Creato da ciacii il 17/10/2007

La Ciaci

Le storie della Ciaci

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ANGELO

 

RESPIRO

Respiro la vita attraverso i tuoi occhi.
Bacio il tuo  cuore sulle tue labbra.
Vedo i colori del cielo con le tue mani.
Riposo sereno sul tuo seno.
Sento il mio amore con i tuoi occhi.
Amo la forza della tua vita
che mi fa vivere.
Dentro te.

(Guidopardo1)

 

TRUCCO

 
 

STUPIDA

Che stupida che sei
tu non impari mai
il tuo equilibrio è un posto
che tu passi e te ne vai
e più stupida di te
sappi non ne troverai

quelle tue paure inutili
non finiranno…
Ma che stupida che sei
stupida un’altra volta
che parli ad uno specchio
e mai alla persona giusta
e da stupida che sei
tu non farai mai niente
sei una persona tra la gente ma
la gente mente sempre
imparare da sempre
camminare da sempre
e non capirai niente
hai sbagliato da sempre
ed è inutile adesso
che ti guardi a uno specchio che non sa chi sei
a uno specchio che non sa chi sei.
Che stupida che sei
che non ti sprechi mai
le tue poesie sono coriandoli
che non seminerai.
Se poi per ironia
prendessi quota
partendo da un palazzo punteresti in alto
ma che stupida che sei
stupida un’altra volta
nuda di fronte a uno specchio
e mai alla persona giusta
e da stupida che sei
fai pure finta di niente
lui si riveste soddisfatto
e intanto sai che mente
sempre imparare da sempre
camminare da sempre
e non capirai niente
hai sbagliato da sempre
ed è inutile adesso
che ti guardi a uno specchio che non sa chi sei
a uno specchio che non sa chi sei
stupida
stupida…
Hai sbagliato da sempre
ed è inutile adesso
che ti guardi a uno specchio che non sa chi sei
a uno specchio che non sa chi sei…
una stupida.

 

COMMENTI

Post nr. 33: l'ultimo incontro

E' veramente notevole e viva la tua capacità di raccontare per sensazioni. Sicuramente tra le migliori cose che ho letto in giro per blog negli ultimi mesi

il_ramo_rubato

 

QUANTI SIAMO?

visitor stats
 
 

...

Ogni medaglia ha sempre due facce, quella principale con il decoro e quant'altro e quella con la semplice scritta dell'evento. Noi ogni volta che guardiamo la medaglia ci fermiamo solo su quello che ci piace, ovvero solo sul decoro o solo sulla scritta. Spesso dimentichiamo che quella medaglia va oltre il decoro e l'evento. Quella medaglia quando ci è stata consegnata ci ha dato gioia. 

(Santiago2008)

 

ATTRICE DI IERI

camminavi al mio fianco e ad un tratto dicesti

"tu muori se mi aiuti son certa che io ne verrò fuori"

ma non una parola chiarì i miei pensieri

continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri

(Battisti)

 

OHHH

web stats

 

 

messaggio di servizio

Post n°74 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da ciacii


Gentilmente, la persona che tutti i giorni, da un po' di tempo a questa parte, visita il mio blog in anonimato, spulciandolo post per post e si connette dall'Università di Bologna è pregata di contattarmi al seguente indirizzo mail:

ciacii.ciacii@yahoo.it

grazie

 

PS: non mordo... :-)

 
 
 

chi è la vera Francesca?

Post n°73 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da ciacii


Francesca sorseggia lentamente il suo cappuccino.
Con lo sguardo fissa un punto a caso sul tavolino.
E' leggermente protesa in avanti. Ha freddo e tiene una mano tra le cosce.
Piove. I vetri della vetrina del bar sono appannati.
Nel bar c'è un silenzio anomalo.
Come se tutta le gente fosse in attesa della sua risposta.
Anche lui aspetta.
Lei si sente i suoi occhi addosso. Ed è così.
Paolo la sta fissando.
Lo sguardo severo di Francesca lo mette in soggezione.
Non è facile da capire, non è facile da prevedere.
Non è facile avere a che fare con Francesca.
Un altro sorso.
Continua a fissare il tavolino. Vorrebbe accendersi una sigaretta.
Non per acquisire sicurezza, ma per spezzare quel silenzio. Attenuare la tensione creata dalla domanda di Paolo.
Fare un respiro profondo e cominciare a parlare.
Non ne ha voglia. O forse non sa neanche lei da dove cominciare.
Quante volte se l'è chiesto?
Tante.
Col passare del tempo si è convinta sempre più che forse una risposta non c'è.
Forse non c'è sempre una risposta a tutto.
Ma lei vuole darne sempre una ad ogni cosa, ad ogni evento.
Un senso logico lo deve avere tutto.
Il giusto senso.
A quella domanda però non sa rispondere.
Forse perché è una combinazione, un insieme di cose.
Non una solamente, non per forza così o cosà.
Ed è come entrare in un tunnel.
Si sa che è un tunnel, si sa che c'è l'uscita.
Si sa.
Ma non se c'è scritto all'entrata del tunnel quanto è lungo, si prosegue con la speranza che l'uscita arrivi presto.
Poi la luce non compare.
Un senso di angoscia, di oppressione comincia a pervadere la mente e il corpo freme.
L'ansia sale e ci si chiede: "Perché ci sono entrata? Non potevo percorrere un'altra strada?"
Ci si convince di poter scegliere.
E ci si ritrova nel tunnel, la vita ci accompagna senza che ce ne accorgiamo.
La domanda di Paolo è un tunnel.
Francesca si è ritrovata al buio, di colpo.
Nel buio della sua anima.
Nella parte più oscura di lei, dei suoi pensieri, della sua vita.
Sì perché è così.
Chi è la vera Francesca.
Il buio.
La luce.
Francesca è un grande deserto racchiuso in uno schermo.
Con al centro un cubo enorme di vetro trasparente.
Una semplice scala a pioli appoggiata su di un lato. Il destro.
Un cavallo bianco vi galoppa intorno, senza sosta e senza provare stanchezza.
Quando c'è tempesta di sabbia, Francesca si avvolge in un telo bianco, che le copre anche i capelli.
Con la mano ne tiene un lembo sulla bocca, per non respirare la sabbia sollevata dal forte vento.
Si mette al riparo sotto la scala, di lato al cubo. E immobile, pazientemente, aspetta che passi.
Non ci sono fiori nel deserto.
Solo cespugli che rotolano trasportati dal vento e, in base all'intensità dei suoi soffi, ora rotolano lenti, ora veloci.
La tempesta c'è raramente.
Il sole splende sempre e le stelle brillano di notte.
Non si chiede se è contenta.
Non si chiede se è triste.
Vive. Desidera. Spera.
Piange. Soffre. Spera.
Cerca solo di non pensare troppo.
Non sempre ci riesce.
Se pensa entra nel tunnel.
Se si chiede
chi è la vera Francesca, non sa rispondere.
Sa solo che lei vuole ridere. Vuole sentirsi bene.
Desidera emozionarsi. Ha bisogno di nuovi stimoli, sempre.
Si appassiona, si coinvolge, si strugge.
Il passato lo vede come un capitolo chiuso.
Tanti eventi iniziati e finiti.
Tante vite vissute.
Esperienze che le han lasciato il segno che ora fan parte del bagaglio che si porta nel presente e nel futuro.
Un altro sorso, l'ultimo, piu' lungo.
Il cappuccino è finito.
Posa la tazza, mette anche l'altra mano in mezzo alle cosce, si sporge ancora più in avanti.
Alza lo sguardo lentamente, fissa negli occhi Paolo, che con la mano giocherellava con il cucchiaino.
Paolo trattiene il respiro, non sa davvero cosa aspettarsi in risposta.
Francesca scoppia a ridere.
Una grassa risata, rumorosa che dura qualche secondo.
Smette di ridere, chiude gli occhi, respira profondamente e torna seria.
Ora lo fissa con tenerezza.
Gli sorride e con dolcezza gli dice:
"Io sono così come mi vedi. Sono tutto e niente. Sono felice e triste.
Sono dolce e severa. Sono romantica e bastarda. Sono viva e morta.
Sono poliedrica. Sono un libro aperto e incomprensibile. Sono difficile da capire.
Non mi si può definire in un modo o nell'altro, non mi si può rinchiudere o vincolare.
Non mi si può dire cosa devo fare.
Io mi sento sempre provvisoria, transitoria, precaria.
Non metto radici al mio cuore, ma vivo di appartenenza"


 
 
 

inferno o paradiso?

Post n°72 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da ciacii





Quando ho smesso di sognare?
Forse non ho mai smesso.
O forse non ho mai cominciato veramente.
Non so se la vita che vivo e che ho vissuto fino ad ora è un sogno e la realtà non esiste.
Io so solo che mi ricordo precisamente quando mi sono svegliata.
Ed è stato lì che è cominciato il mio sogno.
Il sogno di poter fuggire da una vita di dolore, di sofferenza.
Il sogno di poter far finta che non esista il tempo. Non esistano le cattiverie. Non esista la morte.
E sono fuggita dalla realtà.
Mi sono nascosta in cantina per quasi due mesi.
Facevo finta di uscire per andare a scuola e invece scendevo all'inferno che per me era il paradiso.
In un mondo dove non c'erano pensieri, ma solo distrazioni.
In un luogo buio, dove mi rifugiavo poco prima che ritornasse mia madre dal lavoro.
Per poi uscire, stare qualche minuto al freddo e rientrare con le guance rosse e il nasino freddo e rispondere:
"Sì, a scuola tutto bene". Ma in quella scuola nuova non andava bene per niente.
In un mondo a forma di ali, per poter volar via, lontano e stare così in pace. Finalmente senza dover vedere quelle brutte persone, senza dover subire umiliazioni, senza la mia compagna di banco. Cattiva anche lei che mi aveva abbandonata. Cattiva la signora nera che l'aveva rapita e portata in ospedale. Cattivi tutti.
Seduta per terra a fissare uno schermo che trasmetteva solo immagini, senza suoni.
Nessun rumore. Non toccavo niente in casa.
Guardavo solo l'orologio.
Aspettavo.
Aspettavo il momento per dover sparire e scendere giù al buio e attendere.
Aspettavo il momento che qualcuno si accorgesse di me.
Muta, silenziosa, discreta... Fredda e calcolatrice.
In attesa, sempre in attesa... Ma finalmente nel mio sogno di non essere dove dovevo essere.
Ricordo perfettamente il giorno in cui presi la decisione.
C'era la neve. Tanta. Quell'anno aveva nevicato molto, anche il giorno di Natale.
Ero scesa in giardino la Vigilia dopo cena, con mio fratello.
Eravamo andati al parco giochi condominiale.
Nessun rumore. La pace. L'odore fresco della neve. L'insolita luce dovuta al candore della neve.
Un mondo ovattato.
Mi son seduta sull'altalena e ho cominciato a volare, sempre piu' veloce!
Mio fratello correva, si rotolava... Io volavo.
Ho chiuso gli occhi e mi son sentita finalmente bene.
Ho pensato: "Voglio vivere così. Soffice, leggera, senza rumori, senza parole, senza volti. Io là non ci vado più."
E invece ci sono andata ancora.
Ma senza di lei, che mi aiutava, non era più possibile sopportare quelle persone.
E senza di lei non mi restava più niente e nessuno.
Io là non ci vado più.
Ho provato un giorno a non andarci.
E' filato tutto liscio.
Allora non sono andata neanche il giorno dopo.
E poi... E poi non potevo più andarci.  Non avevo la giustificazione.
Così per quasi due mesi.
Fino alla scoperta.
Non c'è stato nessun rimprovero, ma tante domande: "Perché? Cos'è che non va? C'è qualcuno che ti fa del male?"
No, niente. No, nessuno.
E' solo che non mi va.
Volevo peggiorare le cose. Volevo che mi trattasse da lazzarona piuttosto che da problematica.
Son seguiti colloqui col preside, coi professori, scelte sul da farsi, parole studiate a tavolino.  Psichiatra.
Non ne sapevo nulla di questi accordi. Tranne che dello psichiatra, poichè ci dovevo andare due volte la settimana.
Sono tornata in quel posto orribile.
Provavo una profonda vergogna.
Perché nessuno doveva sapere in classe tra i compagni, eppure tutti sapevano, tranne me.
Stavo male.
Non volevo stare là, anche se avevo notato un'insolita gentilezza da parte dei professori.
Dopo qualche settimana, la professoressa di inglese, che era stata assente fino a quel giorno, mi chiama alla cattedra e mi chiede con il volto preoccupato: "Ma come mai ha fatto una cosa del genere? Cosa c'è che non va che ti ha spinto a stare a casa da scuola di nascosto?"
Mi son sentita morire. Se speravo ci fosse ancora qualche compagno di classe che non sapeva nulla, adesso era informato.
Scena muta. Non so per quanto tempo non ho parlato con quella gente.
Avevo il conforto di una bambina, la figlia della professoressa di matematica. Anche lei era molto amica di lei, quella che odiavo, quella che mi aveva abbandonata.
Ci trovavamo spesso al pomeriggio a fare i compiti, prima.
Dopo, la bambina si era offerta di aiutarmi a recuperare. "Vieni a casa mia pomeriggio che studiamo insieme..."
Arrivo a casa sua e mi apre la porta sua madre, la nostra professoressa di matematica.
Mi dice, restando sull'uscio, che era meglio se io non mi incontravo piu' con sua figlia, ché sono un cattivo esempio.
Torno a casa. Senza emozioni.
Decido solo che voglio tornare a volare, che voglio tornare nella mia realtà, perché quello era solo un brutto sogno.
Dura poco stavolta.
Arrabbiature, urla, sgridate. A me e ai professori. Al preside.
Mi obbligano ad andare a scuola. I professori sono obbligati a fare come se non esistessi.
Tiriamo la fine dell'anno.
Finisce la scuola. Promossa.
Inizia l'anno successivo in un'altra scuola. Alle superiori.
Il tempo guarisce le ferite.
I cambiamenti danno nuovi stimoli, nuove speranze.
Nuove persone sono comunque diverse. E prima di voler fuggire da loro passa del tempo.
E soprattutto che anziché fuggire si può semplicemente mandarle affanculo, le persone.
E così ho imparato presto a non farmi mettere i piedi in testa.
A farmi rispettare. A non soffrire più. A non affezionarmi veramente a nessuno.
Anche se le mie passioni le ho avute.
Ho sempre cavalcato l'onda dell'amore. Ho gioito e sofferto.
Ho sperato e desiderato.
E ho sempre voluto fare di testa mia.
Ho sempre deciso io cosa fare e come. Se dare tutto o niente. Se aspettare o lasciar perdere.
Se farmi amare o odiare.
Se vivere nella realtà sognata o nel sogno reale.
So con certezza che allora, come oggi, non sono problematica, ma voglio fare solamente come mi pare e piace.
L'unico problema reale è che credo sempre di poter avere il controllo su tutto, prima o poi.
E che non ho bisogno di nessuno, perché fondamentalmente nessuno ne è, secondo me, all'altezza.
E a dire il vero i cattivi di allora a scuola erano solo dei gran deficienti.
Lei una grande stronza.
E lo psichiatra un gran coglione.
E perché in fondo questa è solo una storia, come tutte le altre.
Che sia una storia di vita vissuta o una storia di fantasia cosa cambia?



 
 
 

mi ricordo...

Post n°71 pubblicato il 26 Dicembre 2008 da ciacii





Voglio mangiare il lecca-lecca.
Ho mal di stomaco. Sento dei forti bruciori.
Sicuramente causati dal mangiare. A Natale si mangia sempre tanto e si pasticcia.
Son sempre stata una golosa e una pasticciona.
Mi ricordo che quella sera avevo mal di stomaco. Ero seduta in cucina.
In televisione scorrevano le immagini di un film per bambini. Ma io non lo
stavo guardando. Il volume era basso, appositamente per non sentire
rumore.

Per strada non passavano macchine.
Ero immersa nel silenzio della notte di un giorno di Natale.
L'assenza di suoni e di rumori mi dava un grande senso di pace e tranquillità.
Finalmente dopo diverse giornate trascorse intensamente per i preparativi.
Ho preso una medicina per lenire il dolore.
Se andavo a letto col mal di stomaco, mi sarebbe sicuramente peggiorato.
Riesco ancora a vedere con gli occhi di allora. Provo ancora le stesse sensazioni vissute.
Mi ricordo perfettamente i miei pensieri, lo stupore, le riflessioni, la sorpresa spiazzante.
Il vento si era levato d'improvviso.
Ho sempre avuto una grande passione per il vento. Forse perchè qui soffia raramente.
Forse perchè riesce a trasmettermi la sua energia.
L'odore dell'aria fresca mi dà la sensazione che sia pulita.
Il vento lava, il vento spazza via.
Il vento porta.
Buone novelle o cattive notizie.
Mi ricordo che è stata una bella sorpresa, quella che mi ha fatto.
Mi sono arrabbiata "perchè non me l'hai detto" gli ho urlato al telefono.
Rideva di gusto. Rideva come un bimbo compiaciuto dello scherzetto riuscito.
Ma ero contenta per lui. Aveva deciso di sposarsi giovane senza dirmelo.
Aveva fatto tutto di nascosto.
Avrei voluto essere con lui per tenergli la mano.
Per accompagnarlo verso la sua nuova famiglia. Verso la sua unica famiglia.
Appena l'ho salutato il vento si è levato più forte.
Mi ricordo che mi son sentita complice di questo vento ostile.
Rubando la sua forza mi sono ritrovata immersa nel vigore delle sue folate.
Ma era un vento rabbioso.
Ce l'aveva con me. Voleva farmi agitare, forse solo scuotere.
Mi ricordo che in un attimo mi è passata davanti agli occhi la mia vita.
Avevo passato la vita a cercare di programmarla. Di studiarla. Di prevederla.
Di impostarla.
Avevo passato la vita a pianificare gli eventi.
Non le giornate, non le ore, non gli anni, ma le grandi svolte.
Decidendo precisamente non il da farsi ma ciò che non volevo fare.
Questo no, quest'altro no. Adesso non è il momento. Non me la sento.
Mi ricordo di non essermi mai lasciata andare veramente, nonostante io abbia pronunciato tanti vedremo, come per far intendere che io non sapevo bene cosa volessi o non volessi.
Ma invece lo sapevo. L'ho sempre saputo.

Ho sempre saputo che non avrei mai lasciato al caso la mia vita.

Questo freno mi ha sempre dato la spinta per trovare certezze.

Supposte certezze.

La sola certezza che ho incontrato spesso è stata la conferma della mie supposizioni.

Che non avrebbe funzionato.

Ci ho provato, ho tentato a costruire la mia vita affettiva.

Ma non ci sono mai riuscita.

Come volevo io.

Capitava sempre tutto ciò che io non volevo.

Poi arrivava il vento a svegliarmi dal torpore causato dal senso di impotenza difronte agli eventi.

Un vento rabbioso. Un vento purificatore. Un vento amico.

Mi ricordo di aver deciso, quella sera, che non avrei continuato a condurre quella vita.

Mi ricordo di aver deciso di lasciare al caso le decisioni importanti.

Mi ricordo di aver deciso di scrivere come mi esortato tu, mio dolce cuore.

Mi ricordo di aver deciso di essere contenta per lui che mi aveva detto
che si era sposato, senza chiedermi di essere lì con lui a consegnarlo
nelle mani della sua amata.

Mi ricordo di aver deciso di mangiare il lecca-lecca.

Il lecca-lecca che avevo nella borsa da quest'estate, che avevo deciso
di non mangiare tutte le volte che ne avevo voglia, per conservarlo per
un altro momento.

Mi ricordo di averlo scartato e di averlo trovato tutto ricoperto di una patina biancastra e poco invitante.

Mi ricordo di averlo guardato fisso, con delusione, per alcuni secondi e di averlo poi gettato nella pattumiera.

E di essermi presa un cioccolatino per consolarmi così, prontamente.

Mi ricordo di essermi chiesta se era il caso di mangiarlo, visto il gran mal di stomaco.

Mi ricordo di aver pensato che non me ne fregava un cazzo: 'fanculo al mal di stomaco.

Fanculo a questa vita trascorsa a pensare a cosa fosse meglio fare.

Fanculo a tutto.

Voglio scrivere. Voglio farlo perchè mi va e basta.

Voglio scrivere la nostra vita, di me e te che sparisci e poi ricompari... e che poi non mi lasci più.

Voglio scrivere di me che mi ricordo di quella sera, di questa sera.






 
 
 

ANTONELLA

Post n°70 pubblicato il 21 Dicembre 2008 da satirodelfaggio

Ho esaurito la tavolozza delle parole
nel tentativo

vano

di dipingere l’atmosferica tua Essenza...

Ma l'Antonella non la si sviscera!

La si respira...

(Leonardo)

 
 
 

ventiquattro

Post n°69 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da ciacii

Avrà avuto piu' o meno 80 anni.
Lei sicuramente era piu' giovane.
Arrivano barcollando insieme. Non a braccetto.
Lei ondeggiava prima su una gamba e poi sull'altra. Muovendo il suo enorme corpo come al rallentatore. La bocca aperta. Il respiro corto.
Faceva fatica a muoversi.
Lui era gobbo, anzi ricurvo, quasi accartocciato su se stesso.
Le mani tremolanti, lo sguardo annebbiato.
Entrambi avevano gli occhi azzurri e lucidi.
Si son seduti al mio tavolo.
"Possiamo sederci qui, signorina?" ha chiesto lei in un italiano quasi perfetto, ma l'accento era chiaramente tedesco.
Ho acconsentito sorridendo loro con calore.
Si son accomodati e poco dopo han chiuso gli occhi e si son lasciati trasportare dalla musica che proveniva dal violinista in piedi davanti a noi.
Finito il pezzo, la gente ha applaudito e loro hanno aperto gli occhi.
Ancora estasiati mi hanno detto che adorano sentire suonare il violino.
Lei suona la fisarmonica.
Non le ho chiesto né dove né quando... le ho solo sorriso.
Come un fiume in piena han preso a raccontarmi della loro vita.
Dei corsi di italiano e di inglese che frequentano.
Delle crociere che han fatto, insieme.
Ventiquattro.
Finita una, partono per un'altra.
Son pensionati, perchè stare a casa ad annoiarsi?
Meglio girare il mondo.
Brasile, Africa, Caraibi, Mediterraneo.
Il violinista era in pausa.
Non c'era musica mentre parlavano.
Ma l'entusiasmo con cui mi raccontavano di sé era coinvolgente come una musica.
La musica del cuore, delle emozioni, dei sogni, delle speranze, della vita vissuta... e della vita ancora da vivere.
Li ho lasciati lì seduti appena è tornato il violinista.
La cena mi aspettava.
Li ho ritrovati 3 giorni dopo allo sbarco dalla nave.
Si cercavano... forse si erano allontanati un attimo l'uno dall'altra e si erano persi.
"Mariaaa" gridava lui.
"Dove sei, Mariaaa!"
E' sbucata da dietro una colonna, con gli occhi spalancati.
"Sono qui!" gli ha urlato forte per rassicurarlo al piu' presto.
I loro sguardi si sono incrociati.
I loro corpi stanchi si sono avvicinati.
Si son presi per mano e insieme, barcollando, si sono messi in fila per scendere dalla nave.
Pronti per la vita terrena, pronti per ripartire per un'altra vita sull'acqua.
Senza la ben che minima intenzione di prepararsi per l'altra vita.
Quella che nessuno vorrebbe mai cominciare.

 
 
 

le differenze

Post n°68 pubblicato il 23 Novembre 2008 da ciacii



Quante storie, quante vite, quanti percorsi...

Quanti bagagli, borse, valige... fardelli.

Volti sorridenti che nascondono anime sofferenti e cuori sensibili.

Volti tristi che che esprimono dolori... ferite profonde che non si rimargineranno mai.
Segni che sono tacche sul cuore che non ne inspessiscono le pareti, ma le rendono più tenere.

Non sempre il dolore indurisce il cuore.
Non sempre la gioia lo ammorbidisce.

L'affrontare la vita con tenerezza, il saper leggere dentro il cuore, dentro l'anima fanno la differenza:
permettono di emozionarsi, di provare gioia o dolore per le gioie e i dolori altrui.
La sensibilità rende altruisti e generosi.

Queste caratteristiche o ci sono o non ci sono.
E qui, nel virtuale o nel reale esistono, si esprimono e si percepiscono.
Non da tutti e per tutti.

Non ci sono regole.
Il mondo reale non è tutto vero e il web tutta una "brutta sorpresa".

Qui e ovunque sono le persone, i cuori e le anime che fanno la differenza.

 

 
 
 

SPLENDORE!

Post n°67 pubblicato il 20 Novembre 2008 da satirodelfaggio

Un filo di bruma sottile,
dal più verde ciuffo
segretamente
nasce, innocua
bava di bimbo,
e lentamente,
impercettibilmente cresce
ed il paesaggio
ingoia entrandogli in circolo,
la terra al cielo
unendo finché
il tutto,
senza accorgersene,
si sorprende annullato,
sognantemente
smarrito
entro un’unica essenza
avvolgente,
etereamente pingue
maternale ventre,
rapito in un mare
che ogni logico colore
adunando scuce...

Come la tua anima il mio cuore!

Ma di pura luce

(Leonardo Negri; ad Antonella)

 
 
 

ottobre

Post n°66 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da ciacii


Devo ricamare un fiocco. In realtà e una piccola mongolfiera, dove la parte del pallone e' in tela aida. La tela per il ricamo a punto croce. E' un fiocco per una nascita. L'11 ottobre e' nato il figlio di mia cugina. Un bel bimbo... Una creatura... Una vita. 
E' sempre una gioia quando viene al mondo una nuova vita.


Mia cugina forse non lo sa, ma anche la sua nascita, quasi 29 anni fa, e' stato motivo di gioia, dopo un triste evento.
La mia nonnina degli ovetti kinder mi aveva lasciata... in ottobre.
 

Qualche giorno fa e diciassette anni addietro, il giovane Davor Sefic moriva in guerra, a Dubrovnik (Eravamo uguali).

 Alcune settimane fa di cinque anni addietro, il mio amato cagnolino Like, ma soprannominato Cuti, lasciava un grande vuoto in casa.

 Ma oggi, si' oggi di vent'anni fa,  era il 1988, mio zio moriva tragicamente in un incidente stradale (Non sei solo).

L'ho saputo tornando a casa da Zagabria, dove avevo passato giorni spensierati con la mia amica del cuore, L. e dove avevo rivisto Davor.
Il destino volle che io dovessi lavorare in fiera proprio il giorno del suo funerale e che il responsabile dello stand non mi credette quando gli dissi: "Mi scusi, ma devo assentarmi per qualche ora... devo andare al funerale di mio zio..."
Si arrabbio' moltissimo, pensava forse fosse una stupida scusa per farmi i fatti miei.
Mise sicuramente in dubbio la mia serieta' e professionalita' al punto tale che gli disse: "Senta, io vado... e se non Le sta bene, mi licenzi!".
Non lo fece solo perche' non mi avrebbe rimpiazzata cosi' in poco tempo.
Il destino volle che in quell'incidente morisse anche un'altra persona. Un uomo che si era fermato a prestare soccorso a mio zio e alla sua compagna.
E che, essendo buio, cadde dal viadotto, sull'autostrada adriatica. Poco piu' in la' del cartello "fine Marche/inizio Abruzzo" dove mio ci lascio' parte del cranio.
Il destino volle che il giorno successivo al funerale, io mi trovai a cena con alcuni fornitori e il responsabile dello stand.
Era una fiera importante, e io lavoravo come standista nel settore prodotti tipici regionali.
Allo stand dell'Abruzzo
.
Il destino volle che a quella cena vi partecipo' un signore che racconto' di un tragico incidente, successo giorni prima in autostrada... due morti. Un uomo di 41 anni di Milano e un signore sulla cinquantina.
Il destino volle che con la voce rotta io dissi: "Il signore di Milano era mio zio..."
Non fu il destino che fece rimanere senza parole i miei commensali
.
E non fu il destino che fece piangere il responsabile dello stand... e gli fece chiedere scusa, per aver dubitato.

 Ottobre e' uno strano mese.
Ogni anno torna puntuale ed e' come se dicesse "ricordati che... ricordati di loro".

Non mi posso dimenticare di loro e non posso neanche dimenticarmi che al proprio destino non ci si puo' sottrarre.
Ma da quest'anno ci sara' un motivo in piu' per ricordare.

 

Devo sbrigarmi a ricamare il fiocco.

 

 
 
 

eventi

Post n°65 pubblicato il 18 Ottobre 2008 da ciacii

Sono solo trecento metri, forse quattrocento, che separano casa di Eleonora da casa dei suoi genitori.
Tra le 20,30 e le 21,00 di solito non passano macchine per la strada. E' un orario morto.
Cammina lentamente nell'oscurità della sera, illuminata solo da tiepidi lampioni; le capita raramente di incontrare qualcuno.
Il buio le fa un po' di paura, ma la strada le è familiare e si sente a casa.
Conosce tutte le buche dell'asfalto. Le macchine parcheggiate. Il ponticello sul canale.
Controlla le finestre delle vicine di casa e si chiede ogni volta se stanno bene le "sue vecchiette".
Quante volte le è capitato di percorrere quella strada sotto la pioggia, la neve... ma col vento raramente.
Perchè lì il vento lo si incontra poco.

Eleonora è come in trance quando entra a casa sua.
Si sente strana; non riesce a definire le sensazioni, ma sa che è stata come rapita e restituita alla vita. Quella sua vita strana, fatta di estremi e estremismi. Piena e vuota. Ricca e povera. Felice e infelice. Sensata e insensata. Timorosa e coraggiosa.
Una vita che vorrebbe cancellare in un istante per cambiarla completamente.
Una vita che non cambierebbe per nulla al mondo.

Eleonora lo sa, ora lo sa che stasera ha respirato la magia di un evento.
L'aria era calda, insolitamente calda per essere la metà di ottobre.
Ferma, immobile con le nuvole basse. Forse, nei prossimi giorni verrà la pioggia.
L'adorata pioggia e la sua malinconia.
Esce dal palazzo di casa dei suoi genitori, percorre la prima parte di vialetto e respira profondamente.
L'aria sembra diventare piu' fresca ad ogni suo respiro.
Si ferma, alza il capo e saluta il padre al balcone. La mano si muove con gesti ampi.
Tre, a volte quattro movimenti del braccio. Lui fa lo stesso.
Presegue e dopo una cinquantina di passi si ferma di nuovo alla luce di un lampioncino basso. Si volta, alza lo sguardo e intravede la sagoma della madre alla finestra. Altri movimenti ampi del braccio. Altro saluto. Un rituale al quale non può sottrarsi.
Prosegue, schiaccia il pulsante per aprire il portoncino accanto alla guardiola, tira la porta a sè ed esce.
E' stato un attimo.
Come una tenera carezza, una folata di vento ha sfiorato il suo volto. E l'aria si è fatta ancora più fresca.
Il vento non arriva mai tutto insieme. Il vento lì da lei si leva gradatamente, come un anziano signore che si alza piano dalla poltrona e svogliatamente inizia a preparare la cena.
Stasera non è stato così, non stasera.
Il vento è arrivato tutto insieme come un giovane uomo carico di energia.
Le sue lunghe braccia han preso ad abbracciare con forza gli alberi ancora colmi di foglie secche.
D'improvviso sono volate tutte giù, ora a mulinello, ora lungo la via, dall'alto verso il basso e dal basso verso il cielo, come volessero ritornare da dove son venute.
Sembravano dei grossi fiocchi di neve. Dei fiocchi di neve a forma di foglioline gialle che, illuminati dalla luce dei lampioni, brillavano come oro.
I capelli si Eleonora si sono scompigliati tutti e in attimo si è ritrovata addosso delle foglioline.
Incantata per lo spettacolo ha smesso di camminare e in piedi ferma, nel silenzio di questa sera, al solo suono del vento e degli alberi smossi, ha osservato per alcuni minuti la magia.
Poi ha chiuso gli occhi e ha cominciato a respirare l'aria fresca, gustandosi l'odore del vento.
Si è sentita portare via, travolgere dall'energia di quelle lunghe braccia che l'hanno accompagnata lontano, in un prato fiorito, in cima ad una montagna, nel cielo, sulle nuvole.
In un luogo senza tempo e senza suono.
Avvolta da questo fresco abbraccio e con delicatezza è tornata indietro, ha aperto gli occhi e un po' di terra le si è posata sulle labbra.
Ora il vento è divenuto ostile, violento. Ha udito il rumore delle finestre che sbattono.
Le lunghe braccia la stanno respingendo, spingendo verso casa.
Muoviti Eleonora, fà in fretta, corri al riparo.
Entra dal portone di casa e richiude la porta dietro di sè. Si appoggia un attimo.
Ora gli odori sono differenti, ma sempre gli stessi. Gli odori della vecchia casa, delle cene cucinate.
Sale lentamente le scale che conducono al suo appartamento. Sta già ripensando a questo strano evento atmosferico.
Il tepore amico che trova entrando a casa sua la fa sentire al sicuro.
Tutto è come l'aveva lasciato.
Niente è cambiato.
Si spoglia con movimenti lenti, respira... respira profondamente e sente un brivido nascere dalla bocca e scendere dentro il suo corpo.
Ha il sapore dell'evento, quel vento che l'ha portata lontano e che credeva di aver lasciato fuori e invece ora è dentro di lei.

 
 
 

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...

Ti guardo con il mio desiderio
mentre dormi serena.
Senza svegliarti vorrei

odorare il profumo dei tuoi capelli,
lambire il candore dei tuoi seni,

passare la mia mano

nel tepore tra le tue gambe.

No, non svegliarti, ti prego!

Come potrei altrimenti,

confessarti che mi perdo

nella voglia di te?

Come potrei osare,

con le mie labbra sulle tue,

dirti che ti amo?

(Guidopardo1)

 

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Sulla tua pelle morbida
scivolano le mie parole
e come gocce stillano sul tuo seno.
La mie labbra vogliose
lambiscono il tuo ventre.

Le mie dita come ali

sfiorano le tue fragranti cosce.

Riveli a me ogni tuo mistero
finalmente aperta e indulgente.
Ti osservo intimorito:
tanta disponibilità

potrei ferirla con l’egoismo.
Ed io non voglio.

(Guidopardo1)

 

PICCOLA STELLA SENZA CIELO

Cosa ci fai
in mezzo a tutta
questa gente?
Sei tu che vuoi o
in fin dei conti non
ti frega niente?
Tanti ti cercano
spiazzati da una luce
senza futuro
altri si allungano
vorrebbero tenerti
nel loro buio.

Ti brucerai
piccola stella
senza cielo
ti mostrerai,
ci incanteremo mentre
scoppi in volo
ti scioglierai
dietro una scia,
un soffio, un velo
ti staccherai perché
ti tiene su
soltanto un filo, sai?

Tieniti su,
le altre stelle
son disposte
solo che tu a volte
credi che non basti
forse capiterà
che ti si chiuderanno
gli occhi ancora
o soltanto sarà
una parentesi
di una mezz'ora.

Ti brucerai
piccola stella
senza cielo
ti mostrerai,
ci incanteremo mentre
scoppi in volo
ti scioglierai
dietro una scia,
un soffio, un velo
ti staccherai perché
ti tiene su
soltanto un filo, sai?

(Liga)

 
 
 

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