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Post n°911 pubblicato il 18 Aprile 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI PASQUA - SABATO . .
Gv 6, 16-21
I discepoli qui non hanno paura tanto del mare e del forte vento quanto di Gesù che cammina sulle acque. Noi nella vita siamo abituati ad inquadrare il nostro prossimo in un certo modo e cioè secondo i nostri parametri di accettabile prossimità e così quando i veli si squarciano, e le occasioni possono essere le più diverse, allora ci mettiamo paura e vorremmo fuggire. .
. Gesù era stato vissuto fino a quel momento nella quotidianità di un rapporto tra simili anche se avevano assistito alla moltiplicazione dei pani, alla guarigione di un lebbroso e dell’infermo alla piscina di Betsaida. Adesso invece Gesù fa qualcosa che ha del magico e non si può iscrivere tra i comportamenti riconoscibili tra quelli umani. Tuttavia essi non vedono qualcosa di indefinito ma proprio Gesù e nonostante che la sua figura coincidesse con quella che essi conoscevano essi percepiscono qualcosa che li impaurisce. . . Gesù legge la loro paura e li conforta invitandoli a non averne. E i discepoli acquisita la certezza che fosse proprio lui finalmente lo accolgono in barca. Ora cerchiamo di applicare la dinamica di questo incontro al livello del nostro vissuto quando ci troviamo a dover affrontare qualcosa di drammatico in cui ne va in gioco la nostra pelle. Anzitutto cerchiamo con tutte le nostre forze di combattere per averla vinta su ciò che ci contrasta ma c’è un momento in cui vediamo che, nonostante i nostri sforzi, tutto si rivela inutile e se per volontarismo estremo insistiamo ancora e le cose non cambiano ecco che si apre davanti a noi la tentazione di gettare via la spugna. . . Questo è quasi sempre il nostro modo di affrontare le difficoltà quando viviamo fino in fondo la nostra immaginazione d’essere soli a combattere in questo mondo. Gesù invece con la sua presenza ci avverte che quella che riteniamo essere la realtà vera è solo frutto della nostra fantasia e del nostro aver voluto chiudere il rubinetto della speranza. Non ci rimane che credergli e condividere con lui la certezza che mai potremo essere separati dalla sua presenza dal momento che in qualsiasi momento possiamo prenderlo in barca con noi anche se quel prenderlo potrebbe significare l’abbandono stesso di questa vita e cioè la morte.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, ottieni per noi dal Padre la grazia di saper vedere oltre le apparenze e riconoscere Gesù che non chiede altro che unirsi alla nostra vita per portarla sana e salva in porto. Per chi è interessato a Milano presso l'Abbazia di Chiravalle (MM3 e poi la 77)ogni mercoledì alle ore 18 si riunisce un piccolo gruppo che ha come spiritualità di riferimento la trasfigurazione di Gesù, la preghiera del cuore e l'ascolto della Parola nel silenzio della meditazione. Michele Sebregondio
Post n°910 pubblicato il 17 Aprile 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI PASQUA - Giovedì
Gv 3, 31-36
Credere in Gesù perché tutto passa attraverso di Lui. Appartenere a Lui per vivere la vita che ha vissuto Lui e passare attraverso le sofferenze e l'abbandono fino al punto in cui la voce del Signore non parla più. Eppure il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. E' un mistero difficile da penetrare. Cristo è uomo e Figlio del Padre e per questo partecipare alla sua vita vuol dire partecipare alla vita divina e umana. .
. Agli occhi della nostra ragione può apparirec ome una perversione, ma nella luce del mistero della redenzione appare come la cosa più altamente ragionevole. Gesù ha vissuto un'autentica esistenza di uomo terreno, si è interamente sottoposto alla volontà del Padre fino ad attraversare la notte oscura della lontananza da Dio. Per questo anche noi dobbiamo dire come Lui <<Sia fatta la tua volontà>> quando attraversiamo la nostra notte oscura.
Post n°909 pubblicato il 13 Aprile 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI PASQUA - MARTEDÌ
Gv 3,7b-15
Gesù sottolinea la difficoltà di dare fiducia e di credere a ciò di cui non abbiamo esperienza. Anzi, fa notare che spesso non crediamo nemmeno a ciò che vediamo o ascoltiamo da fonti dirette e certe. La nostra capacità di affidarci è così limitata, il nostro bisogno di rassicurazione così forte, la nostra insicurezza così elevata, che dare fiducia è davvero un impegno faticoso e difficile, se non doloroso. .
. Doloroso perché ci mette in contatto, appunto, con il nostro limite, con la nostra finitudine, con la nostra ignoranza. In realtà ci viene detto che potremmo fare un salto e andare oltre. In qualche modo, cambiare orbita. Tra l’alto, l’immagine di “nascere dall’alto” mi fa venire in mente la “caduta ontica” di cui parla Claudio Naranjo a proposito del fatto che, individui incarnati e separati come siamo, abbiamo perso contatto con l’Essere da cui proveniamo.E il racconto della “caduta” e della uscita dall’Eden ne è una specifica e plastica rappresentazione. .
. Nello stesso tempo, le parole di Gesù mi rimandano all’immagine della nascita così come verosimilmente avveniva all’inizio: la madre si accucciava da qualche parte e lasciava che il figlio cadesse giù, verso terra - dall’alto appunto - facilitato dalla forza di gravità, per poi distendersi e prenderselo tra le braccia. Ora che, nella nostra presunta civiltà, il parto avviene in una asettica sala d’ospedale, non viene nemmeno più usata una posa “naturale” e la spinta della madre è molto più faticosa, perché il bimbo nasce spesso dovendo uscire dal basso verso l’alto…
Alessandra Callegari
Post n°907 pubblicato il 08 Aprile 2015 da sebregon
OTTAVA DI PASQUA - SABATO Mc 16, 9-15
Spirito Santo dacci sempre la forza di testimoniare la buona novella ed aiutaci ad essere tanto creativi da far capire con le parole ed i vissuti di oggi quanto sia rivoluzionario il messaggio di Gesù. Michele Sebregondio
Post n°906 pubblicato il 06 Aprile 2015 da sebregon
OTTAVA DI PASQUA - MARTEDÌ
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Gv 20, 11-18
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. Gesù è passato da questa vita al Padre: un salto vertiginoso che lo ha sradicato da questo mondo per renderlo di nuovo presente a tutta la creazione come una calamita che attira a sè ogni vivente dandogli, se la vuole, la forza di affrontare la morte e quella di legare nel bene e nella gioia ogni essere nella Sua direzione d’amore: il Padre.
Michele Sebregondio
Post n°905 pubblicato il 03 Aprile 2015 da sebregon
VEGLIA PASQUALE
Il sepolcro vuoto, luogo di un assenza che inquieta, rende il cristianesimo una religione difficile e impopolare. Questo sepolcro vuoto è nella mia mente la chiesa cristiano-siriaca bombardata e distrutta, sfregiata e offesa nei suoi simboli senza il tetto apparsa nei notiziari di questi giorni. Io come quei giovani siriani sono seduto in mezzo alle macerie della chiesa distrutta e passerò qui la mia pasqua. Sono in questo luogo di assenza perchè hanno distrutto il mio villaggio, hanno deportato le donne e gli indifesi e vivo con loro la sconfitta e il fallimento. Seduto tra le macerie della mia chiesa mi domando da dove vengo e perchè lamia fede possa suscitare tanta ostilità. Mi chiedo come si compirà per me la trasformazione della morte in vita? Tremo, come arriverà questa svolta? L'assenza del corpo di Gesù nel sepolcro è tragica e inspiegabile come la chiesa siriana distrutta. Ho anch'io un fucile per difendere la mia gente, ma la mia Pasqua vera sarà nella ricostruzione della mia chiesa interiore ed esteriore. La risurrezione non sara per me un risultato ma la ricerca di nuove tracce di vita. Questo passaggio della pasqua morte-vita-risurrezione ci accompagnerà lungo tutta la vita.
Livio Cailotto
GIOVEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA Lc 4,16-21
Questo brano mi mette in contatto con l’importanza di assecondare, nella nostra vita, la propria “missione”. In realtà tutti siamo chiamati a “compiere” qualcosa, a manifestare la nostra umanità nell’universo valorizzando i nostri talenti e le nostre risorse. E penso che maturare come essere umani significhi proprio questo: individuare il proprio posto e “diventare quel che siamo già”.Così facendo, la vita professionale - e non solo quella privata - diventa piacevole perché testimonia di noi, perché esprime noi, manifesta chi siamo.Mi rendo conto che non tutti hanno la possibilità di vivere in un contesto che faciliti questo processo e che sono stata molto fortunata nel poter esercitare una professione (anzi due) che ho sempre sentito “mia”, nelle mie corde. Ma credo anche che sia nostra responsabilità fare di tutto per lavorare su noi stessi e coltivarci, anche in questo senso, compatibilmente con la realtà che ci circonda.
Alessandra Callegari
Post n°904 pubblicato il 01 Aprile 2015 da sebregon
IN ATTESA DELLA TUA VITTORIA SULLA MORTE
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Verrà il momento in cui non sapendo più dover sbattere la testa
"Non mi rivedrete finchè non direte
Post n°903 pubblicato il 31 Marzo 2015 da sebregon
MARTEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA . Gv 13, 21-33. 36-38
profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta.Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».
E’ un grande dolore constatare che quanto è avvenuto durante la vita di Gesù, e cioè i due tradimenti -quello di Giuda e di Pietro- e la continua persecuzione nei suoi riguardi fino a metterlo in croce, si ripropone oggi non solo nei termini dei macro-avvenimenti ( uccisione dei cristiani ) ma nel cuore di tantissimi uomini di oggi che, pur avendo avuto nella loro storia passata conoscenza di Gesù, gli applicano delle riduzioni così ingiuste da farlo diventare inessenziale per la loro vita. . . Gesù oggi è preso da molti per quel che serve e così viene tirato dalla parte di chi lotta per la liberazione degli oppressi o anche come consolatore delle anime pie domenicali o ancora come portatore di valori che però ormai sono diventati, almeno così si dichiara, patrimonio di tutti ( penso al valore della persona, all’emancipazione della donna nonostante il maschilismo del suo tempo ecc.). . . E che dire di coloro che a motivo degli errori storici ed attuali della Chiesa non vogliono più sentire parlare di Gesù? E’ come se Gesù, vedendo la cattiveria dei suoi nemici e l’abbandono dei suoi discepoli nel momento in cui aveva più bisogno di loro, avesse abbandonato il suo disegno di farci conoscere ed amare la vita divina, di renderci tutti fratelli e poi introdurci, nell’altra vita, nel posto che il Padre ha preparato per ognuno di noi. Gesù oggi soffre come allora perché la sua passione non fu patita davanti a quei pochi che gliela procurarono ma davanti a tutte le generazioni. future. . . E’ incredibile come noi umani ci infarciamo di ogni sapere ma di ciò che conta veramente non ce ne importa nulla. Nulla di Gesù che è via che dà luce ai nostri passi, verità ultima e piena di ciò che esiste e vita vera che ci procura quella profonda sensazione d’esservi dentro come protagonisti e non come “tira a campà”. Dovremmo tutti metterci di fronte a Lui e chiedergli la luce della verità sulla nostra vita e poi pregarlo di accoglierci ancora nonostante i nostri piccoli e grandi tradimenti. Questo è il momento buono per rinnovare una relazione lasciata nelle periferie estreme del nostro spirito. . . Perché il bello è questo: Gesù c’è in fondo al nostro cuore e noi lo sappiamo ma lo trattiamo come quei parenti alla lontana che sappiamo esistenti ma che evitiamo con cura. Questo mondo passa ma noi restiamo, anche se non in questo mondo, ed allora è meglio costruire qui una buona relazione con Gesù in modo da arrivare nell’al di là non come estranei, che devono ripetere tutte le classi prima d’essere introdotti alla presenza del grande Re, ma come figli amati e fratelli del nostro Gesù.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, che sei la nostra guida su questa terra, fatti sentire e scuotici perché non ci colga un sonno profondo nei riguardi del Padre celeste e del miglioramento delle relazioni tra noi uomini quaggiù. Illumina le nostre menti perché qualsiasi sia la condizione umana in cui viviamo possiamo trovare il modo d’essere come una luce che risplende della stessa luce del tuo Gesù.
Michele Sebregondio
Post n°902 pubblicato il 28 Marzo 2015 da sebregon
V SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO
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. Gv 11, 45-56
Per chi è abituato a guardare a Gesù come si fa con santino o a liquidarlo col dire che per credergli ci vuole la fede sarà colpito nel leggere questo brano che invece lo inserisce in un contesto storico ben preciso ed all’interno di dinamiche dal profilo altamente politico. Certo non si arriva a Gesù tirando le fila logiche di un discorso, non perché il mondo della logica non contenga delle verità, ma semplicemente perché Gesù è una persona concreta e dunque come per ogni avvicinamento tra persone occorre che si aprano delle porte che solo la reciproca accoglienza può spalancare. .
. Gesù, essendo uomo come noi non voleva morire, e dunque si ritira nel deserto. Nel passato, a cominciare dalla sua nascita, le forze avverse hanno sempre cercato di ucciderlo. Non c’era pace per lui, costretto alcune volte a mettere in opera i suoi poteri, pur di non cadere in mano dei nemici. E questo è comprensibile perché il Signore Gesù doveva portare avanti la sua missione e far conoscere al mondo il motivo della sua venuta ed i doni che si portava in serbo (guarigioni, liberazione dalla schiavitù del peccato, l’essere dono di Dio in questo mondo e non erba del campo che oggi cresce e domani non c’è più, l’essere figli di un Padre buono ecc.). .
. Gesù aveva dunque bisogno del suo tempo e quei tre anni della sua vita pubblica sono stati sufficienti. Gesù ha solamente spostato nel tempo il suo confronto decisivo con le forze avverse ma alla fine, siccome per questo era venuto nel mondo, e cioè per completare la sua opera, ecco che nel suo ritiro dobbiamo scorgere il momento in cui si raccoglie per affrontare la sua andata a Gerusalemme ed il suo confronto con chi non aspettava altro che farlo fuori.
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. Gesù sa che lo uccideranno ma non fugge, come del resto non sono fuggiti Falcone e Borsellino, né quanti, pur sapendo d’essere nel mirino della mafia o di qualsiasi potere diabolico, rimangono al loro posto per coerenza verso i loro valori. Per noi è difficile calarci nel mondo ebraico di quei tempi ma il riferimento a Caifa ed al fatto che ha profetizzato in quanto sommo sacerdote di quell’anno ci colpisce perchè la profezia è stata pronunciata da chi era la persona istituzionalmente più importante in relazione alla figura storico- divina di Gesù. Le parole della profezia hanno di fatto nel piano divino una estensione infinitamente superiore a quelle date dal Sommo sacerdote. Gesù infatti affronta la sua sorte per uno scenario che non è solo quello del popolo ebraico, ma quello dell’uomo di tutti i tempi: Egli affronta la morte per sconfiggerla.
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. Gesù che risorge e che si fa vedere in giro da migliaia di persone per quaranta giorni vuole dire all’uomo che la morte fisica non cancella la vita dell’uomo perché ve n’è un’altra a cui si può partecipare solo che su questa terra si amino i fratelli sul suo esempio e Colui da cui arriva ogni dono.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo illumina la mente degli uomini perché essi vedano la grande luce portata da Gesù su questa terra, ne ammirino la coerenza e soprattutto l’ardore con cui ha voluto amarci di un amore senza ritorno e cioè proprio come vorremmo essere amati noi.
Michele Sebregondio
Post n°901 pubblicato il 26 Marzo 2015 da sebregon
V SETTIMANA DI QUARESIMA – GIOVEDÌ .
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Sal. 105, 4-5 Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca. .
Nei giorni scorsi, per un lutto in famiglia ho visitato il cimitero del mio paese di origine, in Calabria e guardando le tombe di amici e parenti mi sono accorto di una tomba in cui i figli del defunto, emigrati in Francia, hanno voluto portare un ricordo da Lourdes con su la scritta “Le Temps passe, le souvenir reste. Che si traduce “Il tempo passa”, il ricordo resta. .
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Frase che, banale quanto sia, mostra l’affetto con cui si ricordano le persone care e nello stesso tempo mostra che l’uomo, fin nelle midolla delle sue ossa è fatto di ricordi. È brutto quando i ricordi si trasformano in rimpianti, occasioni che restano sempre perdute e che potevano davvero dare una svolta alla vita, ma se i ricordi si ravvivano diventano in un certo senso concime per far crescere un futuro davvero bello. È un po’ quello che succede nella storia di Israele nel primo testamento. Quando Israele ha un ricordo vivo di Dio allora costruisce la sua storia e il suo futuro, ma quando dimentica perde tutto quello che fino ad allora ha conquistato e deve ricominciare la salita.
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Per questo il salmista non solo in questo salmo, ma anche in molti altri, invita Israele al ricordo. Un ricordo che però non è semplice ricostruzione storica ma un rivivere, far vivere ancora la salvezza che si rinnova oggi per noi. In questo senso l’invito a ricordare è rivolto anche a Dio. Ed in effetti se ci pensiamo bene un rapporto si costruisce e si mantiene vivo ricordando il bene reciproco e i benefici ricevuti. Se però questi si dimenticano ci si pone in un rapporto di antagonismo. Per questo ad esempio nell’esodo quando si raccontano i disagi di Israele in Egitto si dice che furono causati da un faraone che non aveva conosciuto Giuseppe e che aveva quindi dimenticato i benefici recati da questi al suo popolo.
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Mi viene in mente la frase di Merlino nel film Excalibur, di John Boorman. Quando propone di costruire la tavola rotonda e il castello di Camelot la motivazione che adduce è quella di riunirsi e raccontare tutte le avventure: “Poiché la maledizione degli uomini – afferma- è che essi dimenticano.
La nostra vita e la Parola
Dio del Ricordo, tu che non dimentichi nessuno dei tuoi figli e che vivi in mezzo a noi sempre per ricordarci che siamo tuoi, ravviva oggi il ricordo di te e donaci la tua grazia. Perché ricordandoci del tuo amore anche noi possiamo narrare ai fratelli le meraviglie che compie ogni giorno. Amen
P. Elia Spezzano, Ocist.
Post n°900 pubblicato il 26 Marzo 2015 da sebregon
V SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDI’
Gv 8,21-30
Il vangelo di Giovanni, sempre più ‘intellettuale’ degli altri, pone in primo piano la domanda su “Chi è Gesù?”. E in questo brano la risposta è chiara nella sua enigmaticità.“Io sono” richiama la dichiarazione “io sono colui che sono” fatta da Jahvè a Mosè ((Esodo 3.14), quindi Gesù afferma di essere Dio. E chi non gli crede morirà nel peccato. Affermare di essere Dio (o di essere l’Essere) suona blasfemo, o quanto meno incomprensibile, ai giudei. Che non capiscono nemmeno i riferimenti al Padre fatti da Gesù, che ribadisce di essere stato mandato da Dio per annunciare la verità. Verità che, aggiunge, “renderà liberi”. Un brano difficile, duro, in cui Gesù ribatte alle accuse dei farisei che lo incalzano, prendendo alla lettera le sue parole che parlano invece su un piano diverso. Non è infatti in gioco una mera logica temporale: “Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?” chiedono alla fine del brano, ingenuamente, i giudei. E Gesù ribatte: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono”. Su quell’ “Io sono” si gioca tutto. Credere o non credere, senza pretese di comprensione logica.
Alessandra Callegari ---------------------------------------------------
Gesù confessa che fa sempre le cose che sono gradite al Padre e questa sua dichiarazione ci colpisce in profondità perché noi non facciamo quasi mai le cose che sono gradite a Dio. Il nostro punto di riferimento, ed è doloroso constatarlo, è il bozzolo che ci siamo costruiti lungo la vita da cui siamo condotti e stampigliati. E quanto sia grande questa forza che ci plasma e ci orienta lo vediamo dalla diversità dei mondi interiori delle persone. Ognuno di noi è così diverso da un altro che davvero dobbiamo prendere atto che nell’essere diversi tantissima parte lo dobbiamo a noi stessi. E qui non mi riferisco alla bontà che abita pure il mondo della diversità, ma la abita più nel farci sentire più simili che dissimili, parlo invece di quell’essere diversi che è frutto proprio del volerci creare da noi e non in ascolto del Signore Dio per farlo contento. Ecco questo nostro essere da noi è proprio quello che ci fa differenti da Gesù che in nulla s’era fatto da solo ma in tutto dipendeva dal Padre suo. Imparare da Lui l’umiltà per conformarci ai sui desideri ecco cosa ci può convenire veramente. Ed è stupendo sentire dalla sua bocca questa meravigliosa confessione che ci allarga il cuore perché lo riempie di luce magari abbattendo quelle nostre costruzioni a cui tanto teniamo. La nostra vita e la Parola Spirito Santo, abbiamo sempre bisogno del tuo aiuto per allargare le fessure del nostro essere in modo che s’aprano spaziose finestre da cui può entrare la tua luce. Michele Sebregondio
Post n°899 pubblicato il 20 Marzo 2015 da sebregon
TEMPO DI QUARESIMA .
Lc 5, 27-32
Concentriamoci su Gesù liberandoci dalle questioni troppo dottrinali, non perchè non siano importanti, ma perché magari non ci fanno cogliere il dato della presenza della sua persona nel contesto della sua quotidianità, che però diventava straordinaria, visto il suo modo di viverla.
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. Noi siamo abituati a non avere niente a che fare con uno poco di buono e facciamo bene perché non siamo come Gesù e soprattutto nella nostra ordinarietà non siamo inviati nella missione di annunciare il regno come Lui. Noi, per non uscire fuori dal contesto di comprensibilità delle umane relazioni, non possiamo dire ad uno qualsiasi si che sia giusto o ingiusto: “ Guarda devo dirti una cosa importante: "Gesù è quello che ti salva veramente”. .
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E non lo possiamo dire per mille ragioni ed una più di tutte perché non abbiamo un contesto uniforme che possa intendere cosa significhi la parola ‘salvezza’ e chi sia colui che nominiamo con il nome di ‘Gesù’. Il contesto invece del nostro Gesù era uniforme nel senso che tutti erano figli di una storia con un capostipite Abramo, un grande mediatore Mosè e poi i profeti e la Legge. Gesù, diciamo per intenderci, giocava in casa.
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. E proprio per questo il suo modo di comportarsi spicca nella sua differenza di fronte alla sclerosi di un mondo religioso che aveva messo in cattedra se stesso e non aveva più alcuna ansia di far rivivere ai più bisognosi quella stessa gioia goduta all’inizio della loro storia: la liberazione dall’oppressione del faraone e un incontro-alleanza con il loro Signore Adonai. L‘incontro di Gesù con Levi sono l’immagine di un amore vero e cioè, di quello che non bada al proprio interesse ma nel suo procedere in modo puro e disinteressato lancia la proposta di seguirlo. Levi lo segue perché vede in Gesù questa potente forza di bene che gli fa l’onore di metterlo alla portata di un amore che nel suo proporsi non è dirimente, ma accogliente. . .
Lo sguardo e le parola di Gesù sono la promessa di un futuro sanante e non fanno discriminazioni tra buoni e cattivi, anzi prediligono questi ultimi perché più bisognosi. Tornando a noi, che non siamo Gesù, come dobbiamo annunciarlo? Vi sono mille modi di farlo, alcuni buoni altre meno, altri pessimi quando vogliono convincere gli altri a forza di ragionamenti. Ognuno con la sua vita a poco a poco trova il suo modo ma deve essere chiaro che noi non possiamo essere più del nostro Maestro.
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. Ciò significa che dobbiamo solo seminare e mai pretendere di raccogliere. Ogni raccolto deve essere un di più insperato. Solo così possiamo uscire dalle secche del narcisismo, e cioè dell’essere stati noi la causa di una conversione, e somigliare a Gesù che nonostante tutti i suoi miracoli, le sue parole di liberazione fu messo in croce. E come Gesù anche noi saremo toccati dalla sofferenza quando vedremo le persone allontanarsi da Lui e dalla sua santità, che non è solo una sua cosa privata legata ad un modo d’essere religioso, ma rappresenta lo splendore in cui vorremmo in assoluto che vivesse la nostra umanità.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, aiutaci ad avere una lettura della figura umano e divina di Gesù che non sia stantia e bigotta, ma che si disseti alla fonte della Sua santità di vita.
Michele Sebregondio
Post n°898 pubblicato il 19 Marzo 2015 da sebregon
19 MARZO
Giuseppe avrebbe potuto seguire la legge e ripudiare Maria e così rimanere comunque nella legalità. Avrebbe potuto cioè condannarla alla lapidazione o ad una crudele emarginazione. . . Egli però non si comporta così e mosso dall’amore verso Maria pensa di ripudiarla segretamente. Noi, che oggi cerchiamo di immaginare come possono essersi svolti i fatti, potremmo chiederci come mai Maria non dica niente a Giuseppe di quanto le sia successo. Ci sarebbe sembrato la cosa più logica da fare ma quale credibilità avrebbe avuto Maria agli occhi di Giuseppe se gli avesse detto che era stato lo Spirito Santo a metterla incinta? Nessuna ed a conferma di ciò vediamo che Giuseppe, vedendola incinta, pensa come ognuno di noi avrebbe pensato e cioè che era stata ingravidata da un uomo. . . Tuttavia il vero motivo del silenzio di Maria è legato alla sua fiducia in Dio che di sicuro l’avrebbe aiutata di fronte al suo popolo d’Israele ed agli occhi del suo Giuseppe. Giuseppe è dichiarato ‘giusto’ perché, essendo timorato di Dio, non avrebbe potuto mai far del male ad un essere umano. . . La lezione che ci consegna Giuseppe è quella della misericordia che oggi si collega a meraviglia con il Giubileo straordinario che Papa Francesco promulgherà l’8 di Dicembre e che ha al centro la parola del Signore : “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”. . . .Ed ecco le parole del Papa: «Sono convinto che tutta la Chiesa potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale siamo tutti chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ogni donna del nostro tempo»…..«Non dimentichiamo che Dio perdona tutto e perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono». In questo tempo in cui da ogni parte siamo accerchiati dalle giustizie ingiuste e da assassini che in nome di una falsa giustizia seminano terrore dobbiamo affinare il nostro spirito per abituarlo alla misericordia nello stesso tempo che abbraccia le armi della vera giustizia che non ha paura di mettersi in gioco per ottenerla.
La nostra vita e la Parola Spirito Santo che hai premiato la giustizia e la misericordia di Giuseppe affidandogli Maria ed il bambino Gesù fa che anche noi accogliendo in noi lo spirito di giustizia che ci infondi possiamo essere degni di accompagnarci a Maria ed al suo, e nostro, Gesù.
Michele Sebregondio Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Post n°897 pubblicato il 17 Marzo 2015 da sebregon
IV SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDÌ
Gv 5, 1-16
Intorno alla piscina di Betzatà c’è l’ospedale da campo di papa Francesco. Un luogo dove c’è gente da curare, dove si fa la corsa per entrare nella piscina accavallandosi uno sull’altro e qualcuno più debole non ce la fa. Il desiderio di entrare nella piscina della salute frustrato tante volte lo è anche in questo sabato. Ripiegati su noi stessi, quasi rassegnati, qualcuno che non identifichiamo chiaramente ci chiede: vuoi guarire? Sì lo vogliamo, ma non capiamo, siamo in un momento di confusione, non sappiamo nemmeno con chiarezza a chi abbiamo detto sì, ma lo vogliamo. .
. . Poi nel tempio Lui si avvicina a noi per farsi riconoscere e ricordarci che non siamo abbandonati a noi stessi nella tentazione e soli in lotta con il male. Riponendo la nostra fiducia in Lui ci prepariamo a ricevere la vera umiltà.
Livio Cailotto
Post n°896 pubblicato il 13 Marzo 2015 da sebregon
III SETTIMANA DI QUARESIMA
Lc 11, 14-23
Una pagina che mi è già capitato di commentare l’anno scorso e che trovo sempre interessante, soprattutto per la famosissima, apparentemente durissima, frase finale.Frase che, dicevo già l’anno scorso, trovavo un tempo persino “troppo” dura, al punto anzi da provocare in me fastidio: lo stesso fastidio che provo di fronte a chi assume posizioni radicali, estreme, intolleranti. Chi vede nel diverso solo un nemico da allontanare e addirittura da combattere.Ma ancora oggi, come allora, nelle parole di Gesù sento piuttosto un invito al coraggio della verità. Uno sprone a prendere posizione, a non evitare il conflitto per paura del giudizio altrui bensì a mettersi in gioco, accettandone tutte le conseguenze. Ci sono situazioni, dicevo, in cui non si può stare a metà: o dentro o fuori. Coi sono situazioni in cui è non solo necessario, ma addirittura indispensabile, assumere una posizione chiara, determinata, ferma. Sono situazioni spesso difficili e dolorose, ma consentono di fare un passo concreto nella propria crescita personale e spirituale.Questo, credo, è l’invito di Gesù. Lo stesso per il quale dante mette gli ignavi persino fuori dall’Inferno:
« Fama di loro il mondo esser non lassa;
Alessandra Callegari
Post n°895 pubblicato il 11 Marzo 2015 da sebregon
III SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ Lc 11, 14-23
Gesù è più forte di tutte la forza del maligno o anche, se vogliamo dirlo diversamente visto che l’uomo di oggi è allergico a sentir nominare il demonio, Egli è più forte di qualsiasi mito l’uomo si possa fare che non metta al centro il servizio dell’uomo e/o quello di Dio. Ho scritto e/o per rispetto verso coloro che non credono in Dio ma sono servitori dei grandi ideali umani. . . Per noi cristiani, che leggiamo la realtà con gli occhi di Gesù, vale il credere che chi, pur conoscendoLo, gli va contro, scegliendo altri a cui credere, questi ha scelto di portare avanti una vita irta di pericoli in cui tutto si complica invece di semplificarsi. La cosa bella poi che dice Gesù, oltre alla personalizzazione in cui il perno gira tutto sulla sua divina persona, è che parla di un ‘raccolto’ fatto assieme a Lui. . . E si sa che il ‘raccolto’ è sempre qualcosa di bello che ispira abbondanza e gioia. Noi siamo chiamati a raccogliere con Lui e, come Gesù dice in altro punto del vangelo potremo raccogliere ciò che non abbiamo seminato grazie a quella comunione dei santi che ci permette di operare in campi che noi non abbiamo preparato ma di cui conosciamo bene la regola che ci permette di entrarvi e cioè essere nella comunione del ‘dono’. . . La comunione dei santi è la comunione di coloro che ricevendo da Gesù il dono del suo corpo e del suo sangue sanno assimilarli così tanto da ridonarli a beneficio di tutti.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, aiutaci a non disperdere ma ad essere sempre uniti a Gesù ed al suo regno di verità e di vera forza. Michele Sebregondio
Post n°894 pubblicato il 10 Marzo 2015 da sebregon
III SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDÌ
Mt 18, 21-35
Nel brano sono presenti due registri il primo riguarda il comportamento da tenere verso il fratello che commette una colpa verso di me, ed un altro quello del Padre celeste verso chi si comporta male. Nel primo caso vale perdonare non qualche volta ma settanta volte e cioè sempre, mentre nel caso del Padre è diverso perché rappresenta l’istanza ultima della giustizia. Ed ora cerchiamo di capire perché dobbiamo perdonare se vogliamo essere giusti e soprattutto perché il Padre celeste non può perdonare alla maniera umana. A noi conviene perdonare perché anche noi siamo peccatori ed abbiamo bisogno sempre di perdono e dunque non possiamo non perdonare altrimenti facciamo la fine del servo ingiusto che, perdonato, non perdona. Per il Padre celeste è diverso perché egli è giusto e non ha un obbligo morale nel perdonare anzi è proprio della sua giustizia punire nella sua maniera divina chi giusto non è. Le punizioni di Dio sono sempre per la salvezza ed hanno lo scopo di aiutare l’uomo malvagio in una restituzione che non solo renda giustizia al fratello offeso ma sia per lui una via di redenzione. Ma c’è di più perché il peccato del fratello mi è di aiuto per prendere coscienza d’essere peccatore anch’io magari non come il fratello lo è stato verso di me ma in modo diverso e cioè in un altro ambito di relazioni. Per esempio io che non farei male ad una mosca magari mi avvalgo della forza di una organizzazione quando si tratta di prendere delle decisioni sul personale pur essendoci la possibilità di darsi da fare per indirizzare le cose in un modo diverso. Questo non è che uno dei mille casi in cui non ci comportiamo bene e dove abbiamo bisogno d’essere continuamente perdonati sia da Dio che dai nostri fratelli. Ora quanto più prendiamo coscienza d’essere piccoli e bacati tanto più saremo disposti a perdonare gli altri e viverli in una luce diversa in cui possiamo, pur non rinunciando ad ottenere giustizia, vedere come aiutarli a cambiare. Certo non da soli ma sempre con l’aiuto del Padre celeste e del suo Figlio Gesù che già ci aiuta sia con le sue parole ma anche con la sua vicinanza.
La nostra vita e la Parola
Spirito santo, infondi in noi quello spirito buono che prendendo coscienza della propria miseria ne fa uno strumento di misericordia verso i fratelli che sbagliano.
Michele Sebregondio
Post n°893 pubblicato il 07 Marzo 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO
Lc 15, 1-3. 11-32 Le ragioni del figlio che se ne va dalla casa del padre non sono raccontate nel brano di Luca e sapere con precisione cosa spinge il secondogenito ad andarsene non ci viene detto. Ma sappiamo tutti per esperienza che uscire dal contesto famigliare è un passo importante per un figlio e le ragioni per cui si esce dalla famiglia sono tante. La spinta a uscire anche quando assume la forma di una ribellione è sempre buona.
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. Ci sono sempre buone ragioni per fare diversamente e dare inizio a qualcosa di nuovo.
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Usciti si entra nella vita e si inizia a sperimentare dove ci portano i nostri desideri, sia quelli che conosciamo e perseguiamo consapevolmente, sia quelli che sotterraneamente ci spingono in una direzione o nell’altra. Poi nella vita avviene che insoddisfatti di aver coltivato solo una parte di noi stessi raggiungiamo uno stato di prostrazione, ci manca non solo il cibo per mangiare ma molto di più, il vuoto e la disperazione ci invadono perché in qualche modo ci siamo dispersi e allora per ritrovarci sentiamo forte il bisogno di quel senso di appartenenza al Tutto che è l’amore del Padre che tutto tiene insieme.
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. Quando il Padre ci infila l’anello simbolo della nostra unione/appartenenza alla sua casa, tutto muta per noi e tutte le spinte e i desideri si ricompongono nell’esperienza di sentirci amati nel suo abbraccio benedicente. .
Livio Cailotto
Post n°892 pubblicato il 05 Marzo 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI QUARESIMA – GIOVEDÌ Lc 16, 19-31
La conclusione di questo racconto di Gesù è tragica perché mette il dito sul triste fardello che tanti di noi portano sulle spalle. Nel senso che ci siamo via via costruiti una tale cecità di visione e di giudizio che potrebbero anche succederci le cose più eclatanti al fine di migliorare la nostra vita ma poi con il tempo dimenticarle e tornare alla cecità di prima.
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. L’abbiamo notato con evidenza con la resurrezione di Lazzaro che avvenne quasi a ridosso della passione di Gesù: quanti di coloro che avevano visto Gesù risorgere Lazzaro poi erano in piazza davanti a Pilato ad esigere che Gesù fosse liberato? Pare nessuno, eppure avevano visto risorgere un uomo che era morto da 4 giorni e puzzava.
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Allora se ci capita così possiamo mai salvarci? Dobbiamo dunque arrenderci a questa nostra sorte piuttosto fastidiosa che non ci lascia alcuna speranza di un vero cambiamento. Ed è per questo che è venuto qui sulla terra il nostro Signore Gesù perché dove noi nulla possiamo Egli può tutto. Dove noi cadremmo ad ogni istante, perché portiamo avanti questa nostra cresta di ‘homo saputellus’, ecco che Lui ci introduce in un regno diverso da quello del pretendere di sapere come vanno le cose.
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Ci ha detto che la cosa più importante non è sapere ma amare Dio ed amare l’uomo, servire Dio e servire l’uomo. Semplice, no? Eppure anche qui quanta fatica ci sembra di dover fare e questo perché anche nel ‘fare il bene’ abbiamo sempre quella manina che pretende di fare tutto da soli senza che si ascolti il Signore ed il nostro prossimo. L’ascolto vero è quello che spazza via le nere nubi del nostro voler performare il mondo secondo i nostri desideri.
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.Non che non li dobbiamo avere, ma un conto è averli un altro volerli per forza realizzare quando il contesto ci sta chiedendo altro da quello che vogliamo proporre e fare. Il ricco che non si accorge di Lazzaro è colui che ha realizzato così bene il suo desiderio d’avere tutto che quel tutto accerchiandolo lo mura tanto da non fargli vedere i bisogni del povero che era alla sua porta. Quando uno è centrato su se stesso non vede nulla né il povero, né un angelo e neppure un morto che lo va a visitare.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, noi confidiamo negli stimoli salutari che puoi donarci perché lasciati a noi stessi rischieremmo d’essere come il ricco epulone che non si accorge di niente e va verso la rovina.
Michele Sebregondio
Post n°891 pubblicato il 02 Marzo 2015 da sebregon
II SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDÌ
Mt 23, 1-12 In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». Il problema molte volte oggi non è quello di pretendere dagli altri d’essere chiamati maestri ma nel resistere a coloro che vedendo una disparità nella percezione del proprio essere, rispetto a qualcosa di cui mancano, appena la trovano in un altro ecco che l’omaggiano dandogli il titolo di maestro. Passi per tutti i titoli che si acquisiscono per via di studio e, quindi dopo di professione, per cui abbiamo il maestro di scuola, il maestro di danza e così via, ma altra cosa è accettare d’essere chiamati maestri di vita. .
Nessuno può essere maestro nel campo della vita perché tutti vi siamo immersi e tutti abbiamo bisogno di un vero maestro e questi è solo Gesù e coloro che, crededenti o non, si pongono sulla sua scia . . . La consapevolezza interiorizzata di questa verità deve portarci ad un rapporto davvero molto delicato con il nostro prossimo evitando d’accettare d’essere messi sugli altari e quindi creandoci a poco a poco quella cattedra di superiorità che è la nostra rovina. . . Cosa fare allora quando negli incroci delle esistenze ci si trova di fronte a coloro che per il portato della loro vita ci sembrano mancanti di passaggi importanti per gettare una luce più piena all’interno di loro stessi? Credo che la cosa migliore sia ascoltare i bisogni e le richieste del nostro prossimo testimoniando ciò che abbiamo appreso dalla nostra frequenza del Signore. Perché insegnare si può come, ad es., fa Paolo: “Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, [31] annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.” (At 28, 30-31) La nostra dura battaglia con noi stessi è quella di mantenerci umili e dichiarare agli altri il più che sia possibile che la fonte a cui attingiamo i tesori non è nostra ma del Signore Gesù. . . Se non si fa così allora sviamo gli altri che invece di ricorrere in modo autonomo alla vera fonte si appoggeranno a noi con il rischio di cadere con noi se anche noi cadiamo. Gesù non dice che non si può essere dei ‘più’ perché questo è nell’ordine delle cose, ma che questo ‘più’ serva veramente al servizio e non alla crescita della propria importanza personale.
La nostra vita e la Parola Spirito Santo, dacci lo stesso spirito di umiltà del Signore Gesù che umiliò se stesso per dare a noi la possibilità di acquisire la vera grandezza e cioè d’essere figli del Padre e suoi fratelli.
Michele Sebregondio
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