Libertà per Ibrahim
Blog di sostegno alla campagna per la libertà e contro l'espulsione di Abdellatif Ibrahim Fatayer
Ibrahim Fatayer è libero: ma per l'Italia ora è un clandestino! Ibrahim Abdellatif Fatayer, ex combattente palestinese del Fronte per la Liberazione della Palestina, arrestato e condannato dai tribunali italiani a 25 anni di carcere per il sequesto dell'Achille Lauro, ha riacquistato la libertà nella mattinata di ieri, uscendo dal cpt di Ponte Galeria nel quale era rinchiuso. Travagliata la vita italiana di Ibrahim, che tutt'oggi, nemmeno con l'uscita dal cpt e con la pena scontata in carcere, vede conclusi i suoi problemi con lo Stato italiano. Se fino a ieri la sua bollatura si fermava a "terrorista", oggi è arricchita anche da quella di "clandestino".. Ibrahim è uscito dal carcere nel 2005, dopo 20 anni di reclusione, momento dal quale ha tentato di rifarsi una vita in Italia, trascorrendo i suoi tre anni di libertà vigilata a Perugia, facendosi aiutare dalla Caritas e dandosi da fare, trovando lavoro prima in un magazzino poi in un ristorante. Il 9 aprile 2008, nel can-can elettorale italiano, recandosi per l'ordinaria firma in questura, ha trovato l'ennesima sorpresa: nonostante nello stesso mese di aprile la magistratura abbia dichiarato Ibrahim un soggetto non più "socialmente pericoloso", la prefettura di Perugia ha decretato la sua espulsione, ritenendolo pericoloso e per di più clandestino.. ultimo colpo di coda di un governo Prodi prono ai voleri americano-israeliani. Ibrahim è stato spedito nel cpt di Ponte Galeria, nell'attesa necessaria per capire in quale paese mandarlo (Libano? Stati Uniti?!), dove avrebbe dovuto rimanere 60 giorni, che sono diventati 120 in seguito all'espletazione da parte dei suoi avvocati della richiesta di asilo politico all'Italia. La principale motivazione di questa richiesta consiste nella particolare situazione dell'ex guerrigliero palestinese, ritrovatosi con una pena scontata in Italia e con un per niente celato interesse nei suoi confronti degli Stati Uniti (solo nel 2004 la Cia gli ha fatto visita in carcere per interrogarlo sul dirottamento dell'Achille Lauro e sull'uccisione dell'americano Leon Klinghoffer). Oggi Ibrahim Abdellatif Fatayer si trova nella condizione di non desiderato in Italia, con in tasca un ordine di allontanamento e la notifica del diniego dell'asilo politico, e di apolide, essendo il suo paese sotto occupazione da parte dello Stato d'Israele. Il ricorso fatto dagli avvocati gli concede altri 15 giorni di tempo per rimanere nei confini nazionali, poi si procederà con l'esplulsione, nonostante al momento si presenti come ineseguibile. Ibrahim è nato in un campo profughi di Beirut, in quello di Tell El Zaatar, nel 1965 da una famiglia palestinese esplulsa dalla propria casa nel 1948, sotto la minaccia armata delle forze sioniste. E' cresciuto in Libano, come uno dei tanti bambini senza identità che hanno riempito i campi profughi di uno Stato libanese che li ha perennemente discriminati, tollerandoli ma lasciandoli nel loro oblio. Il Libano "non conosce" Ibrahim, non gli ha mai rilasciato la cittadinanza. L'Italia conosce benissimo Ibrahim ma se ne vuole liberare, dato che dopo 23 anni lo considera ancora un "clandestino". |
Roma, 7 luglio 2007 Decorsi i termini massimi di trattenimento in CPT (90 giorni), Ibrahim è stato rilasciato in condizioni di clandestinità, con un ordine di allontanamento entro 15 giorni dalla notifica del diniego dell'asilo politico. Il ricorso al giudice civile non è stato fatto perché avrebbe comportato il trattenimento in CPT di Ibrahim per altri 6 mesi, ma è stata presentata richiesta di permesso per motivi umanitari per procrastinare la data dell'esecutività dell'espulsione a quella della risposta per il permesso umanitario. Non ci attendiamo una risposta positiva: già nel 2007 fu fatta tale richiesta e gli fu negata, perciò non nutriamo molte speranze che tale permesso gli venga concesso oggi. Nutriamo invece speranza nella solidarietà ed è per questo che continuiamo a mantenere vivo questo blog. E' per questo che continuiamo la nostra battaglia per la cittadinanza e l'incolumità di Ibrahim. Negandogli la possibilità di regolarizzarsi in Italia, gli viene resa di fatto la vita impossibile, in sospeso tra il CPT e l'espulsione, fin quando non troverà lui il modo di andarsene sulle sue gambe, ma contro la sua volontà, in qualche paese arabo apparentemente tollerante verso i palestinesi, ma poco o affatto sicuro per lui, sollevando in tal modo l'Italia dalle proprie responsabilità e respingendolo di nuovo verso l'illegalità, la guerra, la persecuzione. Ibrahim non solo ha pagato il suo debito con la giustizia italiana e avrebbe diritto a vivere in pace, ma possiamo affermare, prove in mano, che egli è in credito verso di essa. Il suo diario clinico, raccolto dai medici dei carceri in cui è stato recluso, parlano di grandi sofferenze fisiche e psicologiche. I pestaggi subiti nelle carceri italiane, che ne hanno provocato la parziale invalidità, le torture e le umiliazioni subite in 20 anni di inferno all'interno di una struttura che ipocritamente si continua a definire "rieducativa" sono la punta di un iceberg che inizia ad emergere solo ora e che comunque vada a finire questa storia non passeranno sotto silenzio. Indipendentemente dalla volontà di Ibrahim riteniamo giusto e sacrosanto denunciare quanto succede in queste "cattedrali" della sicurezza, dove il "diritto" si ferma alla soglia del primo cancello. Per motivi tecnici e di opportunità, dopo il 7 luglio abbiamo sospeso l'aggiornamento del blog. Il rumore mediatico successivo alla scarcerazione di Ibrahim non è servito ad aumentare la solidarietà intorno a lui, semmai a facilitarne il monitoraggio in Italia come clandestino, in attesa di trovare una soluzione per il suo allontanamento consensuale dal suolo italiano, cosìcché sia lui ad assumersi la responsabilità di quanto potrebbe accadergli fuori dall'Italia. Viceversa, qualora decidesse di restare clandestino in Italia, sarà sempre lui ad assumersi la responsabilità di quanto potrebbe accadergli in questo paese (detenzione in cpt, rapimenti ecc.). Ma Ibrahim fa sapere che se lascerà l'Italia, non sarà per sua volontà. Ci sono pressioni dagli USA perché questo accada e gli altri paesi, Italia in testa, non fanno altro che assecondarle. Anche se questo paese si crede assolto, esso è lo stesso e per sempre coinvolto. E ha la coscienza nera come la pece. Nera, come la sua indifferenza, la sua impunità, le sue complicità. Nera come la coscienza di un paese che ha abdicato la sua democrazia, la sua sovranità, i diritti umani e civili in favore di interessi transnazionali legati al profitto delle multinazionali del petrolio, della guerra e del terrore, di quella che oggi chiamano "sicurezza". L'unica sicurezza che preme a lor signori è quella del Capitale, non certo della pace in Medioriente. L'accordo militare Italia-Israele, siglato nel 2005 durante il precedente governo Berlusconi, non parlava di pace, ma di 181 milioni di dollari da spendere in tecnologie di interdizione, sorveglianza e guerra elettronica. Una pace armata sino ai denti, con l'Italia al settimo posto nel mondo quanto a spese militari, fedele alleato degli USA e di Israele nell'intero bacino mediterraneo. Nella finanziaria del 2006, circa 1,7 miliardi di euro in più sono stati sottratti alle spese sociali per finanziare nuovi armamenti e tecnologie connesse. Motivi di "sicurezza" e "umanitari" hanno giustificato l'iperbolica corsa agli armamenti da parte del governo Prodi. Tra i più importanti beneficiari delle finanziarie di guerra, un posto in primo piano spetta a Finmeccanica (azienda militare-tecnologica per un terzo di proprietà dello Stato, altamente compromessa nei rapporti militari con Israele) e a Vitrociset (azienda italiana di sistemi aerospaziali, radar e telecomunicazioni), guidate da ex generali prima ai vertici della Difesa, a sostenere progetti di riarmo per motivi di "sicurezza" e "umanitari" poi alla presidenza o al Consiglio di amministrazione delle suddette aziende, a realizzare i progetti presentati, intascandone i dividendi. Per quanto esecrabile per le conseguenze che ne derivarono su un civile inerme, l'operazione dell'Achille Lauro fu un'operazione di guerra partigiana, l'espressione della resistenza di un popolo oppresso contro l'invasore. Quante guerre coloniali il nostro "bel paese" ha condotto sotto lo scudo Nato uccidendo centinaia di migliaia di civili inermi? Quale il vero scopo di queste guerre? Sicurezza, motivi umanitari o più semplicemente il profitto? Chi ha pagato e continua a pagare per il profitto? Chi è terrorista, devastatore, saccheggiatore? Il padrone che ruba la terra al popolo o il partigiano che la difende? Ibrahim racconta che quando era a Voghera, nel luglio 2001, non si spiegava come mai le "squadrette" dei GOM fossero sparite tutt'a un tratto dal supercarcere. Lo capì quando vide le sanguinose immagini del G8 e seppe delle torture a Bolzaneto: i "garanti dell'ordine e della sicurezza" erano a portare "ordine e sicurezza" a Genova per richiudere poi centinaia di manifestanti massacrati, nello stesso girone infernale dove lui si trovava da anni, ma in un'altra sezione. I detenuti in sezione E.I.V., dove lui si trovava, solidarizzarono con quei manifestanti, che come loro avevano vissuto sulla propria pelle la violenza di uno Stato prono agli interessi degli 8 grandi padroni della terra. In tutti i carceri speciali e non, nei CPT, nelle caserme, nelle questure e in tutti i luoghi adibiti agli interrogatori, nelle piazze e nelle strade, i garanti dell'ordine e della sicurezza continuano a seminare il terrore su civili inermi e se ci scappa il morto si assolvono con qualche ricostruzione improbabile, magari adducendo la legittima difesa, l'incidente o l'autolesionismo delle proprie vittime. La voce di chi, pur confinato, resiste e lotta per i propri diritti in modo pacifico, con scioperi della fame o rifiuto del vitto, non esce quasi mai da quelle mura. L'unica voce che sentiamo, profondamente stridula con la verità, è quella degli aguzzini. Da Bolzaneto a Voghera, da ogni carcere speciale e non ai CPT, il diritto si ferma fuori dal cancello. Da Bolzaneto a Voghera, da ogni carcere speciale e non ai CPT, si aspetta ancora giustizia. A Bolzaneto, a Voghera, in ogni carcere speciale e non, nei CPT, tutti sanno che l'unica giustizia è quella proletaria e rivoluzionaria perché sono i proletari e i ribelli che vanno in galera, non chi si arricchisce sulla loro pelle, non chi li opprime e li reprime. La giustizia non è un concetto neutro, ma di classe, perché di classe sono i manganelli e altri strumenti di morte e tortura utilizzati in questo "Bel paese" per la repressione. Di classe sono le sofisticate armi utilizzate da questa "Bell'Italia" per la guerra esterna. Quanta ipocrisia si nasconde dietro i termini "sicurezza", "giustizia", "pace"! Dove non c'è giustizia non c'è sicurezza e dove non c'è sicurezza non c'è pace. |
Abdellatif Ibrahim Fatayer Ho lavorato tre anni in Libano, nonostante questo posso solo immaginare cosa significa per una comunità essere chiusa in un campo senza diritti civili per 4 generazioni, la maggior parte dei profughi palestinesi si sono rifugiati in libano alla fine degli anni 40 del secolo scorso, solo i più anziani hanno i ricordi della loro terra. Ibrahim ha pagato per quello che ha fatto, era un giovane che cercava di rendersi utile alla sua comunità, solo che la sua comunità è storicamente dalla parte sbagliata, dalla parte dei perdenti. Molti di noi nella sua situazione avrebbero vissuto simili esperienze, costretti a fare atti violenti per potere tentare di avere giustizia. E questa è la vera immoralità della nostra società globale, costringe ai margini, senza possibilità di fare valere i propri diritti in modo "legale" chi è escluso. I palestinesi vivevano in quello che ora è Israele e hanno il diritto di continuare a viverci, come i palestinesi di religione ebraica o cristiana. Un diritto calpestato. Il mostro è la creazione di uno stato confessionale Ebreo in quello che era un territorio amministrato prima dagli arabi poi dall'impero turco in modo non confessionale. Ricordo che attualmente il 40 per cento degli abitanti di Israele è musulmana e cristiana, può votare ma non può avere cariche politiche. Questa non è una democrazia, è una bomba a tempo. Io penso che l'Italia dovrebbe dare a Ibrahim la possibilità di vivere in modo umano all'interno della sua società. Se Ibrahim è capace di vivere rispettando le nostre regole di convivenza, cosa che finora ha dimostrato, gli deve essere data questa possibilità. Se è possibile fare qualcosa di concreto per Ibrahim sono disponibile. Fatemi sapere. Andrea Lastrucci |
Roma, 4 luglio 2008 Rigettata la richiesta di asilo politico di Ibrahim, avanzata attraverso l'avv. Francesco Romeo. Rifiutando la domanda, l'Italia non solo contravviene alle norme stabilite nell'art. 19 del Testo Unico sull'immigrazione ("In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione") e dall'art. 2 del D.L.vo n. 25/2008, che riconosce la protezione sussidiaria al "cittadino di un Paese non appartenente all'Unione europea o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno", ma viene meno agli impegni internazionali presi al momento della evacuazione dei miliziani palestinesi a Beirut e quando decise di salvaguardare la propria sovranità nazionale durante la crisi di Sigonella, condannando di fatto un uomo nuovo e libero, al carcere e a ulteriori vessazioni e persecuzioni oppure a una vita impossibile qui in Italia. Una vita senza scampo. Lunedì scade il termine massimo per il trattenimento al CPT. Nella peggiore delle ipotesi i 30 giorni richiesti dalla commissione per decidere sull'asilo politico sono serviti a preparare qualche scambio occulto finalizzato a mettere Ibrahim nelle mani dei servizi israeliani o americani. Nella migliore potrebbero invece lasciarlo andare lunedì con un foglio di via. Presenteremo ricorso al giudice civile e ci serviranno ancora la vostra solidarietà e le vostre idee. Magari qualcosa a cui né noi, né gli avvocati hanno ancora pensato. Perugia, 30 giugno 2008 Rinviata al 20 ottobre l'udienza davanti al Giudice di Pace, per decidere sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione di Ibrahim, presentato dagli avvocati Calia (del foro di Roma) e Archilei (del foro di Perugia). |
C'eravamo sentiti abbandonati e invece abbiamo ricevuto il conforto, concreto e dolcemente inaspettato del Forum sociale campigiano, che ha versato nella cassa di solidarietà per Abdellatif 300 euro! A tutti loro grazie infinite, ne avevamo davvero bisogno. Ma ogni iniziativa di solidarietà deve rendersi visibile, uscire dal silenzio. Solo così è possibile vincere questa battaglia, con la visibilità e l'unità, uscendo dalla paura e dalla rassegnazione o, peggio, dal settarismo e dall'opportunismo. Per questo invitiamo quanti si sono stretti intorno ad Ibrahim, anche solo con una firma, a contattarci (ibrahim65_1@libero.it), a far sentire la propria voce, a rompere il silenzio dei media intorno a questa solidarietà. Questa non è una battaglia in difesa dell'"ex dirottatore dell'Achille Lauro" o contro gli americani o contro gli israeliani (alcuni di loro ci hanno espresso solidarietà ma non hanno voluto che se ne parlasse per paura). Questa è una battaglia per il rispetto dei diritti umani e questo messaggio deve venir fuori prima che accada l'irreparabile. Lottare contro l'espulsione di Ibrahim vuol dire lottare contro un'ulterione ingiustizia verso tutti i profughi, al di là dei calcoli di natura politica di questo o quello Stato, di questa o quella organizzazione. E' UNA QUESTIONE DI UMANITA' PER IBRAHIM LIBERTA'! |
Il presidio a Roma sotto il "Corriere della sera" contro l'espulsione di Nazan Ercan, Avni Er e Abdellatif Ibrahim Fatayer, ha visto la presenza di una ventina di compagni e ha ottenuto la pubblicazione, sull'edizione di domenica, della notizia del presidio. Ci auguriamo che queste iniziative si moltiplichino, perchè solo con la solidarietà e l'unità abbiamo qualche speranza di vincere questa ed altre battaglie di giustizia e civiltà. |
Presidio in sostegno di Nazan Ercan, Avni Er e Abdellatif Ibrahim Fatayer NO alla loro espulsione! Libertà per i prigionieri politici! Sabato 21 Giugno 2008 Roma, Piazza Venezia n. 5 Dalle h. 15 alle h. 20,30 davanti alla redazione del Corriere della Sera Sabato 21 giugno si terrà a Roma, a partire dalle h. 10,30 presso la sala Pettinelli della stazione Termini, l’assemblea nazionale contro la repressione. Riteniamo importante chiudere questa giornata esprimendo concretamente il nostro appoggio a Avni Er, Nazan Ercan (più conosciuta come Zeynep Kilic), e Abdellatif Ibrahim Fatayer. La tortura e la morte rappresentano il destino comune di queste tre persone nel caso venissero consegnate nelle mani delle Autorità dei propri paesi. Avni e Nazan rischiano infatti l’espulsione in Turchia, mentre Ibrahim rischia di finire nelle mani degli USA o dei sionisti israeliani (alleghiamo per chi non conoscesse le loro vicende, gli appelli dettagliati lanciati in loro sostegno). Avni è oggi ancora rinchiuso nel carcere di Badu e Carros dove dovrà restare per almeno un altro anno. Nazan e Ibrahim invece, pur avendo scontato appieno il loro conto con la “Giustizia italiana”, sono “detenuti” nel CPT di Ponte Galeria in attesa di conoscere la loro sorte, in condizioni peggiori di quelle cui erano costretti nelle loro precedenti prigioni. Le Autorità italiane stanno lavorando alla loro espulsione in aperta violazione delle norme costituzionali e di diritto internazionale che non consentono di rimpatriare verso paesi che praticano la tortura e violano i diritti democratici. Invitiamo tutti i partecipanti all’assemblea del 21 giugno a Roma a promuovere ed aderire al presidio in sostegno di Avni, Nazan e Ibrahim. Invitiamo tutti i compagni, i lavoratori, gli studenti e i sinceri democratici a dare il loro contributo per rafforzare il presidio per dire NO all’espulsione dall’Italia di Ibrahim, di Nazan e di Avni! In difesa degli spazi di agibilità democratica, contro ogni forma di fascismo, in sostegno delle lotte di resistenza dei popoli oppressi dall’imperialismo! No alle nuove prigioni che portano il nome di CPT! No all’espulsione, libertà per Avni, Nazan e Ibrahim! Promuovono: Associazione Solidarietà Proletaria, Proletari Comunisti, Partito dei CARC, Rete Antifascista Perugina, Sindacato Lavoratori in Lotta Prime adesioni: Rete dei Comunisti, Comitato Iqbal Masih di Lecce, Antonella Ricciardi, giornalista pubblicista Per comunicare adesioni scrivere a ass-solid-prol@libero.it |
Da Tell El Zaatar a Ponte Galeria: il destino di un proletario palestinese Abdellatif Ibrahim Fatayer nasce a Beirut nel 1965, nel campo profughi di Tell El Zaatar (“la collina del Timo”), dove i genitori si erano rifugiati nel ’48 dopo l’espulsione dalla Palestina. Di famiglia proletaria, cresce nella miseria e nella guerra. I profughi palestinesi, soprattutto in Libano, sono discriminati a tutti i livelli ed esclusi dai più elementari diritti civili. Rete Antifascista PeruginaNel 1975 le falangi cristiano-maronite uccidono oltre cento tra operai e combattenti palestinesi. Le milizie delle forze progressiste si schierano con l'OLP e scoppia la guerra civile libanese. Israele bombarda il sud del Libano per "rappresaglia preventiva" e Ibrahim si ritrova sotto le bombe. In quella lunga guerra perderà quasi tutta la sua famiglia (erano 10 fratelli, sono rimasti in 3). Il 12 agosto 1976 Tell El Zaatar cade dopo sette settimane d'assedio: vengono massacrati tra i duemila e i tremila palestinesi e stuprate centinaia di adolescenti e bambine, date in premio ai soldati falangisti che le sodomizzavano coi crocefissi. L’attacco al campo profughi, lanciato dai falangisti libanesi e dai siriani, è coordinato da ufficiali israeliani. Aveva appena 11 anni Ibrahim, quando ammazzarono il padre davanti ai suoi occhi, inerme: “Ci portarono tutti in strada, obbligati a camminare per ore. Ogni tanto ci facevano fermare, sceglievano qualcuno a caso e lo uccidevano. Toccò anche a mio padre” racconta. Di fronte a tanto orrore quel bambino pensò di dover combattere per liberare il suo popolo. A 13 anni entra nel gruppo di Al-Fatah, organizzazione dell’Olp fondata da Arafat e inizia l’addestramento militare. Il 4 giugno 1982 viene sferrata da Israele e dai suoi alleati cristiano-maroniti, un'altra offensiva militare contro il Libano e l'OLP. Obiettivo è l’annientamento delle formazioni armate palestinesi. La suddetta operazione, denominata “Pace in Galilea”, provoca 30.000 - 40.000 vittime palestinesi e libanesi e pone le basi per un “cessate il fuoco”, negoziato tra Arafat e la forza multinazionale di stanza in Libano (composta da USA, G.B., Francia, Italia), che costringe all’esilio 13 mila guerriglieri palestinesi, tra cui Ibrahim, dietro la falsa promessa di tutelare la sicurezza della popolazione civile dei campi profughi. Il 30 agosto 1982 i combattenti palestinesi abbandonano il Libano e il quartier generale dell'OLP viene trasferito a Tunisi. L’inganno della borghesia nazionale e imperialista coinvolta nelle trattative è presto svelato e si traduce, il 14 settembre 1982, in un altro atroce massacro: Sabra e Chatila. Razzi israeliani illuminano a giorno i due campi profughi a Beirut, consentendo ai falangisti di massacrare per tre giorni consecutivi la popolazione palestinese e libanese inerme. Più di 3.000 saranno le vittime civili. Aveva 17 anni, Ibrahim, quando lasciò il Libano a seguito di quell’accordo scellerato e come tutti gli altri palestinesi in esilio venne identificato dalle autorità libanesi come combattente attivo, in una vera e propria lista dei fuoriusciti. Il 7 ottobre 1985 Abdellatif Ibrahim Fatayer s’imbarca con altri 3 giovani profughi palestinesi alla volta del porto israeliano di Ashdud. L’operazione del FLP (Fronte per la Liberazione della Palestina, costituitosi nel '77 da una scissione del FPLP-CG) aveva come obbiettivo una base militare israeliana: i 4 feddayn volevano unirsi alla resistenza palestinese e mettere in atto un'azione dimostrativa per ottenere la liberazione di 52 prigionieri politici palestinesi. La nave utilizzata come mezzo di trasporto fu l'Achille Lauro, una nave da crociera italiana partita dal porto di Genova. A bordo era presente anche Khaled Hussein, che accompagnò i 4 giovani palestinesi fino al porto di Alessandria d'Egitto, dove scese. Dopo lo scalo ad Alessandria, la nave proseguì il suo viaggio verso la Palestina, ma al largo delle coste egiziane di Bur Said, un cameriere entrò all’improvviso nella cabina dei 4 fedayn, vide un’arma e chiese loro di mostrargli i passaporti. Poi uscì di corsa, per avvisare il comandante e la security. Fu una questione di attimi: i 4, vedendosi scoperti, decisero in pochi secondi di cambiare la propria missione e di procedere al sequestro dell'equipaggio con tutte le tragiche conseguenze che ne derivarono. Sembra che sulla nave ci siano stati dei problemi con un cittadino americano-ebreo in carrozzella, Leon Klinghoffer, che incitava l’equipaggio alla ribellione e uno dei componenti del commando perse la testa e lo uccise. Dopo una serie di trattative che coinvolsero Arafat, Abu Abbas (segretario del FLP) e i governi egiziano e italiano, i Fedayn vengono consegnati alla Dirigenza palestinese di Arafat e Abu Abbas e la nave viene lasciata libera di andare. Il giorno successivo il commando prende il volo Cairo-Tunisi (dove dal 1982 fino agli accordi di Oslo fu garantita la permanenza palestinese) accompagnato da Abu Abbas, ma i caccia americani della VI Flotta obbligano l'aereo di linea egiziana ad atterrare nella base americana di Sigonella, in Sicilia. Qui i 4 palestinesi del commando (tra cui Ibrahim) vengono arrestati dagli italiani, mentre Abu Abbas viene trasferito a Roma e da qui, su un volo militare, a Belgrado. Naturalmente gli americani avrebbero voluto giudicare e giustiziare, oltre a tutti i componenti del commando, anche i dirigenti dell'FLP, come Abu Abbas, ma l'Achille Lauro era una nave da crociera italiana, Bettino Craxi si oppose alla consegna dei palestinesi agli USA e fu la giurisdizione italiana ad occuparsi di loro: i 4 palestinesi del commando furono tutti condannati a 10-30 anni di reclusione. Il dirottamento dell'Achille Lauro non fu pianificato e organizzato e gli obbiettivi dell’operazione erano militari, non civili ma Abu Abbas e Khaled Hussein nel 1989, in seguito alle dichiarazioni di un pentito facilmente ricattabile, vengono condannati in contumacia all'ergastolo dalla "giustizia" italiana. Abu Abbas con l'accusa di essere stato il mandante del dirottamento dell’Achille Lauro, Khaled Hussein con l’accusa di averlo pianificato. Abu Abbas, in seguito a quella condanna, viene espulso dal Comitato Esecutivo dell'OLP e costretto alla fuga. Nell'aprile del 2003, viene rapito dagli americani in Iraq (l'Italia ne aveva chiesto l'estradizione) e torturato nel carcere di Abu Ghraib fino al martirio dopo 2 mesi di detenzione (per il Pentagono sarebbe morto di "cause naturali"). Khaled Hussein viene arrestato in Grecia nel 1991 e nel 1996 viene estradato in Italia. Attualmente è detenuto nella sezione di elevato indice di vigilanza del carcere di Benevento, la moderna Guantanamo italiana, ed è sicuramente nel mirino della CIA, come tutti gli altri coimputati. Abdellatif Ibrahim Fatayer, a fronte di una condanna a 25 anni e 4 mesi è stato scarcerato nel 2005 per aver usufruito in parte dell'indulto, in parte della liberazione anticipata per buona condotta. In carcere ha studiato, ha preso la licenza elementare e media e ha sempre lavorato. Dopo la scarcerazione il soggiorno obbligato per 3 anni a Perugia, durante il quale ha lavorato presso un magazzino e un ristorante arabo. Aveva 20 anni quando entrò nelle carceri italiane e ne è uscito a 40. Ibrahim ha scontato interamente la sua pena! In 20 anni di carcere duro (2 dei quali in completo isolamento) ha potuto vedere sua madre una sola volta prima che morisse.Nel 2004, all’interno del carcere di Spoleto, subì un curioso interrogatorio da parte di funzionari statunitensi con le forme della rogatoria internazionale. Gli USA, infatti, vorrebbero ancora processarlo per l'Achille Lauro, in barba al processo di Genova e ai decenni scontati in galera. In quell’interrogatorio emerse chiaramente l’interesse degli Stati Uniti al “futuro” di Ibrahim. I 3 anni di libertà vigilata a Perugia sono stati segnati da provocazioni e intimidazioni da parte delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, che gli stavano col fiato sul collo anche quando era al lavoro e preparavano la trappola del suo “fine pena”. L’8 aprile 2008 il Magistrato di Sorveglianza di Perugia dispone il fine pena per Ibrahim revocandone la libertà vigilata con obbligo di firma (che sarebbe dovuta scadere il 20 aprile), per cessazione della “pericolosità sociale”. Il dispositivo gli verrà però notificato soltanto il giorno dopo, quando si recherà in questura a firmare, come tutti i giorni. Il 9 aprile 2008 Ibrahim si reca in questura a firmare e in quella sede gli vengono comunicati la revoca della libertà vigilata e la reclusione al c.p.t. di Roma in attesa di espulsione, disposta dal Prefetto di Perugia poche ore prima. Dopo averlo trattenuto in questura per 4 ore così come si era presentato: senza soldi e senza un cambio, lo hanno deportato al lager per immigrati di Ponte Galeria (Roma). Il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera, emesso dal Prefetto di Perugia il 9 aprile, è stato motivato con una presunta “pericolosità sociale”, la stessa che il giorno prima il Magistrato di Sorveglianza aveva dichiarato non sussistere più. In questura a Perugia gli ritirano il tesserino e la carta precettiva per le firme obbligatorie, ma quei documenti erano gli unici che attestassero la sua identità, essendo Ibrahim apolide, quindi gli comunicano che essendo sprovvisto di qualsiasi documento, non possono che procedere alla sua espulsione. …Gli hanno detto che era un clandestino, dopo vent'anni di galera in Elevato Indice di Vigilanza e tre anni di obbligo di firma! …Non aveva trovato un lavoro in regola né una moglie italiana, e come poteva un sorvegliato speciale senza documenti? …Gli hanno detto che dovevano espellerlo, per mandarlo dove e da chi non è dato sapere:
Né USA, né Israele rinunceranno tanto facilmente a una preda così vulnerabile, dobbiamo esserne consapevoli e fermarli! L’8 giugno, dopo 60 giorni di detenzione nel campo di concentramento di Ponte Galeria, la carcerazione di Ibrahim è stata protratta di altri 30 giorni, in attesa magari che entrino in vigore le ultime leggi sull’immigrazione: ...nei CPT si resta fino a 18 mesi e poi espulsione, no all'assistenza legale gratuita. E se l’essere immigrato irregolare diventa reato penale, è previsto un soggiorno nelle patrie galere fino a 4 anni....Questo è il destino dei proletari senza alcuna cittadinanza come Ibrahim: CPT per 18 mesi e Patrie Galere fino a 4 anni, CPT per 18 mesi e Patrie Galere fino a 4 anni, CPT fino a 18 mesi e Patrie Galere fino 4 anni… Come ha scritto un giornalista della Nazione: "Non c'è Stato che voglia riconoscere l'ex feddayn dell'Achille Lauro, é un cittadino troppo ingombrante. Dopo l'inferno del carcere e il limbo di Perugia, ora lo attende un non-luogo." Dietro quel filo spinato, ovunque esso sia, ci sono proletari che soffrono le pene dell’inferno, ma evidentemente la vita di milioni di loro non vale quanto quella di un ricco turista americano, per la quale si è già avuta una piena giustizia borghese. DI CPT SI MUORE, MORTE AI CPT! |
Mercoledì 18 giugno Detenzione fino a 18 mesi nei CPT, divieto di reingresso per 5 anni, via anche i minori. A nulla valgono le contestazioni sollevate da Amnesty
Venerdì 6 giugno 2008 Mercoledì 28 maggio 2008 |
Siamo persone – storici, giuristi, antropologi, sociologi, filosofi, operatori culturali– che da tempo si occupano di razzismo. Il nostro vissuto, i nostri studi e la nostra esperienza professionale ci hanno condotto ad analizzare i processi di diffusione del pregiudizio razzista e i meccanismi di attivazione del razzismo di massa. Per questo destano in noi vive preoccupazioni gli avvenimenti di questi giorni – le aggressioni agli insediamenti rom, le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom – e le gravi misure preannunciate dal governo col pretesto di rispondere alla domanda di sicurezza posta da una parte della cittadinanza. Avvertiamo il pericolo che possa accadere qualcosa di terribile: qualcosa di nuovo ma non di inedito. La violenza razzista non nasce oggi in Italia. Come nel resto dell’Europa, essa è stata, tra Otto e Novecento, un corollario della modernizzazione del Paese. Negli ultimi decenni è stata alimentata dagli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall’incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali. Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni. Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista. Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa. Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte. Ma qualora nell’immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un «nuovo diritto», allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili. Vorremmo che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell’informazione. Non ci interessa in questa sede la polemica politica. Il pericolo ci appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convivenza civile, come già accadde nel secolo scorso – e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista. Mai come in questi giorni ci è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell’atroce passato tornasse. Marco Aime, Rita Bernardini, Alberto Burgio, Carlo Cartocci, Tullia Catalan, Enzo Collotti, Alessandro Dal Lago, Giuseppe Di Lello, Angelo D’Orsi, Giuseppe, Faso, Mercedes Frias, Gianluca Gabrielli, Clara Gallini, Pupa Garribba, Francesco Germinario, Patrizio Gonnella, Gianfranco Laccone, Maria Immacolata Macioti, Brunello Mantelli, Giovanni Miccoli, Giuseppe Mosconi, Grazia Naletto, Michele Nani, Salvatore Palidda, Marco Perduca, Pier Paolo Poggio, Carlo Postiglione, Enrico Pugliese, Annamaria Rivera, Rossella Ropa, Emilio Santoro, Katia Scannavini, Renate Siebert, Gianfranco Spadaccia, Elena Spinelli, Diacono Todeschini, Nicola Tranfaglia, Fulvio Vassallo Paleologo, Barbara Valmorin, Danilo Zolo. Le adesioni possono essere inviate a: razzismodimassa@gmail.com |
Fonte www.piemonte.indymedia.org Nei CPT si muore Nel CPT di corso Brunelleschi un immigrato viene lasciato morire [Aggiornamenti dal presidio] 18:13 - Dal presidio 18:35 - Arriva la polizia 19:20 - Gli immigrati chiamano da dentro 19:50 - Concluso il presidio [Materiali] Intervista ad un recluso Aosta, baci clandestini e libero amore Rassegna stampa [ Agenzie | Repubblica | Corriere | La Stampa ] [Sul CPT di Corso Brunelleschi] 2003 - Torino? Sempre all'avanguardia! | Prigionieri dei confini 2004 - Nessuno è clandestino 2005 - Rivolta al CPT 2007 - Morti sicuritarie | Tafferugli in tribunale
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NUOVE LEGGI RAZZIALI E LIBERTICIDE PER TUTTI I PROLETARI! ESSERE IMMIGRATO E' UN DELITTO!
...ZOMBI!!! ...ma se per caso m'innamorassi di te ...ahimè, non saprei veramente cosa fare! Sai, a noi di quest'Italia papalina non sono ammesse le coppie di fatto, la famiglia è "sacra", ma solo se dobbiamo mantenere pura la razza! Non hanno ancora schedato il mio DNA, ma il tuo sta già entrando nella banca dati del Ministero degli Interni e presto si accorgeranno che NON SIAMO UGUALI Ti amo ma questo nostro amore è un amore di classe e quindi PER LEGGE E' DOPPIAMENTE CLANDESTINO e sarà punito ...con o senza legge CPT in ogni regione, vi si resta fino a 18 mesi e poi espulsione. Sindaci "sceriffi" a rastrellare i migranti. No all'assistenza legale gratuita, se non hanno i soldi non ce li vogliamo, se non sono schiavi non ce li vogliamo e se crepano in suolo italiano i loro cadaveri per favore ributtateli al mare dal quale sono venuti. E se qualcuno riuscisse a sposarne uno dovrà scopare con lui davanti alle telecamere, altrimenti non è convincente. E se qualcuno protesta è un sovversivo: per lui si aprono le Patrie Galere Per gli immigrati i CPT e se sono pure apolidi come Ibrahim, e non si sa dove espellerli, le Patrie Galere fino a 4 anni e il CPT per 18 mesi, Patrie Galere fino a 4 anni, CPT fino a 18 mesi, Patrie Galere fino a 4 anni, CPT fino a 18 mesi ........................................ecc. PROFUGHI SEMPRE, FINO ALLA MORTE! Grazie Presidente Napolitano, grazie per i CPT ed altre sue orride creature, grazie alla Turco, a Prodi, a Dini, D'ALEMA, Amato, Veltrusconi...ecc. Grazie a tutti per avere sdoganato i fascisti al governo e in Parlamento... MA ANCHE SE VOI VI CREDETE ASSOLTI SIETE LO STESSO COINVOLTI... ...SEMPRE! |
FREE ABDELLATIF IBRAHIM FATAYER NOW! Abdellatif Ibrahim Fatayer, a 43year old Palestinian, has spent the last 20 years in gaol in Italy for his part in the PLO attack on the Achille Lauro. This sentence was reduced to semi-liberty in 2005 in Perugia with the obligation of signing in with the police until 20 April 2008. On Wednesday 9th April he presented himself as usual to sign only to have his permission for semi-liberty revoked and to find himself transferred to a high security prison in Rome. He was held four hours at the police station in Perugia and his mobile telephone was confiscated as it had a video facility. On Wednesday night he was transferred from the police station to the Ponte Galeria prison. The request for his transfer to the prison prior to expulsion from Italy had been communicated via the Prefecture in Rome to the police station in Perugia on the previous 11th April during an interview lasting two minutes, during which he had no access to a lawyer. Ibrahim was born in Lebanon on 7th October 1965 in the Tall el Zaatar camp, made notorious by the massacre of 1976. As a child he saw his father killed in front of his eyes, whilst he was trying to protect Ibrahim from the militia, and he has since lost almost all his family in the fighting in Lebanon. On the 7th October 1985 he boarded the Achille Lauro along with other young Palestinian refugees intending to disembark at the Israeli port of Ashdud to kidnap Israeli soldiers to exchange with a number of Palestinian prisoners. Things did not go according to plan, the plot was uncovered, and they decided therefore to take over the ship; thus one of them, not Abdellatif, losing his nerve, killed the Jewish American Leon Klinghoffer. Eventually they were arrested at Sigonella, the American military base in Sicily. Arrested along with his companions, Ibrahim was sent to prison in Spoleto, where he remained for two years in solitary confinement. Following Spoleto he was sent to Voghera, and then back to Spoleto (EIV wing), thence to Livorno (EIV wing) and again to Spoleto. He was able to see his mother just twice before she died, at Voghera. In his three years of semi-liberty in Perugia he lived in a flat provided by Caritas and worked in a kebab shop. His stay in Perugia was punctuated by continuous interference on the part of police and the secret service. The extradition request was suspended temporarily on appeal fro his lawyer to the European Court of Human Rights in Strasbourg. Indeed his case is a particularly sensitive one, given his birth in a refugee camp and his lack of nationality; he is a stateless person. To which country indeed could he be extradited? Contact and solidarity to ibrahim65_1@libero.it Visit http://blog.libero.it/freeibrahim/ |
Intervista di Barbara Monaco ad Ibrahim Fatayer dal CPT Leggi l'articolo di Barbara e scarica l'intervista su radio sherwood - global project L’intervista che ho fatto [ audio ] ad Abdellatif Ibrahim Fatayer è semplicemente un tentativo di ricordare che i rinchiusi all’interno dei centri di detenzione temporanea sono soprattutto uomini e, in quanto tali, dovrebbero ancora essere detentori dei diritti umani fondamentali. Abdellatif, che non ho ancora avuto la fortuna d’incontrare personalmente, poiché non sono ammesse visite a Ponte Galeria, con la sua mitezza e infinita gratitudine verso chiunque gli tenda la mano, dimostra esattamente questo: c’è un intero mondo dimenticato ed oltraggiato, illegalmente detenuto all’interno di ogni cpt. Ciò che vorrei fosse chiaro è il fatto che chi difende Fatayer non è un “estremista buonista”, ma, semplicemente, qualcuno che vorrebbe sentirsi più sicuro nel proprio Paese. Questa mia affermazione non è un paradosso, non mi sento affatto sicura dello stato in cui versa il sistema giudiziario italiano, quando vedo un cittadino che, dopo aver scontato 20 anni di carcere e 3 di libertà vigilita, si vede ritirare gli unici documenti che attestano la sua esistenza. Qual è la logica che spinge ad incarcerare nuovamente Fatayer, ben conosciuto dalle autorità italiane proprio perché processato in Italia per un crimine commesso su una nave da crociera italiana, ed incarcerarlo come “clandestino”? Nel 1985, quando avvenne il sequestro dell’Achille Lauro, fu l’Italia stessa a voler processare i sequestratori, negandone la possibilità agli Stati Uniti che li richiedevano, poiché la vittima era cittadino statunitense. Non voglio qui discutere della bontà di tale scelta, ma solo ricordare che, per come andarono le cose, Fatayer ha scontato la pena che lo stesso Stato italiano ha deciso per lui. La condizione di apolide di Fatayer è fatto ben noto allo Stato italiano; fatto noto da sempre. Che i diritti umani fondamentali, all’interno dei CPT italiani, vengano spesso violati, non è un segreto e, in merito, la stessa UE ha richiamato più volte il nostro Paese. Non solo la pericolosità sociale di Fatayer non sussiste, come ha chiarito espressamente la difesa, ma un ricorso d’urgenza alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, è stato presentato contro il provvedimento di espulsione emesso dall’Italia, che viola almeno due articoli della Convenzione dei Diritti Universali dell’uomo. È a questo punto che mi chiedo: qual è la legittimità del procedimento che ha deciso dell’incarcerazione a Ponte Galeria di Abdellatif? E che cosa stiamo aspettando? La sua espulsione verso quale Paese? E ancora, come faccio io, come cittadina italiana, a sentirmi sicura in un Paese che non rispetta le sue stesse leggi? A fine maggio si deciderà del diritto di Abdellatif Ibrahim Fatayer al rifugio politico, non dimentichiamolo e, nel caso in cui il provvedimento non giungesse a buon fine, avremo il dovere di far sentire la nostra voce al nostro Governo. Abdellatif Ibrahim Fatayer ha bisogno di tutta la nostra solidarietà, anche economica, per qualunque richiesta, proposta o chiarimento: ibrahim65_1@libero.it |
IBRAHIM ABDELLATIF FATHAYER LIBERO SUBITO! Abdellatif Ibrahim Fatayer, palestinese di 43 anni, ha scontato 20 anni di carcere duro in Italia per l’operazione FLP, dell’Achille Lauro. Uscito nel 2005 in libertà vigilata a Perugia con l’obbligo della firma fino al 20 aprile 2008, mercoledì 9 aprile, si è recato a firmare in questura e in quella sede gli sono stati comunicati la revoca della libertà vigilata e il trasferimento in un c.p.t. di Roma. E' stato trattenuto nella questura di Perugia per 4 ore così come si era presentato: senza soldi, senza un cambio, senza un soprabito, con una sola maglietta addosso. Il cellulare gli è stato sequestrato perché dotato di videofonino, ma ha potuto chiamare un giornalista della Nazione per avvisare l'opinione pubblica che lo stavano deportando a Roma. Dalla questura, mercoledì notte, è stato trasferito al lager di Ponte Galeria e lì, grazie alla solidarietà di altri detenuti, che gli hanno prestato un cellulare, ha potuto avvisare qualche compagno qui a Perugia di cosa gli stava succedendo. La richiesta di trattenimento presso il CPT in attesa di espulsione (non si sa dove: non ha i documenti: è un palestinese senza patria), avanzata dalla Prefettura di Perugia, è stata convalidata l’11 aprile, nel corso di un udienza che è durata 2 minuti, senza che lui abbia potuto incontrare il suo avvocato. Ibrahim è nato in Libano il 7.10.1965, nel campo di Tal Al Zaatar, divenuto tristemente famoso per la strage commessa dai falangisti libanesi e dai siriani nel 1976. Ha visto uccidere il padre che cercava di proteggerlo dai militari, davanti ai suoi occhi quand'era bambino. Ha perso quasi tutta la sua famiglia nella guerra del Libano degli anni '80 e successivamente. Ha fatto la guerra per la liberazione della Palestina, il suo Popolo, la sua identità. Il 7 ottobre del 1985 s'imbarcò sull'Achille Lauro con altri giovani profughi palestinesi, per scendere al porto israeliano di Ashdud e rapire dei soldati israeliani in cambio della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Le cose non andarono secondo i piani prestabiliti e nella base americana di Sigonella, in Sicilia, Ibrahim fu arrestato insieme ai suoi compagni e condotto in carcere a Spoleto, Genova, Trani, Voghera, sempre in regime di elevato indice di vigilanza e in totale isolamento per oltre 2 anni. Tra il '96 e il '97 scontò un anno di 41 bis all'Asinara (con annessi maltrattamenti e umiliazioni: una fonte attendibile ha parlato di percosse e ingiurie, inflittegli dopo averlo nascosto sotto una coperta), comminato ingiustamente per ordine firmato dall'allora Ministro dell'Interno Napolitano, in seguito all'evasione di un suo coimputato. Grazie a un'interpellanza parlamentare di alcuni deputati, tra cui l'avv. Pisapia e ai numerosi scioperi della fame portati avanti da Ibrahim per motivi di giustizia, la carcerazione all'Asinara in regime di 41 bis che l'attuale Capo dello Stato si apprestava a rinnovare per altri 2 anni fu revocata e Ibrahim fu trasferito di nuovo a Voghera e infine a Spoleto, sempre in sezione EIV. Poté vedere sua madre una sola volta prima che morisse, mentre era a Voghera. Aveva 20 anni quando entrò nelle carceri italiane e ne uscì a 40. Aveva una famiglia in Libano, ora non ce l'ha più. Chi lo ha conosciuto lo ricorda corretto sempre con tutti, verace e simpatico. Nei 3 anni di libertà vigilata a Perugia, dormiva in un appartamento della Caritas, lavorando in una kebaberia, ma voleva qualcosa di più solido, una esigenza legittima, per un esiliato. La permanenza a Perugia è stata segnata da costanti molestie da parte delle forze dell'ordine e dei servizi. Nel 2004, quand’era in carcere, subì un curioso interrogatorio da parte dell’FBI, fissato dal GIP di Spoleto su richiesta di rogatoria degli Stati Uniti. Gli USA infatti lo volevano ancora processare per l'Achille Lauro, in barba al processo di Genova e ai decenni scontati in galera. Non procedettero per rogatoria perché la riapertura dell'inchiesta doveva rimanere segreta e la notizia trapelò su alcune testate giornalistiche, suscitando un certo clamore mediatico. Hanno aspettato adesso le elezioni per farlo fuori, per farlo finire a Guantanamo, o Abu Ghraib, o in qualche altro infame tugurio dell'imperialismo! Come ha scritto il cronista della Nazione: "Non c'è Stato che voglia riconoscere l'ex feddayn dell'Achille Lauro, é un cittadino troppo ingombrante. Dopo l'inferno del carcere e il limbo di Perugia, ora lo attende un non-luogo." NON POSSIAMO PERMETTERGLIELO! LIBERTA’ E INCOLUMITA’ PER ABDELLATIF IBRAHIM FATAYER! NO ALL’ESPULSIONE! Attiviamo il prima possibile una rete di mobilitazione, per rompere il silenzio, per costruire a breve un'iniziativa nazionale di solidarietà che impedisca quest'ennesimo sequestro a firma CIA. Una solidarietà che si concretizzi anche con un presidio davanti al CPT di Ponte Galeria. Attiviamo la solidarietà, scriviamo a Abdellatif Ibrahim Fatayer, c/o C.R.I. C.P.T di Ponte Galeria, via Portuense 1680, km 10.400 - 00148 – Roma. Per comunicare proposte di mobilitazione e solidarietà, scrivere a ibrahim65_1@libero.it Coordinamento per la Libertà e l’Incolumità di Abdellatif Ibrahim Fatayer
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A tutti coloro che hanno risposto all’appello e a quanti altri ancora risponderanno diciamo: «GRAZIE, LA VOSTRA DISPONIBILITÀ È BENVENUTA E NECESSARIA PER VINCERE LA BATTAGLIA DI GIUSTIZIA E CIVILTÀ CHE PUÒ STRAPPARE ABDELLATIF IBRAHIM FATAYER DALLA DEPORTAZIONE IN QUALCHE "NON LUOGO" E ALLA MORTE» Ora Ibrahim ha un cellulare, può fare e ricevere telefonate, ma per motivi di sicurezza e di privacy è preferibile non divulgarne il numero. Scrivergli invece lo aiuterebbe tantissimo a vincere l'isolamento e il senso di abbandono che un palestinese senza patria, che ha già scontato tutta la sua pena, vive, privato dei diritti civili e in pericolo di vita. Ricordiamo l’indirizzo: C.R.I. C.P.T di Ponte Galeria, via Portuense 1680, km 10.400 - 00148 – Roma. La sua possibilità di comunicare con il mondo esterno dipende da noi e dalla nostra solidarietà concreta. Dal 9 aprile 2008 è rinchiuso nel CPT senza un soldo, senza credito nella SIM che non sia quello di qualche volontario che da fuori lo ricarica, senza una penna e un foglio di carta per scrivere e, ovviamente, senza poter comprare francobolli per inviare la posta. Qualcuno di noi gli ha mandato dei soldi, ma le nostre risorse stanno per esaurirsi: siamo tutti proletari! La cosa più urgente da fare, quindi, è sostenerlo economicamente. E' possibile mandargli soldi per e-mail (c'è un ufficio postale al CPT) tramite le poste, ma il costo dell'operazione è di 10 euro, oppure si può fare un bonifico su Conto Banco Posta, la cui intestazione e le coordinate vi saranno comunicati in risposta a una vostra mail all’indirizzo: ibrahim65_1@libero.it. Si possono per ora organizzare localmente iniziative di informazione e solidarietà (cene ecc.), per far fronte alle spese (legali e di sopravvivenza). Ora Ibrahim è tornato in possesso dei suoi effetti personali (biancheria, asciugamani e altro). Circa l'attuale situazione giudiziaria, abbiamo un po' di tregua: il ricorso alla Corte Europea per i diritti umani, presentato dall'avvocato Sandro Clementi, è stato inoltrato. Ciò presumibilmente comporta la sospensione del provvedimento di espulsione e rimette al governo italiano la facoltà di decidere in tal senso. Poichè noi tutti possiamo immaginare cosa potrà decidere il governo italiano, non è il caso di cullarsi negli allori. Non sarebbe la prima volta che l'Italia si prende una "strigliata" da Strasburgo e una stretta di mano dagli U.S.A. Anche il passaggio legale in Italia, col ricorso al Giudice di Pace di Perugia (Avv. Catterina Calia e Carla Archilei) e la richiesta di asilo politico (Avv. Gianfranco Pagano e Francesco Romeo) è stato compiuto. Quel che gli avvocati potevano fare lo hanno fatto e lo stanno facendo, ma non nascondono un certo pessimismo per le sorti di Ibrahim. Nel decreto del prefetto di Perugia si motiva l'espulsione di Fatayer, sostenendo che è soggetto "socialmente pericoloso". Noi che lo abbiamo conosciuto sappiamo che è una persona piena di umanità e nei 3 anni di libertà vigilata a Perugia ha tenuto una condotta irreprensibile, ma non c'è nessuno, tra "quelli che contano", disposto a testimoniarlo pubblicamente. In questa impasse legale spetta ai compagni e più in generale alle forze democratiche mobilitarsi per far sentire concretamente la solidarietà ad Abdellatif e l'obbiettivo di questa campagna deve necessariamente estendersi al diritto di cittadinanza, l'unico che possa offirgli, almeno sulla carta, una garanzia di incolumità e la possibilità di condurre una vita dignitosa. In questura, infatti, gli hanno detto che era un clandestino, non aveva trovato una moglie italiana, non aveva trovato un lavoro in regola (come poteva, senza documenti?) e che lo avrebbero mandato in un cpt e poi espulso. Clandestino, dopo vent'anni di galera e tre anni di obbligo di firma in Italia. Abdellatif Ibrahim Fatayer, per la società "civile" è nato clandestino, perché nato nel campo profughi di Tal El Zatar. Aveva 11 anni quando quel campo di "clandestini" fu attaccato dai falangisti libanesi e dai siriani di Assad. In quell'attacco furono massacrati 1.600 "clandestini" palestinesi e altri 4.000 furono feriti, ma erano "clandestini", ossia non avevano diritto di esistere.Clandestino per la cosiddetta "società civile" non certo per la digos e i servizi segreti, che gli stavano col fiato sul collo anche quando era al lavoro. Clandestino solo di fronte alla legge. Clandestino per chi? Ibrahim in quella guerra ha perso quasi tutta la sua famiglia; a 11 anni i falangisti libanesi gli hanno ammazzato il padre davanti agli occhi in una delle esecuzioni sommarie attuate durante la deportazione di quel campo e a 13 anni si è arruolato nel FLP per liberare il suo popolo. "E adesso questo qui vorrebbe anche il riconoscimento di rifugiato?" Fanno accapponare la pelle certi media e siti internet nazionali e internazionali. La propaganda sionista lo vuole morto. Alla disinformazione bisogna opporre controinformazione, contribuire come si può alla mobilitazione e cercare di estenderla per arrivare in tanti a un presidio partecipato davanti al c.p.t. di Ponte Galeria. Ma non abbiamo più molto tempo e questa è un'iniziativa che dobbiamo costruire insieme, facendo appello soprattutto ai compagni di Roma. Rinnoviamo pertanto l'invito a contattarci all'indirizzo ibrahim65_1@libero.it e a far circolare il più possibile questo blog. Ci vogliono azioni di solidarietà concrete e farci sentire da vicino. CHIUDIAMO QUESTI LAGER! LIBERTA’ E INCOLUMITA PER ABDELLATIF IBRAHIM FATAYER! SIAMO TUTTI CITTADINI DEL MONDO! oppure SIAMO TUTTI CLANDESTINI! e SIAMO TUTTI PALESTINESI! |
Hanno risposto all'appello, tra i primi:
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9/05/2008 RICOSTRUIAMO LA SOLIDARIETA’ DI CLASSE Contro la persecuzione politica dei comunisti, dei rivoluzionari, degli antifascisti, degli anarchici, degli antimperialisti. Contro la piovra repressiva della borghesia imperialista, che tenta di fare tabula rasa di ogni movimento e individualità incompatibile con lo stato di cose esistente. Oggi più che mai è necessario unire le forze per la costruzione di un soccorso rosso proletario di massa, perché tali sono ormai le proporzioni assunte dalla repressione e non è più possibile pensare di invertire la rotta di quest’ondata di criminalizzazione, disperdendosi in rivoli di singole campagne contro questa o quest’altra montatura. E’ guerra quella che il sistema capitalistico sta portando avanti contro il proletariato resistente e in guerra bisogna ritrovare l’unità, riconoscere gli amici, i fratelli, i compagni. Per questo aderiamo al presidio che si terrà a Bologna il prossimo 13 maggio, in occasione dell'Udienza preliminare dell'ottavo procedimento giudiziario intentato dal PM Giovagnoli contro i compagni dei CARC, dell’ASP e del (n)PCI. Per questo raccogliamo la proposta di Proletari Comunisti per un’assemblea nazionale contro la repressione il 21 giugno a Roma. Basta con le montature politico-giudiziarie contro i movimenti, le lotte, le organizzazioni sindacali e proletarie! Basta con gli abusi, gli omicidi e le aggressioni poliziesche, razziste e nazifasciste contro immigrati, cittadini inermi, antifascisti, ecc! Basta con il regime del 41 bis, dell’EIV, dell’AS, usati per annientare la resistenza dei prigionieri rivoluzionari! Basta con il fascista codice Rocco, con l’art. 270 bis e tutti i reati associativi, utilizzati ormai di routine come strumento di deterrenza e criminalizzazione delle lotte sociali! Contro ogni forma di persecuzione politica e di tortura, in carcere e fuori Contro il pacchetto sicurezza e le misure sicuritarie di stampo fascista e razzista di sindaci e prefetti, sceriffi in tricolore Contro i CPT, i lager per migranti, dove ti fanno morire di fame e se protesti ti massacrano di botte. Perché se sei un immigrato sei automaticamente un criminale o tutt’al più non sei nessuno. E se non sei nessuno ti sbattono in un “non luogo” e possono fare di te quello che vogliono, tanto non esisti. Ma noi esistiamo e resistiamo, con la nostra rabbia e la nostra solidarietà. Quello che lo Stato chiama terrore è amore di classe. “TERRORISTA” E’ IL PADRONE, NON CHI LO COMBATTE! Rete Antifascista Perugina SOLIDARIETA’ DI CLASSE AI COMPAGNI INQUISITI! LIBERTA’ PER I PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI! LIBERTA’ E DIGNITA’ PER I COMPAGNI PALESTINESI DETENUTI IN ITALIA: ABDELLATIF IBRAHIM FATAYER E KHALED HUSSEIN |
E' dire:
Che ha pagato carissimo quel tragico errore come tutti i componenti del commando;
Che gli obbiettivi del commando erano militari, non civili;
Che il sequestro dell'Achille Lauro non fu pianificato, ma deciso in una manciata di secondi dai 4 feddayn presenti sulla nave in quel momento, dopo essere stati scoperti;
Che pertanto Abu Abbas e Kaled Hussein, condannati entrambi all'ergastolo per quell'operazione, non ne erano in realtà responsabili, dato che non si trovavano sulla nave a dover decidere in fretta e furia di cambiare la propria missione perché scoperti.
Khaled Hussein si trova ora a scontare l'ergastolo nel carcere di Benevento, la Guantanamo italiana, anch'esso nel mirino della CIA, che lo vorrebbe morto.
Abu Abbas è stato catturato dagli americani ed è morto dopo 2 mesi di detenzione nel carcere di Abu Ghraib, dove la cupola dell'amministrazione USA, riunita nel "consiglio delle torture della Casa Bianca", ordinava e definiva nei dettagli gli "interrogatori severi".
Abdellatif Ibrahim Fatayer è ora rinchiuso nel lager di Ponte Galeria, dove c'è molto più controllo che a Voghera (evidentemente nei c.p.t., i cellulari vengono lasciati proprio per controllare meglio i detenuti!) e rischia, con l'espulsione, di seguire il destino di Abu Abbass.
D'altro canto l'FBI ha dimostrato di interessarsi molto al "futuro" di Ibrahim, quando si è presentata nella sua cella a interrogarlo e non certo perché gli USA gli vogliono bene.
Lo accoglierebbero a braccioli di sedia elettrica aperti!
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Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht
ALCUNI LINK
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- Il Pane e le rose
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