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Carlo Molinaro

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Clodia, Catullo e Cicerone

Post n°27 pubblicato il 28 Giugno 2007 da molinaro
Foto di molinaro

Per le ragazze di costumi non rigorosamente allineati è sempre stato difficile ottenere giustizia. Stanotte pensavo a Clodia, la fidanzata di Catullo (lui nelle poesie la chiama Lesbia, per necessaria discrezione), di sicuro un bel tipetto di donna. Era sposata con un tal Quinto Cecilio Metello Celere, che fu anche console, e ciononostante si faceva un sacco di altri uomini; d’altronde se il quarto dei nomi del marito si riferiva anche alle prestazioni sessuali, c’è da capirla. Ma, scherzi a parte, sembra che il Cecilio Metello la prendesse abbastanza bene. Fu un altro dei suoi morosi, un certo Marco Celio Rufo, cha dai dati biografici mi sembra un oscuro leccaculo arrampicatore sociale, che invece tentò di avvelenarla per rubarle dei soldi e dei gioielli – e qui si dimostra che fra certi uomini politici romani del I secolo avanti Cristo e certi marocchini che a Porta Palazzo ti fregano il cellulare nel XXI secolo dopo Cristo non c’è nessuna differenza sostanziale; anzi, i secondi sono migliori perché almeno non ti avvelenano.

Il suddetto Celio era amico di Cicerone, posso immaginare che tipo di amico: gli si era appiccicato per far carriera, certamente. Ma a Cicerone piaceva, e sul come e perché gli piacesse non stiamo ad approfondire, saran ben cazzi loro. Comunque, quando il perfido Celio, dopo essersi trombato l’ingenua Clodia (almeno in questo caso ingenua), cercò di avvelenarla e derubarla, fu in qualche modo beccato, perché finì sotto processo per veneficium, appunto. Ma qui salta fuori il Cicerone, potente avvocato, che con un’arringa piena di stronzate riesce a far assolvere l’amichetto. Va da sé che nell’arringa non parla di fatti concreti ma getta fango su Clodia, di lei ricordando libidines, amores, adulteria, Baias, actas, convivia, comissationes, cantus, symphonias (Cic., Pro Caelio, 35) e sottolineando che lei le ammette pure, queste cose, non le nasconde (forse è questo il peccato più grave per una donna, allora come ora: la sincerità). Clodia era una che trombava, beveva con gli amici, andava in spiaggia e ascoltava musica: come darle credito? Assolvete dunque il povero Celio. E così fu.

Oggi forse le cose vanno un po’ meglio (mi han sempre fatto ridere quelli che lodano i buoni costumi antichi – la Roma di Cicerone era ben peggio della Roma di Veltroni), però certo è ancora difficile per talune ragazze ottenere giustizia se subiscono soprusi e violenze. Ma qui mi vengono in mente cose che non posso dire, e concludo con il pensiero che comunque a Clodia/Lesbia, maltrattata dalla «giustizia», sono rimasti almeno frammenti di grande poesia; e a un’altra che so io, del XX secolo dopo Cristo, sono pure rimasti frammenti di poesia, certo meno grande, ma si fa quel che si può. Però, ragazzi, quando studiate Cicerone, ricordate che non era affatto un uomo onesto e integerrimo, non più di quanto lo siano certi noti avvocati-politici di adesso, che non posso neppur nominare perché il potere in tutti i secoli è feroce, e la libertà d’espressione in tutti i secoli è relativa.

 
 
 
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