Creato da merendero77 il 25/08/2007

Kit&MÜrt - UGàL

Ho guardato dentro un bugia ed ho capito che è una malattia dalla quale non si può guarire mai...

 

Gli occhi che quella notte

Post n°234 pubblicato il 06 Novembre 2010 da merendero77
 

 

Coltivo malinconia

Piantandola nel terreno del nostro breve passato, 

Concimandola con presente dei tuoi luminosi sorrisi

E col ricordo delle tue morbide splendide labbra, 

Annaffiandola con gli occhi che quella notte

Versarono lacrime di compassione per me stesso...

 
 
 

Attese 4 (continua)

Post n°233 pubblicato il 01 Novembre 2010 da merendero77
 

 

 

DA DIETRO I VETRI

 

Da dietro i vetri della portafinestra che lo divedeva dal marciapiede guardava il via vai delle macchine e la gente che passava a piedi. Appoggiato al suo bastone appena un po' tremolante, vestito di tutto punto con l’abito della domenica e la coppola già in testa, aspettava qualcosa o qualcuno. Dopo che cominciarono a tremargli un po' le gambe per la fatica, prese una sedia e trascinandola sul pavimento a marmittoni consunto dal tempo, la sistemò davanti alla porta finestra e si sedette. Sulla credenza di formica con la base di marmo e le vetrine con vecchi servizi di cristallo, guardava la cornice d’argento ossidato che conteneva la foto ingiallita del suo matrimonio.

Sentì bussare al vetro e trasalì. Riconobbe suo nipote, girò la grossa chiave infilata nella toppa e lo fece entrare.

“Nonno, ma che fai ancora vestito così? Mica è domenica oggi, dove devi andare?”

“Sto aspettando”, rispose in dialetto.

“Aspettare chi?”, rispose Libero in dialetto.

“Ha detto che deve venire oggi a prendermi...”

“Aaaah, ancora con ‘sta storia di nonna che deve tornare a prenderti! Nonno è solo un sogno! Non verrà nessuno”, disse scocciato il nipote.

Oramai novantaduenne, nonno Michele aveva perso il senno dopo che sua moglie era morta. Non aveva accettato la sua scomparsa improvvisa ed era rimasto uno dei rari vedovi a quell’età ché di solito sono gli uomini ad andarsene prima. Spesso sognava sua moglie e questa le prometteva ogni volta che sarebbe venuta a prenderlo all’indomani. Ogni volta lui si svegliava e si vestiva di tutto punto e aspettava tutto il giorno.

“Cosa dici, ha detto che viene! Non mi fare incavolare! E se sei venuto a darmi fastidio, vattene subito!”, riprese nonno Michele sempre rigorosamente in dialetto.

Libero scosse la testa disperato. Era impossibile convincere suo nonno che era più testardo di un mulo.

“Va bene, allora aspetta. Se ti ha detto che viene allora verrà”, lo assecondò il nipote.

Libero si sedette al vecchio tavolo e guardò la cornice d’argento ossidato sulla credenza. Certo che i suoi nonni erano stati una bella coppia affiata. Se li ricordava sempre così, sorridenti e allegri. A volte bisticciavano ma erano rarità. Mediamente le liti si limitavano in un fitto scambio di battute sardoniche di cui entrambi avevano un abbondante repertorio. Gente allegra dio l’aiuta, dice un vecchio detto, e questo a loro si addiceva in particolar modo.

Era stato un matrimonio combinato quello tra Rosina e Chelino, come tutti gli atri di quei tempi ma si vede che l’avevano combinato saggiamente. Forse nemmeno oggi che si può scegliere liberamente chiunque come compagno di vita riusciremmo a combinare una coppia così. Forse la troppa scelta confonde. E in fondo scegliere, si sa, è una rinuncia a tutto il resto e chi ha le palle di scegliere qualcuno oggi, rinunciando a tutto il resto, per un “forse” domani? Conviene rinunciare? Conviene limitarsi? C’abbiamo un banchetto d’avanti tutto a disposizione, perché prendere solo una portata, un piatto solo? E se alla seconda forchettata non ci piace più? Nel frattempo che decidiamo avranno mangiato tutto e rimarremo fregati. La vita non è uno cenetta in trattoria, dove si gusta tutto con calma, tra una chiacchiera e la degustazione di un bicchier di vino buono, la vita è un pasto a buffet dove ci si sbraccia, si fa a gomitate, dove devi riempirti il piatto prima degli altri, dove non puoi assaggiare prima, non puoi perdere tempo, ti devi caricare di tutto, arraffare, mandare giù senza masticare.

Libero uscì dai suoi pensieri e chiamò suo nonno.

“Nonno…”, esordì in dialetto e si bloccò rimanendo senza parole.

Michele nemmeno lo sentì ché era un po' sordo.

Libero avrebbe voluto chiedergli se amava la nonna Rosina ma s’accorse che in dialetto non c’era il verbo amare. Avrebbe dovuto utilizzare “voler bene” ma non era la stessa cosa. Lui voleva sapere se l’amava, se avesse mai sentito le farfalle nello stomaco, se gli veniva il cuore in gola quando la vedeva le prime volte, se gli si seccava la lingua in bocca e non sapeva cosa dire e per quanto tempo avesse provato questi sentimenti. Voleva sapere come avevano fatto tutti quegli anni ad avere sempre il sorriso e a sopportarsi crescendo cinque figli nella quasi indigenza. Libero voleva sapere se l’amore avesse vacillato nel dubbio qualche volta e se fosse stato sempre ben saldo. Libero voleva sapere se l’amore poteva durare veramente tutti quegli anni o se suo nonno, tornado dalla campagna, qualche volta non avesse desiderato di trovare a casa un’altra donna. Se si fosse mai pentito di essersi sposato e se non avesse invece preferito essere scapolo. Voleva sapere se non avesse qualche rimpianto per la sua gioventù, se avesse voluto fare qualche altra cosa invece di accettare di sposarsi con nonna Rosina, se non sognasse un’altra vita. Ma alla fine non gli chiese nulla ché forse suo nonno tutti i “se” di Libero non li avrebbe mai capiti e li avrebbe liquidati con uno schiocco di labbra seguito da “cammina babbione, pensa alle cose serie”.

Allora lasciò stare, si alzò e si diresse verso l’uscita.

“Nonno, ti serve qualcosa?”, chiese in dialetto.

“Non mi serve niente, pensa a stare bene. Tra un po' viene tua nonna e ce ne dobbiamo andare, non mi serve niente. Sto già pronto.”

Liberò sbuffò e lo salutò promettendogli che gli avrebbe portato la cena come sempre per le sette in punto.

 

 
 
 

Attese 3

Post n°232 pubblicato il 29 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

 

SUPERENALOTTO

 

Era una splendida giornata, fredda ma luminosa e solare nonostante fosse novembre. Libero uscì di casa dopo aver controllato la posta elettronica imprecando per l’assenza delle mail che attendeva. Aspettava risposte alla sua incessante ricerca di occupazione. Il suo lavoro al call-center di Matera era finito e dopo tre mesi si ritrovava punto e da capo, col culo per terra a cercare, a sperare, a chiedere. Vivere in questo stato di incertezza infinita era davvero sfiancante. Era un logorio lento e tremendo come la tortura della goccia cinese. Una minuscola, insignificante goccia d’acqua che cadenzata cade sul cranio di una persona immobilizzata fino a portarla alla follia.

Libero faceva una fatica enorme a mantenere la calma, a cercare di rimanere razionale: a 33 anni suonati essere un precario che vive di lavori interinali ed espedienti, di agenzie di lavoro che si mangiano parte della miseria che ti danno, è davvero penoso. Libero arrancava  cercando di non demordere, in attesa di quel giorno fortunato che l’avrebbe visto finalmente un po' più sistemato.

Inforcati i suoi intramontabili wayfarer, decise di farsi una passeggiata per sbollire. Aveva ascoltato l’ultimo singolo dei Marta, coda di lucertola, e ci rifletteva su.

“La voglia di vivere è una coda di lucertola, puoi sacrificarla, tanto prima o poi ricrescerà”

Lui l’aveva persa ultimamente quella voglia.

Si sedette su una panchina della pineta e si soffermò a guardare le piante, i pini, le erbacce. Erano particolarmente verdi in quel periodo dell’anno. Dopo l’arsura estiva, con le prime abbondanti piogge autunnali, tutto ritornava rigoglioso prima che il gelo ribruciava tutto.

Le piante, pensava, erano davvero da ammirare. Hanno una voglia instancabile di vita, spuntano dappertutto, nelle spaccature dell’asfalto, tra le fessure dei muretti, ovunque c’è un po’ di umidità e di terra. Si aggrappano con le loro radici e cercano disperatamente di andare verso il cielo, in alto, su, sempre più su, indifferenti a tutto tranne a rispondere a quell’antichissimo richiamo della vita.

Lui invece era palesemente appassito, stanco, stufo di ogni cosa. Ma pensava alla canzone dei Marta e forse avevano ragione loro a dire che quella coda di lucertola sarebbe ricresciuta prima o poi.

Due ragazze vennero a sedersi sulla panchina vicina. Avevano qualche anno meno di lui, ma non molti, pensò Libero. Una era davvero carina, con una faccia che ispirava da subito tanta simpatia, e sorrideva come una che di voglia di vivere ne aveva da vendere. L’altra invece, molto meno bella, aveva il viso rovinato dall’acne giovanile, labbra sottili, due occhietti blu piccoli piccoli e ben distanti che di bello avevano solo il colore.

Accesero due Camel Blue e chiacchieravano tranquillamente, alternando sbuffi di fumo a risate da vecchie amiche.

Libero riaffiorato alla superficie della realtà dopo la visione delle due ragazze un po' ascoltava scampoli di discorsi.

La butterata chiese alla più carina, “Ma come mai?”

“Non lo so Mari, non lo so cosa m’era successo. Forse in quel momento ne avevo bisogno, forse la curiosità mi ha giocato un scherzo. Insomma non lo so proprio… Fatto sta che avevo quella frenesia dentro e non vedevo l’ora di vederlo di persona, di conoscerlo. E poi quando l’ho conosciuto non riuscivo a staccarmi da lui. Stavamo sempre insieme e non mi bastava mai! Ho trascurato tutti quei giorni lì. I miei mi avevano data per dispersa, mi chiamavano in piena notte perché rientravo ad orari assurdi, più assurdi di quelli che di solito faccio!”

“Non è proprio da te Terry…” osservò l’amica facendo smorfie di incredulità.

“Sì, questo è poco ma sicuro! Infatti non so perché mi sono spinta così oltre con lui.”

“Infatti io mi sono chiesta sempre come hai fatto a stare con lui,  e mai perché l’hai lasciato!”, fece la butterata sghignazzando per la sua sagace battuta.

Anche Terry rise tirando in dietro il mento, mostrando i suoi bianchissimi denti e facendo brillare un po' i suoi occhi nerissimi ma puntualizzò, “quanto sei cattiva Mari!” e la spinse con la mano non impegnata dalla sigaretta simulando di picchiarla.

“E’ un bravissimo ragazzo, non è neanche male, fisicamente intendo. E’ così una carissima persona! Non è un coglioncello superficiale come ce ne sono a bizzeffe. E’ correttissimo, ha una certa cultura, un lavoro fisso che oggi è una rarità, la testa sulle spalle. E’ pure simpatico se lo conosci bene. Davvero piacevole. Insomma è un ragazzo ideale per la madre media, uno presentabile a casa. Sicuramente sarebbe ben accolto in ogni famiglia. Uno da sposare…” ed ebbe un sussulto a sentirsi pronunciare quel verbo.

Dopo qualche secondo di pausa arrivò la chiusa al suo pensiero.

“Ma di quel tipo di ragazzo si può provare solo pena… o al massimo gli si può voler bene… ma certo non ti puoi innamorare…”

“Ma non gli hai mai detto ti amo?”

Terry lanciò la cicca lontano e, dopo aver espirato l’ultimo fumo con la faccia quasi allucinata dall’enormità che la sua amica aveva appena proferito, rispose con un’occhiataccia che non aveva bisogno di essere accompagnata da nessun’altra parola.

“Ah…” disse solo Mari.

Libero lasciò le due amiche alle loro piacevoli conversazioni e si alzò deciso ad andare a giocare al superenalotto. Erano mesi e mesi che nessuno azzeccava la combinazione vincente e il montepremi era lievitato a cifre esagerate. La gente ormai faceva la fila per giocare, per poter partecipare a quella collettiva disperata speranza di liberarsi dalle fatiche della vita normale e poter diventare un ricco. E chi contava più di farsi una posizione col lavoro? Meglio aspettare il giusto colpo di fortuna.

Arrivato che fu davanti alla ricevitoria cambiò idea.

“Meglio la disperazione che comprare un euro di questa speranza di merda! In culo ai ladri di merda di sto governo! Pure le mutande ci tolgono con ‘ste lotterie e ‘sti gratta e vinci della minchia!”

 

 
 
 

Attese 2 (il seguito)

Post n°231 pubblicato il 23 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

Fuori dal bar novembre già offriva una buona anticipazione d’inverno. L’aria era secca e fredda, decisamente tramontana. La piazza era quasi deserta a quell’ora della sera. Il traffico a gravina si limitava al mattino presto quando tutti andavano fuori a lavorare, e la sera intorno alle 19, quando tutti rientravano da innumerevoli paesi di Puglia e Basilicata dopo aver lavorato. La piazza era stata risistemata da poco dall’ultima amministrazione comunale durata come sempre troppo poco. Era una piazza triangolare chiusa da una chiesa di tufo in stile romanico dedicata a San Domenico. Il restauro della piazza aveva previsto una pavimentazione nuova di lastroni di marmo grigio scuro, spazzi verdi con prato all’inglese e alberi secolari d’ulivo strappati alla loro originaria sede. Alberi con una storia alle loro spalle di sangue, sudore e lacrime di contadini che le avevano amate, curate e coltivate e che ora, tristi come animali nello zoo, erano destinate ad essere infruttuose per soddisfare una moda degli ultimi tempi, per restare in balia dei capricci dei piccoli vandali che sfogavano la loro noia devastando i beni pubblici.

Libero e Monica decisero di fare una passeggiata nel centro storico. C’erano qualche anziano, gruppetti sparuti di marocchini oziosi, macchine selvaggiamente parcheggiate con arroganza ovunque, e pochi negozi.

Dopo aver chiacchierato del più e del meno, Monica riprese il discorso:”Ma le hai mai detto che la ami?”

Libero continuando a guardarsi i passi, senza girarsi verso di lei, rispose:”No… Veramente una volta sì, ma penso che non se ne sia accorta. Stavamo facendo l’amore, era la prima volta che facevano l’amore e mi sfuggì involontariamente. Ma penso che non l’abbia sentito, era un sospiro, involontario e innocente come un respiro. Ma, sai Mo’, certe cose non valgono. Quando si è così felici si dicono tante di quelle minchiate!”

“Ma sono vere!”, ribatté lei.

“Uhm, sì, sicuramente non mentiamo volontariamente. Siamo spontanei come bambini. Senza filtri al cervello, diretti… ma poi quanto c’è di vero in cose che durano, come diciamo noi, da Natale a Santo Stefano?”

“Che c’entra la durata? La sincerità di un sentimento si misura con l’orologio? Da quando?”

Libero, fece una pausa. Non sapeva in effetti che cosa rispondere a quest’ultima obiezione e rispose con un’altra domanda: “ Ma perché per me le cose non cambiano mai così velocemente? Perché, voglio dire, perché alla fine penso che in quel momento di estatica perfezione dirle ti amo sia stata una cosa sentita ma io penso che ancor di più ora, per quanto possa fingere che non sia così, per quanto vada dicendo a tutti che sto bene e che tutto è passato ecc, l’amore che provo per lei sia ancora più maturo e grande! Perché succede solo a me?”

“Non sei l’unico, Libero, tu non sei speciale, sei come gli altri. Nell’amore si giocano dei ruoli, tu giochi il ruolo di chi insegue. E’ sempre stato così in tutte le tue storie… l’amore è tutto in bilico su quegli equilibri instabili di chi fugge e di chi insegue.”

Liberò trasalì stupito. Si fermò un attimo, la guardò e poi riprese la passeggiata a testa bassa con le mani in tasca.

“Forse hai ragione tu”, alla fine riuscì a dire.

“Togli il forse, sono donna e ti conosco meglio di tua madre ormai.”

“Volete sempre avere ragione voi donne!”, disse ironico, tanto per stemperare i toni di una conversazione che si andava facendo troppo seria e poi riprese: “Ma pensi che si possa essere felici a lungo? Voglio dire che esista qualcosa di più duraturo di un mero momento?”

“L’uomo è un animale soggetto facilmente alla noia. Anche la gioia, se fosse troppo prolungata, sicuramente diventerebbe insopportabile per noi.”

“Ammazza! Questa me la segno!”

I due risero e poi decisero che era meglio ritornare alle auto e tornarsene a casa.

 

 
 
 

ATTESE

Post n°230 pubblicato il 16 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

 

Attese

 

La porta d’entrata del bar s’aprì all’improvviso lasciando entrare nel locale una folata d’aria gelida. Libero distolse lo sguardo dal giornale che stava leggendo seduto al tavolino e vide Monica sfilarsi la pashmina e sbottonarsi il trench color sabbia mentre avanzava verso di lui sorridendo con gli occhi. Posò il giornale e s’alzo per salutarla con un bacio su una guancia. I suoi capelli ricci profumavano di shampoo appena fatto e di spuma, un profumo dolce, come di pasticcino.

“Ciao caro”, fece lei.

“Ciao Monica, come stai? E’ una vita che non ci vediamo!”

“L’impegni, caro… Poi tu proprio non ci sei mai!”

“Il lavoro, monica, il lavoro…”

"Se, se...proprio il lavoro!", rispose ironica.

Si accomodarono e cominciarono a parlare dei sei mesi trascorsi senza vedersi. Libero era stato spesso a Milano per amore e lei aveva frequentato un master a Roma finanziato dalla Regione puglia. Erano vecchi amici, amici di tardo-adolescenza e, nonostante la differenza di sesso, non c’era mai stato niente tra loro che non fosse amicizia. C’è chi dice che l’amicizia tra uomo e donna sia quasi impossibile, che c’è sempre alla fine un’attrazione celata sotto sotto che prima o poi viene fuori a rovinare tutto. Si manifesta soprattutto quando uno dei due comincia a frequentare un ragazzo o una ragazza. La gelosia è in agguato, quel candido manto di neve si scioglie e viene fuori la verità. Ma a loro non era mai successo.

“Allora è finita, è definitiva la cosa?”, chiese Monica.

“Sì, è finita…”, Libero si fece scuro in volto, abbassò un po' lo sguardo a guardarsi i pollici incrociati.

“Ma non era una pausa?”

“Un eufemismo di “non provo più un cazzo per te”, tu che sei una donna dovresti saperlo meglio di me”, e abbozzò un sorriso sghembo, “ prima dite “ti devo parlare” che tradotto in femminese significa ”fatti già le valigie che ti sto per mollare” e poi…insomma lo sai. Non mi far andare avanti se no poi mi accusi di misoginia!”

“Ma come stai? Cioè sei ancora innamorato? Ti piace ancora? Sono ormai passati tre mesi…”

“Sono sereno…”, la guardò negli occhi per dimostrarle che era sincero e sicuro di quello che aveva appena proferito.

Monica si rasserenò un pochino.

“Quindi ora sei di nuovo alla ricerca?!”, disse protendendosi verso di lui, allungandosi sul tavolino del bar con un sorriso di fresca speranza.

“No, Monica, io non cerco niente…”

Monica ritornò indietro facendosi sostenere lo sconforto dallo schienale della sedia scomoda.

“Ma come, ti contraddici? Ora mi hai detto che sei sereno, che stai bene…”

“Infatti non mi sono contraddetto. Sto bene, sono sereno e non cerco niente perché ho già trovato…”, rise a vedere la faccia sconvolta di Monica, “e ora aspetto.”

“Cosa aspetti?”

“Monica, ormai io ho già quell’età che mi posso permettere di essere disilluso. Ho capito, ho trovato e ora devo solo aspettare… aspettare la capitolazione, la resa ineluttabile e incondizionata. Aspetterò che mi rassegni a non avere sempre le vecchie solite illusioni e da bravo figlio aspetterò di trovare la brava donna da sposare, la madre dei miei figli, il bastone della mia vecchiaia come succede al 99 per cento delle persone normali. Non sarà il massimo? Ti sembra una cosa triste? Man mano che scopri che, tutte quelle storie della Disney di splendidi principi azzurri e principesse sfortunate che dopo tante tribolazioni coronano il sogno della loro vita con le quali ci hanno imbottito da piccoli, sono delle ciclopiche enormi minchiate, capisci che ti devi dare una svegliata, assecondare il bisogno biologico di non rimanere zitelli e aspettare l’occasione buona per darti una vecchiaia dignitosa e contribuire alla continuazione della specie umana.”

Monica sgranò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie.

 

“Tu sei fuori!”, scosse enfaticamente la testa.

“No, cara, sono solo realista… schifosamente realista. Attendo la capitolazione, è inevitabile, è solo una questione di tempo. La storia è piena di esempi di capitolazioni. Tutti, anche i più grandi hanno fatto i conti con la capitolazione…”

“Mah,  non ti capisco Libero. Quasi non mi sembri più tu.”

Liberò finì il suo amaro tutto d’un fiato e s’alzò per pagare il conto.

“Andiamo fuori Monica, che ci facciamo una passeggiata che sono stufo di stare seduto…”

“Buonissima idea, così magari al freddo che fa fuori, ti rinfreschi le idee!”

I due scoppiarono in una fragorosa risata e s’avviarono fuori nell’aria fredda di novembre.

 

 
 
 

Mancanze

Post n°229 pubblicato il 09 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

 

Ho dato l'amore che non ho,

Il mio vuoto, la mia mancanza, la mia fragilità

A te che non l'avevi chiesto...

A te che forse avevi il tuo già 

...Passerà...

E ancora passerà

Chi non me l'ha mai chiesto

Chi non lo vuole...

Questo vuoto, questa mancanza, questo amore....

 
 
 

Libero in Vetrina

Post n°228 pubblicato il 08 Ottobre 2010 da merendero77
 

 
 
 

E va bene così

Post n°227 pubblicato il 03 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

Ascoltando Vasco cantavo:

"E ho guadato dentro un'emozione 

e c'ho visto dentro tanto amore

che ho capito perché non si comanda al cuore...

E va bene così, sono un coxxxxxx!"

...Senza parole...

 

(Da "Scritti sull'Acqua, CGA)

 
 
 

Se...

Post n°226 pubblicato il 02 Ottobre 2010 da merendero77
 

 

Se una goccia di pioggia cadesse

ogni volta che ti penso...

Ci vorrebbe di nuovo Noè con la sua arca

per salvarci dal secondo diluvio universale!

 

(Da "Scritti sull'Acqua", CGA)

 
 
 

Tangoindiaalphamikeoscar

Post n°225 pubblicato il 27 Settembre 2010 da merendero77
 

 

Romeoalphacharliehotelecholimaecho

Novemberoscarnovemberlimaoscarsierraalphapaparomeoalphamikealphaindia

Charliehotelechoindiaoscartangoindiaaplphamikeoscar

 
 
 

SARANNO FAMOSI




___________________________



 

AREA PERSONALE

 

FANGO



Cin Cin Vale
!







 
un mondo vecchio
che sta insieme

solo grazie a quelli
che hanno

ancora il coraggio
di innamorarsi!!

 

 

CHE


________________________

Ricordiamoci che anche oggi è
la festa
delle donne, anche
domani, anche
dopodomani,
anche....sempre....


___________________________


 

GUCCINI

E un giorno ti svegli stupita
e di colpo ti accorgi
che non sono più quei
fantastici giorni all'asilo
di giochi, di amici e se ti guardi
attorno non scorgi le cose consuete,
ma un vago e indistinto profilo...
E un giorno cammini per strada
e ad un tratto comprendi che
non sei la stessa che andava
al mattino alla scuola,
che il mondo là fuori t'aspetta
e tu quasi ti arrendi capendo
che a battito a battito
è l'età che s'invola...




 

EMERGENCY




 

CIAO

 

CANTINE BOTROMAGNO


 

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