La recita di Bolzano

che amore assoluto sia!

Creato da fugadaipiombi il 24/11/2013

 

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E infatti questa è una rivisitazione di quel racconto....
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Io ne conosco un'altra quella del racconto di E.A.Poe..
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Grazie...
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il 06/12/2015 alle 20:37
 
 

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Ritorno a Casa Usher - 2^

Post n°49 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Si mise in viaggio in stato di estrema stanchezza dopo aver passato una notte quasi insonne. Si era rigirato tra le lenzuola in un dormiveglia continuo, madido di sudore per la sensazione di angoscia che gli opprimeva il petto. Per raggiungere il luogo ove sorgeva il castello degli Usher occorrevano parecchie ore tanto che lo stesso vetturino, arrivato puntualissimo all’ora stabilita, si sorprese nel trovarlo già fuori dal cancello ad aspettarlo. A dire il vero più che sorpresa il vetturino provò una sensazione inspiegabile di paura, per pochi istanti avevacreduto di vedere un gigantesco corvo: il Conte se ne stava immobile, raccolto all’interno del mantello nero, la testa reclinata in avanti e, nel momento incui si scompose per salire sulla carrozza, non potè fare a meno di notare gli occhi spiritati, come se avessero visto l’inferno. Venne percorso da un brivido e fu proprio dall’espressione quasi terrorizzata del vetturino che comprese di non avere una buona cera.

- Buongiorno, Sean, va tutto bene? – gli chiese mentre questi gli apriva lo sportello per farlo salire.

- Buongiorno, signor Conte – rimase ritto accanto allo sportello – certo, va tutto bene. Prego, volete accomodarvi? – gli rispose facendogli segno di entrare. Il Conte mise il piede sul gradino e stette come sospeso ad aspettare qualcosa. Si guardarono entrambi, in silenzio. Decise finalmente di accomodarsi all’interno della carrozza, il vetturino riprese il suo posto e insieme si avviarono. La giornata era buia,quel buio che significava cielo coperto, probabilmente pioggia o, addirittura,temporali in arrivo. Aveva sperato ardentemente che il tempo reggesse, sarebbe stato molto faticoso e pericoloso viaggiare, i cavalli avrebbero potuto imbizzarrirsi, si sarebbero stancati a causa del terreno impraticabile e avrebbero rallentato la marcia. Non avrebbe voluto ritardare, voleva liberarsi dei pensieri oscuri che lo attraversavano al più presto. Dal momento in cui aveva ricevuto la lettera, l'angoscia era entrata in lui senza abbandonarlo.Un'angoscia che lo spingeva a porsi domande e a non voler trovare le risposte,se queste si fossero rivelate senza senso. Tutto gli sembrava assurdo. Eppure sapeva di essere un uomo razionale, un uomo con i piedi saldi per terra, un uomo che non si lasciava facilmente trascinare da chi credeva in qualcosa di misterioso che veniva indicata come la parte oscura di sè e che si proiettava nella realtà. Aveva sempre cercato di trattare gli argomenti sullo spiritismo,sul paranormale con scetticismo, persino dopo aver assistito e aver visto con i propri occhi ciò che era avvenuto in casa di Roderick, aveva provato a cercare una ragione plausibile che potesse spiegare il fenomeno. Ricordava ancora con nitidezza le impressioni suscitate dalla vista del castello e le immagini deiricordi si soprapponevano al paesaggio che apparentemente osservava, fisso, dal finestrino della carrozza. Dopo le prime ore di viaggio, a un certo punto, si era sentito soffocare, gli mancava l'aria, cosi lo aveva aperto e finalmente i ricordi si erano dileguati, anche se per pochi minuti. Minuti che gli erano bastati perchè si accorgesse che i raggi del sole erano filtrati attraverso il grigio delle nuvole, anche se deboli. L'odore dell'aria fresca del mattino lo colpiva sul viso come se fossero state scudisciate e, per un attimo, solo per un attimo, il pensiero che tutto fosse stato solo un sogno lo aveva sfiorato e si era sentito meglio. Era durato poco, però, i ricordi si erano riaffacciati alla sua memoria, prepotentemente. Sì, certo, ricordava tutto, ogni parola,ogni sensazione, ogni brivido, ogni emozione che aveva provato dal momento in cui aveva ricevuto la lettera nella quale il suo vecchio amico e compagno di scuola, perentoriamente, gli chiedeva di recarsi al suo castello. Anche la volta precedente, come questa volta, il tono della lettera era perentorio e non ammetteva un eventuale rifiuto. Sentiva ancora la suggestione addosso, il suo corpo risentiva degli effetti. Quei pochi giorni trascorsi in compagnia di Roderick, gli avevano fatto cambiare il modo di vedere la vita, la morte, il loro mistero. Lo avevano, in un certo senso, condizionato, niente era rimasto lo stesso, anche se in apparenza la sua vita aveva continuato sui soliti binari. Percepì un formicolìo alle gambe, capì di aver bisogno di camminare.Guardò fuori e vide che si stavano avvicinando a un villaggio. Con il bastone bussò per attirare l’attenzione del vetturino che rallentò immediatamente la corsa e si fermò davanti alla prima locanda da cui fuorusciva del fumo, segno che avrebbero trovato da rifocillarsi. Scese dalla carrozza ed entrò intanto che il vetturino si portava sul retro per dar da mangiare e da bere ai cavalli. Il locandiere lo accolse allegramente, andandogli incontro.

- Oh, accomodatevi,prego, accomodatevi...avete bisogno di una stanza? - gli porse un sorriso con i pochi denti rimasti e l'espressione da ebete.

- O no – rispose – sono solo di passaggio, ci fermiamo il tempo necessario per mangiare e riposarci, prima di riprendere il viaggio…

- Allora vi siete fermato nel posto giusto...venite, venite...-si incamminò precedendolo verso l'imbocco di un corridoio alla destra della porta d'ingresso che portava alla sala da pranzo, lo seguì senza fiatare – Vedete?E' già apparecchiato per i nostri clienti...non sentite che buon odorino? -ridacchiò in modo irritante. Il corridoio era piuttosto lugubre, la carta da parati era già consunta e impregnata degli odori della cucina. Certo è molto modesta come locanda, pensò. Speriamo che il cibo sia all'altezza del mio  palato. La sala da pranzo era accogliente, contrariamente alle sue aspettative,un fuoco vivace scoppiettava nel camino posto al centro della parete opposta all'ingresso. Lo avvolse un bel tepore e sperò che il locandiere lo facesse sedere al tavolo più vicino al camino. Così fu e lo ringraziò mentalmente.   

-Vi va bene questo tavolo? - chiese il locandiere. Teneva degli occhiali da lettura fissi sopra la punta del naso e la sua testa era piena di capelli bianchi e ricci non pettinati, continuò a guardarlo con la stessa espressione da ebete dipinta sul volto mentre aspettava la sua risposta. 

- Sì, è proprio vicino al fuoco, ho proprio bisogno di scaldarmi...ah...- si mise seduto - vorrei pregarla di chiedere al vetturino di accomodarsi a questo tavolo... 

- Il vetturino? - chiese stupito il locandiere.  

- Sì, chiedetegli se ha piacere di farmi compagnia, sa, detesto mangiare da solo fuori casa, credo sia di una tristezza infinita...volete farlo? Sì? - ignorò la disapprovazione che percepì nel tono della voce e attese che si riprendesse dallo  stupore.  

- Oh, sì, certo...come voi comandate...tra qualche minuto verrà mio figlio a prendere le ordinazioni - e si girò dirigendosi verso il corridoio bofonchiando tra sè e sé. Vide Sean comparire nel vano della porta, titubante, il cappello in mano, l'espressione incredula. La tristezza profonda che lo tormentava lo aveva spinto ad andare oltre le usanze, oltre le regole, non aveva voluto ritrovarsi da solo a tavola,senza rivolgere a qualcuno la parola, assillato, assediato dall'angoscia. La compagnia di Sean lo avrebbe distratto, almeno per quell'ora trascorsa al calduccio della sala da pranzo.  

- Venga avanti, Sean - lo incoraggiò perchè vincesse la sua titubanza - sedetevi– gli disse, indicandogli la sedia appena lo raggiunse - l'odore che arriva dalla cucina mi sembra buono, che ne dite? - cercò di coinvolgerlo per accorciare le distanze tra loro. Comprendeva il suo disagio, appartenevano a posizioni sociali differenti, i suoi amici avrebbero criticato il suo comportamento. Diamine, si disse, in fondo siamo tutti esseri umani, il mondo non peggiorerà di certo se per una volta le nostre posizioni raggiungeranno lo stesso livello. Il proprietario del locale lo trattò con tutti i riguardi ed erano stati serviti molto velocemente. La locanda poteva essere un posto modesto ma la cucina era sublime, neanche al suo club si mangiava cosi bene, pensò. Per tutto il pranzo aveva sentito il disagio di Sean, probabilmente nessuno, prima di quel momento, gli aveva mai chiesto di sedere insieme a tavola, nessuno di coloro che trasportava con la propria carrozza. Tenne a bada l'atteggiamento seccato del locandiere nel dover servire qualcuno che stava più in basso di lui nella scala sociale, sorrise nel notare la poca dimestichezza nell'affrontare il galateo da tavola e provò a metterlo a suo agio dimenticando lui stesso le buone maniere. In fondo tutte quelle regole, quelle costrizioni toglievano molto del piacere che la tavola meritava, concluse, ringraziandolo mentalmente perchè durante il pranzo, grazie alla sua presenza, gli spiriti sene erano stati accuratamente lontani da quel posto. Ma non da quello verso il quale si stava recando. Lasciare la locanda era stata dura, i fantasmi lo riassalirono ancora, la sua espressione era tornata buia, oscuro il pensiero.Per tutto il resto del viaggio aveva cercato di riposare, ma invano. Finchè un odore attirò la sua attenzione, un odore acre, come di fumo, lo aveva riconosciuto, aveva capito di essere entrato nella proprietà degli Usher, si sporse dal finestrino, da lontano la sagoma del castello era circondata da una foschia strana, che ne rendeva ancora più tetra la vista. Era finalmente arrivato, chissà cosa lo aspettava!




 
 
 
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