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Messaggi di Maggio 2019

Tornano ad aumentare i gas che distruggono l'ozono

Post n°2214 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

23 maggio 2019

Tornano ad aumentare i gas che distruggono l'ozono

Dal 2013 i livelli atmosferici dei CFC, ovvero gas che

distruggono lo strato di ozono, sono tornati ad aumentare

nonostante la loro messa al bando in tutto il mondo.

Una parte consistente di queste nuove emissioni illegali

proviene da province della Cina orientale

ambientechimico

Dal 2013, le emissioni annuali di clorofluorocarburi (CFC)

- una delle più importanti classi di molecole che distruggono

lo strato di ozono che ci protegge dalle radiazioni ultraviolette

del Sole - il cui uso è vietato dal Protocollo di Montreal, sono

aumentate in modo inaspettato.

L'immissione in atmosfera di questi gas proviene in buona

pare da alcune regioni della Cina orientale.

A documentarlo è uno studio effettuato da un gruppo

internazionale di ricercatori diretto da Matt Rigby dell'Università

di Bristol, e pubblicato su "Nature", che ha in particolare tracciato

il CFC-11, uno dei clorofluorocarburi in passato più diffusi.

Negli ultimi decenni i livelli atmosferici di CFC-11 erano in

discesa in seguito agli accordi internazionali per una loro

progressiva messa al bando.

Le analisi dei dati registrati da varie reti di monitoraggio sparse

per il mondo hanno però mostrato che dal 2013 c'è stato un

nuovo inaspettato rialzo, indice che da qualche parte erano

riprese emissioni illegali di questo composto, un tempo

ampiamente usato come fluido di refrigerazione nei frigoriferi

e come schiumogeni negli isolati degli edifici.

Tornano ad aumentare i gas che distruggono l'ozono

Il confronto fra le emissioni di CFC in Cina orientale nel

periodo 2008-2012 (sinistra) e 2014-2017 (destra) indica un

netto aumento. Per escludere che l'aumento fosse realmente

dovuto a una nuova produzione, ha spiegato Rigby,

"abbiamo esaminato le stime sulla quantità di CFC-11 che

potrebbe essere inglobato in schiume isolanti in edifici o

frigoriferi prodotti prima del 2010, ma le quantità erano

troppo piccole per spiegare il recente aumento".

Per poter stabilire la provenienza del gas, è stato necessario

allestire una nuova rete di rilevazione; le centraline di quella

usata fino ad allora erano collocate in punti molto lontani

dalle possibili fonti di emissione, proprio per essere sicuri di

rilevare le concentrazioni medie globali di CFC-11.

L'analisi dei dati provenienti dalla nuova rete - che copre diverse

aree parti di Nord America, Europa, Australia meridionale

, Corea e Giappone - ha ora mostrato che dal 40 al 60 per cento

delle nuove emissioni, pari a circa 7000 tonnellate all'anno di

gas, proviene dalla Cina orientale, e in particolare dalle province

di Shandong e di Hebei.

Per l'individuazione dei responsabili specifici bisognerà chiedere

la collaborazione diretta delle autorità cinesi, che peraltro

proprio di recente hanno individuato e chiuso alcuni impianti

di produzione illegali.

I dati indicano peraltro che aumenti minori si siano verificati

anche in altri paesi o nelle regioni più occidentali della Cina,

tutte aree troppo lontane dagli attuali punti di monitoraggio

della rete di monitoraggio.

Purtroppo, anche la nuova rete non copre molte aree del globo,

specie nei paesi in via di sviluppo, ma quel che è peggio, osservano

i ricercatori, è che "probabilmente abbiamo rilevato solo una parte

del totale dei CFC prodotti. Il resto potrebbe essere incluso in

edifici e refrigeratori e verrà rilasciato nell'atmosfera nei prossimi

decenni", ritardando il tempo necessario allo strato di ozono e al

"buco" dell'ozono antartico per riprendersi. (red)

 
 
 

I primi cereali di Homo sapiens

Post n°2213 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

18 dicembre 2009

I primi cereali di Homo sapiens

I primi cereali di  Homo sapiens

Scoperte le più antiche testimonianze del consumo

di cereali selvatici della storia.

Questi dati archeologici sono in accordo con altri

rinvenuti in ogni parte del mondo, risalenti alla fine

dell'ultima Era glaciale, circa 12.000 anni fa.

In questo caso però  i reperti sono datati all'inizio di

quell'era, cioè a circa 90.000 anni prima(red)

archeologiaantropologiaalimentazione

Il consumo di cereali selvatici tra le popolazioni di

cacciatori e raccoglitori potrebbe essere molto più

antica di quanto ritenuto finora, stando a una recente

ricerca dell'Università di Calgary, in Canada, nell'ambito

della quale gli archeologi hanno trovato il più antico

esempio di dieta basata in buona parte su cereali e

radici in una popolazione di Homo sapiens più di

100.000 anni fa.

Julio Mercader, ricercatore del Dipartimento di

archeologia dell' Università di Calgary ha recuperato

infatti decine di strumenti di osso in una profonda

grotta in Mozambico che mostra come il sorgo selvatico,

antenato del principale cereale consumato tutt'oggi

nell'Africa sub-sahariana per produrre farina, pane,

pappe e bevande alcoliche era presente nella "dispensa"

di Homo sapiens insieme con palma, falsa banana

(Enset ventricosum), il legume della specie Cajanus

cajan e la patata africana.Si tratta della prima e più

antica diretta evidenza di cereali pre-domesticati

ovunque nel mondo.

"Il risultato retrodata notevolmente l'inizio dell'utilizzo

dei semi da parte delle specie umane e rappresenta una

prova di una dieta estesa e sofisticata molto prima di

quanto ritenuto", ha spiegato Mercader.

"Ciò avvenne durante l'Età della pietra quando la raccolta

di cereali selvatici è stata percepita come attività irrilevante

se non altrettanto importante di radici, frutti e frutta secca."
In 2007, Mercader e colleghi dell'Università del Mozambico

effettuarono alcuni scavi nella grotta di calcare nei pressi del

Lago Niassa che venne utilizzata in modo intermittente da

antichi raccoglitori nel corso di 60.000 anni.

Nel fondo della grotta, i ricercatori hanno scoperto decine

di strumenti di osso, ossa animali e resti di piante, tutti segni

indicativi di pratiche alimentari preistoriche.

La scoperta di diverse migliaia di particelle di amido e di

strumenti per raschiare e molare il sorgo selvatico dimostrano

come tale cereale venisse portato nella grotta e lavorato in

modo sistematico.

"Si è ipotizzato che l'uso dell'amido abbia rappresentato un

passo cruciale nell'evoluzione umana, poiché migliorò la qualità

della dieta nelle savane e nelle foreste africane, in cui si è

evoluta la prima linea di esseri umani moderni", ha commentato

Mercader.

"L'inclusione dei cereali nella nostra dieta è considerato un passo

importante in virtù della complessità tecnica della manipolazione

culinaria richiesta per convertire i cereali in alimenti."

Mercader sostiene che questo tipo di evidenze archeologiche sono

in accordo con altre dello stesso tipo rinvenute in ogni parte del

mondo, durante gli ultimi stadi dell'ultima Era glaciale,

approssimativamente 12.000 anni fa. In questo caso i reperti sono

datati all'inizio dell'Era Glaciale, cioè a circa 90.000 anni prima. 

 
 
 

Acqua salata e ossigeno, gli ingredienti per la vita su Marte

Post n°2212 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

23 ottobre 2018

Acqua salata e ossigeno, gli ingredienti per la vita su Marte

Acqua salata e ossigeno, gli ingredienti per la vita su Marte

Nuovi calcoli e simulazioni hanno dimostrato che l'ossigeno

molecolare disciolto nell'acqua salmastra che si trova sulla

superficie del Pianeta Rosso è sufficiente a supportare la

presenza di batteri aerobici o, in alcuni casi, di animali semplici

come le spugne(red)

planetologia

In varie regioni della superficie di Marte, e più spesso negli

strati sotterranei meno profondi, si trova acqua salmastra, come

hanno documentato nel 2015 le analisi dei dati della sonda

Curiosity della NASA.

Ora una serie di calcoli e simulazioni descritti su "Nature Geoscience"

 da un gruppo di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory del

California Institute of Technology di Pasadena, guidati da Vlada

Stamenkovic, ha dimostrato che questa acqua salmastra è in grado

di contenere una quantità di ossigeno molecolare sufficiente a

sostenere la vita di batteri aerobici e, in alcuni casi, di animali

semplici come le spugne. 

Acqua salata e ossigeno, gli ingredienti per la vita su Marte

Vista globale della superficie di Marte ottenuta componendo

circa 100 immagini catturate dalla sonda Viking

Il risultato è un ulteriore, importante passo avanti per arrivare

a chiarire se e come il Pianeta Rosso può ospitare qualche forma

di vita, o possa averlo fatto nel suo lungo passato.

Sulla Terra, tutte le forme di vita multicellulare hanno un

metabolismo basato sulla respirazione aerobica, che è la più

efficiente tra quelle note (le forme di respirazione anaerobica

sono riservate a rare specie di batteri e funghi).

Per vivere, gli organismi multicellulari hanno bisogno di un'atmosfera

ricca di ossigeno, come quella terrestre, in cui questo gas raggiunge

una percentuale del 21 per cento circa in volume grazie al processo

di fotosintesi clorofilliana dei vegetali.

Su Marte, tuttavia, le condizioni sono molto differenti, anche

nell'atmosfera, che ha una pressione di 6,1 millibar, cioè appena 6

millesimi circa di quella terrestre.

E le misurazioni condotte da Terra e con i rover che hanno percorso

la superficie del Pianeta Rosso indicano che l'ossigeno vi si trova

solo in tracce, per effetto della dissociazione dell'anidride carbonica

prodotta dalla radiazione solare.

A causa della sua scarsità, l'ossigeno marziano ha ricevuto poca

attenzione, ma ora le cose sono cambiate per diversi motivi.

Il primo è la scoperta di brine sulla superficie di Marte, che

occasionalmente può dare vita a flussi di acqua liquida, ricca di sali.

Il secondo è che alcuni studi hanno provato che la concentrazione

di ossigeno nei liquidi in grado di sostenere forme di vita è

inferiore di quella stimata finora.

Stamenkovic e colleghi hanno condotto una serie di simulazioni

per calcolare la quantità di ossigeno molecolare che può essere

disciolto in salamoie liquide composte di sale e acqua in varie

condizioni di pressione e temperatura che si possono trovare

sulla superficie di Marte o poco al di sotto di essa.

Hanno così scoperto che le concentrazioni di ossigeno molecolare

sono particolarmente elevate nelle regioni polari.

Inoltre, alcuni dei depositi di acqua salmastra nel sottosuolo

marziano potrebbero contenere abbastanza ossigeno per supportare

la vita aerobica.

Questi risultati possono anche spiegare in che modo potrebbero

essersi formate le rocce ossidate viste dai rover durante l'esplorazione

della superficie di Marte.

 
 
 

Un piccolo testimone della formazione del sistema solare

Post n°2211 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

30 gennaio 2019

Un piccolo testimone della formazione del sistema solare

Un piccolo testimone della formazione del sistema solare

Nella remota fascia di Kuiper, oltre i confini dell'orbita

di Nettuno, è stato individuato per la prima volta un

asteroide con un diametro di appena 1,3 chilometri.

La presenza in quella regione del sistema solare di

corpi celesti così piccoli, che risalgono alle prime fasi

di formazione dei pianeti, era stata prevista 70 anni fa,

ma finora la loro ricerca era andata a vuoto(red)

planetologiaastronomia

Un asteroide di appena 1,3 chilometri di diametro è stato

scoperto per la prima volta nella fascia di Kuiper, agli

estremi margini del sistema solare.

La scoperta, illustrata su "Nature Astronomy", suggerisce

che oggetti di dimensioni analoghe o poco superiori -

risalenti all'inizio dell'epoca di formazione dei pianeti -

siano molti di più di quanto si credesse.

Un piccolo testimone della formazione del sistema solare

Raffigurazione artistica del corpo celeste appena scoperto.

La fascia di Kuiper è un insieme di piccoli corpi celesti situati

oltre l'orbita di Nettuno, fra i quali si annovera anche Plutone,

dopo il suo declassamento, nel 2006, da pianeta a pianeta nano.


Come gli asteroidi che si trovano fra Marte e Giove, si ritiene

che anche quei corpi siano residui della fase di formazione del

sistema solare, quando, aggregandosi in gran numero, diedero

origine ai pianeti.

Tuttavia, a differenza degli oggetti della fascia interna, che sono

stati alterati dal costante bombardamento di radiazioni provenienti

dal Sole e dalle frequenti collisioni, quelli della fascia di Kuiper -

sparsi in un volume di spazio immenso e lontani dal Sole  - 

devono essere rimasti sostanzialmente nelle condizioni originarie.

I modelli di formazione dei pianeti prevedono da oltre  70 anni

l'esistenza di oggetti di diametro compreso fra uno e pochi

chilometri oltre l'orbita di Nettuno, oggetti però troppo piccoli

e poco visibili per essere osservati direttamente anche dai

telescopi più potenti.

Ko Arimatsu dell'Osservatorio astronomico nazionale del

Giappone, e colleghi sono ora riusciti a scoprirne uno ricorrendo

a un metodo indiretto, detto delle occultazioni, che misura la

variazione della luce proveniente da una stella quando un oggetto

passa davanti a essa.

Usando solo due piccoli telescopi e monitorando 2000 stelle per

60 ore, i ricercatori sono riusciti a individuare un evento di 

occultazione coerente con il passaggio davanti a una stella di un

oggetto di 1300 metri di diametro.

Considerato il numero ridotto di stelle prese in esame e di ore

di osservazione, osservano gli autori, le probabilità di registrare

un evento simile sembravano molto basse.

Il successo dell'impresa suggerisce quindi che il numero di corpi

celesti di quelle dimensioni sia molto superiore a quello finora

stimato.

Inoltre, commenta Arimatsu, "questa è una vera vittoria per piccoli

progetti.

Il nostro team aveva meno dello 0,3 per cento del budget dei grandi

progetti internazionali, eppure siamo riusciti a fare una scoperta che

non era riuscita a progetti ben più grandi.

Ora che sappiamo che il nostro sistema funziona, studieremo più in

dettaglio la fascia di Kuiper, ma abbiamo gli occhi puntati anche

sulla Nube di Oort".

 
 
 

Un culto dei teschi nella Turchia del Neolitico

Post n°2210 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

30 giugno 2017

Un culto dei teschi nella Turchia del Neolitico

Nel più antico sito monumentale neolitico, quello di Göbekli

Tepe, vicino al confine turco con la Siria, sono stati rinvenuti

dei crani che portano tracce di incisioni, fori e pitture.

Queste alterazioni intenzionali probabilmente erano legate

al culto degli antenati o alla credenza di poter acquisire

particolari capacità del defunto(red)

archeologiaantropologia

A Göbekli Tepe, un sito archeologico nella Turchia sud-

orientale famoso perché nel 1995 vi fu scoperto il primo

complesso monumentale megalitico, datato fra il 9600 e

l'8000 a.C., sono state ritrovate le prove dell'esistenza di

un "culto dei teschi" risalente agli inizi del Neolitico.

Le analisi di una serie di crani che hanno portato a questa

conclusione sono state condotte da ricercatori dell'Istituto

archeologico tedesco di Berlino, che firmano un articolo

su "Science Advances".

Un culto dei teschi nella Turchia del Neolitico

Veduta aerea di Göbekli Tepe.

Gli studi antropologici registrano numerosi casi di culto dei

teschi, che possono essere venerati per vari motivi, dal culto

degli antenati alla credenza nella trasmissione di particolari

abilità del defunto al vivente.

Questo culto può assumere forme diverse, dalla deposizione

dei teschi in luoghi speciali, alla loro decorazione con diversi

colori fino alla ricostruzione dei tratti del volto con la malta.

Un culto dei teschi nella Turchia del Neolitico

Pilastro di un edificio di Göbekli Tepe.Non è chiaro se

Göbekli Tepe fosse un complesso di templi, come ritiene la

maggioranza degli archeologi, o di un insediamento anche

abitativo, come suggerito da altri, ma gli scavi condotti a

Göbekli Tepe finora non hanno portato alla luce alcuna tomba.

Tuttavia è stato rinvenuto un numero considerevole di ossa

umane, gran parte delle quali (408 su 691) sono frammenti di

ossa del cranio.

La frammentazione dei crani e le tracce e scalfitture presenti

su di essi finora erano stati  attribuiti a processi di degradazione

naturali, tanto più che tutto il sito era stato ricoperto con terra

e sassi fino a formare una vera e propria collina artificiale.

Grazie a una più attenta analisi dei resti, Julia Gresky e

colleghi ora hanno identificato in tre crani parziali delle

profonde incisioni praticate con utensili litici, dimostrandone

cosi l'origine intenzionale. 

Ulteriori analisi hanno escluso che le incisioni fossero una

conseguenza secondaria di un'asportazione dello scalpo.

Uno dei crani, inoltre, mostra anche un foro nell'osso

parietale sinistro e residui di ocra rossa.

Secondo gli autori, probabilmente i teschi furono scolpiti, e

forse adornati, per venerare gli antenati o per esibire nemici

uccisi.

 
 
 

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