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Messaggi di Gennaio 2019
Post n°1863 pubblicato il 29 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Personaggi principali Goffredo di Buglione Goffredo di Buglione è il protagonista maschile in assoluto del poema di Tasso. Egli è il capitano dell'armata cristiana della Prima crociata contro l'esercito selgiuchide della Turchiache ha occupato Gerusalemme. Torquato Tasso si riferisce alla sua figura già nel proemio, spiegando di narrare in versi le gesta del capitano che liberò dalle mani degli Infedeli il Santo Sepolcro di Gesù. All'inizio del poema Goffredo, partito per la crociata già dal 1096, non è ancora riuscito a conquistare Gerusalemme. Giunge il 1099 e il cavaliere intrepido, avendo conquistato già Costantinopoli, riceve la visita dell'Arcangelo Gabriele che lo invita a tenere duro contro i musulmani. Goffredo allora, riacquistando il coraggio e infondendolo anche nei cuori dei combattenti cristiani, manda una messaggio al reggente di Gerusalemme, Aladino, per avvisarlo del tremendo assalto che lo distruggerà. Arganteperò, combattente straniero che poi si allea con Aladino, vorrebbe una tregua e si presenta a Goffredo come ambasciatore, proponendo un'alleanza con l'Egitto. Al rifiuto del Capitano, riprende di nuovo la guerra e Argante uccide il cristiano Dudone a cui Goffredo tributa i funerali. Dopo che i demoni dell'Inferno scelgono di far allontanare i cristiani dal loro obiettivo con stragi, carestie e persecuzioni spirituali, Goffredo inizia a perdere il ruolo di protagonista, venendo sostituito da Tancredi e da Rinaldo. Ricompare protagonista nella metà del poema, nel canto VIII, XI E XIV in cui viene addirittura sospettato di tradimento dai suoi commilitoni. Quando Rinaldo, posseduto da un diavolo, uccide un compagno, fugge via dal campo in preda alla vergogna, Goffredo raccoglie le sue armi e l'armatura insanguinati. I soldati credono che sia stato lui ad uccidere Rinaldo. Dopo l'ennesimo assalto a Gerusalemme, Goffredo di Buglione viene gravemente ferito, ma risanato subito per intervento divino, affinché possa perseguire l'incarico affidatogli da San Michele Arcangelo. Nel frattempo Rinaldo viene sedotto dalla maga nemica Armida che lo attrae nel suo giardino incantato per fare l'amore. Rinaldo perde ogni attrazione e interesse per la guerra e rimane per molto tempo prigioniero. L'intervento di Ubaldo e Carlo, mandati da Goffredo che aveva ricevuto una visione di Rinaldo prigioniero, liberano il paladino e svergognano la maga. Dopo altre peripezie, Rinaldo si ritira in meditazione per l'errore compiuto e Goffredo, sconfitti i maggiori difensori di Gerusalemme, dichiara liberata la Città Santa dalle mani degli Infedeli e adora il Santo Sepolcro. Il personaggio di Goffredo nel poema è soprattutto ricordato per la sua perfezione assoluta nel fisico, nella prestazione nelle battaglie e specialmente per il carattere severo, inflessibile che non cede alle tentazioni. Tasso per celebrare la religione cristiana, essendo il periodo della Controriforma, volle scegliere un condottiero perfetto che rappresentasse in tutto e per tutto i degni successori di Gesù Cristo nella crociata. L'esatto contrario di Goffredo è Tancredi che, personaggio pieno di ambivalenze, è sempre soggetto a dubbi, innamoramenti e turbe psichiche per colpa dei demoni che infestano gli animi dei cristiani. Infatti da ricordare sono il suo amore per Clorinda e l'infatuazione condannata della pastorella Erminia che prova per il paladino. Clorinda inda è la figlia di Sanapo, re d'Etiopia di religione cristiana. Folle di gelosia nei confronti della moglie, il re la rinchiude in una torre alla quale hanno accesso solo le sue ancelle e l'eunuco Arsete. La regina è sottomessa alla volontà del marito e spesso si rifugia nella preghiera presso l'immagine di san Giorgio che adorna le pareti della sua stanza. Rimasta incinta partorisce una figlia bianca. L'evento trova spiegazione nel fatto che, avendo ella giaciuto con il marito di fronte alla raffigurazione del santo che libera la principessa dal drago, l'impressione data dall'immagine della principessa bianca dipinta, abbia influenzato l'aspetto della futura figlia. Terrorizzata dalla gelosia del marito che nonostante la sua innocenza non avrebbe creduto a nessuna spiegazione affida la bambina al suo servo, Arsete, facendogli promettere di crescerla secondo la fede cristiana, e prega san Giorgio di proteggerla. Arsete parte in segreto con la bambina verso l'Egitto, sua terra natale; durante il viaggio si imbatte in una tigre, terrorizzato, si arrampica su un albero lasciando la bambina a terra; la tigre si avvicina e offre per allattarla le mammelle, così che la piccola Clorinda può nutrirsi. Arsete rimane attonito di fronte a quello che gli sembra un incredibile prodigio; allontanatasi la tigre, riprende la piccola e prosegue il suo cammino. Viene però inseguito dai briganti e, scappando, si ritrova davanti ad un fiume, si tuffa sorreggendo Clorinda ma la corrente è troppo forte; la bambina gli sfugge dalle mani, ma le onde la trasportano illesa a riva. Durante la notte appare in sogno ad Arsete san Giorgio (alla cui protezione si devono, infatti, l'allattamento della tigre e il miracoloso salvataggio dal fiume); egli intima ad Arsete di far battezzare Clorinda, ma il vecchio non gli dà ascolto. Giunto in Egitto, fa svezzare l a bimba in un villaggio; appena giunta alla fanciullezza Clorinda inizia ad autoeducarsi alla caccia e allaguerra (Gerusalemme Liberata, II, 39-40) rifiutando tutti gli ornamenti e le occupazioni femminili, addestrandosi nel combattimento fino ad essere in grado di seguire gli eserciti nelle campagne militare e conquistare fama e terre. Quando Goffredo di Buglione si prepara ad attaccare Gerusalemme e la città si prepara all'assedio dei Crociati, il re Aladino sfoga la sua rabbia sui cristiani che vivono nella città e condanna a morte Sofronia, una giovane cristiana che si autoaccusa del furto di un'immagine della Vergine, per salvare il resto del popolo dalla strage promessa dal re per il crimine in realtà architettato dal mago e suo consigliere Ismeno per eliminare i cristiani. Olindo, innamorato segretamente di lei, si accusa per salvarla ma entrambi vengono condannati; stanno per essere giustiziati quando Clorinda ferma i carnefici. Si presenta al re che la conosce per fama e chiede la vita dei due giovani offrendo in cambio i suoi servigi nella battaglia che si sta preparando. Aladino accetta a patto che i cristiani prendano la via dell'esilio (G.L. II, 1-38). Un giorno, durante un combattimento, la guerriera si ferma presso un fiume e si toglie l'elmo per bere: è allora che il principe Tancredi d'Altavilla, il più valoroso dei Crociati insieme a Rinaldo, la vede e si innamora di lei (G.L. I, 46-49). Da quel momento il principe perde di vista i suoi doveri di cristiano e di cavaliere schiavo della sua passione amorosa, tanto che durante uno scontro attaccato da lei non attacca ma anzi la chiama in disparte e le dichiara il suo amore. Di fronte alla sua dichiarazione la donna non reagisce essendo totalmente estranea al sentimento amoroso (G.L. III, 23-31).
distingue come arciera dall'alto della torre e ferisce lo stesso Goffredo (G.L. XI, 27-54), ma desiderosa di misurarsi col nemico e distinguersi con un'impresa eroica decide di introdursi nottetempo nel campo cristiano per incendiare la torre con cui i Crociati vogliono assaltare le mura (G.L. XII). Il guerriero Argante si offre di accompagnarla; il vecchio Arsete, che l'ha accompagnata fino a quel momento, cerca di distoglierla dal folle progetto narrandole per la prima volta la storia delle sue origini e di un nuovo sogno premonitore. Anche la guerriera ha fatto un sogno simile ma tace e rifiuta di lasciare il suo progetto e i valori per i quali ha sempre combattuto. Tancredi e Clorinda L'impresa viene portata a compimento ma al momento del rientro tra le mura di Gerusalemme, Clorinda rimane chiusa fuori per errore. Allora Tancredi si accorge di lei e, non riconoscendola per l'armatura non sua, vede in lei solo l'incendiario della torre e rincorrendola la sfida a singolar tenzone. Il duello è all'ultimo sangue; alla fine il principe ne esce vincitore, infliggendo alla donna una ferita mortale al petto. Ormai in fin di vita Clorinda riconosce al nemico la vittoria e gli chiede il Battesimo. Sono le prime luci dell'alba, Tancredi prende dell'acqua ad un vicino ruscello e le toglie l'elmo per battezzarla. Solo allora si rende conto di aver ferito a morte la donna che ama, ma reprime la sua angoscia per esaudire il suo ultimo desiderio, e la battezza. Clorinda gli dà il segno della pace, sorride e muore serenamente in grazia di Dio. Tancredi si dispera e gravemente ferito perde i sensi. Ritrovato dai compagni viene portato al campo dove appena rinvenuto dà a Clorinda degna sepoltura. Non sa però rassegnarsi al suo crudele destino ed è preda della disperazione e dei vaneggiamenti. Trova pace solo dopo che l'amata gli appare in sogno dal Paradiso dove si trova grazie a lui; la donna infatti era destinata fin dalla nascita alla conversione e alla salvezza e con la sua morte libera anche Tancredi dalla follia d'amore, facendolo tornare ai suoi doveri di combattente diCristo. Subito dopo la morte di Clorinda la situazione della guerra si sblocca e il Santo Sepolcro viene riconquistato dai cristiani. Clorinda è sicuramente una delle figure in cui il Tasso ha chiuso una delle sue trame più difficili, sembra quasi si tratti di un rimando alla virgiliana vergine Camilla o all'antico mito greco delle Amazzoni, le donne guerriere, che secondo la leggenda sacrificarono tutta la loro femminilità per la guerra. A queste caratteristiche "maschili" il Tasso affianca un'aura di dolce femminilità, rivelata solo in pochi versi e drammaticamente esaltata quando, ormai morente, ella chiede il battesimo. Si tratta quasi di un personaggio che per alcuni attimi fuggenti sembra uscire dalle sue vesti di metallo come una farfalla dalla sua crisalide o, come dice Fredi Chiappelli i n "Studi sul linguaggio del Tasso epico", «Vissuta a lungo in una larva militare, Clorinda fiorisce in tutta la sua dolcezza femminile d'improvviso e per un istante, l'istante della sua morte». Sono interi mondi cristallizzati in pochi attimi e subito interrotti dalla foga della battaglia o dalla prematura morte della donna. Sembra quasi che si tratti di momenti eterni, fluttuanti nel tessuto temporale del racconto, fermi, statici, immobili, contemplativi.
A queste sensualissime descrizioni fisiche si affiancarono i precetti morali, che portano il Tasso a decretare a queste storie una fine d'ineluttabile dolore. L'amore, infatti, per il poeta, non può che portare ad un indebolimento degli animi e ad uno sviamento dal campo di battaglia e dalla missione sacra. Morente, Clorinda chiede il battesimo e muore da cristiana, suscitando quasi la commozione dell'autore stesso in una scena che è espressione delle migliori doti liriche possedute dallo scrittore. Tancredi d'Altavilla è un noto paladino fedele al Capitano Goffredo di Buglione, generale della Prima crociata contro i turchi di Gerusalemme. Egli è l'esatto contrario del suo comandante, severo e fedele a Dio, ed ha un ruolo chiave nel poema perché rappresenta il dubbio, l'animo fragile umano e colui che cede spesso e volentieri alle tentazioni. Il suo amore per la nemica musulmana Clorinda è un chiaro esempio della sua debolezza di carattere, tanto più quando egli, senza riconoscerla, la uccide in combattimento. Infatti pochi giorni prima del grande assalto cristiano a Gerusalemme, i turchi selgiuchidi avevano sfoderato un'offensiva all'esercito cristiano, distruggendo il simbolo di ciò che faceva resistere ancora Goffredo e i suoi paladini alle terribili sofferenze inflitte dai diavoli e dalle carestie. Clorinda, non riconoscendo Tancredi e viceversa per il paladino d'Altavilla, lo attacca in duello però ne rimane ferita gravemente. Questa, in punto di morte, chiede a Tancredi di battezzarla. Tempo prima di ciò una pastorella, sempre "infedele" di nome Erminia si era innamorata di Tancredi, ma sapendo dell'impossibilità del loro rapporto, si rifugia sui monti, cercando di dimenticare le sue passioni. Infatti aveva già cercato la fanciulla di intrufolarsi nel campo cristiano sotto mentite spoglie, ma poi era fuggita atterrita da uno scontro. Verso la fine del poema Erminia, vedendo Tancredi ferito gravemente dal duello con il saraceno Argante, lo cura sempre però travestendosi. Erminia Figlia del re Cassano di Antiochia, perde padre e patria quando la sua città viene conquistata dai Crociati. Preda, tra molte altre, del vincitore di suo padre, il principe Tancredi, che tuttavia la onora e la protegge, Erminia finisce per innamorarsi del cortese conquistatore, tanto che la prigionia le è ben più diletta della libertà che alla fine le viene donata (VI, 56-57). La principessa è così obbligata, non senza molto ben celato dolore, a lasciare il campo cristiano e a cercare rifugio insieme all'anziana madre, a Gerusalemme, città alleata (VI, 59). Tra le mura della città, patita dopo poco anche la perdita della madre, Erminia si strugge per amore di Tancredi, continua a vagheggiare la sua dolce prigionia, a maledire l'amara libertà e a sognare il ritorno dell'amato, finché un giorno, i cristiani giungono alle porte della città, destando i timori della popolazione e risvegliando la sua tacita speranza. Alla vigilia dell'attacco mentre fremono i preparativi per la difesa, il re Aladino, la vuole accanto a sé sulle mura, perché lo aiuti a riconoscere i vari eroi cristiani a lei bene noti a causa della sua prigionia (III, 12, 17). Non senza molti sospiri e mal celate lacrime Erminia nomina e descrive i principali eroi cristiani, tra cui naturalmente Tancredi, celando sotto il manto de l'odio altro desio (III 19-20; 37-40; 58-63). Ogni volta che si trova sola, Erminia si rifugia sulla torre e qui piange e sospira; da qui osserva anche il combattimento tra Argante e Tancredi tormentandosi per la sorte dell'amato (VI, 62-63). Nelle notti successive l'immagine del principe lacero e ferito la tormenta nei suoi incubi (VI, 65) e il desiderio di curare le sue ferite con le arti mediche apprese dalla madre, non la abbandona mai di giorno (VI, 67-68); così come l'amara consapevolezza che, rimanendo in città, sarà i nvece obbligata a prestare il suo aiuto ad Argante, mettendo in ulteriore pericolo il suo amato che angue ferito nel campo cristiano. disperazione le fa pensare di somministrare erbe velenose ad Argante, ma la sua coscienza la porta a rifiutare tale proposito (VI, 68); il desiderio di raggiungere l'amato le fa meditare la fuga ma il dovere di salvaguardare l'onore regale la trattiene (VI, 69). Una vera e propria battaglia tra Onore e Amore si scatena dentro di lei; da una lato non avrebbe timore di avventurarsi fuori dal palazzo, avendo già visto guerre e stragi, l'Amore poi le fornisce tutta la forza necessaria all'impresa, dall'altra però il dovere di conservare la sua virtù, preservata perfino durante la prigionia e il pericolo della fama di impudica le impediscono di realizzare i suoi propositi. Ma la speranza nell'amore di Tancredi quale ricompensa delle sue cure, il vagheggiamento della realizzazione dei suoi sogni, la spingono infine prevalgono (VI, 69-78). Indossate le armi di Clorinda, sottratte dalla sua stanza mentre la guerriera si trova in concilio di guerra, con uno scudiero ed un'ancella si reca al campo cristiano (VI, 86-92). Appena giunta però, uno dei guerrieri, Poliferno, credendola la vera Clorinda, la attacca per vendicare la morte del padre ucciso dalla guerriera (VI, 108) facendola fuggire in preda al terrore (VI, 101). Frattanto Tancredi al quale era stato annunciato l'arrivo della donna che lui ama, insegue la non vera Clorinda, cadendo poi prigioniero nel castello di Armida. Dopo una notte e un intero giorno di fuga, Erminia giunge sulle rive del Giordano (VII 1-5) si rifugia poi tra i pastori (VII, 14-22) presso i quali resta per qualche tempo, per poi essere rapita da un gruppo di soldati egiziani (XIX, 99) che la portano al campo dell'esercito musulmano. Qui, la tante volte liberata e serva, alla vigilia della battaglia decisiva tra esercito Crociato e Musulmano, incontra Valfrino, inviato come spia da Goffredo, e, dopo avergli narrato la sua storia, lo prega di riportarla al campo crociato da Tancredi (XIX, 80). Lungo la strada però, i due incontrano lo stesso Tancredi in fin di vita dopo lo scontro decisivo con Argante; Erminia lo cura strappandolo alla morte (XIX 103-114), lui la riconosce e la ringrazia, ma in seguito al rientro del principe tra i suoi, di lei e del suo destino non si hanno più notizie. |
Post n°1862 pubblicato il 29 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Armida Nipote del mago Idraote, signore di Damasco, Armida è una bellissima maga, che lo zio invia tra i Crociati affinché ne catturi il maggior numero possibile distogliendoli dalla loro missione con la sua bellezza e con le sue arti magiche (IV, 23-30). Armida giunge al campo ed immediatamente i cristiani sono presi dalla sua bellezza (IV, 33, 1-4); dissimulando la consapevolezza del suo potere seduttivo e la gioia per le sue future conquiste che crede ormai certe, seguendo i consigli dello zio mago, si presenta come una principessa cacciata dal suo regno bisognosa della protezione di Goffredo e dei suoi. In presenza del capitano racconta di essere figlia di Arbilano re di Damasco e di sua moglie Cariclia, di aver perso i genitori e il regno, e di essere minacciata dal perfido zio che desidera la sua morte per usurpare il trono; chiede al capitano di darle dieci dei suoi uomini perché la aiutino a riconquistare il regno (IV, 33-64). Goffredo dapprima le rifiuta cortesemente l'aiuto richiesto perché distoglierebbe il suo esercito dalla sua missione (IV, 64-69), ma visto lo scontento dei suoi, per evitare ribellioni alla fine le concede quanto richiesto (IV, 77-82). Vengono estratti a sorte dieci dei soldati cristiani (V, 72) ed Armida parte con loro, ma molti altri invaghiti della maga la seguono abbandonando nottetempo il campo (V, 77-85) che si trova così sguarnito dei principali eroi essendo anche Rinaldo lontano. Il piano di Armida sembra in parte realizzato; la donna conduce i suoi prigionieri al suo castello sulle rive del Mar Nero (X, 61), qui gli eroi cristiani vengono trasformati in pesci, (X, 66-68), la maga chiede loro di abbracciare la fede musulmana e di passare alla parte nemica (X, 69), al loro rifiuto li imprigiona, finché avendo saputo che il re d'Egitto sta radunando un esercito decide di donargli i suoi prigionieri. Proprio mentre li conduce da lui interviene Rinaldo che li libera (X, 70-71). Armida così, privata delle sue prede, decide di vendicarsi facendo prigioniero proprio il loro l iberatore (XIV, 51); lo attira nel suo castello, lo induce al sonno con la sua magica arte e lo imprigiona. Nel rimirarlo addormentato tuttavia Armida non può che rimanere incantata dalla bellezza del paladino (XIV 66-68) e se ne innamora. Allora lo porta con sé nel suo giardino sulle Isole della Fortuna perché nessuno le sottragga l'oggetto del suo amore ( XIV, 69-71). Qui trascorre con Rinaldo, dimentico dei suoi doveri di crociato, un periodo di felici amori (XVI, 17-25), finché il paladino non viene riportato alla ragione dai suoi compagni Carlo ed Ubaldo inviati da Goffredo per ricondurlo alla guerra. Armida viene così abbandonata da Rinaldo in nome dei suoi doveri di combattente della fede, e rimasta sola e schernita (XVI, 35), in preda all'ira, promette vendetta (XVI, 59-60). Evoca i demoni, gli stessi attraverso i quali aveva fatto comparire il palazzo, e l'incanto cessa: tutto sparisce senza lasciare traccia (XVI, 68-69); poi vola con il carro magico fino al suo castello a Damasco, qui raduna i l seguito e si prepara per unirsi all'esercito musulmano adunato dal re d'Egitto a Gaza (XVI, 73-75). Al campo Armida si mostra al sommo della sua bellezza, in veste di arciera, su un carro riccamente adornato, con un immenso seguito (XVII, 33-34). Di fronte al re d'Egitto e a tutto l'esercito Armida si promette a chi l'aiuterà a realizzare la sua vendetta su Rinaldo colpevole di averla disonorata (XVII 48). Anche qui come prima nel campo cristiano i principali eroi si contendono i suoi favori e fanno a gara per tentare di compiacerla; allo stesso modo Armida illude i vari guerrieri per infiammarli ed ottenere da loro la sua vendetta (XIX, 67-70). Giunto il giorno della battaglia decisiva, quando la sorte arride all'esercito crociato, Rinaldo ed Armida si incontrano, la donna punta il suo arco contro il paladino e per tre volte cerca di scagliare la freccia, ma l'amore le impedisce di colpire l'amato (XX, 61-63); rimasta sola in balia dei nemici Armida viene difesa da Altamoro che abbandona per lei i suoi soldati dandole l'opportunità di mettersi in salvo (XX, 69-70). Dopo aver visto tutti i suoi campioni cadere ad uno ad uno, disperando ormai la vittoria e la vendetta, fugge sul suo destriero (XX, 117) e si rifugia in una radura; qui in preda alla disperazione, medita di uccidersi con le stesse armi che non hanno saputo macchiarsi del sangue del suo nemico-amante realizzando la sua vendetta (XX, 124-127). Rinaldo giunge proprio nel momento in cui sta per trafiggersi con le sue stesse armi e la ferma (XX, 127); poi la rassicura, la invita a placare il suo animo, si dichiara suo campione e servo e promette di ricollocarla sul suo trono e di regnare al suo fianco come legittimo consorte se lei abbandonerà la fede pagana. Armida si rasserena e accetta, si dichiara ancella sua e disposta a condividere la sua fede e il suo destino (XX, 134-136). Rinaldo Anche Rinaldo, oltre a Tancredi, è una figura piena di difetti e ambivalenze nel poema. Combattendo per Goffredo, egli uccide incoscientemente il compagno Gernando. Fatto ciò egli fugge dall'accampamento in preda allo sconforto. La magaArmida, nemica dei cattolici, lo attrae a sé con la seduzione e il piacere. Rinaldo viene catturato e costretto ad amare Armida nella sua casa incantata. Goffredo, non vedendo più Rinaldo, viene accusato dai suoi commilitoni di averlo ucciso e quindi, fattasi la situazione insostenibile, spedisce i soldati Carlo e Ubaldo in casa di Armida perché liberino Rinaldo. Infatti Goffredo di Buglione aveva scoperto la prigione del paladino grazie ad un intervento divino, dato che egli fu il prescelto dall'Arcangelo Gabriele per conquistare Gerusalemme. Ubaldo e Carlo dapprima si trovano a combattere contro i sortilegi della maga, addirittura uccidendo un drago sputafuoco, Rinaldo vedendo la sua immagine riflessa nello scudo del suo compagno vede la parte deformata ed oscura di sé (tema del doppio). Tornato tra i suoi soldati, Rinaldo ottiene il perdono da Goffredo e si ritira in meditazione sul Monte Oliveto. Verso la fine del poema egli, che è l'unico ad aver superato la propria paura, taglia la legna della foresta incantata di saron e porta la cristianità alla vittoria. |
Post n°1861 pubblicato il 29 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
I nemici principali dei cristiani Ismeno: sacerdote e mago dei turchi, il quale convoca la bellissima giovane e seducente Armida per gettare scompiglio sui cristiani. Ismeno per celebrare un suo rito satanico contro l'esercito di Goffredo cerca di celebrare anche un sacrificio pagano, volendo bruciare vivi i ragazzi Olindo e Sofronia. Però questi all'ultimo momento vengono salvati da Clorinda.Argante: reggente della Gerusalemme conquistata dai turchi, alleato fedelissimo del re Aladino. Originariamente giunse come ambasciatore dall'Egitto per proporre un accordo coi cristiani ma, cacciato da Goffredo, si alleò con i musulmani. Alla fine del poema viene ucciso da Tancredi.Aladino: re di Gerusalemme, legittimo nemico della cristianità e di Goffredo. Ordina gli attacchi contro l'esercito nemico, servendosi anche della maga Armida. Alla fine del poema viene ucciso dal cristiano Raimondo.Idraote: mago e indovino, governatore di Damasco e delle città limitrofe. È zio di Armida ed è lui a decidere di mandarla presso il campo cristiano. La lingua Lo stile del Tasso si distingue per un "parlar disgiunto", per un verseggiare rotto da frequenti figure retoriche e metriche:chiasmo, enjambement, inversione, antitesi, anadiplosi, allitterazione, anafora. I versi sono spezzati all'interno da forticesure. Ad esempio a proposito di Clorinda e Tancredi il Tasso scrive: "Segue egli impetuoso, ||onde assai prima /che giunga, in guisa avvien ||che d'armi suone, / ch'ella si volge e grida: ||"O tu, che porte, / che corri sì?".||Risponde:||"E guerra e morte"./ "Guerra e morte avrai", ||disse... Sono presenti due enjambement tra il primo e il secondo verso e tra il terzo ed il quarto; allitterazione di "g" e "n" nel secondo verso; anafora di "che" nel secondo, terzo e quarto verso; anadiplosi in "guerra e morte" tra i due versi. Cesure evidenti ci sono a metà dei versi. Edizioni Gerusalemme liberata Tasso aveva completato l'opera nel 1575, ma fu poi riluttante a darla alle stampe, a causa di scrupoli morali che, uniti a disturbi nervosi che andavano via via aggravandosi, gli imponevano una revisione ossessiva del testo. Per questo lo sottopose al giudizio di amici, letterati e religiosi, tra cui Sperone Speroni, Flaminio de' Nobili, Scipione Gonzaga e Silvio Antoniano. Sottopose il poema persino all'Inquisizione, ricevendo due sentenze di assoluzione. Tuttavia, nel 1580, mentre era internato nell'ospedale di Sant'Anna, fu pubblicata una prima edizione scorretta e non completa da Celio Malespini, a Venezia, presso l'editore Cavalcalupo e senza il consenso dell'autore. Tale edizione era mutila dei canti XI, XIII, XVII, XVIII, XIX, XX (il XV e il XVI erano incompleti) e recava il titolo diGoffredo. Tasso ne ebbe gran dispiacere, e l'amico Angelo Ingegneri si mise subito al lavoro per restituire una versione più vicina all'originale. Sulla base di un manoscritto che aveva copiato a Ferrara nell'inverno precedente l'edizione malespiniana, diede alla luce due edizioni del poema, questa volta con tutti i canti. Fu lui a cambiare il titolo dell'opera, che diventò così La Gerusalemme liberata. Tuttavia, per avere la migliore versione occorreva il consenso dell'autore, e, pur riluttante, Tasso diede a Febo Bonnà la propria approvazione. Così, il 24 giugno1581 l'opera usciva per i tipi ferraresi di Baldini, con dedica al duca Alfonso II d'Este. Seguì subito una seconda edizione dello stesso Bonnà, ancor più precisa e corretta. Più tardi, nel 1584, Scipione Gonzaga, letterato amico di Tasso che disponeva di più versioni in virtù delle revisioni cui aveva sottoposto il poema per volere di Torquato, approntò una nuova edizione, che apparve diversa dalla precedente per alcuni interventi di censura, operati sia dal curatore sia dall'autore stesso. Fu questa la versione che si affermò presso il pubblico. Molto celebre è stata l'edizione del 1590 stampata a Genova da Girolamo Bartoli, con annotazioni di Scipione Gentili (1563-1616), Giulio Guastavini (m. 1633) e le tavole di Bernardo Castello (1557-1629). Quest'ultimo sottopose le illustrazioni al giudizio dell'autore, che le apprezzò, lodandole in un sonetto. Il poema riscosse subito grande successo, testimoniato dalle numerose ristampe che si susseguirono negli anni successivi. Il testo su cui esse si fondavano era quello del 1584, mentre oggi le edizioni critiche riproducono il testo non censurato del 1581. I numeri confermano l'estrema popolarità di cui l'opera godette sin dalla fine del Cinquecento: la Gerusalemme fu edita trenta volte nella parte finale del XVI secolo, centodieci volte nel XVII, centoquindici nel XVIII e addirittura cinquecento nel XIX. Come era già accaduto per l'Orlando Furioso, il poema tassesco si diffuse a tutti i livelli sociali, e anche le persone più umili ne sapevano parecchi versi a memoria. Interessante risulta un aneddoto riportato dal Foscolo: trovandosi una sera aLivorno, vide una brigata di galeotti che rincasavano dopo la giornata lavorativa, recitando i versi della preghiera dei crociati prima della battaglia. Nell'Ottocento Severino Ferrari, uno dei più validi allievi del Carducci e insigne filologo, migliorò ulteriormente l'opera, avvalendosi dei dettami della moderna filologia, nata con il metodo del Lachmann, e rifacendosi alle edizioni del Bonnà. Riprese dell'opera La Gerusalemme si pose immediatamente come modello del poema eroico e costituì il punto di riferimento per le generazioni di poeti successive: Giulio Natali rilevava nel 1943 come l'opera fosse stata imitata un centinaio di volte prima che La secchia rapita di Alessandro Tassoni parodiasse il genere, dando vita al poema eroicomico. La Liberata si diffuse subito anche fuori dalla penisola: si racconta come la regina d'Inghilterra, Elisabetta, si rammaricasse di non avere a disposizione un autore come il Tasso, e neanche le traduzioni si fecero attendere: la Gerusalemme ebbe presto varie versioni in latino e nelle principali lingue europee. Le riprese hanno naturalmente valicato i confini della letteratura: il compositore secentesco Jean-Baptiste Lully musicava una celebre Armida, su libretto di Quinault, nel secolo precedente il Rinaldo händeliano. Pregiatissimo il pur breve componimento monteverdiano intitolato Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1624). Tra i personaggi del poema, quello della donna ammaliatrice, Armida, ha dominato la scena del melodramma nel Settecento: l'elenco di autori che l'hanno scelta come protagonista di una loro opera è molto lungo e anche solo una selezione di nomi può rendere l'idea dell'importanza del fenomeno: Albinoni (con due opere), Vivaldi, Jommelli (tre riprese), Traetta, Salieri, Sacchini, Gluck, Armida ricompare, anche se con minor frequenza, nell'Ottocento: è celebre l'Armida rossiniana, ma una certa rilevanza ebbero anche l'opera seria di Francesco Bianchi - le cui parole furono scritte da Lorenzo da Ponte - che andò in scena alKing's Theatre di Londra (1802), Armida e Rinaldo, dramma in musica dell'aversano - e nipote dello Jommelli - Gaetano Andreozzi (1802), rappresentato per la prima volta al S. Carlo di Napoli, e Rinaldo e Armida, ballo eroico del coreografoLouis Henry (1817, prima In età romantica, Armida fu affiancata, nell'immaginario di librettisti e compositori, dal personaggio di Erminia. Alla dolce principessa saracena innamorata di Tancredi (protagonista a sua volta nel 1812 di un'opera seria di Stefano Pavesi) Luigi Antonio Calegari dedicò una farsa giocosa in un atto (1805) e Antonio Gandini un'opera lirica (1818). In ambito letterario bisogna citare almeno l'Enriade di Voltaire e la Messiade di Klopstock, che ebbero nell'opera tassesca il modello principale. Riletture contemporanee La storia di Tancredi e Clorinda - già oggetto di un madrigale di Claudio Monteverdi - è stata ripresa in chiave interculturale nella omonima canzone con musica dei Radiodervish e testo di Michele Lobaccaro, pubblicata nel disco Beyond the sea del2009. |
Post n°1860 pubblicato il 28 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: biblioteca Olivelli In un periodo letterario per molti aspetti da rivisitare e, soprattutto, in un genere, il romanzo, particolarmente adatto sia a riflettere avvenimenti politico-sociali che direttamente o indirettamente coinvolsero la nostra civiltà durante la dittatura, e sia ad accogliere "storie di anime", il volume di Farinelli si presenta come un ulteriore ed articolato strumento di ricerca e come una guida utile per approfondire studi che sono ancora da considerarsi in una fase analitica. Infatti, nonostante non pochi interventi monografici su scrittori ormai classici- vedi Svevo, Moravia, Bacchelli, Moretti, palazzeschi, Silone- e nonostante non poche panoramiche e ricognizioni critiche, troppo materiale bibliografico è restato e resta in ombra: materiale, ad ogni modo, necessario, almeno sul piano del costume, a chi voglia tentare un non approssimativo bilancio della narrativa del "ventennio nero". Ciò detto, il volume cerca di soddisfare, pur nell'esiguità dello spazio, anche le esigenze didattiche di quanti desiderano estendere o integrare, senza presunzioni o deviazioni ideologiche, i loro concetti sul "romanzo tra le due guerre", peraltro già discusso e inquadrato in proficui repertori.
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Post n°1859 pubblicato il 26 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 01 ottobre 2018 Come cercare civiltà morte nel cosmo Antiche civiltà ormai estinte potrebbero essere state comuni nella nostra galassia, e le loro reliquie tecnologiche potrebbero trovarsi ovunque. I primi sospetti riguardano 'Oumuamua, il misterioso (e discusso) asteroide interstellare scoperto nel sistema solare l'anno scorsoAbraham Loeb/Scientific American Il tasso di crescita delle nuove tecnologie è spesso proporzionale alle conoscenze passate, il che porta a un avanzamento esponenziale nel tempo. Questo processo esplosivo implica che, dopo aver raggiunto la maturità tecnologica, una civiltà svilupperà molto presto i mezzi per la propria distruzione per effetto del cambiamento climatico, per esempio, o armi nucleari, biologiche o chimiche. apparirebbero come improvvisi nella prospettiva cosmica di miliardi di anni. Se questa autodistruzione fosse un fenomeno comune, potrebbe spiegare il paradosso di Fermi (che chiede "dove sono tutti?") e implicare che nello spazio i resti di civiltà sepolte abbondano. potremmo quindi trovare pianeti con superfici riarse, megastrutture abbandonate o atmosfere ricche di gas velenosi e nessun segno di vita. Ancora più intrigante è la possibilità di trovare nel nostro sistema solare relitti tecnologici che fluttuano senza un funzionamento rilevabile, per esempio pezzi di equipaggiamenti che hanno perso energia in milioni di anni di viaggio e si sono trasformati in spazzatura spaziale. Science Photo Library RF / AGF La quantità di detriti nello spazio interstellare dipenderebbe dall'abbondanza di civiltà tecnologiche e dalla portata delle loro ambizioni di esplorazione spaziale. circa un quarto di tutte le stelle ospita un pianeta abitabile di dimensioni terrestri. Anche se una piccola parte di tutte le "Terre" abitabili portasse a civiltà tecnologiche come la nostra durante la vita delle loro stelle, nella Via Lattea potrebbe esserci abbondanza di reperti da esplorare. per una nuova frontiera dell'archeologia spaziale, e cioè lo studio nello spazio delle reliquie di civiltà passate. Invece di usare le pale per scavare nel terreno, questa nuova frontiera sarà esplorata usando telescopi per monitorare il cielo e "scavare" nello spazio. orizzonte di ricerca completamente futuristico. Ma il dato interessante è che la prima reliquia artificiale potrebbe essere statas coperta l'anno scorso, quando la survey Pan STARRSsky ha identificato il primo oggetto interstellare nel sistema solare, 'Oumuamua. Circa un decennio fa, l'abbondanza di asteroidi interstellari con lunghezza dell'ordine dei chilometri come 'Oumuamua è stata stimata estremamente piccola, rendendo questa scoperta una sorpresa completa. Illustrazione di 'Oumuamua Inoltre, 'Oumuamua è più allungato di qualsiasi asteroide conosciuto nel sistema solare. Ma la cosa più intrigante è che devia dall'orbita che ci si sarebbe aspettati basandosi sul campo gravitazionale del Sole. spiegate con l'effetto razzo associato al degassamento dovuto al riscaldamento di acqua ghiacciata da parte del Sole, dietro 'Oumuamua non c'era traccia di una coda cometaria, e i calcoli implicano, contrariamente alle osservazioni, che il suo periodo di rotazione su se stesso dovrebbe essere cambiato significativamente se fosse presente un qualsiasi momento torcente cometario. 'Oumuamua potrebbe avere un motore artificiale? Anche se sembra un pezzo di roccia naturale, come indica la mancanza di trasmissioni radio, questo oggetto è molto insolito da molti punti di vista. continuare a cercare detriti interstellari nel sistema solare. Gli oggetti interstellari potrebbero anche non essere visitatori occasionali: una piccola parte potrebbe essere stata intrappolata dalla "rete" gravitazionale gettata dal Sole e da Giove. potrebbero perdere energia orbitale per effetto della loro interazione gravitazionale e rimanere legati al sistema solare. In effetti, un asteroide che occupa un'orbita indicativa di questa origine, BZ509, è stato recentemente identificato in un'orbita retrograda attorno a Giove. per inseguire 'Oumumua è impossibile a causa della sua alta velocità, ma si possono ipotizzare missioni per atterrare su oggetti interstellari legati al sistema solare. Sebbene siano una piccola minoranza di tutti gli asteroidi o comete del sistema solare, la loro origine interstellare può essere identificata in base alle loro orbite insolite attorno a Giove o, nel caso delle comete, attraverso la loro caratteristica (extrasolare) abbondanza isotopica dell'ossigeno, rilevabile dalle osservazioni spettroscopiche della coda. artificiale fornirebbe una risposta affermativa alla vecchia domanda "Siamo soli?" Questo avrebbe un impatto notevole sulla nostra cultura e aprirebbe una nuova prospettiva cosmica al significato dell'attività umana. Speriamo che trovando una civiltà sepolta a causa di guerre o cambiamenti climatici ci convinceremo a collaborare per evitare un destino simile. Ma sarebbe ancora più significativo se le immagini radar o le fotografie ravvicinate di una reliquia interstellare all'interno del sistema solare mostrassero segni di una tecnologia avanzata che la nostra civiltà non ha ancora raggiunto. Non c'è lezione migliore da imparare di quella delle civiltà che hanno sviluppato tecnologie avanzate fino all'autodistruzione. "Scientific American" il 27 settembre 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
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