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BLOG DESCIAINISTATTIZZATO
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« SEMPRE SIA LODATO | AUTOCONSAPEVOLEZZA MASCHILE » |
Mia moglie ha un conto aperto con alcune categorie di persone.
Oltre a quella dei suoi mariti, dico.
Dei camerieri dei ristoranti ho già parlato tempo fa, e se continuo ad andare a mangiare fuori è perché spero intimamente che loro siano più ragionevoli di lei, e si limitino a sputare solo nel suo, di piatto.
Ma ancor più dei camerieri (anche se, ovviamente, molto meno dei mariti) i suoi nemici storici sono le colf e i parrucchieri, che fa fuori come mosche.
Bastano dei capelli di un centimetro più corti del richiesto o un mobiletto non spolverato bene, basta la tinta di un colore impercettibilmente diverso da quello desiderato o una goccia d'acqua sullo specchio del bagno, per far scattare la diffida. Se il reo insiste nel suo comportamento delittuoso (per il parrucchiere basta una volta, per la colf di solito qualcuna in più), ecco che arriva la squalifica a vita.
Diciamo che è eccessiva, per usare un eufemismo.
Come lo è anche mia madre, dopotutto, sia pur al contrario. Perché lei, invece, è sempre stata molto tollerante. Pure troppo.
Al ristorante, per dirne una, è da poco che si è rassegnata a non sparecchiare lei, tra una portata e l'altra, figuriamoci se si metterebbe mai a fare polemiche con persone tanto gentili da portarle il cibo a tavola.
Riguardo ai parrucchieri, invece, l'ho vista dare altre possibilità a chi le aveva fatto tagli di capelli stile Thatcher o El Shaarawy ("pazienza, tanto ricrescono"), soprassedere a tinte inguardabili, tra quali ricordo ancora un colore nocciola cacchina che prima di allora avevo visto soltanto alle Ford Fiesta fine anni 70 ("vabbè, mò me la rifaccio da sola che viene meglio").
Delle colf, poi, non ne parliamo, le hanno demolito la casa. Ce n'era una che ogni tanto le rompeva un vaso e poi gettava nella spazzatura i pezzi mancanti, sperando che non se accorgesse. Un'altra che spruzzava lo sgrassatore direttamente sui lampadari e lo lasciava gocciolare, in modo che poi il pavimento assumesse per mesi un innovativo effetto dalmata. Ne potrei raccontare mille, ma quel che voglio dire è che era lei, alla fine, che si dispiaceva per loro: così impedite, dove mai avrebbero trovato un altro lavoro, se lei non le avesse volute più? E allora se le è sempre tenute, cercando di limitare i danni.
E così, sulle colf che hanno lavorato a casa di mia madre nel corso degli anni si potrebbe fare una fiction televisiva, della quale la protagonista assoluta sarebbe, senza alcun dubbio, Vivi' la bambola.
Segnalata con toni entusiasti da una nostra vicina di casa che voleva, evidentemente, disfarsene, Vivi' la bambola aveva i capelli biondi di media lunghezza e velleità artistiche. Erano i primi anni novanta, quelli di Non è la Rai, e lei pretendeva che la tv fosse sempre accesa su quel programma, mentre lavorava. Quando notava un vestito particolarmente carino, indossato dalle ragazze in tv, lo faceva vedere a mia madre dicendole "Signora, quando andate a Roma me lo portate un abitino così?"
Appena sentiva partire una canzone o un balletto, si fermava in mezzo alla stanza e, utilizzando lo spazzolone per i pavimenti come asta del microfono, cantava a squarciagola e dimenava voluttuosamente il bacino.
Mia madre ormai ci aveva fatto il callo, ma non posso dimenticare la faccia perplessa di mio padre, di fronte alle performances di Vivi' la bambola.
Che all'anagrafe, però, era curiosamente registrata come Vincenzo Russo.
E' stato un periodaccio, per il mio allora non tanto anziano genitore.
Vivi' la bambola, che abitava non lontano da noi, aveva imparato i suoi orari e, appena lui si infilava furtivo in macchina, gli ticchettava sul finestrino, chiedendogli un passaggio per il centro.
E non era finita lì: ogni volta che era per strada con gli amici, impegnato in uno dei suoi soliti pesantissimi sermoni sulla serietà, la moralità, l'onestà, il senso del dovere e chi più ne ha più ne metta, gli spuntava immancabilmente davanti Vivi' la bambola in minigonna che lo salutava con gridolini di gioia e gli presentava pure le amiche, sotto lo sguardo allibito dei discepoli.
Ogni tanto cercava di convincere mia madre a prendere una colf più tradizionale, ma io progressisticamente mi opponevo:
- Avrebbe difficoltà a trovare un altro lavoro, lo sai. Vuoi che muoia di fame?
- No, però.....
- Però che? Ti vergogni?
- Ehm..... no, però.....
- Però che?
- Umpf!
Poi, ad un certo punto, Vivi' la bambola non si è vista più.
Non ho fatto domande ai miei, temendo di ricevere risposte che non mi sarebbero piaciute, e per quasi vent'anni ho avuto il sospetto che fosse finita in un pilastro della nostra casa di montagna.
Finché, poco tempo fa, l'ho incontrata. Abbastanza invecchiata, in verità, meno sbarazzina nei modi ma sempre entusiasta nei saluti.
- Mi hanno perdonato i tuoi per averli mollati?
- Ah, li hai mollati tu!
- Ma solo perché sono andata a lavorare fuori.
- Beh, penso che se ne siano fatti una ragione, ormai. E tu stai bene, Vivi'?
- Sì, però ora non mi faccio più chiamare col diminutivo, ma col nome intero.
- Davvero? Ti fai chiamare Vincenzo Russo?
- No, Viviana La Bambola.
- Ah, ecco. Fai bene, è più elegante.
- Di' ai tuoi che passerò a trovarli, uno di questi giorni.
- Voglio proprio esserci, quando andrai. A presto, allora, signora La Bambola!
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