quando Paolo diventa Abate, Roberto diventa bibliotecario, ma è già malato.

Paolo da Rimini scompare durante un viaggio e pertanto viene nominato

abate Abbone e non Roberto da Bobbio.

Nicola è convinto che Berengario e Malachia siano stati uccisi proprio

perché un domani non diventassero abati e pertanto conclude che anche

Bencio - essendo straniero - è in pericolo se Abbone lo nominerà

bibliotecario.

La biblioteca ha un catalogo su cui sono riportati, dal bibliotecario o

dall'aiuto, tutti i libri che transitano dall'abbazia.

Consultandolo,Guglielmo rintraccia il susseguirsi degli abati e dei

bibliotecari attraverso le loro calligrafie.

Di chi è la calligrafia che riporta le acquisizioni al posto di Paolo da

Rimini che non poteva scrivere? e allora capisce che l'aiuto bibliotecario

di Roberto da Bobbio - che Nicola aveva ipotizzato essere morto -

in realtà non è morto.

Nel colloquio successivo con Bencio si scopre che il libro che stanno

cercando è strano perché in realtà è composto di 4 testi: uno arabo,

uno in siriano, uno in latino ed infine uno in greco, definito acephalus 

perché mancante della parte iniziale.

Inoltre, Bencio riporta che il testo greco è scritto su carta diversa, più

soffice ed intrisa di umidità fin quasi a sfaldarsi.

Guglielmo riconosce in quel tipo di carta il pergamino de pano e finalmente

ha la certezza dell'identità del responsabile delle morti.

La soluzione del mistero

Guglielmo cerca di avvertire l'Abate del pericolo che lo minaccia, ma

l'Abate decide per insabbiare la vicenda e risolverla con la sua autorità.

Grazie a una celia in latino volgare riportatagli da Adso,

Guglielmo scopre come entrare nel finis Africae dove è custodito

il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro

della Poetica di Aristotele), che tratta dellacommedia e del riso.

Mentre salgono in biblioteca dall'ingresso posto dietro l'altare

della chiesa che poi attraversa l'ossario, Guglielmo e Adso odono

un battere disperato ai muri e capiscono che è l'abate che è rimasto

imprigionato in un secondo accesso diretto al finis Africae, le cui

porte possono venire azionate solo dall'alto.

Nel finis Africae trovano il vecchio Jorge (il pergamino de pano

veniva prodotto in Spagna, Jorge è l'aiutante bibliotecario che

aveva vinto la carica contro Alinardo e la cui calligrafia nel

catalogo copre diverse pagine in corrispondenza del periodo in cui

Paolo da Rimini era bibliotecario ma incapace di scrivere; divenuto

cieco aveva dovuto rinunciare alla carica di bibliotecario e di abate,

facendo eleggere Malachia al suo posto ma continuando di

fatto a governare la biblioteca).

Jorge offre a Guglielmo il libro da leggere, ma Guglielmo ha previsto

anche questo tranello (l'umidità delle pagine è dovuta al veleno

cosparso da Jorge sui bordi in modo da avvelenare ogni malcapitato

lettore che dovesse sfogliarlo) e sfoglia il libro con le mani protette

da un guanto, evitando quindi il contatto con il veleno.

Jorge si riprende il libro e scappa approfittando del buio, inseguito

da Guglielmo e da Adso che si orientano con la provenienza della

voce del vegliardo.

Lo raggiungono in una sala e lo trovano intento a strappare e

divorare le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno

possa leggerlo.

Percepito il calore del lume, Jorge lo rovescia, provocando un

incendio che nessuno riuscirà a domare e che inghiottirà nel

fuoco l'intera abbazia.

Epilogo

Adso e Guglielmo, scampati all'incendio, abbandonano l'abbazia.

Adso e Guglielmo si separano.

Adso diventa monaco e narra di aver fatto ritorno anni dopo

all'Abbazia, trovando - dove anni prima si erano consumati omicidi,

intrighi, veleni e scoperte - solo silenzio ed angosciosa solitudine.

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3294 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Ipotesi sulla data d'inizio dell'indagine

Con ogni probabilità, sebbene non venga mai esplicitato

nel testo, si può dedurre che la data in cui Guglielmo e

Adso arrivano all'abbazia sia il 22 novembre 1327.

Il testo dice che arrivano all'abbazia di "domenica": alla

"fine di novembre" del 1327 ci sono due domeniche possibili:

o il 22 o il 29.

Visto che nelle postille Eco dice che in dicembre Michele

da Cesena è già alla corte del papa, è plausibile che la domenica

di fine novembre d'arrivo all'Abbazia sia il 22 (e non il 29,

troppo vicino a dicembre).

Indice dei capitoli

Naturalmente, un manoscritto

Prologo

Primo giorno

Prima. Dove si arriva ai piedi dell'abbazia e Guglielmo

dà prova di grande acume

Terza. Dove Guglielmo ha una istruttiva conversazione

con l'Abate

Sesta. Dove Adso ammira il portale della chiesa e Guglielmo

ritrova Ubertino da Casale

Verso nona. Dove Guglielmo ha un dialogo dottissimo

con Severino erborista

Dopo nona. Dove si visita lo scriptorium e si conoscono molti

studiosi, copisti e rubricatori nonché un vegliardo cieco

che attende l'Anticristo

Vespri. Dove si visita il resto dell'abbazia, Guglielmo trae alcune

conclusioni sulla morte di Adelmo, si parla col fratello vetraio

di vetri per leggere e di fantasmi per chi vuol leggere troppo

Compieta. Dove Guglielmo e Adso godono della lieta ospitalità

dell'Abate e della corrucciata conversazione di Jorge

Secondo giorno

Mattutino.

Dove poche ore di mistica felicità sono interrotte da

un sanguinosissimo evento

prima.

Dove Bencio da Upsala confida alcune cose, altre ne confida

Berengario da Arundel e Adso apprende cosa sia la vera penitenza

terza.

Dove si assiste a una rissa tra persone volgari, Aymaro da

Alessandria fa alcune allusioni e Adso medita sulla santità e

sullo sterco del demonio.

Poi Guglielmo e Adso tornano nello scriptorium, Guglielmo

vede qualcosa d'interessante, ha una terza conversazione sulla

liceità del riso, ma in definitiva non può guardare dove vorrebbe

sesta.

Dove Bencio fa una strano racconto da cui si apprendono

cose poco edificanti sulla vita dell'abbazia

nona.

Dove l'Abate si mostra fiero delle ricchezze della sua abbazia e

timoroso degli eretici, e alla fine Adso dubita di aver fatto male

ad andare per il mondo.

dopo vespri.

Dove, malgrado il capitolo sia breve, il vegliardo Alinardo dice cose

assai interessanti sul labirinto e sul modo di entrarvi

compieta.

Dove si entra nell'Edificio, si scopre un visitatore misterioso, si

trova un messaggio segreto con segni da negromante, e scompare,

appena trovato, un libro che poi sarà ricercato per molti altri capitoli,

né ultima vicissitudine è il furto delle preziose lenti di Guglielmo

notte.

Dove si penetra finalmente nel labirinto, si hanno strane visioni e,

come accade nei labirinti, ci si perde

Terzo giorno

da laudi a prima. Dove si trova un panno sporco di sangue nella cella

di Berengario scomparso, ed è tutto

terza.

Dove Adso nello scriptorium riflette sulla storia del suo

ordine e sul destino dei libri

sesta.

Dove Adso riceve le confidenze di Salvatore, che non si

possono riassumere in poche parole, ma che gli ispirano

molte preoccupate meditazioni

nona.

Dove Guglielmo parla ad Adso del gran fiume ereticale, della

funzione dei semplici nella chiesa, dei suoi dubbi sulla

conoscibilità delle leggi generali, e quasi per inciso racconta

come ha decifrato i segni negromantici lasciati da Venanzio

vespri.

Dove si parla ancora con l'Abate, Guglielmo ha alcune idee

mirabolanti per decifrare l'enigma del labirinto, e ci riesce nel

modo più ragionevole. Poi si mangia il casio in pastelletto

dopo compieta.

Dove Ubertino racconta ad Adso la storia di fra' Dolcino, altre

storie Adso rievoca o legge in biblioteca per conto suo, e poi

gli accade di avere un incontro con una fanciulla bella e terribile

come un esercito schierato a battaglia

notte.

Dove Adso sconvolto si confessa con Guglielmo e medita sulla

funzione della donna nel piano della creazione, poi però scopre

il cadavere di un uomo

Quarto giorno

laudi.

Dove Guglielmo e Severino esaminano il cadavere di Berengario,

scoprono che ha la lingua nera, cosa singolare per un annegato, poi

discutono di veleni dolorosissimi e di un furto remoto

prima.

Dove Guglielmo induce prima Salvatore e poi il cellario a confessare

il loro passato, Severino ritrova le lenti rubate, Nicola porta quelle

nuove e Guglielmo con sei occhi va a decifrare il manoscritto di

Venanzio

terza.

Dove Adso si dibatte nei pentimenti d'amore, poi arriva Guglielmo

col testo di Venanzio, che continua a rimanere indecifrabile anche

dopo esser stato decifrato

sesta.

Dove Adso va a cercar tartufi e trova i minoriti in arrivo, questi

colloquiano a lungo con Guglielmo e Ubertino e si apprendono cose

molto tristi su Giovanni XXII

nona.

Dove arrivano il cardinale del Poggetto, Bernardo Gui e gli altri uomini

di Avignone, e poi ciascuno fa cose diverse

vespri.

Dove Alinardo sembra dare informazioni preziose e Guglielmo

rivela il suo metodo per arrivare a una verità probabile attraverso

una serie di sicuri errori.

compieta.

Dove Salvatore parla di una magìa portentosa

dopo compieta.

Dove si visita di nuovo il labirinto, si arriva alla soglia del finis

Africae ma non ci si può entrare perché non si sa cosa siano il

primo e il settimo dei quattro, e infine Adso ha una ricaduta,

peraltro assai dotta, nella sua malattia d'amore.

notte.

Dove Salvatore si fa miseramente scoprire da Bernardo Gui, la

ragazza amata da Adso viene presa come strega e tutti vanno a

letto più infelici e preoccupati di prima

Quinto giorno

prima.

Dove ha luogo una fraterna discussione sulla povertà di Gesù

terza.

Dove Severino parla a Guglielmo di uno strano libro e Guglielmo

parla ai legati di una strana concezione del governo temporale

sesta.

Dove si trova Severino assassinato e non si trova più

il libro che lui aveva trovato

nona.

Dove si amministra la giustizia e si ha la imbarazzante

impressione che tutti abbiano torto

vespri.

Dove Ubertino si dà alla fuga, Bencio incomincia a osservare

le leggi e Guglielmo fa alcune riflessioni sui vari tipi di lussuria

incontrati quel giorno

compieta.

Dove si ascolta un sermone sulla venuta dell'Anticristo e

Adso scopre il potere dei nomi propri

Sesto giorno

mattutino.

Dove i principi sederunt, e Malachia stramazza al suolo

laudi. Dove viene eletto un nuovo cellario ma non un

nuovo bibliotecario

prima.

Dove Nicola racconta tante cose, mentre si visita la cripta

del tesoro

terza.

Dove Adso, ascoltando il "Dies irae", ha un sogno o visione

che dir si voglia

dopo terza.

Dove Guglielmo spiega ad Adso il suo sogno

sesta.

Dove si ricostruisce la storia dei bibliotecari e si ha qualche

notizia in più sul libro misterioso

nona.

Dove l'Abate si rifiuta di ascoltare Guglielmo, parla del linguaggio

delle gemme e manifesta il desiderio che non si indaghi più su

quelle tristi vicende

tra vespro e compieta.

Dove in breve si racconta di lunghe ore di smarrimento

dopo compieta.

Dove, quasi per caso, Guglielmo scopre il segreto per

entrare nel finis Africae

Settimo giorno

notte.

Dove, a riassumere le rivelazioni prodigiose di cui qui si parla,

il titolo dovrebbe essere lungo quanto il capitolo, il che è

contrario alle consuetudini

notte.

Dove avviene l'ecpirosi e a causa della troppa virtù prevalgono

le forze dell'inferno

  • Ultimo folio
 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3293 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Personaggi

Protagonisti

Guglielmo da Baskerville, frate francescano, già inquisitore,

si reca al monastero in cui si svolge la vicenda dietro richiesta

dell'imperatore, in qualità di mediatore fra il papato, l'Impero

e l'ordine francescano nell'ambito di un incontro che si terrà

nell'abbazia.

Guglielmo ricorda in maniera palese il filosofo francescano

inglese Guglielmo di Ockham, maestro del metodo induttivo;

peraltro, nelle citazioni l'autore inventa una fittizia discendenza

discepolare di Guglielmo da Ruggero Bacone, anch'egli filosofo

d'Oltremanica del XIII secolo.

Inoltre per il suo aspetto fisico eacume si rifà al noto personaggio 

Sherlock Holmes di sir Arthur Conan Doyle, somiglianza rafforzata

dalla stessa origine di Guglielmo, che richiama uno dei racconti più

famosi dell'investigatore inglese: Il mastino dei Baskerville.

È il protagonista del romanzo.

È uno spirito pragmatico, esperto nei più vari campi del sapere

(filosofia, teologia, politica, lingue, botanica, ecc.) ed estremamente

curioso (nel Medioevo la curiosità non era una qualità adatta ad

un bravo monaco, perché un monaco fedele aveva già la risposta

a tutte le sue domande). Nutre una profonda amicizia e anche

pietà verso Ubertino da Casale, un affetto quasi paterno per

Adso da Melk e amore per la sua terra d'origine.

Adso da Melk, novizio benedettino al seguito di Guglielmo, è l

a voce narrante della storia.

Come il maestro ricorda Sherlock Holmes, così Adso richiama

nel nome e nel rango il suo assistente dottor Watson.

Entrambi inoltre sono narratori in prima persona dei fatti loro

accaduti.

Inoltre il suo nome deriva dal verbo latino adsum, cioè "esserci,

essere presente, testimoniare" che è esattamente ciò che Adso

fa in tutta la storia.

La sua figura è correlata a quella del monaco effettivamente

esistito Adso da Montier-en-Der.

Rivela le caratteristiche di ogni adolescente: una certa ingenuità,

freschezza mentale, un grande entusiasmo in ogni cosa che fa,

impulsività ed emotività, desiderio di vedere, di imparare e di

fare esperienze nuove.

Nel rapporto con Guglielmo si mette in evidenza il classico

rapporto maestro-allievo / padre-figlio.

Si innamora della ragazza del villaggio e soffre tremendamente

quando lei viene condannata ingiustamente al rogo come strega.

Monaci dell'Abbazia

Abbone da Fossanova, abate del monastero; è l'unico, insieme al

bibliotecario, al suo aiutante e a padre Jorge da Burgos, a conoscere

i segreti della biblioteca.

Jorge da Burgos, anziano cieco proveniente dalla Spagna, profondo

conoscitore dei segreti del monastero e in passato bibliotecario.

Il personaggio appare una riuscita caricatura di Jorge Luis Borges:

ciò non soltanto per la comune cecità e per l'evidente assonanza dei

nomi, ma anche per la diretta discendenza borgesiana dell'immagine

della biblioteca come specchio del mondo e persino della

planimetria poligonale con cui la biblioteca dell'abbazia è

disegnata, che si ispira al racconto La biblioteca di Babele.

Ritiene che il mondo sia ormai decaduto, vecchio e vicinissimo

al momento del giudizio finale, pertanto si sente investito

della missione divina di conservare il più a lungo possibile le

verità di fede così come sono state elaborate fino a quel momento

dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa.

È fermamente contrario al riso, in quanto capace di distruggere il

principio di autorità e sacralità del dogma.

Alinardo da Grottaferrata, il più anziano dei monaci.

Per il suo comportamento, è considerato da tutti affetto da demenza

senile, ma nei momenti di lucidità si rivela utile alla risoluzione

della vicenda.

Adelmo da Otranto, miniatore e primo morto.

Venanzio da Salvemec, traduttore dal greco e dall'arabo, conoscitore

dell'antica Grecia e devoto di Aristotele. Secondo morto.

Berengario da Arundel, aiuto bibliotecario dell'abbazia. Terzo morto.

Bencio da Uppsala, giovane scandinavo trascrittore di testi di retorica.

Dopo la morte di Berengario diventa nuovo aiuto-bibliotecario.

Severino da Sant'Emmeranoerborista. Quarto morto.

Malachia da Hildesheim, bibliotecario. Quinto morto.

Remigio da Varagine, cellario ex-dolciniano.

Il suo nome può essere ricondotto al frate domenicano

(poi arcivescovo di GenovaJacopo da Varazze,

scrittore in latino, che deve la sua fama ad una raccolta

di vite di santi, tra le quali spicca la Legenda Aurea, una versione

della Leggenda della Vera Croce, ripresa tra l'altro anche da 

Piero della Francesca per il suo ciclo di affreschi in 

San Francesco ad Arezzo.

Viene processato da Bernardo Gui, condannato alla

tortura e poi al rogo.

Salvatore, ex-dolciniano, amico di Remigio; parla una lingua mista

di latino e volgare.

Il suo grido "Penitenziagite!", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia,

rimanda alle lotte intestine della chiesa medievale, tra i vescovi cattolici

e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di

 fra' Dolcino da Novara.

La parola "Penitenziagite" è una contrazione della locuzione latina

"Paenitentiam agite" ("fate la Penitenza"), frase con cui i dolciniani

ammonivano il popolo al loro passaggio.

Nicola da Morimondo, vetraio.

Aymaro da Alessandria, trascrittore italiano.

Personaggi minori

Magnus da Iona, trascrittore.

Patrizio da Clonmacnois, trascrittore.

Rabano da Toledo, trascrittore.

Waldo da Hereford, trascrittore.

La contadina del villaggio, il cui nome è taciuto; è l'unica donna 

dell'intero romanzo, ed è l'unica donna con la quale Adso

prova un'esperienza sessuale.

Delegazione pontificia

Bernardo Gui, inquisitore dell'ordine domenicano.

È il capo della legazione pontificia.

Svolge il suo ufficio di inquisitore con durezza e crudeltà implacabili.

Il suo obiettivo reale è la buona riuscita della sua funzione

politica ed è disposto a tutto pur di mettere in difficoltà i

suoi avversari.

Bertrando del Poggettocardinale a capo della delegazione

 pontificia.

Delegazione imperiale (minoriti)

Berengario Talloni.

Girolamo di Caffa, vescovo. Ispirato da Girolamo di

Catalogna, primo vescovo di Caffa, in Crimea.

Michele da Cesena, generale dell'ordine dei frati minori e

capo della delegazione imperiale.

Ugo da Novocastro.

Bonagrazia da Bergamo.

Ubertino da Casale. È un vegliardo, dai grandi occhi azzurri,

calvo, con la bocca sottile e rossa, la pelle candida e i lineamenti

dolcissimi.

Nutre una profonda amicizia verso Guglielmo.

È un uomo molto combattivo ed ardente ed ha avuto una vita dura

e avventurosa.

 Francescano spirituale, ritiene che un monaco non debba possedere

nulla, né personalmente, né come convento, né come ordine.

Afferma la povertà di Cristo e condanna la ricchezza terrena della

chiesa del tempo.

Per questo è accusato dal papato di eresia.

Viene però lasciato libero di abbandonare l'ordine ed è accolto dai

benedettini.

Quando la spedizione papale di Bernardo Gui arriva nell'abbazia,

Ubertino scappa per non essere ucciso dai delegati del papa.

Morirà due anni dopo in circostanze misteriose..

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3292 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Genesi dell'opera

Umberto Eco aveva alle spalle un gran numero di saggi.

L'idea di scrivere un romanzo venne alla luce nel 1978,

quando un amico editore gli disse di voler curare la

pubblicazione di una serie di brevi romanzi gialli.

Eco declinò l'offerta e, scherzando, affermò che se

mai avesse scritto un romanzo giallo, sarebbe stato

un libro di cinquecento pagine con protagonisti dei

monaci medievali.

Quello che era nato come uno scherzo prese forma

quando nella mente dell'autore si creò l'immagine di

un monaco avvelenato mentre stava leggendo in

una biblioteca.

Nelle Postille al Nome della rosa Eco scrisse che "voleva

uccidere un monaco", ma in seguito criticò chi aveva

preso alla lettera questa dichiarazione, affermando che

la sua curiosità nasceva solamente dal fascino che

l'immagine di un monaco morto mentre leggeva gli suscitava.

Le emozioni connesse a quest'immagine gli derivavano,

a suo dire, dalla partecipazione a sedici anni ad un corso

di esercizi spirituali presso il monastero benedettino di

Santa Scolastica.

La visione della biblioteca con il grande volume degli 

Acta Sanctorum aperti sul leggio e "lame di luce che

entravano dalle vetrate opache" gli creò un indelebile

"momento di inquietudine".

La decisione di ambientare il romanzo nel medioevo fu

una scelta dettata dalla familiarità di Eco con quel particolare

periodo storico, che aveva già approfondito in studi e saggi

precedenti.

Il primo anno, dopo aver avuto l'idea, l'autore lo passò

pianificando i luoghi ed i personaggi della sua opera, per

"prendere confidenza" con l'ambiente che stava immaginando

ed entrare in familiarità con gli attori:

«[...] ricordo di aver passato un anno intero senza

scrivere un rigo. Leggevo, facevo disegni, diagrammi,

insomma inventavo un mondo.

Ho disegnato centinaia di labirinti e di piante di abbazie,

basandomi su altri disegni, e su luoghi che visitavo.»

Titolo

Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era

 L'abbazia del delitto.

Successivamente Eco valutò anche il titolo Adso da Melk,

ma poi considerò che nella letteratura italiana, a differenza

di quella inglese, i libri aventi per titolo il nome del

protagonista non hanno mai avuto fortuna.

Infine si decise per Il nome della rosa, perché a chiunque

chiedesse, "diceva cheIl nome della rosa era il più bello".

La scelta del titolo richiama inoltre il verso, di argomento

 nominalista, I, 952 del De contemptu mundi di 

Bernardo Cluniacense, che chiude il romanzo:

"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"

("La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto

nome: noi possediamo nudi nomi") - nel senso che,

come sostenuto dai nominalisti, l'universale non possiede

realtà ontologica ma si riduce ad un mero nome, ad un

fatto linguistico.

Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi

centrali dell'opera: la frase "Stat rosa pristina nomine, nomina

nuda tenemus" ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla

fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo.

Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad

esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane

Adso, destinato a scomparire nel tempo.

Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare

segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo

stesso Eco nelle Postille al Nome della rosa, le parole e i

"nomi" attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini,

lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali.

In un articolo pubblicato da Griseldaonline, una rivista

scientifica dell'Università di Bologna, si sostiene che

molti elementi delNome della rosa provengano in maniera

deliberata dalle opere di Leonardo Sciascia.

Tra questi, il titolo ricalcherebbe un'espressione utilizzata

dallo scrittore siciliano in Nero su nero, una raccolta di

scritti pubblicata nel 1979, un anno prima dell'uscita del 

Nome della rosa.

Incipit

Umberto Eco ha dichiarato che l'incipit del primo capitolo

«Era una bella mattina di fine novembre» è un riferimento

alcliché «Era una notte buia e tempestosa», usato da

 Snoopy per l'inizio di ciascuno dei suoi romanzi, e ideato

da Edward Bulwer-Lytton nel 1830.

L'incipit del prologo, come già quello del Morgante di Pulci,

riprende Giovanni 1,1-2 («In principio era il Verbo, il

Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»).

Nell'incipit del romanzo appare inoltre 1 Corinzi 13,12 

«Videmus nunc per speculum et in aenigmate»

(«Ora vediamo come attraverso uno specchio, in maniera

confusa, distorta»), già citato in precedenza da Eco

in Opera aperta del 1962.

Fonti di ispirazione e citazioni

All'epoca della concezione dell'opera, il romanzo storico 

con ambientazione medievale era stato riscoperto da

poco in Italia da Italo Alighiero Chiusano, col suo L'ordalia.

Le diverse similitudini (ambientazione temporale, genere

inteso come romanzo di formazione, e scelta dei personaggi

principali, un novizio e il suo maestro, un saggio

monaco più anziano), e la notorietà che L'ordalia 

aveva nel 1979, che un esperto di letteratura come

Umberto Eco difficilmente ignorava, fanno ritenere

L'ordalia con molte probabilità una delle principali fonti

di ispirazione de Il nome della rosa.

Sacra di San Michele, il monastero situato

Sant'Ambrogio di Torino al quale s'ispirò Eco

Dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo

stile scelto per la narrazione, risulta invece

evidente l'omaggio che Eco fa a sir Arthur Conan

Doyle e al suo personaggio di maggior successo: 

Sherlock Holmes.

Guglielmo, infatti, sembra ricavato,per descrizione

fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes:

le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo

desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere

e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori dell'investigatore

 britannico.

Inoltre proviene dalla (immaginaria) contea di Baskerville,

che riprende il nome dal miglior romanzo di Doyle,

 Il mastino dei Baskerville, che per atmosfera può tranquil-

lamente essere considerato come una delle fonti del libro

di Eco.

Parallelamente il giovane Adso riprende alcuni aspetti

della figura del fido Watson holmesiano.

Come Watson è il narratore in prima persona della

vicenda e come lui si mostra ottuso e poco attento,

nonostante il desiderio di apprendere, e pronto all'azione.

I nomi dei due personaggi (Watson e Adso) presentano

inoltre un'assonanza.

Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco

a Brother Cadfael, monaco e investigatore medievale

protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice

inglese Ellis Peters (1913-1995) a partire dal 1977 

con A Morbid Taste for Bones, tradotto in italiano

col titolo La bara d'argento, in cui fratello Cadfael ha

come aiutanti due novizi.

La ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore

canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeber-

rimo romanzo Ulisse di James Joyce.

In un dialogo tra Guglielmo e Adso il primo usa la

metafora wittgensteiniana della scala che "si deve gettar

via" dopo averla impiegata per salire, attribuendola a

"un mistico delle tue terre" (Adso, come Wittgenstein,

è austriaco).

Dopo il secondo omicidio, Guglielmo, a partire da

un'osservazione di Alinardo (secondo giorno, dopo vespri),

ipotizza che la serie dei delitti sia basata su un progetto

ispirato alle sette trombe dell'Apocalisse, e ciò influenza le

sue indagini successive.

Ma alla fine si scopre che nonc'era alcun piano

("Ho fabbricato uno schema falso per interpretare le mosse

del colpevole e il colpevole vi si è adeguato", settimo giorno,

notte; è significativo che Jorge, invece, pensi che si tratti

di un piano divino di cui lui è lo strumento).

Questo aspetto della vicenda poliziesca sembra ispirato a

quanto accade nel racconto La morte e la bussola di

Jorge Luis Borges.

Abbazia di San Colombano, fondata nel VII secolo a 

Bobbio, nei remoti e solitari confini fra l'Appennino

ligure, piemontese, lombardo ed emiliano.

Per ambientare il suo romanzo, Eco (che succes-

sivamente si è rivelato un profondo conoscitore

del pensiero geografico e cartografico del Medioevo

europeo, come traspare da molti elementi presenti

nel romanzo) si è ispirato alla Sacra di San Michele,

abbazia benedettina monumento simbolo del 

Piemonte.

Per lo scriptorium dell'Abbazia, Eco ha tenuto presente

anche l'Abbazia di San Colombano di Bobbio fondata

in epoca longobarda (che era, all'epoca delle vicende,

considerata in territorio ligure negli Appennini al confine

con il Piemonte).

Inoltre anche la biblioteca e l'intera abbazia di San Gallo

 in Svizzera sono state tra le fonti cui l'autore ha attinto

per immaginare il monastero in cui è ambientato il romanzo

 Il nome della rosa(in particolare è da menzionare la

 Pianta di San Gallo.

All'inizio del romanzo, prima del manoscritto, è riportata

la pianta di un'abbazia che comunque ha una struttura

diversa da quella del romanzo di Eco).

Alla fine del terzo giorno è presente una citazione dal 

V Canto dell'Inferno di Dante, la cui opera è citata un

paio di volte.

Inoltre, Adso racconta un proprio svenimento con le

parole "Caddi come un corpo morto cade" che sono

una chiara citazione della Commedia. Guglielmo invece

parla di Malachia come di un "Vaso di coccio tra i vasi

di ferro" richiamandoEsopo e Manzoni.

Nel sogno di Adso, vengono citate due frasi che oggi

sono famose perché ritenute fra i primi documenti del 

volgare italiano: "Traete, filii de puta!", da un'iscrizione

nella Basilica di San Clemente in Roma, e "Sao ko kelle

terre per kelle fini ke ki kontene..." dai Placiti cassinesi.

La scena in cui Adso copula con la contadinella è un 

collage di spezzoni del Cantico dei cantici e di brani di

mistici che descrivono le loro estasi.

In questo modo Eco ha cercato di trasmettere come

un monaco sperimenterebbe il sesso attraverso la sua

"sensibilità culturale".

La tecnica con cui l'assassino uccide i monaci è ripresa

dal film Il giovedì (1963) di Dino Risi.

Il manoscritto

La finzione del manoscritto ritrovato, utilizzata da

Umberto Eco, è un espediente narrativo già usato

da altri autori nella storia della letteratura: per esempio 

Alessandro Manzoni nei Promessi sposiWalter Scott 

in Ivanhoe (un manoscritto anglonormanno),

 Nathaniel Hawthorne ne La lettera scarlattaCervantes 

nel Don Chisciotte (il manoscritto in aljamiado di Cide

Hamete Benengeli), Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso

Giacomo Leopardi nel preambolo al Frammento apocrifo

di Stratone da Lampsaco nelle Operette morali.

Eco riutilizza questo espediente nel suo romanzo 

Il cimitero di Praga.

A differenza di Manzoni però, che utilizzò l'espediente

del manoscritto per attribuire veridicità storica al suo

romanzo e per potersi distaccare dalla vicenda (in quanto

non inventata da lui e non coinvolto) potendo quindi

giudicare dall'alto le azioni dei personaggi, Eco inserisce

numerosi elementi per far capire al lettore che la storia

è fittizia e nulla può essere giudicato vero.

Infatti mentre Manzoni trova un manoscritto originale

del '600 Eco ne ritrova uno con numerose correzioni

che è stato trascritto e tradotto numerose volte, con i

conseguenti errori di copiatura e traduzione a cui tutti

i manoscritti sono sottoposti, si perde così il vero

storico.

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3291 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Storia editoriale

Eco aveva già un rapporto di lunga data

con la Bompiani, che aveva pubblicato tutti

i suoi lavori precedenti e che avrebbe

preso Il nome della rosa "a scatola chiusa".

Tuttavia pensò in un primo momento di

consegnarlo all'editore Franco Maria Ricci per

farlo pubblicare con una tiratura limitata di

mille copie in un volume raffinato.

La notizia che Eco aveva scritto un romanzo

si sparse però velocemente e l'autore ricevette

molteplici proposte dalla Einaudi e dalla 

Mondadori che vedevano del potenziale ne 

Il nome della rosa.

A quel punto Eco tornò sui suoi passi e decise

che tanto valeva lavorare con il suo editore

storico.

Così nel 1980 il romanzo fu pubblicato da

Bompiani con una tiratura di 30.000 copie.

La prosecuzione delle vendite fu "via via

stimolata dal conseguimento di premi letterari

a partire dal premio Strega 1981 e altri,

dalle notizie sulle traduzioni e sul loro successo

all'estero, in particolare negli Stati Uniti".

Il romanzo è stato più volte ristampato nel

corso degli anni ed è arrivato a vendere circa

50 milioni di copie in Italia e nel resto del

mondo, dove è stato tradotto in oltre 40

lingue.

Nel 2002 fu oggetto di un curioso fenomeno,

grazie al lancio di un'iniziativa editoriale del

quotidiano La Repubblica che lo distribuì

gratuitamente in oltre un milione di copie.

Nel 2011 Eco rivisitò Il nome della rosa effet-

tuando delle modifiche che portarono il libro

ad allungarsi di 18 pagine. 

Questo lavoro di correzione generò critiche

controverse, tra cui quella di Pierre Assouline 

di Le Monde, che accusò l'autore di voler

abbassare il livello del romanzo e semplificarne

la lingua per andare incontro alle generazioni

digitalizzate.

Eco respinse le accuse affermando che il suo

era stato solo un piccolo lavoro di "cosmesi",

volto soprattutto a sveltire certi passaggi per

preservare il ritmo della narrazione; eliminare

certe ripetizioni; togliere degli errori che da

anni gli pesavano e modificare leggermente

l'aspetto fisico dei personaggi, che erano a suo

dire "troppo grotteschi".

Anche a causa della sua peculiare struttura, fatta

di citazioni di altri testi, il romanzo è stato ac-

cusato più o meno apertamente di plagio nei

confronti di vari libri. Nel 1989 venne avanzata

nei confronti di Umberto Eco un'accusa formale

da parte di uno scrittore cipriota, il quale

sosteneva che alcuni contenuti del libro erano

ripresi da un proprio romanzo, dove due personaggi

entravano in un monastero e discutevano con

l'abate dell'Apocalisse.

Tuttavia le numerose differenze tra la storia cipriota,

che si svolgeva ai giorni nostri, e la scarsa rilevanza

del colloquio, che occupava solo poche pagine,

condusse alla sentenza di un tribunale cipriota, che

scagionò lo scrittore italiano assolvendolo nel 1992.

Riguardo alla traduzione in lingua araba del romanzo,

nel 1998 Ahmed Somai, primo traduttore tunisino,

accusò di plagio il firmatario della edizione egiziana,

Kamel Oueid El - Amiri.

Postille

Nel 1983 Umberto Eco pubblicò, attraverso la rivista

 Alfabeta, le Postille al Nome della rosa, un saggio

col quale l'autore spiega il percorso letterario che

l'aveva portato alla stesura del romanzo, fornendo

chiarimenti su alcuni aspetti concettuali dell'opera.

Le Postille al Nome della rosa sono state poi allegate

a tutte le ristampe italiane del romanzo successive

al 1983.

Nel paragrafo intitolato "Il Postmoderno, l'ironia,

il piacevole", Eco afferma che il "post-moderno è un

termine buono à tout faire".

Inoltre, secondo l'autore,il postmoderno è sempre

più retrodatato: mentre prima questo termine si

riferiva solamente al contesto culturale degli ultimi

vent'anni, oggi viene impiegato anche per periodi

precedenti.

Tuttavia per Eco il post-moderno non è "una

tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una

categoria spirituale, un Kunstwollen, un modo di

operare".

"Potremmo dire che ogni epoca ha il proprio

post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il

proprio manierismo".

In ogni epoca si giunge a momenti in cui ci si

accorge che "il passato ci condiziona, ci sta

addosso, ci ricatta".

All'inizio del Novecento, per questi motivi, l'avanguardia 

storica cerca di opporsi al condizionamento del

passato, distruggendolo e sfigurandolo.

Ma l'avanguardia non si ferma qui, procede fino

all'annullamento dell'opera stessa (il silenzio nella

musica, la cornice vuota in pittura, le pagine bianche

in letteratura etc).

Dopo ciò "l'avanguardia (il moderno) non può più

andare oltre".

Dunque siamo costretti a riconoscere il passato e a

prenderlo con ironia, ma senza ingenuità.

"La risposta post-moderna al moderno consiste

nel riconoscere che il passato, visto che non può

essere distrutto, perché la sua distruzione porta

al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in

modo non innocente".

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3290 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Piani di lettura

«[...] Mi avvedevo ora che si possono sognare anche

dei libri, e dunque si possono sognare dei sogni.»

(Umberto Eco, op. cit., p. 440)

l nome della rosa (omaggio del pittore William Girometti 

ad Umberto Eco)

Attribuire un genere letterario al romanzo di Eco è assai

difficile: esso infatti è stato particolarmente apprezzato

per la presenza di molteplici piani di lettura, che possono

essere colti dal lettore a seconda della sua preparazione

culturale.

Pur presentandosi come un giallo, o come un romanzo storico 

ad una lettura superficiale, il libro è in realtà costruito attraverso

una fitta rete di citazioni tratte da numerose altre opere letterarie,

dunque è, in un certo senso, un libro fatto di altri libri.

È costante il riferimento linguistico e semiologico.

È anche presente, appena sotto la superficie, una forte

componente esoterica, e di fondo la storia può essere vista

come una riflessione filosofica sul senso e sul valore della 

verità e della sua ricerca, da un punto di vista strettamente 

laico, tema del resto comune alle opere successive di Eco.

Nel piano di lettura storico presente nel romanzo, i personaggi

e le forze che nella vicenda narrata si contrappongono

rappresentano in realtà due epoche e due mentalità che in quel

periodo storico si sono trovate a fronteggiarsi: da un lato

ilmedioevo più antico, col suo fardello di dogmi, preconcetti e

superstizioni, ma anche intriso di una profonda e mistica

spiritualità, dall'altro lato il nuovo mondo che avanza, rappresentato

da Guglielmo, con la sua sete di conoscenza, con la predisposizione

a cercare una verità più certa e intelligibile attraverso la ricerca e

l'indagine, anticipazione di un metodo scientifico che in Europa

di lì a poco non tarderà ad affermarsi.

L'autore usa un espediente narrativo e così il romanzo scritto da

Umberto Eco è in realtà una narrazione al quarto livello di incassamento,

dentro ad altre tre narrazioni:

Eco dice di raccontare ciò che ha trovato nel testo di Vallet, che a sua

volta diceva che Mabillon ha detto che Adso disse...

In questo senso Eco non fa che riproporre un artificio letterario tipico

dei romanzi inglesi neogotici, e utilizzato anche da Alessandro Manzoni 

per I promessi sposi.

Un ulteriore piano di lettura vede il romanzo come un'allegoria delle

vicende italiane contemporanee o di poco precedenti all'uscita de 

Il nome della rosa, ovvero la situazione politica degli anni settanta, con

le diverse parti in causa a rappresentare sì l'evolversi politico e spirituale

legato al dibattito sulla povertà nel Trecento, ma anche le diverse

correnti di pensiero o situazioni proprie degli anni di piombo

Papa Giovanni XXII e la corte avignonese a rappresentare i

conservatori, Ubertino da Casale e i francescani nel ruolo dei riformisti,

 Fra Dolcino e i movimenti ereticali medievali in quello dei gruppi,

armati e non, legati all'area extraparlamentare.

 
 
 

Il nome della rosa.

Post n°3289 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Critica

Nonostante gli apprezzamenti e il suo successo editoriale,

Eco lo considera un libro sopravvalutato e si dispiace

che i lettori vi siano così affezionati, quando gli altri suoi

romanzi sono, a suo dire, migliori:

«Io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate.

Di romanzi ne ho scritti sei, gli ultimi cinque sono

naturalmente i migliori, ma per la legge di Gresham, quello

che rimane più famoso è sempre il primo.»

La stampa italiana e internazionale, invece, accolse con

grande entusiasmo.

Il nome della rosa e molti critici scrisseroparole d'elogio per

l'opera di Eco.

«Il libro più intelligente - ma anche il più divertente -

di questi ultimi anni.»

(Lars GustafssonDer Spiegel)

«Il libro è così ricco che permette tutti i livelli di lettura...

Eco, ancora bravo!»

(Robert MaggioriLibération)

«Brio ed ironia. Eco è andato a scuola dai migliori modelli.»

(Richard EllmannThe New York Review of Books)

«Quando Baskerville e Adso entrarono nella stanza murata

allo scoccare della mezzanotte e all'ultima parola del capitolo,

ho sentito, anche se è fuori moda, un caratteristico sobbalzo

al cuore.»

(Nicholas ShrimptonThe Sunday Times)

«Nel filone dei racconti filosofici di Voltaire

(L'Express)

«È riuscito a scrivere un libro che si legge tutto d'un fiato,

accattivante, comico, inatteso...»

(Mario FuscoLe Monde)

«Mi rallegro e tutto il mondo delle lettere si rallegrerà con me,

che si possa diventare bestseller contro i pronostici cibernetici,

e che un'opera di letteratura genuina possa soppiantare il

ciarpame... L'alta qualità e il successo non si escludono a

vicenda.»

(Anthony BurgessThe Observer)

«L'impulso narrativo che guida il racconto è irresistibile.»

(Franco FerrucciThe New York Times Book Review)

«Benché non corrisponda ad alcun genere (logicamente non può,

deve essere a-generico) è meravigliosamente interessante.»

(Frank KermodeThe London Review of Books)

Non sono mancate tuttavia ovvie voci più critiche in ambito

cattolico, in particolare riguardo all'attendibilità storica del

romanzo e alla relativa rappresentazione del cattolicesimo 

medievale:

«[...] presentazione prima letteraria e poi cinematografica di

un Medioevo falsificato ed elevato a "simbolo ideologico"; i

temi della più trita polemica anticattolica di sempre, il cui

scopo "positivo" si compendia nell'apologia della modernità

come carattere specifico del mondo contemporaneo.»

(Massimo Introvigne, Cristianità n. 15, febbraio 1987)

«Mini-museo antireligioso posto dall'altra parte di una cortina

di ferro sempre presente.»

(Régine Pernoud, 30 Giorni, gennaio 1987)

«[...] un romanzo bello e falso come Il Nome della Rosa, che

in materia di Medioevo esprime un'attendibilità storica inferiore

ai fumetti di Asterix e Obelix.»

(Mario Palmaro, La Bussola Quotidiana, settembre 2011)

Premi e riconoscimenti

Il 9 luglio 1981, otto mesi dopo la pubblicazione del libro, Il nome

della rosa vinse il Premio Strega, il più alto riconoscimento letterario

in Italia.

Nel mese di novembre 1982 ottenne in Francia il Prix Médicis nella

categoria opere straniere.

Nel1983 il romanzo entrò nell'"Editors' Choice" del The New York Times,

 nel 1999 fu selezionato tra "I 100 libri del secolo" dal quotidiano

francese Le Monde e nel 2009 fu inserito nella lista dei "1000 romanzi

che ognuno dovrebbe leggere" dal quotidiano inglese "The Guardian".

Influenza culturale

Un albo del fumetto italiano Zagor ha omaggiato l'opera di Eco: 

L'abbazia del mistero (n. 317-320), realizzato da Moreno Burattini 

Gallieno Ferri.

Il romanzo è stato anche oggetto di una parodia apparsa su Topolino,

dal titolo Il nome della mimosa, per i disegni diGiampiero Ubezio.

Il romanzo ha ispirato la canzone The Sign of the Cross del gruppo 

heavy metal britannico Iron Maiden, presente nell'album 

The X Factor, pubblicato nel 1995.

Il romanzo ha inoltre ispirato il secondo album della band

AOR/melodic metal britannica Ten, appunto The Name of

The Rose, pubblicato nel 1996.

Il primo album del gruppo visual kei giapponese D si chiama 

The name of the ROSE, in omaggio al libro.

Il film ha ispirato la canzone Abbey Of Synn, contenuta

nell'album Actual Fantasy (1996) di Ayreon, progetto prog-metal

del noto compositore e polistrumentista olandese 

Arjen Anthony Lucassen.

Dal romanzo hanno tratto ispirazione Bruno Faidutti e Serge

Laget nella realizzazione del gioco da tavolo Il Mistero dell'Abbazia

 ("The Mystery of the Abbey"), edito nel 2003 da Days of Wonder.

Il videogioco Murder in the Abbey, sviluppato dalla Alcachofa Soft

e distribuito nel 2008 dalla DreamCatcher Interactive(in Italia dalla

Blue Label Entertainment), è chiaramente ispirato al romanzo di Eco.

Un albo a fumetti della serie "Le Storie", ad opera di Giovanni Di

Gregorio e Christopher Possenti, edito dalla Sergio Bonelli Editore

e intitolato Ex tenebris, si ispira palesemente al romanzo di Eco.

 
 
 

Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3288 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Errori

Alcuni errori storici presenti sono molto probabilmente

parte dell'artificio letterario, la cui contestualizzazione

è documentabile nelle pagine del libro che precedono il

prologo, in cui l'autore afferma che il manoscritto su cui

è stata successivamente svolta la traduzione in italiano

corrente conteneva interpolazioni dovute a diversi autori

dal medioevo fino all'epoca moderna.

Eco inoltre ha segnalato di persona alcuni errori ed anacronismi

che erano presenti nelle varie edizioni del romanzo fino

alla revisione del 2011:

Nel romanzo si menzionano i peperoni, prima in una ricetta

("carne di pecora con salsa cruda di peperoni"), poi in un sogno

di Adso, ma si tratta di un "piatto impossibile".

I peperoni furono infatti importati dall'America oltre un secolo

e mezzo dopo l'epoca in cui si ambienta il romanzo.

Lo stesso errore si ripropone più avanti quando Adso sogna una

sua rielaborazione della Coena Cypriani, nella quale tra le diverse

vivande che gli ospiti portano alla tavola compaiono, appunto,

anche i peperoni.

 Un anacronismo simile si ritrova quando nel romanzo viene

citata la zucca, che viene confusa con la cicerbita, menzionata

in un erbario dell'epoca.

Durante il settimo giorno-notte, Jorge dice a Guglielmo che

 Francesco d'Assisi "imitava con un pezzo di legno i movimenti

di chi suona il violino", strumento che non esisteva prima

dell'inizio del XVI secolo.

In un punto del romanzo Adso afferma di aver fatto qualcosa in

"pochi secondi" quando quella misura temporale non era ancora

utilizzata nel medioevo.

TrasposizioniCinema

Dal romanzo di Eco il regista Jean-Jacques Annaud ha tratto un 

omonimo film, interpretato da Sean Connery (Guglielmo da Baskerville), 

F. Murray Abraham (Bernardo Gui), Christian Slater (Adso) e 

Ron Perlman (Salvatore).

Dal romanzo di Eco i registi Francesco Conversano e Nene Grignaffini

hanno realizzato il documentario La Rosa dei Nomi,che attraverso

le parole di Umberto Eco racconta il processo della scrittura del libro e

con Jean-Jacques Annaud la trasposizione dal libro al film.

Radio

Nel 2005 Rai Radio 2 ha trasmesso un adattamento radiofonico in 35

puntate del romanzo, disponibile in formato RealAudiosul sito RAI.

Teatro

Nel 2017 una versione teatrale di Stefano Massini, con la regia di

Leo Muscato.

Televisione

Una miniserie televisiva composta da otto puntate da 50 minuti è andata

in onda su Rai Uno nel marzo 2019; prodotta dallaRai in collaborazione

con 11 Marzo Film, Palomar e Tele München Group, è diretta da 

Giacomo Battiato, girata in inglese, e sviluppa alcune storie accennate

marginalmente nel romanzo.

La serie vanta un cast internazionale: John Turturro e Rupert Everett 

sono i protagonisti nei panni rispettivamente di Guglielmo da

Baskerville e l'inquisitore Bernardo Gui, con Michael Emerson

Sebastian KochJames CosmoRichard SammelFabrizio Bentivoglio

Greta ScaranoStefano Fresi e Piotr Adamczyk.

Dal romanzo fu tratto negli anni ottanta uno dei più famosi

videogiochi spagnoli per la piattaforma MSXLa abadía del crimen,

presto convertito per altri sistemi operativi come Amstrad e, negli 

anni duemila, per PC/Windows.

Nel videogioco, il nome del personaggioprincipale è stato

cambiato in Guglielmo di Occam.

Nel 2008 uscì una avventura grafica punta e clicca dal titolo 

Murder in the Abbey sviluppata dalla software house spagnola

Alcachofa Soft, liberamente ispirata alle vicende del libro di Eco.

In questo caso il personaggio di Guglielmo da Baskerville è

sostituito da un monaco di nome Leonardo da Toledo e il suo

assistente Bruno si sostituisce al personaggio di Adso.

 
 
 

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