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Carlo Molinaro

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La psicanalisi è una iattura?

Post n°255 pubblicato il 20 Febbraio 2008 da molinaro
Foto di molinaro

Nella mia vita (come probabilmente nella vita di tutti) ci sono rapporti umani che continuano, altri che cominciano, e altri che finiscono. Nella stragrande maggioranza dei casi, direi la quasi totalità, quelli che finiscono non finiscono per mia scelta, ma per scelta dell’altra persona. Già su questo c’è da riflettere e infatti rifletto abbastanza frequentemente.

I rapporti amorosi con ragazze molto più giovani di me si sono spesso estinti per cause quasi «naturali»: dopo l’esperienza con l’uomo maturo (per quanto l’aggettivo «maturo», riferito a me, mi faccia un po’ ridere, chissà perché), c’è stato il logico passaggio a più adatti fidanzati, i progetti, la casa, i figli. A volte l’amicizia è sopravvissuta e a volte no. Diciamo che comunque una spiegazione c’è, c’è una «ragione» da farmi.

Pensavo invece ai troncamenti che ho subìto da parte di persone amiche (o ex amiche) coetanee o, se non coetanee, comunque più avanti nel percorso della vita (potrei dire oltre i quaranta, ma è una cosa così, indicativa). Mi accorgo che le persone che mi hanno troncato (e stroncato) più bruscamente hanno un dettaglio in comune: la passione, a vari livelli, per la psicanalisi e le scienze a essa correlate. E credo che sia un dettaglio importante.

Forse queste persone mi hanno analizzato con determinati strumenti (forse per loro decisivi) e mi hanno trovato inadeguato, scombinato, contorto, insomma da scartare. Forse. In ogni caso è una curiosa coincidenza, almeno.

Non ho nulla contro una lettura psicanalitica delle cose (delle persone), ma ho molto contro chi la considera la lettura (esaustiva) delle cose e delle persone. Non mi sognerei mai di dire che la poesia è la lettura giusta della realtà: dico che è una lettura. La poesia vale né più né meno che la psicanalisi, la filosofia, la fisica, la religione, l’astronomia, la musica, la chimica, la pittura e così via: sono tutti sguardi su una realtà che nel suo complesso rimane inconoscibile (e di cui soprattutto rimane inconoscibile il senso: nessuna disciplina umana può dirci perché viviamo, a che scopo, e che senso hanno l’esistenza, il nascere, il morire, l’amare, l’universo, il tempo, il soffrire, il riprodurci, il sognare, il nulla).

Talvolta mi pare che le scienze psicologiche (al pari di tutta la medicina di oggi, peraltro) si muovano per modelli, protocolli. Insomma partano già sapendo dove vogliono arrivare (che è la cosa più antiscientifica che si possa immaginare: la scienza è sperimentazione, scoperta, discutibilità, rivedibilità di ogni dato e assoluta incertezza dei risultati – altrimenti è fede – o almeno così sapevo io, se è cambiato qualcosa ditemelo).

Spesso ho l’impressione che chi mi analizza voglia spiegarmi chi sono io. Ora, posso anche non conoscere me stesso – è un percorso interminabile il conosci te stesso – ma che venga qualcun altro a spiegarmi chi sono (lui come fa a saperlo, di grazia?) lo trovo assai indisponente. Davanti a questo tipo di analisi probabilmente reagisco in modo antipatico. Sicuramente mi chiudo e mi difendo. Perché, come canta Guccini: ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos’è la libertà. E tanto meno raccontami chi sono io, aggiungo.

Insomma, magari non conosco me stesso, ma tu mi conosci ancora meno, per ovvie ragioni. Se vuoi che condividiamo strumenti di analisi, aiutandoci nel cammino, va benissimo (consapevoli del fatto che strumenti anche uguali ci porteranno in direzioni diverse perché siamo diversi, ogni essere vivente è diverso). Ma se vuoi accompagnarmi su un sentiero prefissato, sul sentiero che decidi tu, verso ciò che tu pensi che io sia, allora il tuo atteggiamento è simile a quello di una setta o di una chiesa: sono due millenni che la Chiesa cattolica vuole spiegarmi chi sono e perché esisto, e indicarmi l’unica via di salvezza. No, grazie.

So che solleverò qualche polemica. So che la psicanalisi non è questo, anzi è una ricerca continua e senza pregiudizi, se è fatta bene. Ma nel suo uso comune (un po’ troppo dilettantesco? posso dirlo? sì, lo dico!) rischia di scadere in questo spaccio di modelli, e in questo fideismo psichico totalitario. L’amico che mi ha troncato alcuni anni fa ci scadeva di brutto, ripensandoci a distanza. Un testo di Freud può essere utile, ma non più di una canzone di Guccini o di un quadro di Artemisia Gentileschi o di una musica di Mozart o di una scultura di Benvenuto Cellini. Sono cose di cui posso fruire. Patrimonio umano a cui attingere. A volte mi è più utile Freud a volte Guccini. Ma lo decido io. Punto.

[Per inciso: Benvenuto Cellini era un criminale, accusato (quasi certamente a pienissima ragione) di avere stuprato e ucciso una sua modella – e di vari ulteriori gravi delitti. Caravaggio non era tanto meglio, e così numerosi altri. Eppure le loro vite ci sono state più preziose (a noi, umanità) di quella del rag. Mario Rossi, impiegato Olivetti, marito e padre esemplare, la persona più buona ed equilibrata del mondo, come riferisce suo cugino, il geom. Aristodemo Bianchi. [Nomi di fantasia, è ovvio, ma con l’aria che tira è meglio specificarlo.] Però per la sua famiglia il rag. Mario Rossi è infinitamente più prezioso di Benvenuto Cellini. Bon. Non so perché mi è venuto in mente e che cazzo c’entra, questo. Forse è per dire che, così come non esiste un solo modo di analizzare, non esiste neanche un solo criterio di valutazione delle persone e delle loro vite. E in fondo, che sia giusto o no, preferirei passare una settimana con Cellini – col rischio di essere accoltellato? – piuttosto che con il rag. Rossi. Non pretendo di avere ragione su nulla, è una scelta istintiva.]

Cito ancora Guccini (embè? è un periodo che gli sono affezionato – il più grande è sempre De Andrè, in quel campo, ma a Guccini adesso sono affezionato) il quale, rivolgendosi nientemeno che a Dio, dice: E quindi ci sopporti, ci lasci ai nostri giochi, cosa che a questo mondo han fatto in pochi. Già: cosa che a questo mondo han fatto in pochi. La canzone è Gli amici.

Va bene. Ho già perso un sacco di tempo, mi rimetto al lavoro, che stasera dopo cena mi vedo con una giovane amica che almeno quando mi analizza lo fa con garbo, come del resto faccio io con lei: senza pretese d’assoluto (e, guarda caso, con lei scrutarci dentro è stato di aiuto reciproco, non di stress: ma che sia solo perché ha vent’anni? forse crescendo si peggiora, si diventa pragmatici, rigidi, intolleranti? però no, non sempre...). E stasera faremo solo due chiacchiere, magari su un suo nuovo amore o su una maglietta blu comprata al mercato, e guarderemo uno sceneggiato tivù a casa sua, perché non è che si debba sempre parlare dei massimi sistemi. Alla lunga stanca. Buona giornata.

 
 
 
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