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Post n°129 pubblicato il 23 Giugno 2011 da mina_1954
 

 

 

Il ‘museo nascosto’

L'impressione che il museo del Bargello suscita nel visitatore è di un luogo popolato di capolavori di ogni genere, quasi un microcosmo delle arti. Ma se alcune tipologie di opere (sculture, pitture, oreficerie, avori…) sono per la maggior parte esposte, altre sono invece quasi completamente custodite nei depositi, sia per ragioni di spazio, sia perché la loro conservazione non è compatibile con un'esposizione prolungata. E' questo il caso della collezione dei tessili (oltre 1500 pezzi tra opere complete e frammenti di tessuti) che comprende capolavori come il parato di Niccolò V (secolo XV), in velluto ornato di splendidi ricami in oro e seta, ma anche manufatti singolari come la cosiddetta coperta Guicciardini, eseguita in Sicilia nella seconda metà del Trecento. L'opera, uno dei più antichi esempi di drappi realizzati a trapunto, con ricami che illustrano la storia di Tristano, è anche un' importante testimonianza della diffusione del celebre poema cavalleresco nelle arti decorative.

 

 

Sala di Michelangelo e della Scultura del Cinquecento

 

La sala, uno degli ambienti più antichi del Palazzo, liberata in occasione del restauro Mazzei (1865) dalle infrastrutture che ne avevano invaso alla fine del Cinquecento l'ampia volumetria, fu ridecorata da Gaetano Bianchi con motivi ispirati all'opera di Giotto in Assisi e con ornati degli archi composti di un intreccio di gigli (arme del Comune di Firenze). Vi fu allora disposta, secondo il gusto contemporaneo (si pensi alla “cavalcata” del Museo Stibbert) la collezione delle armi in un suggestivo arredo, ricco di trofei e di bandiere.
In seguito ai danni dell'alluvione del 1966, la sala, restaurata e imbiancata (oggi resta in vista solo l'affresco giottesco della Vergine col Bambino e oranti e alcuni brani della decorazione pittorica ottocentesca, lasciata come testimonianza storica), fu destinata ad accogliere gli esemplari più prestigiosi della scultura cinquecentesca, molti dei quali erano pervenuti al Bargello nel 1874 dalla Galleria degli Uffizi. Fra essi alcune celebri opere di Michelangelo: il Bacco, una delle prime sculture romane dell’artista (1496-97), realizzata per il cardinal Riario, ceduta al banchiere Iacopo Galli e poi comprata dai Medici; il Tondo Pitti, del 1504, che mostra un diverso aspetto della produzione giovanile di Michelangelo; il David-Apollo (1530-32), scolpito per Baccio Valori e poi passato nella collezione di Cosimo I. L’opera, parzialmente completata nella parte posteriore, mostra una superficie scabra, il famoso ‘non finito ‘ michelangiolesco, che è invece un particolare elemento espressivo, di grande suggestione, comune anche ad altre opere della maturità dell’artista. Di grande impatto, poiché rievoca la ritrattistica antica e rende con forza le qualità psicologiche del personaggio, usando sapientemente anche il ‘non finito’, è infine il Bruto, eseguito a Roma dopo la morte di Lorenzino de’ Medici (1539), uccisore del Duca Alessandro, che aveva oppresso la libertà fiorentina.
La sala accoglie inoltre un discreto nucleo di opere di Benvenuto Cellini tra cui il Narciso, Ganimede (restauro di un torso antico), e il monumentale busto bronzeo di Cosimo I. Di recente acquisizione (2000) è la base marmorea del Perseo, già collocata sotto la statua bronzea in Piazza della Signoria (dove è oggi una copia) ed ora riunita nel museo ai bronzi originali, che nella sala sono esposti in prossimità del bassorilievo con la Liberazione di Andromeda, pure parte della base marmorea, e dai modelli in cera e in bronzo del Perseo.
Nello stesso ambiente sono ancora esposti il Mercurio alato, l’opera in bronzo più celebre del Giambologna cui appartiene anche una giovanile statua di Bacco, già in Borgo san Jacopo, recentemente giunta al Bargello, che si confronta, oltre che con l’omonima scultura di Michelangelo, con il più piccolo Bacco marmoreo di Jacopo Sansovino. Completano il panorama varie opere di Baccio Bandinelli, Tribolo, Rustici, Vincenzo Danti e altri scultori fiorentini contemporanei.
Nelle vetrine sono visibili alcune importanti terracotte, tra cui si segnala il bozzetto dell’Appennino del Giambologna, nella Villa di Pratolino.

 

 

Il Palazzo del Bargello, che ha accolto il museo fin dalla sua fondazione nel 1865, è uno dei più antichi edifici pubblici fiorentini, la cui origine è strettamente legata alla nascita della civiltà comunale. Dopo che Firenze si costituì a libero comune, cominciando a battere moneta propria e avviandosi, con l'indipendenza, verso un periodo di grande espansione economica, si diede una costituzione che prevedeva ai vertici un Podestà e un Capitano del Popolo. Per dare una sede degna al Capitano del Popolo fu deciso di costruire questo palazzo, circa cinquant’anni prima del Palazzo Vecchio.

 


F. Mazzei, Il Bargello prima del restauro del 1859
(disegno acquarellato)

La parte più antica dell’edificio, quella su via del Proconsolo, il cui progetto viene attribuito dal Vasari a Lapo Tedesco, padre e maestro di Arnolfo di Cambio, inglobò strutture preesistenti tra cui il palagio e la torre dei Boscoli, ma anche altre case e torri della Badia fiorentina; la costruzione era già avviata nel 1255, come testimonia una lapide murata sulla facciata.
I lavori durarono per quasi un secolo, con i successivi ampliamenti su via dell’Acqua, la costruzione del cortile porticato, che raccordava i due corpi di fabbrica, della scala col verone soprastante, e l’apertura di eleganti finestre. Tumulti popolari, incendi, calamità naturali causarono gravi danni e richiesero più volte restauri al palazzo che, alla metà del Trecento, divenuto nel frattempo anche sede del Podestà, doveva avere una fisionomia simile a quella attuale.

Teatro delle vicende politiche che videro contrapposti Papato e Impero, guelfi e ghibellini, nonché le fazioni cittadine in lotta per il potere, il palazzo fu testimone del progressivo decadere delle istituzioni repubblicane: all’affermarsi dell’egemonia medicea nella seconda metà del Quattrocento, con il trasferimento delle funzioni politiche a Palazzo Vecchio, divenne prima la sede del Consiglio di Giustizia e dei Giudici di Ruota, e dal 1574, sotto il principato di Cosimo I de’ Medici, fu trasformato in carcere cittadino. Dal Bargello (capo delle Guardie o di Piazza), che con l’aiuto dei suoi sbirri arrestava, interrogava e provvedeva anche ad eseguire le condanne, il palazzo ha derivato il nome che porta ancora oggi.
Buona lettura......insieme a Mina

 
 
 
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