Creato da ottimistasempreecomu il 13/12/2006
di tutto un po' - «Chi è povero, essendo amato?» (O. Wilde)
 

Grazie.
Semplicemente grazie.
Per essere l'amico speciale che sei.
Per essere l'uomo che non si č arreso mai.
Per essermi sempre cosģ vicino.
Grazie davvero.

Dolce Dany... 

 

 

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Messaggi di Aprile 2009

L'ULTIMA NEVE DI PRIMAVERA Franco Micalizzi

Post n°1350 pubblicato il 29 Aprile 2009 da ottimistasempreecomu

 

Tutti gli uomini sognano. Non però allo stesso modo.
Quelli che sognano di notte nei polverosi recessi della mente
si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è vano.
Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi,
giacché ad essi è dato vivere i sogni
 ad occhi aperti
e far sì che essi si avverino.

Thomas Edward Lawrence

 
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Akiko e le nuvole

Post n°1348 pubblicato il 27 Aprile 2009 da ottimistasempreecomu

Akiko e le nuvole(di Vilma Viora)


Ogni separazione è come un volo, il distacco dalla terraferma e da ogni certezza. Una donna, il vento, il mare e le nuvole. La storia biografica di Akiko attraverso un breve componimento "alla giapponese"

 

Akiko voleva farsi trasportare come nuvola nel vuoto della vita. Azzurra di cielo e mare, abbandonata e molle marionetta di un volo senza fine. Il vento le gonfiava la gonna e questo le permetteva un equilibrio sospeso e uniforme.

Il corpo riempiva un piccolo pezzo di blu e galleggiava in un mare d'aria.

La leggerezza aveva sempre amato, così banderuola e vessillo dei pirati. Armonia, avventura, metà dama del settecento e metà bucaniere.

Piccole nuvole rosa affiancavano il fluttuare delicato dell'anima in quel momento così difficile e nuovo.

Si separava dalla terra, buttava la zavorra delle ricordanze e di un dolore senza significato.

Cercava di salire oltre il confine del sentimento quotidiano.

Sapeva che era un progetto di vita, qualcosa che l'avrebbe accompagnata fino in fondo: era emozionata, sospesa, impaurita.

Akiko era fatta di paura, unica scienza appresa, sapere radicato nel profondo. La notte, quando le lucciole contrappuntano le stelle e la luna si guarda nell'oceano, la paura era più fonda, il respiro della brezza accostava suoni familiari a rumori molesti.

La civetta sull'albero inquieto gridava contro la volontà degli dei: erano scoppi di rabbia, fuochi di artificio in un cielo attraversato da saette e fumi.

Akiko cercava la quiete nel tempo che silenzioso scorreva tra ingranaggi e ruotava con la grazia di un balletto, incideva cerchi negli alberi e rughe sul viso delle donne.

La maschera di porcellana che aveva sul volto la rendeva lontana, misteriosa, affascinante.

Un fiore d'ibisco era il suo cuore, allargato, fragile, colorato e impietoso mentre l'amore volava via come un palloncino senza filo e lo sguardo dietro pieno di ansia e delusione.

L'amore come categoria del sogno, disciplina dell'essere così esposta al sentimento, con lo sguardo dell'agnello sacrificale.

L'amore, veste nuziale dell'anima, sposa di maggio con i mughetti tra le mani e le perle scivolate nel grembo.

E lei aveva creduto alla sorte che l'aveva donato senza garanzie, rubato all'ombra, perseguitato nelle notti buie, esaltato in lodi e canzoni.

Non era triste, non più, accettava di quella piaga la necessità banale dell'essere viva, del desiderio di dormire ancora sotto l'albero fiorito o la vela bianca gonfia verso il mare che l'aveva rapita.

Akiko non voleva più il giocattolo rotto, voleva un gesto nuovo, piccolo segno di rondine in volo, nell'arco purissimo del volteggio al tramonto, lo stridìo ricorrente e ciclico sopra il campo di grano con rossi occhi di papavero.

Voleva la consistenza leggera e bianca di cotone della grande nuvola laggiù.

 
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Francesco Guccini Canzone quasi d'amore

Post n°1346 pubblicato il 24 Aprile 2009 da ottimistasempreecomu

Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni, col tempo...

O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita costretta come dita dei piedi...

Queste cose le sai perchè siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perchè siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d' azione o di parola,
volando come vola il tacchino...

Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d' orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno...

Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell' energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza o il peccato...

Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
perchè siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri... coglioni!

Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro non vale...

D' altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d' aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare... grattarsi

 
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