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Messaggi di Dicembre 2022

Pruriti ...metafisici. Gli Held traducono Sforza. Della morte. Inaugurazione stagione Scala.

Post n°1153 pubblicato il 30 Dicembre 2022 da giuliosforza

 

1052

   Adelante, Julio, con juicio, si puedes! 

Tutti i pruriti della mia vita, quelli soddisfatti e quelli insoddisfatti, hanno deciso, in questa xesima ora dei primi quattro mesi del mio novantesimo anno, di somatizzare. Tutto il mio corpo è divorato dai pruriti come da un esercito di formiche.

   Ora lo so: finirò ingoiato da un formicaio.

   Sarà un formicaio il mio inferno.

   (Prurito fisico-metafisico delle 02.50 del 16 XII 2022, appena destato da una giovane ex allieva, per natura insonne, a quest'ora profonda della notte, curiosa di Cartesio e della sua substantia come res quae ita exsistit ut nulla alia re indigeat ad exsistendum, e di Baruch Spinoza e della sua Substantia come Res quae per se est et per se concipitur!).

*

   Così mi scrive Paolo Statuti, scrittore poeta pittore musico italo-polacco:

   Caro Giulio, ho letto con piacere le tue recenti erudite ed eloquenti confessioni. È tempo per tirare le somme anche per me. Oggi ho pubblicato la mia traduzione della poesia "Vetrate" del poeta e filosofo polacco Andrzej Nowicki. A me piacciono molto le vetrate, soprattutto quelle di Wispiański a Cracovia. Saranno tra i più bei ricordi che mi porterò dietro. Morire si deve. morire bene si può, dunque "Adelante, Giulio..."

   Al quale io:

   Caro Paolo, è un piacere e un onore essere letti da te. Ti seguo anch’io con grandi stima ed affetto. Tu sei importante per tutti, tu poeta tu pittore tu musico tu filologo. Beati coloro che a lungo potranno continuare a frequentarti. Io tento di resistere agli attacchi della turpe vecchiezza. Anche se a livello di concetto, come direbbe Hegel, ho risolto il problema della morte, a livello di sensibilità mi rode, oh se mi rode! Ho amato ed amo la vita, esaltante seppur tragica, che ho vissuto. Ma più di tanto “prender il destino per la gola” non si può. Sia dunque quel che vuol essere. Es lebe sempre das Leben! Abbracci e auguri dal Vegliardo impenitente e impertinente. Mi mandi il tuo indirizzo? Vorrei provare a inviarti i primi dieci anni del diario virtuale (il mio modesto …zibaldone!) che ho stampato per farne dono agli amici ad perpetuam mei memoriam (vel damnationem!).

*

   Ho ricevuto un grande  dono dai miei amici Jacqueline et Claude Held, poeti, romanzieri, filosofi, autori tra i più noti di letteratura per l’infanzia e l’adolescenza nel mondo: hanno tradotto e pubblicato sulla rivista letteraria “La Toile” una mia poesiola tratta da Canti di Pan e ritmi del Thiaso, compiendo un’operazione difficile e rara nelle traduzioni, arricchendo cioè l’originale, acutamente interpretando e svelando quanto di  nascosto è a me stesso sotto il linguaggio qua e là  criptico  dei miei in apparenza semplici settenari sdruccioli, piani e tronchi . Ecco il dono, preceduto da una breve nota biografica, essa stessa assai …generosa.

*

   Un inaspettato dono di Jacqueline e Claude Held, gli amici poeti, filosofi e scrittori per l’infanzia noti in tutto il mondo: hanno tradotto e pubblicato su la rivista ‘La Toile’ magnificamente (la loro traduzione non è un tradimento, come spesso si ritiene avvenire, ma una magnificazione dell’originale, finemente interpretato, tale da chiarire molti punti dei miei settenari sdruccioli,  piani e tronchi a me stesso alquanto criptici, pubblicati molti anni fa nella mia raccolta poetica Canti di Pan e ritmi del Thiaso (Metanoesi 2005). Eccoli, con la resentazione che lirecede:

    Giulio Sforza a longtemps occupé une chaire de philosophie de l’éducation et de Méthodologie de l’éducation musicale à l’Université de Rome. Il a organisé de nombreux colloques internationaux portant sur l’éducation esthétique des jeunes. Il vit à Roma et parfois dans les Abruzzes, à Vivaro Romano, village où il retrouve ses racines. Ce poème, extrait de Canti di Pan e ritmi del thiaso, est traduit de l’italien par Jacqueline et Claude Held.

 

Come torrenti trepidi
come ruscelli garruli
e queruli e solenni
come fiumi i miei giorni
e i tuoi nella quiescente
equoreità discendono.
Io non ho bene inteso
ancora, ed ho mill’anni,
se vita nella morte
o nella morte vita
s’insinui. Non so bene
se Pasqua Parasceve
o Parasceve Pasqua
segua. Non ho capito
se sulla morte vita
trionfa o se la vita
alla morte soccombe.
Ma forse ciò non cale
donna a un amore tenero
come i boccioli nuovi
come le gemme turgide
che si fa l’invernale
rigidità, non cale
a un sogno terso e lucido
– dopo i rovesci l’aria
primaverile è tale.
Un attimo un sussulto
un brivido un sospiro
un alito; ma fragile
no : questo sentimento
fuggitivo ha la forza
d’un uragano e dissipa
la bruma e dentro l’anima
fa chiarità. So bene
donna che fra un istante
tempesta sarà ancora
dentro di me. Ma sempre
sereno seguirà.
So che sempre April’s showers
make way for May’s flowers. 

Comme des torrents inquiets
comme des ruisseaux bavards
plaintifs et solennels
comme des fleuves mes jours
et les tiens vers un calme
absolu déclinent.
J’ignore encore
– et j’ai mille ans –
si la vie dans la mort
ou la mort dans la vie
s’insinue. Je ne sais pas
si Pâques suit Parascève
ou Parascève suit Pâques.
J’en suis à me demander
si la mort triomphe
de la vie ou si la vie
s’incline devant la mort.
Mais ceci importe peu,
femme, à un amour tendre
comme ces jeunes pousses
ces bourgeons qu’enfle
la rigidité hivernale,
ceci importe peu 
à un songe pur et clair
– l’air au printemps
est tel après l’ondée.
Un instant un sursaut
un frisson un soupir
un souffle ; mais fragile
non : ce sentiment
fugitif a la force
d’un ouragan : il dissipe
la brume et fait la clarté
dans l’âme. Je sais,
femme, que dans un instant
la tempête sera encore
en moi. Mais toujours
viendra la sérénité.
Je sais que April’s showers
make way for May’s flowers. 

 

 Grazie cari amici: che nostalgia dei tempi dei nostri furori non solo poetici!

 *

   Cattiverie di pessimo gusto  

   Sant’Ambrogio. Inaugurazione della stagione scaligera col Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij. Grande folla e qualche becera contestazione dentro il teatro e fuori. I soliti Vespa e Carlucci intrattengono negli intervalli per il popolo della tv. Chiamano, a dire delle ovvietà, alcuni tra i più noti volti del grande e del piccolo schermo. Invitano anche Augias, al quale Vespa chiede una opinione sullo spettacolo. Augias, che non si perita di nascondere la sua sordità (si spera non tale da impedirgli il godimento dell’Opera con la conseguenza di inficiarne il giudizio) loda il coro ma è molto parco, e sornionamente ammiccante, negli altri apprezzamenti; della scenografia e della regia dice in sostanza senza mezzi termini, anche se in termini edulcorati e col suo solito perenne sorrisetto che vorrebbe esser birbone ma risulta solo fastidiosamente saccente, che fa schifo. Io ho un sobbalzo: ho udito bene? Certo che ho udito bene: Augias sta denunciando il solito pastiche, da me da sempre denunciato, e senza sorrisi edulcoranti non avendo nessuno a cui dover rispondere, di tempi e di stili e di intrusioni e distorsioni stupidamente moderniste, al quale i registi e gli scenografi nostrani (pochi esclusi, sopra tutti il mai abbastanza compianto, anche se da non pochi discusso, Zeffirelli) ricorrono per mancanza di idee, o scambiando per idee poche fantasie banali propagandate per ardite, geniali, visionarie, col risultato di infangare il classico e di ridicolizzare il moderno. Augias dice bene, e fa bene, solo dell’orchestra, del suo direttore Chailly, del tenore protagonista dall’impronunciabile nome, del mastodontico coro polifonico da far invidia a Mahler (qualche centinaio di cantanti, italiani e stranieri, fra uomini donne e bambini). Valutazioni alle quali mi associo senza riserve di sorta. Il Vespa, che forse si aspettava le solite ‘genuflessioncelle d’uso’ in questi casi, preso alla sprovvista non riesce a nascondere l’imbarazzo, e non sa come uscirne; tenta solo un sorriso, compromessogli dall’inestetica oscillazione della cute del collo taurino sempre più anche in lui, come in tutti noi di una certa età, vistosamente pendula come bargigli. Di Carlucci non dico, ma questa volta almeno ha studiato e s’è preparata sulla pronuncia dei nomi stranieri.

   Quindici minuti di applausi, dicono.

   Io mi sarei accontentato di cinque minuti, ma di fischi.

*

   A commento di quanto sopra, riporto le opinioni degli amici Prof Roberto Maragliano, pedagogista tra i più noti, attento soprattutto alle nuove tecniche della comunicazione mediale, e del critico musicale, tra i più esperti nel settore operistico, Dott. Paolo Di Nicola:

   Roberto Maragliano:

   Mi spiace averla vista in TV, quando l'ho riascoltata in radio era altra cosa. Al di lá di modernismi o antimodernismi la regia era stupida e per stupidi.

   Senza dire poi che, presi come siamo da venti di guerra, pochi sono quelli che hanno chiamato in causa Verdi, casomai si credesse che stiamo dall'altra parte...

   Paolo Di Nicola:

   Caro Professore, mi associo alla tua critica agli incolti e arroganti registi moderni (non tutti però son tali) pur non condividendo - come ben sai - l’entusiasmo per Zeffirelli. Applausi senza riserve all’intervento di Augias (autore di un coltissimo e interessantissimo programma sull’opera su Rai3) e anche al protagonista: ottimo cantante e grandissimo interprete “moderno” di un caposaldo della musica russa (che ben riconosco, anche se il Boris Godunov in generale non è tra le mie opere preferite). Il cantante in questione si chiama Ildar Abdrazakov.

__________________

    Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 

 
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quiete alcionia. Vittorio Peruzzi. Jochum dirige Bruckner ed altro

Post n°1152 pubblicato il 19 Dicembre 2022 da giuliosforza

 

 

1051

   Bello bello bello perché buio buio buio temporalesco poi piovoso poi piovigginoso senza tregua senza tregua senza tregua questo 3 di Dicembre.

   Stanco dell’anacronistico sole novembrino mi possiede un’Attesa da iniziato. Bramo di esporre la mia Anima al Sole Mithraico, al Fuoco e al Sole Zarathushtriani dei Giorni della Quiete Alcionia. Che poi essi si sposino a quelli in cui da una Capanna di Giudea tre Magi-Maghi Zaratushtriani videro dal loro Oriente un altro Fuoco accendersi un altro Sole spuntare non fa che rendere più intensa l’Attesa della più agognabile delle Estasi.

   M’appresto ad ardere di mistico Sole di mistico Fuoco al mistico Solstizio d’Inverno.

   (Per scrivere queste quattro cavolate senza virgole ho impiegato tre ore). 

   Alcuni dei compiacenti commenti:

   Marco Bertelli:

   Tre ore non sprecate 

   Anna Fonio:

   Benedette cavolate

   Lorenzo Fortunati:

   Amen

   Paola Margutti:

   E dopo le tue parole maestro …tanta luce dentro e fuori di me! 

   Angela Simonetti:

   Stupendo...come sempre

*  

   Bebi ha pubblicato due poesie di Vittorio Peruzzi in dialetto vivarese tratte dal volume Sòle ranena e pennecchie, del quale io scrissi l’introduzione, da lui stesso curato-.

   Questo il mio commento:

   “La vis 'poietica' (leggi creativa'), l'ingegno polimorfo, l'elaborato linguaggio 'iuaranu' classico ormai nella prassi purtroppo perduto ed 'involgarito', la perfezione ritmica fanno della poesia dialettale dell'amatissimo, compianto e mai abbastanza celebrato Vittorio Peruzzi, un 'unicum' nella storia della poesia dialettale italiana. Il grande merito di averci creduto va in massima parte al nostro generale Bebi, anch'egli squisito poeta, che alla vera e propria traduzione (compito arduo) e al commento della vasta opera di Vittorio ha dedicato anni ed ingegno”.

*

   A rasserenarmi oggi una deliziosa donizettiana Fille du Régiment la mattina, un Rock Hudson al suo meglio al pomeriggio nel film Lo sport preferito dalle donne. La Fille soprattutto mi godo, perché la prima volta che l’ascolto in francese, e per il cast nel quale figura nel ruolo di protagonista quel prodigio vocale rappresentato dal peruviano Juan Diego Lopez, per il quale i numerosi do di petto della partitura non sono di certo un problema, e risultano di una naturalezza e purezza cristalline.

   Poi c’è stato Eugen Jochum a dirigere Bruchner e a dire della sua vita e della sua opera.

   Jochum dirige da dio la Nona Sinfonia dedicata confidenzialmente « dem Lieben Gott », all’amato Dio;   perché a Bruckner egli somiglia nella vita e nell’opera e nella concezione musicale, e con lui condivide la profonda spiritualità e il profondo sentimento del sacro. Io che non sempre amai Brucker, in vecchiaia mi sono con lui riconciliato, per motivi, sia ben chiaro, soprattutto musicali, anche per merito di Jochum, che sa del wagnerismo bruckneriano e con lui lo condivide senza riserve. Il Bruckner da Jochum restituitomi è un Bruckner musico robusto e non il piagnone bigotto  che io gli rimproveravo di essere (o credevo fosse). Fu soprattutto con i Berliner Philarmoniker, di cui fu numerose volte direttore ospite, a riuscirgli di celebrarlo al meglio con esecuzioni rimaste storiche. Sono felice di aver concluso in tempi non sospetti il mio Hymnus an das Leben che apre i Canti di Pan e ritmi del Thiaso con un riferimento al Genio di Ansfelden e al suo Te Deum in do maggiore per coro di quattro voci miste, solisti, orchestra e organo ad libitum, una delle più belle cattedrali vocali innalzate dall’uomo alla Divinità.  

 *  

   Altre trasmissioni degne di nota.

   Innanzitutto il Fidelio, l’unica sofferta Opera lirica di Beethoven, che troppo raramente viene riproposta, nella versione con la terza famosa ouverture. Solo celebrazione dell’amor coniugale da parte di un che vanamente tutta la vita sogna una famiglia? Molto, molto di più. Solo celebrazione della libertà e condanna di ogni assolutismo prevaricante? Molto, molto di più, come viene ben messo in evidenza dal direttore Baremboim, l’uomo dalla quadruplice nazionalità, nell’intervista introduttiva rilasciata al Presidente dell’Accademia di Santa Cecilia Michele Dall’ Ongaro. Per me col Fidelio Beethoven definitivamente esce dal classicismo e si tuffa nel Romanticismo, già implicito in tutta la sua precedente produzione, ma un romanticismo robusto, come quello degli Hegel, dei Fichte, degli Schelling, che fa trapassare la musica dal ruolo di pura motrice di sentimenti a quello di motrice di riflessione. Col Fidelio definitivamente la musica diventa pensante, senza per questo inaridirsi, se mai conferendo ai sentimenti ancor maggiore robustezza.

   Altre trasmissioni degne di nota l’abusatissimo Don Giovanni, e, soprattutto, l’Orfeo ed Euridice monteverdiano, il capolavoro che apre al melodramma nuove stagioni inaugurando l’epoca che Gabriel Marcel chiama dell’Inglobant, l’atmosfera che scopre “des champs nouveaux d’expérience et de méditation où peut-être il sera possible de recueillir un jour le éléments d’une Mystique et, qui sait, d’une sagesse”. Marcel, il filosofo su cui mi laureai e col quale mantenni un lungo rapporto epistolare, nell’introduzione a Présence et Importalité scrive: “Le mythe d’Orphée et d’Euridice est au coeur même de mon Existence”. Affermazione che io, nella prefazione alla mia tesi di laurea, stampata poi col titolo di Metaproblematico e Pedagogia. Motivi marceliani, io commentai:

   “L’Orfeo che è nel cuore stesso dell’esistenza di Marcel deve chiaramente individuarsi nell’Orfeo metaproblematico della più genuina tradizione misterica: l’Orfeo che vivo scende nel regno dei morti e vivo ne torna (risolve cioè il tempo nell’eternità): l’Orpheus orphanòs, ‘solo’, ‘privo’, figlio di Ỏiagros, ‘colui che vaga nella solitudine dei campi’; il cantore solitario che sulle rive dell’Ebro, nella patrie regioni tracie, effonde la sua pena cantando, commuove col canto le fiere e soggioga la natura inanimata (funzione educativa, etica, dell’arte e della musica in particolare); l’Orfeo che il dolore trasfigura in melodia e la melodia in puro spirito, la cui morte è tenue dissolvenza e naturale trapasso ad una eternità già conquistata nel tempo. Non l’Orfeo misogino straziato dalle Menadi, dunque, ma l’Iniziato destinato a diventare il simbolo dell’uomo che lascia bruciare la propria materia, il tempo, dal fuoco interiore.

   “Nella delicata leggenda di Orfeo sono illuminati i tratti della personalità marceliana, nella quale assumono risalto le qualità di cantore e di musico poeta che recupera alla riflessione filosofica in termini di linguaggio d’arte ed all’esercizio estetico in termini di riflessione contenuti nuovi e, di conseguenza, motivi e principi nuovi alla ricerca pedagogica. Matrice di una pedagogia più ‘umana’ ritiene Marcel la dottrina dell’Inglobant. Essa è in grado di rivelarci un mondo di realtà spirituali attingibili, ‘sperimentabili’, con sensi diversi: mondo spirituale ove la materia stessa è immersa, sfera infuocata di cui le cose son prigioniere, realtà plus habens aperta alla comunicazione delle realtà tangibili minus habentes. Essa è la dottrina della comunicazione orfica del tempo con l’eternità, possibile per quel fenomeno chiamato da Marcel intuizione accecata o ‘ riflessione alla seconda potenza’ che è in grado di condurre senza mediazioni al centro stesso dell’essere, all’anima riposta della realtà: strada al noumeno, dunque, vietata alla ragione oggettivante” (Metaproblematico e Pedagogia. Motivi marceliani, la Goliardica editrice, Roma 1978, pp. 24-25).

   L’Orfeo ed Euridice monteverdiano oggi tutte queste considerazioni mi rievocano e confermano. Trovo nell’Orfeo del Cremonese una anticipatrice suggestione “metaproblematica” che ogni dualismo metafisico risolve nella concezione unificatrice di una immanente sacralità della vita e del mondo, della vita nel mondo, visti e vissuti sub specie aeternitatis.

*

   Così è (se vi pare). Un Pirandello che i nostri grandi classici attori degli anni Cinquanta ci sanno restituire in tutta sua potenza drammatica.

   La Fiaccola sotto il moggio.

   Di questo dramma, che si svolge tutto ad Anversa degli Abruzzi sulle rive del Sagittario che scende precipite tra le gole di Scanno, che dire di più di quanto ne dice l’Autore stesso: essere la perfetta delle sue tragedie? Per quanto mi riguarda la colloco al secondo posto,  dopo la Figlia di Iorio e prima della Francesca da Rimini. Ma che senso ha fare classifiche di capolavori?

   La descrizione degli ultimi istanti di una stirpe, i Di Sangro, vissuta direttamente dal Poeta con la solita partecipazione emotiva affidata ad un linguaggio raffinatissimo che non ha pari in tutta la storia del farsi del nostro idioma, ti afferra e ti coinvolge facendoti co-protagonista di una vicenda che è anche metafora di decadenza di un’epoca. Chi scenda da Scanno ed entri in Anversa, come in Cocullo e in Luco, i due altri luoghi evocati, respira ancora l’atmosfera che nella tragedia si respira e si interiorizza. E s’avverte egli stesso come un Di Sangro.

*

Festa dell'Immacolata

   Ricordate, miei cari Metanoetici, il bel mottetto a quattro voci dispari di Lorenzo Perosi (il Pierluigi da Palestrina e il Vivaldi insieme - per le tribolate vicende della sua vita e non solo - dei nostri giorni) " Neve non tocca"? Lo intono e suono nostalgicamente per voi e con voi sul mio piccolo Farfisa romano, essendo quello grande ad oziare al Frainile (ma so che un coro invisibile d'angeli musicanti oggi vi si aduna a celebrare suonando e cantando).

"Neve non tocca la tua veste appare,

cingi una zona del color del mare.

E a Quei che a tanta altezza t'ha levata

volgi gli occhi soavi, o Immacolata.

Più te contemplo, e dal caduco limo

più libero mi sento, E MI SUBLIMO.

_______________

 

Chàirete dàimones

 

 
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Ronsard, elegia di Gastine. Coe e perché sono tornato erbivoro

Post n°1151 pubblicato il 17 Dicembre 2022 da giuliosforza

1050

   Filosofia e vita

   Come e perché sono tornato coscientemente onnivoro.

   Qualche anno fa caddi improvvisamente in una delle mie ricorrenti crisi, necessariamente implicanti radicali scelte di vita, anche alimentari. In seguito ad una di queste decisi di diventare vegetariano, se non vegano. Consumare carne e pesce, esseri animali in genere, mi era diventato insopportabile: ad ogni boccone le scene truculente della macellazione di pecore e maiali (soprattutto quelle di cui ero stato spettatore da piccolo al mio paese nel mattatoio rusticano all’aperto di un mio zio) mi riapparivano davanti agli occhi e non riuscivo ad ingoiare senza avere connati di stomaco. E sì che mi preparavo prelibatissimi pasti: come mi era successo con la musica (delle cui regole grammaticali e sintattiche nacqui, non so come -innatismo platonico?- già a conoscenza: mi sarebbe bastato in seguito, crescendo, attendere il risveglio delle conoscenze sopite, uscire dal coma procuratomi dal trauma della violenta caduta nel mondo delle apparenze, per scoprirmi edotto di regole musicali fondamentali, di essere in grado di muovermi con agio tra melodie, armonie, contrappunti), così senza bisogno di nessun Artusi, ero in grado di preparare le più elaborate ricette. La mia bravura nel cucinare era stata notata già in collegio, nel quale ero stato nel 1944, mio undicesimo anno di vita, esiliato, dove, quando mi annoiavo per le ricorrenti ‘litanie’ e le noiosissime lezioni (quasi tutte, per verità, per me noiose: io ero di mente e di memoria vivacissimo e in pochi minuti apprendevo e ritenevo quello che la maggior parte dei miei compagni impiegava giorni, se non settimane, a comprendere e ritenere) insegnanti umani e non carcerieri, anziché condannarmi alla tortura di un ascolto forzato, da cui per altro mi salvavo estraniandomi nelle mie fantasie poetiche e musicali, mi mandavano a collaborare, con mia somma gioia, col cuoco o ad esercitarmi al pianoforte e all’harmonium.

   Ma non trascorse un triennio che una crisi inversa mi ricondusse sulle vecchie posizioni. E perché ciò avvenisse, fondamentali furono l’incontro con una mia ex allieva alimentarista e lo strano colloquio che ne seguì, strano perché in esso si invertivano le parti: a filosofare era lei che, dopo aver provato a convincermi con argomenti scientifici, sostenendo ad esempio che, data la mia età avanzata, una improvvisa mutazione di abitudini alimentari avrebbe potuto sortire effetti nefasti, passò, con mia sorpresa, ad argomentazioni di ben altra natura. Abbandonò le motivazioni puramente mediche e, ben conoscendo i miei orientamenti filosofici (aveva frequentato per un anno la mia Facoltà e seguito i miei corsi) mi prese bruscamente in contropiede chiedendomi tra il serio e il faceto: ma tu non eri un convinto panteista? E per un panteista, per uno che alle due affermazioni 'Dio esiste', 'Dio non esiste', usa aggiungerne una terza, 'esiste solo Dio', non è ogni forma di vita, minerale vegetale animale, della stessa sostanza divina? Non dovresti avere, di fronte a una insalatina strappata al suo fusto e al suo orto, a una fragolina strappata al suo bosco, a una mora strappata al suo rovo, ad una ciliegia strappata al suo albero, a ogni albero strappato alla sua foresta, a tutto ciò infine di cui il giardino edenico primigenio fu bello, non dovresti avere lo stesso atteggiamento che hai di fronte a un agnellino, un coniglietto, un agnellino sgozzati? Non dovresti provare la stessa pietà al momento della loro consumazione? E proseguì, dimostrando di avere ancor freschi nella mente i miei insegnamenti: per un panteista nutrirsi di qualsivoglia degli alimenti che la natura ci appresti, non è forse un nutrirsi di Dio? Non ci hai sempre insegnato che mangiare e bere è come comunicarsi, che ogni fagia è antropofagia, ogni antropofagia panfagia, ogni panfagia teofagia? E non ricordi il tuo amatissimo e citatissimo ‘principe dei poeti', come i fratelli latini amano dirlo, Pierre de Ronsard, giusto orgoglio, dicevi, del Rinascimento francese, e la sua bella elegia “Contre les bücherons de la forêt de Gastine” scritta in occasione della deforestazione di un bosco a lui caro? E citò a questo punto la terza famosa strofa, modernizzata nell’ortografia (e da me musicata con una semplice melodia a canone che spesso intonavamo a mo’ di preghiera ad inizio lezione!) che i nostri combattivi Verdi di sicuro ignorano, altrimenti ne avrebbero fatto il loro inno, naturalmente fossero stati meno agitatori politici e più filosofi e poeti, filosofi poetanti e poeti filosofanti:

   "Écoute, bücheron, arrête un peu le bras;

   Ce ne sont pas des bois que tu jettes en bas;

   Ne vois-tu pas le sang lequel dégoutte à force+------

   Des nymphes qui vivaient dessous la dure écorse"?

   ("Ascolta, boscaiolo, ferma un poco il tuo braccio. Non è legno quello che stai abbattendo. Non vedi il sangue sgorgante a fiotti, delle ninfe che vivevano sotto la dura scorza?").

Nel seguito della lunga elegia (facilmente reperibile in rete nella sua ortografia originale) il poeta rimpiange con una serie infinita di toccanti immagini evocative la foresta, le sue ombre, gli animali e i pastori che vi trovavano riparo e ristoro, la sconsolata desolazione della vuota campagna assolata e desertica che ne prese le veci.

   Convinto dalla provocazione della mia allieva ritornai, seppur con senile parsimonia, alle vecchie abitudini alimentari, e da qualche tempo ormai, allorché solitario consumo il mio parco cibo, qualsiasi esso sia mi ricordo del mio panteismo, discorro celio canto o litigo o amoreggio col ‘cadaverino mascherato’ (come Voltaire, vegetariano, chiamava le vittime del ‘fiero pasto’) che sto variamente gustando. Davvero un bel gioco.

   P. S.

   Un altro esito ha avuto il mio panteismo, finalmente rivissuto in coerenza: reindosso con piacere e senza sensi di colpa già in questi primi freddi il mio antico ma incorrotto montone verace dalla caldissima lana e robustissima pelle. E che sollievo per le mie membra antiche lo stretto abbraccio del ‘divino’Ariete, che goduria, che eccitazione riudirne i robusti belati, essere eccitato spettatore delle sue animalesche furibonde foie!

   P. S. 2

   Apprendo con piacere che 'Pierre de Ronsard' è chiamata giustamente l’Edenrose, la rampicante rosa chiaro e bianca ornamento del mio giardino al Frainile (che suona ‘il posto delle fragole’: Ingmar Bergman è dunque un plagiatore) creata da Marie-Louise Meilland e introdotta in Francia da Mailland International nel 1985 come parte della collezione ‘Renaissance’.

__________________

 Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 
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Simone Cristicchi: Paradiso. Dalle tenebre alla luce'

Post n°1150 pubblicato il 07 Dicembre 2022 da giuliosforza

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   Sono stato molto positivamente impressionato dalla presentazione in rete del nuovo lavoro teatrale di Simone Cristicchi Paradiso. Dalle tenebre alla luce, e non mi dispiacerebbe godermelo. Il musicista attore e scrittore eclettico con questa opera affronta il poema dantesco con il suo originale, poetico punto di vista. Non me lo sarei mai atteso. Non particolarmente attento alle varie musiche così dette leggere, più che il nome nulla mi risultava del personaggio che ora scopro ingegnoso assai nel panorama musical-teatrale italiano e tra l’altro molto vicino alle tematiche che da sempre io coltivo sforzandomi, non sempre riuscendoci, di elevarle a norma di vita.
   Simone Cristicchi ha scritto l’opera in collaborazione con Manfredi Rutelli ed è co-autore, con Valter Sivilotti, delle musiche originali, oltre a firmare canzoni e regia.
   Lo spettacolo, patrocinato dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante, debuttò il 23 luglio in piazza Duomo a San Miniato (PI), quale momento culminante della 75esima edizione della Festa del Teatro organizzata dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare. In occasione di quel debutto, Simone Cristicchi fu accompagnato da 22 elementi dell’Orchestra OIDA di Arezzo.

   Illuminanti sono la presentazione anonima dello spettacolo e le note di regia, ad opera, immagino, dello stesso Cristicchi.

   “In ogni uomo abita una nostalgia dell’infinito, un senso di separazione, un desiderio di completezza che lo spinge a cercare un senso alla propria esistenza.
   Il compito dell’essere umano è dare alla luce se stesso, cercando dentro all’Inferno [… ] barlumi di Paradiso: nel respiro leggero della poesia, nella magnificenza dell’arte, nelle scoperte della scienza, nel sapientissimo libro della Natura.
   A partire dalla cantica dantesca, Simone Cristicchi scrive e interpreta Paradiso. Dalle tenebre alla luce, opera teatrale per voce e orchestra sinfonica, racconto di un viaggio interiore dall’oscurità alla luce, attraverso le voci potenti dei mistici di ogni tempo, i cui insegnamenti, come fiume sotterraneo, attraversano i secoli per arrivare con l’attualità del loro messaggio, fino a noi.

   La tensione verso il Paradiso è metafora dell’evoluzione umana, slancio vitale verso vette più alte, spesso inaccessibili: elevazione ed evoluzione.
   Il viaggio di Dante dall’Inferno al Paradiso è un cammino iniziatico, dove la poesia diventa strumento di trasformazione da materia a puro spirito, e l’incontro con l’immagine di Dio è rivelazione di un messaggio universale, che attraversa il tempo e lo vince”.

   Note di regia

   “La nostra vita è un grande mistero, che un giorno ci sarà rivelato.
   Questo sembra dirci Dante Alighieri, con la forza immutata delle sue parole, ancora oggi a distanza di settecento anni.
   In questo mistero mi sono calato, cercando di raccontare - tra monolghi e canzoni - l’inconsueto e rendere testimonianza di ciò che di “misterioso” è accaduto nella mia vita.
   La parola – nella sua nudità e potenza – è al centro dell’intero spettacolo, e affronta tutte le declinazioni possibili: parola recitata, parola narrata, parola cantata.
   Con il coautore Manfredi Rutelli, ho cercato di sviscerare il concetto di “paradiso” in tutte sue sfaccettature: dalla ricerca millenaria dell’Eden perduto - il mito universale più diffuso in tutte le culture del mondo - fino all’insuperato capolavoro dell’intera Commedia: il trentetreesimo canto, dal quale ho musicato i primi versi - l’Inno alla Vergine Madre.
   L’epicità dell’orchestra OIDA - le cui partiture e la direzione è del collaboratore storico Valter Sivilotti - diventa la calda placenta dove nuota la voce.
   Due colonne doriche incorniciano le suggestive e mai didascaliche proiezioni di Andrea Cocchi.
   Il disegno luci è affidato alla visionarietà delicata di Rossano Siragusano.

   La situazione che stiamo vivendo, ha mandato in frantumi tutte le certezze che avevamo, e ci troviamo in una dimensione paragonabile all’attraversata del deserto.
   Perché sappiamo che tutto ciò che è rimasto dietro non ha più validità, e quindi ci muoviamo in una dimensione sconosciuta.
   In questa selva oscura io credo che alla fine riprenderà il sopravvento
quello che è già codificato in noi, quella unione fra noi e il Tutto.
   Perché è proprio quando tutto sembra perduto, quando le certezze crollano, che è possibile ritrovare la coordinata di origine.
   E comprendere che il vero “peccato mortale”
è l’ incapacità di vivere in sintonia con l’universo.
   “Paradiso” non è uno spettacolo su Dante e il suo affascinante iter nel terzo regno ultraterreno della sua Commedia.
   Non c’è l’ imponente archittettura, nè gli incontri con i suoi personaggi.
   Eppure, proprio grazie ai versi memorabili e alle universali intuizioni del sommo poeta, il mio “Paradiso” diventa un viaggio iniziatico nella parte più sottile e profonda dell’essere, un tentativo di riconnessione con la parte più autentica che ci abita, quella scintilla divina che ci permetta di
trasumanar

  Un Cristicchi filosofo non me lo attendevo. Nonostante taluni luoghi comuni, talune ingenuità e qualche incongruenza, bene si rivela darsi in lui un patrimonio non indifferente di humanitas totale che parole e musica tende a ricondurre alla unità  primigenia, allorché nel vuoto risuonò  il Verbo e il mondo-kosmos  fu.

Kosmos armonico, Harmonia Mundi.

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 
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