Creato da mustafeldur il 07/09/2007

the "Enola gay"

che non spicchi piu' il volo.........

 

da Masaniello a Saviano ed il coraggio di Siani

Post n°236 pubblicato il 06 Aprile 2009 da mustafeldur
 

Chi era Giancarlo Siani?

GiancarloSiani era un giovane giornalista pubblicista napoletano. Fu ucciso aNapoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiereresidenziale del vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochigiorni prima.

Appartenentead una famiglia della borghesia medio-alta napoletana, Siani, avevafrequentato con ottimo profitto il liceo classico al "GiovanbattistaVico" dove, alla cultura classico-umanistica aveva affiancato quelfermento politico dei movimenti della sinistra studentesca, conosciutocome "i ragazzi del 77" dal quale si distacco' per un passaggioattraverso i movimenti non violenti.

Si eraiscritto all'Universita' e, contemporaneamente, aveva iniziato acollaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccatointeresse per le problematiche sociali del disagio edell'emarginazione, individuando in quella fascia il principaleserbatoio della manovalanza della criminalita' organizzata, "lacamorra".

Inizio' ad analizzare prima ilfenomeno sociale della criminalita' per interessarsi dell'evoluzionedelinquenziale delle diverse "famiglie camorristiche", calandosi nellospecifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegno' ilsuo passaggio dapprima al periodico "osservatorio sulla camorra"rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti esuccessivamente al quotidiano "Il Mattino", come corrispondente daTorre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia,Comune di oltre 90mila abitanti, distante una decina di chilometri daTorre Annunziata. E cosi Siani inizio' a frequentare quella redazione,trattenendosi a scrivere lì i propri articoli: in pratica faceva vitadi redazione, pur non potendo ufficialmente, essendo solo uncorrispondente.

Ma era accettato, nonsoltanto perche' si sapeva che di lì a qualche tempo il Direttoreavrebbe firmato la lettera d'assunzione, ma perchè Giancarlo si facevaaccettare per il suo modo di essere allegro, gioviale, sempredisponibile, sempre pronto ad avere una parola per chiunque, diconforto o di sprone, nella gioia come nella tristezza. Comunque levoci giravano: si sapeva che era soltanto questione di pochi mesi, unanno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto. Fu in questo lassodi tempo che Siani scese molto in profondita' nella realta' torresesenza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quellocriminale, che anzi approfondi' con inchieste sul contrabbando disigarette e sull'espansione dell'impero economico del boss locale,Valentino Gionta.

Un'esperienza che lo fecediventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorrache sorgevano. Promotore di iniziative, firmatario di manifesti d'impegno civile e democratico, Siani era divenuto una realta' a TorreAnnunziata: scomodo per chi navigava nelle acque torbide del crimineorganizzato, d'incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, manon aveva il coraggio per urlare.

Lui,invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umilta', maparadossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorras'era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolareritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presaall'indomani della pubblicazione di un suo articolo, su "Il Mattino"del 10 giugno 1985 (clicca sul bottone…) relativo alle modalita' con lequali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, bossdi Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all'ergastolo)Siani spiego' che Gionta era diventato alleato del potente boss LorenzoNuvoletta (deceduto) , amico e referente in Campania della mafiavincente di Toto' Riina.

Nuvoletta aveva unproblema con un altro potente boss camorristico con il quale era giuntosul punto di far scoppiare una guerra senza quartiere. L'unico modo diuscirne era soddisfare la richiesta di costui e cioe' eliminare Gionta.Nuvoletta che non voleva tradire l'onore di mafioso, facendo uccidereun alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato unasoffiata ai carabinieri. Siani venne a conoscenza di questo particolareda un suo amico capitano dei carabinieri e lo scrisse, provocando leire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con isuoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacitodi Riina, decretò la morte di Siani.

L'organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i qualiSiani continuo' con sempre maggior vigore la propria attivita'giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politiciloro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania imiliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del1980. Questa e' la verita' giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti econfermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del bossValentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d'ergastoli.Ma sicuramente dietro l'uccisione del giornalista Siani ci sara' anchedell'altro………

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le 4 giornate di napoli

Post n°235 pubblicato il 03 Aprile 2009 da mustafeldur
 

 
 
 

da Masaniello a Saviano attraverso il grande Eduardo

Post n°234 pubblicato il 02 Aprile 2009 da mustafeldur
 




Fonte : www.eduardodefilippo.it

Eduardo De Filippo nasce il 24 maggio del 1900, figlio naturale dell’attore Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo. 
Nel 1904 debutta come giapponesino ne "La geisha", firmata da suopadre.Nel 1909 i tre fratelli De Filippo: Titina, Eduardo e Peppino, siritrovano insieme sul palcoscenico del Valle di Roma per una recita di"Nu ministro mmiez 'e guaie" del padre Eduardo Scarpetta.
Nel 1911 va in collegio, ma nel periodo estivo continua a recitare,provando anche nel cinema , ma l'esperienza è durissima e terminapresto.
Nel 1912 recita nella rivista "Babilonia" di Rambaldo (Rocco Galdieri),indossando la divisa del "guardio", mentre Titina fa la figurazionedella roulette.
Nel 1913 recita con Enrico Altieri, considerato il maggior attoredrammatico e popolare napoletano dopo il successo ottenuto con "AssuntaSpina" di Salvatore Di Giacomo.
Lacompagnia dà drammi nella tradizione popolare, opere del Teatro D'Artee, ogni venerdì, una farsa. Mentre nei drammi a Eduardo vengonoaffidate piccole parti, nelle farse interpreta ruoli più importanti. Illavoro è durissimo: si prova alle dieci del mattino, fino alle dodici,poi si mangia e all'una iniziano le recite, tre spettacoli completi algiorno.
Sul palcoscenico dell'Orfeo, Eduardo scopre anche ilmondo del teatro di varietà e delle macchiette, e fa amicizia, in uncamerino di "quello sporco locale" che a lui "pare bello e sontuoso",con Totò. Anche in questo periodo Eduardo adolescente apprendel'artigianato della scena: passa dalla compagnia d'arte varia diPeppino Villani nella compagnia Urcioli-De Crescenzo, quindi in quelladi Aldo Bruno, e ancora nella Compagnia Italiana di Luigi Cancrini,recitando nei teatri napoletani più popolari: il San Ferdinando e ilTrianon oltre all'Orfeo
Nel 1914, entra in pianta stabile nella compagnia del fratellastro Vincenzo.
Nel 1917 i tre De Filippo si riuniscono per la prima volta nellacompagnia per recitare al Mercadante al Trianon e al Fiorentini, laloro convivenza artistica dura pochissimi mesi, in giro per l'Italiacentro-meridionale. Nel 1920 viene richiamato alle armi e prestaservizio nella caserma del II° Bersaglieri di Roma dove viene subitoincaricato di organizzare recite con i soldati (Titina gli dava unamano per i ruoli femminili); e scrive atti unici per ibersaglieri-attori, mentre la sera può lasciare la caserma per recitareal Valle. In questo periodo incomincia ad abbinare al ruolo di attorequello di autore: scrive l'atto unico "Farmacia di turno" che lacompagnia di Vincenzo mette in scena nel 1921.
 
Nel 1922, terminato il servizio militare, riprende a calcare conregolarità i palcoscenici sempre nella compagnia di Scarpetta.  Scrive"Ho fatto il guaio? Riparerò!", commedia in tre atti che andrà in scenaquattro anni dopo al Fiorentini di Napoli con il nuovo titolo "Uomo egalantuomo".
Nel 1924 si associa alla compagnia di riviste di Peppino Villani.Nel1926, insieme al fratello Peppino, firma il contratto come attorebrillante nella compagnia di Luigi Carini con altri attori di nome comeCamillo Pilotto e Arturo Falconi. 
Nel 1927 preferisce tornare nella compagnia di Vincenzo che gli mettein scena "Ditegli sempre di si" commedia in due atti. Nello stessoanno, finita la stagione teatrale, l'amicizia con Michele Galdieri siconcretizza nello spettacolo dal titolo provocatorio o scaramantico "Larivista... che non piacerà!" in scena il 27 luglio al Fiorentini diNapoli.Nel 1929, al Fiorentini, Eduardo e Peppino hanno successo con lospettacolo "Prova generale", tre modi di far ridere (la risatasemplice; la risata maliziosa; la risata grottesca).

 
 
 

Da Masaniello a Saviano con San Giuseppe Moscati

Post n°233 pubblicato il 02 Aprile 2009 da mustafeldur
 

San Giuseppe Moscati
il Medico Santo di Napoli
 * 1880 - 1927

Antonio Tripodoro s.j. - Egidio Ridolfo s.j.

"Ama la verità,
mostrati qual sei, e senza infingimenti
e senza paure e senza riguardi.
E se la verità ti costa la persecuzione,
e tu accettala;
e se il tormento, e tu sopportalo.
E se per la verità dovessi sacrificare te stesso
e la tua vita,
e tu sii forte nel sacrificio."

 1 - Chi è San Giuseppe Moscati? - I genitori - Benevento, città natale del Santo

 2 - I fratelli del Santo - Da Benevento a Napoli

 3 - Università e Ospedale - Eruzione del Vesuvio - Direttore dell'Istituto di Anatomia Patologica

 4 - Prima Guerra mondiale - Rinunzia alla cattedra e scelta del lavoro ospedaliero - Primario nell'Ospedale "Incurabili"

 5- Un Maestro indimenticabile -- Così lo ricordano gli alunni -- Comegiudicavano Moscati i suoi Maestri e colleghi? -- Moscati "uomo comenoi" - Libera Docenza del 1922

 6- Scienza e Fede - L'Eucaristia centro della sua vita - Particolaredevozione per la Vergine Maria - La sua castità feconda - Sintoniaspirituale con Santa Teresa di Lisieux - Profondo senso di amicizia

 7- Un medico povero - Il medico dei poveri - La morte improvvisa -Beatificazione - Canonizzazione - Festa liturgica: 16 novembre

Preghiera a San Giuseppe Moscati

"O San Giuseppe Moscati, medico e scienziato insigne,che nell'esercizio della professione curavi il corpo e lo spirito deituoi pazienti, guarda anche noi che ora ricorriamo con fede alla tuaintercessione.

Donaci sanità fisica e spirituale, intercedendo per noi presso il Signore.
Allevia le pene di chi soffre, dai conforto ai malati, consolazione agli afflitti, speranza agli sfiduciati.
I giovani trovino in te un modello, i lavoratori un esempio, gli anziani un conforto, i moribondi la speranza del premio eterno.

Sii per tutti noi guida sicura di laboriosità, onestàe carità, affinché adempiamo cristianamente i nostri doveri, e diamogloria a Dio nostro Padre.
Amen."


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moscati@gesuiti.it

 
 
 

da Masaniello a Saviano cantando con Carosone ....

Post n°232 pubblicato il 02 Aprile 2009 da mustafeldur
 


BIOGRAFIA
















Renato Carosone nasce a Napoli il 3 gennaio 1920.
La mamma Carolina ed il papà Antonio non sospettavano certamente diaver messo al mondo l’uomo e l’artista che sarebbe diventato il simbolodella canzone napoletana in tutto il mondo. Attraverso la sua simpatia,il suo innato umorismo, la sua musica, ha fatto canticchiare, ballare,divertire, sognare, innamorare, gente di ogni paese. Cina compresa.
La sua infanzia è caratterizzata da una Napoli, fantastica, passionale,piena di risate e di poesia, dove tutto è ironia e commedia, ogni cosaal limite tra sogno e realtà.

















La Napoli “dove ognuno vive in una inebriata dimenticanza di se” comeebbe a dire Goethe in occasione di un suo viaggio in Italia.
In questo clima non tarda a manifestare la sua schietta passione per lamusica ed in particolare il fascino che su di lui esercita ilpianoforte; i genitori a fronte di ogni sacrificio lo assecondano e lofanno studiare sotto la guida di autentici maestri come VincenzoRomaniello, Celeste Capuana e Alberto Curci.
La madre scompare prematuramente e Renato, primo di tre fratelli, aiutail padre a tirare avanti la famiglia adattandosi ad ogni tipo dilavoro.
E’ proprio con il fratello e la sorella che forma il primo “trio”Carosone, per la gioia dei parenti, vicini e coetanei di quartiere.
Gli anni passano e Renato diciassettenne parte per l’Africa scritturatoda una compagnia di arte varia in qualità di pianista e direttored’orchestra.
Il gruppo artistico di cui Carosone fa parte, termina la tournèeafricana e rientra in Italia, meno Carosone, che rimane in Africascritturato nuovamente da un’orchestra Jazz di Addis Abeba.
















E’ il 1937 e le esperienze musicali di Carosone da quel momento sisusseguono una dopo l’altra, rivelando al giovane pianista aspetticompletamente nuovi nell’arte di far musica.
Chiamato di leva, per la seconda guerra mondiale, viene inviato al fronte somalo-britannico.
Occupata dopo un anno Addis Abeba, Carosone riprende il suo posto alpianoforte in una formazione Jazz in un club di Inglesi.
Dirigerà in seguito piccole e grandi formazioni orchestrali per night,spettacoli di varietà, operette e veri e propri concerti per solaorchestra.
E’ il 1946 e Carosone, a 26 anni, torna con una delle prime navi che ripartono dalla Somalia per l’Italia.















I successi che già aveva nella ex colonia a nulla serviranno in Italia, poiché completamente sconosciuto.
Ricominciare da capo, era l’unica strada!
Una scrittura dopo l’altra in piccole formazioni di orchestra da ballo,ed infine il “momento magico”. A “Renato Carosone”, nel 1949, gli vieneespressamente richiesto di formare un “Trio” ed inaugurare un nuovonight a Napoli.
Fa amicizia con un olandese dal nome Van Wood ed alle tre del mattino lo scrittura come cantante chitarrista.
Mancava il terzo; l’incontro avviene su segnalazione del padrone delNight che aveva incaricato Renato di formare il Trio.















L’occhialuto simpatico Gegè di Giacomo si presenta puntuale alle 16,30all’Hotel Miramare di Napoli dove Carosone stava provando con Van Wood.
Si viene a creare una situazione a dir poco comica, il batterista èsenza batteria, dice che l'ha portata a cromare, Carosone e Van Woodcontrariati cominciano a dubitare della validità di Gegè, che intuiscetutto e per fugare ogni dubbio improvvisa una batteria casalinga: unasedia di legno, un vassoio, tre bicchieri di diversa grandezza etonalità, due pioli, un fischietto.
Questa è la prima prova del Trio Carosone divenuto in breve tempo famoso e richiesto in ogni parte del mondo.
“Napoli paese d’ò sole, paese d’ò mare, paese addo’ tutt’è pparole so’ddoce e so’ amare, so’ ssempre parole d’ammore” dice una nota canzone,ed in questo spirito i singoli componenti del “Trio Carosone” mietonosuccessi ovunque approdino, grazie anche alla spiccata personalità edoti comunicative che ognuno di loro riesce ad esternare.


























Quando Van Wood si staccherà dal gruppo per formare un nuovo complessoper tentanre la propria fortuna, Renato spinge ancora di piùl’accelleratore e non lo fermerà più nessuno.
Sempre con il fedele Gegè a fianco, formò altri gruppi e fecero la loroapparizione sul mercato i primi Long playng che contenevano le primecomposizioni di Renato Carosone, “Maruzzella” aprì la strada del nuovocompositore, con un testo stupendo di Enzo Bonagura.
Ebbe inizio, dopo il L.P., un’ascesa rapida e travolgente,“Maruzzella”, “Torero”, “O Sarracino”, “Pianofortissimo”, “T’aspetto enove”, “Pigliate n’a pastiglia”, “Caravan Petrol”, “O russo e ‘arossa”, “Tu vuò fa’l’americano”, “ ‘O mafiuso”.
I testi firmati da un grande della musica leggera italiana: Nisa (Nicola Salerno).
“Torero” rimase in classifica per 14 settimane, al primo posto, nellaHit Parade Nord Americana. La stessa canzone fu tradotta in 12 lingue edi sole incisioni americane ne esistono 32. Questo enorme successo aprìa Carosone la conquista del mercato Nord Americano, dopo Parigi,Londra, Madrid, Barcellona, Valencia, Monaco, Francoforte, Hannover,Berlino, Norimberga, Dusseldorf, Zurigo, Losanna, Nizza, Montecarlo,Atene, Lisbona, Behiruth, Palma de Majorca, Rio de Janeiro, Sao Paolodel Brasile, la popolare formazione riceve il premio più ambito: lafamosa “Carnegie Hall” di New York.
La tournèe americana ebbe inizio a Cuba, seguì a Caracas ed infine il debutto alla “Carnegie Hall” il 5 Gennaio 1957.








Lospettacolo fu un vero trionfo, non erano più gli emigrati di “lacremenapulitane” che sbarcavano, i sei ragazzi di Carosone erano vestiti daCaraceni, con cravatte di Pucci e soprattutto di sorrisi smaglianti chesottolineavano con intenzione anche il nostro famoso e mai più ripetuto“miracolo economico”.
Le sue canzoni cominicarono ad apparire in film con Anna Magnani che canta “Maruzzella”, “Nella città l’inferno”.
Sofia Loren che canta “Tu fuò fà l’americano”, in coppia con ClarkeGable in “La baia di Napoli”. In tanti film di Totò ed infine “Meinstreet” di Martin Scorzese, di cui la colonna sonora è interamenterivestita dalla musica di Carosone.
Nel 1960, esattamente a 40 anni, Renato Carosone fiuta il vento checambia, vede urlatori prima, e Beatles dopo, e decide di ritirarsidall’attività, congedandosi dal pubblico durante una trasmissionetelevisiva appositamente allestita per l’occasione.










L’annunciatrice era Emma Danieli, Carosone disse al pubblico:“preferisco ritirarmi ora sulla cresta dell’onda, che dopo assalito daldubbio che la moda jè-jè e le nuove armate in blues jeans possanospezzare via tutto questo patrimonio accumulato in tanti anni di lavoroe di ansie”.
Carosone anche quella volta ebbe ragione. Si appartò per ben 15 anni.Non fu solo. Il pianoforte, suo fedele ed inseparabile compagno, fututta la sua ragione di essere. Bach, Clementi, Chopin, Beethoven,furono la luce che illuminò questo periodo di “clausura”. “La sosta fuimportante”, dice Carosone, “infatti in 15 anni ebbi modo di mettere afuoco la mia vita e di uomo e di musicista e rimisi ordine nelle manifino a riprendere pieno possesso della tastiera del pianoforte”.
Una telefonata, allo scadere del quindicesimo anno di silenzio, ruppel’incanto! Sergio Bernardini, geniale e persuasivo, organizzò uno Showtelevisivo dal vivo alla “Bussola” di Focette.
Era il 9 Agosto 1975. La reazione della stampa di tutta Italia fuunanime. Trionfo! Carosone quella sera era vestito sempre Caraceni concravatta di Pucci, col suo stesso sorriso di 15 anni prima, le stessecanzoni, le stesse mani, la stessa umiltà davanti al suo pubblico, lostesso pianoforte.
Solo una cosa era cambiata: la consapevolezza del pubblico, di averritrovato anche se per una sola sera un amico. Renato Carosone dice:“io sono persuaso, dopo quella ‘reentrèe, che ogni artista deve restarefedele alla sua causa, servendola fino alla fine, senza lasciarsitentare dalla mania, purtroppo diffusa ai nostri giorni, di‘aggiornarsi’”. Lo spettacolo pietoso dei cinquantenni con crinierelunghe oltre il colletto e le cinture strette sotto il ventre è statauna testimonianza di questo “aggiornamento” grazie a Dio ora superato.

Ognuno al proprio posto e voglio rifarmi ad un grande Maestro figliodella mia stessa terra, che nonostante i “Gobbi” e “teatro uomo”, gli“spazi liberi” ed infine tutti gli ultimi prodotti del “cabaret” e del“teatro moderno nostrano”, ha continuato imperterrito a sostenere ilsuo teatro con la medesima tecnica e scuola, fedele e coerente con sestesso: “Eduardo De Filippo”.
E Renato Carosone ricorda sempre quello che un giorno gli disseEduardo: “devi fare come me! Devi continuare così, perfezionando finoallo spasimo ciò che il tuo pubblico ha voluto, apprezzato eapplaudito”.
Dopo il clamoroso rientro nel 1975 con lo “special alla bussola” diViareggio, Renato ha la tentazione di rientrare “la stessa tentazioneche prova chi ha smesso di fumare” dice “e riassapora per una volta ilgusto di una sigaretta”.
La canzone non è soltanto arte e poesia, è anche industria, e Renatonon vuole sentirsi schiacciato o meglio condizionato da esigenze einteressi economici che roteano intorno ad essa.





Quindi resiste e resta una discreta presenza. Passano ancora 7 anniprima che si convinca a rientrare in sala di registrazione; a farcadere ogni pregiudizio è la collaborazione strettamente amichevole chenasce con il suo produttore e discografico Sandrino Aquilani. Nascecosì dopo 22 anni di silenzio discografico il nuovissimo e fiammante LP“Renato Carosone 82”.
L’accoglienza è davvero esaltante ovunque, e sul filo dell’entusiasmo,rientra in sala con il “fido” Aquilani e porta a termine laregistrazione di tutte le sue canzoni di successo, con la tecnicamoderna di incisione, che nel frattempo si è evoluta e perfezionata.
“Era un forte desiderio poter realizzare nuovamente il mio repertorio,che risentiva qualitativamente delle antiquate matrici di cera”. Questocorona una carriera che tutt’ora lo vede grande e sensibileprotagonista. ????

Renato! Che cos’è questa: musica o gioia di vivere? “Tutte e due le cose”.

Sandrino Aquilani





Fonte : http://www.renatocarosone.it

 
 
 

da masaniello a Saviano ridendo con Toto'

Post n°231 pubblicato il 29 Marzo 2009 da mustafeldur
 

L'anima di napoli



fonte : www.italica.rai.it

Biografia di Totò
(1898-1967)

Nascea Napoli il 15 febbraio 1898, figlio naturale di Anna Clemente e delmarchese Giuseppe De Curtis (che solo trent'anni dopo lo riconosceràlegalmente, così mettendolo in condizione di fruire del cognomepaterno). Sin da giovanissimo egli mostra passione per il varietà,esibendosi in macchiette ed imitazioni con lo pseudonimo di Clerment.Trasferitosi a Roma nel ‘22 con i genitori, ottiene varie scritture edinfine debutta con esiti lusinghieri al teatro Umberto I.
Nel 1927è nella compagnia di Achille Maresca, di cui è prima donna la celebreIsa Bluette; nei primi anni ‘30 diviene capocomico e porta in giro perl'Italia varie riviste, tutte calorosamente accolte dal pubblico.
Nel 1937 esordisce sullo schermo con "Fermo con le mani!" di GeroZambuto, cui fanno seguito "Animali pazzi" (1939) di Carlo LudovicoBragaglia e "San Giovanni decollato" (1940) di Amleto Palermi: questepellicole non ottengono il favore delle platee, così egli torna acalcare le assi del palcoscenico guadagnandosi trionfali accoglienzenegli spettacoli messi in scena da Antonio Galdieri ("Quando meno tel'aspetti", 1940; "Volumineide", 1942; "Che ti sei messo in testa?" e"Con un palmo di naso", entrambi del 1944; "C'era una volta il mondo",1947; "Bada che ti mangio", 1949), dove talvolta fa coppia con AnnaMagnani.
Nel 1947, egli approda nuovamente al cinema con "I due orfanelli" diMario Mattoli, che segna l'inizio delle sue fortune in celluloide: dianno in anno, il numero delle pellicole che lo vede impegnato andràaumentando, fino a suggerirgli nel 1950 il ritiro dall'attivitàteatrale (cui tornerà, episodicamente, nel 1956 con "A prescindere" diNelli e Mangini).
Tra i moltissimi titoli, segnaliamo "Fifa e arena" (1948) di Mattoli,"Totò le Moko" (1949) di Bragaglia, "Totò cerca casa" (1949) di Steno e Mario Monicelli, "Napoli milionaria" (1950) di Eduardo De Filippo, "Guardie e ladri" (1951) di Steno e Monicelli, "Totò a colori" (1952) di Steno, "L'oro di Napoli" (1954) di Vittorio De Sica, "Totò, Peppino e la malafemmina"(1956) di Camillo Mastrocinque, "I soliti ignoti" (1958) di MarioMonicelli, "Signori si nasce" (1960) di Mario Mattoli, "TotòDiabolicus" (1962) di Steno, "Uccellacci e uccellini" (1966) e gliepisodi "La terra vista dalla luna" (1967, da "Le streghe") e "Che cosasono le nuvole" (1967, da "Capriccio all'italiana"), tutti firmati da Pier Paolo Pasolini.
Autore, pure, di canzoni di grande successo - la più famosa delle qualiè sicuramente "Malafemmena" (1951) - oltre che delle poesie napoletaneraccolte nel volume "‘A livella" (1964), Totò si è spento a Roma il 15aprile 1967.

F.T.

 
 
 

da masaniello a Roberto Saviano con la poesia napoletana

Post n°229 pubblicato il 27 Marzo 2009 da mustafeldur
 

"a confessione é taniello " recitata da Aldo Giuffre'

ascoltala


Autore:

Raffaele Petra, Marchese diCaccavone, nasce a Napoli il 7 gennaio 1798 Non condivise i moti del1820-21, e appoggiò la monarchia, ma 1825 sposò la causa repubblicana eliberale, anche se si mantenne fedele allo Stato come suo funzionario

Taniello, ch'ave scrupole
mò che se vo' nzurà,
piglia e da Fra Liborio
va pe' se cunfessà.

«Patre - le dice - i' roseco,
i' pe nniente me mpesto;
ma po' dico 'o rusario,
e chello va pe cchesto...

Patre, ncuollo a li ffemmene
campo e ncoppa a 'o bordello;
ma sento messe e predeche...
e chesto va pe chello.

Iastemmo, arrobbo... 'O prossimo
spoglio e le dongo 'o riesto;
ma po' faccio 'a lemmosena...
e chello va pe' cchesto.

E mo, Patre, sentitela
st'urdema cannonata:
a sora vostra, Briggeta,
me l'aggio nsaponata...»

Se vota Fra Liborio:
«Guagliò, tu si’ Taniello?...
I' me nsapono a mammeta,
e chesto va pe cchello!»

 
 
 

da Masaniello a Roberto saviano passando per Gioacchino Murat...............

Post n°228 pubblicato il 27 Marzo 2009 da mustafeldur
 

Gioacchino Murat:o paladino

di Franco Celentano 

  Fonte : www.napoliontheroad.it


Gioacchino Murat successe sul trono di Napoli al cognato Giuseppe che, certamente, non si lasciava alle spalle rimpianti e simpatie. 

Usando un linguaggio calcistico, oggi di moda, si direbbe che il sanguigno Gioacchino fu prelevato dalla panchina per sostituire il titolare del ruolo, trasferito ad un club più ricco ed importante. 

 Dotato di una naturale arte scenica, giunse a Napoli bello, sfarzoso, con l'aureola dell'eroe di mille battaglie e seppe colpire la fantasia dei Napoletani i quali ignoravano che sua moglie e lui stesso avevano mirato al reame spagnolo e che, quando erano granduchi di Berg, avevano detto e scritto, con evidente disprezzo, che la corona di Napoli era ben piccola cosa per le loro teste. 

Dimostrando di aver completamente perso il senso della misura, se non della decenza!  

Gioacchino Murat, da consumato commediante, fece un ingresso trionfale in Napoli e, con mossa felicissima, per mostrare la fiducia che aveva nei nuovi sudditi, vi entrò senza scorta, accompagnato da un solo aiutante di campo. 

Il popolo fu favorevolmente colpito da questo atto accorto nonché dal suo aspetto marziale e dalla sua bella presenza. 

Un successo particolare, poi, ottenne la moglie Carolina in virtù della sua sorridente cordialità e la sua naturale grazia che fece colpo, perfino, sul severo arcidiacono Luca Samuele Cagnazzi

Il suo fare istrionico, da teatrante, era proprio quanto poteva accattivare al nuovo Sovrano la simpatia dei sudditi che, in effetti, durante gli anni del suo governare, lo accolsero sempre con evidenti prove di simpatia. 

Quando re Gioacchino passava per Via Toledo, vestito di colori vivaci, con una pelle di leopardo sul cavallo, la scimitarra al fianco tempestata di gemme, il popolo correva numeroso ad applaudirlo e più ancora osannava a lui quando egli, che aveva ben compreso questi sentimenti, approfittava di tutte le occasioni per organizzare feste popolari, per montare macchine sceniche e distribuire doni. 

Acquisì il nomignolo di “Rinaldo” in ricordi del paladino che tanti pupari cantavano nel regno da secoli. 

Il popolo era felice anche se non riusciva a comprendere il contenuto dei provvedimenti decretati dal nuovo sovrano, che aveva inaugurato una sorta di politica sociale. 

La nuova amministrazione comunale, infatti, che fu detta Decurionato”, votava pensioni per cittadini meritevoli, deliberava aiuti per qualche famiglia colpita da particolari eventi luttuosi, disponeva il conio di medaglie per celebrare avvenimenti di particolare rilievo. 

I nobili, ancorché, di tanto in tanto, avessero forti scontri con la corte, non si auguravano di tornare sotto l'antico regime giacché molti di loro avevano ottenuto cospicue cariche nel governo e nell'esercito nel quale davano prova di capacità e coraggio. 

La sola borghesia, quindi, era decisamente ostile al sovrano perché, essendo essenzialmente composta di commercianti e da bottegai, era palesemente danneggiata dalle difficili condizioni di vita che l'ostilità delle potenze a Napoleone e il conseguente blocco continentale, avevano creato per tutte le città marittime.

Questa ostilità poteva ben definirsi avversione da parte di quella fascia evoluta della borghesia che, imbevuta degli ideali propugnati dalla rivoluzione francese, era delusa per il comportamento spregiudicato e, per molti versi, retrivo di Gioacchino Murat, che si dimostrava refrattario nei riguardi delle grandi riforme da loro sognate. 

Andava, quindi, prendendo corpo l'idea che, in fin dei conti, fosse da preferirsi l'esule re che, dalla lontana Palermo, faceva giungere segreti messaggi nei quali si diceva pronto, una volta tornato sull'usurpato trono dei suoi avi, ad elargire una Costituzione adatta ai tempi moderni. 

Ostile a Murat si dimostrò sempre il clero, nonostante il comportamento conciliante del re, colpevole di non avversare l’istituto del divorzio, approvato a Parigi dall’Imperatore Napoleone. 

Sembra giusto, a questo punto, riconoscere a Re Gioacchino il merito di essersi accaparrato la simpatia dei napoletani in un momento in cui la città era travagliata dalla carestia perché stretta in una morsa dalla flotta inglese che impediva l’arrivo di qualsiasi rifornimento. 

Il popolo pativa grandi sofferenze ed era soffocato dall’l’usura poiché le grandi opere di beneficenza, create dai Borboni, non riuscivano più a adempiere la loro funzione, visto che nessuno più integrava il dovizioso patrimonio che in questi anni si era volatilizzato.

 Per alleviare tali sofferenze, re Gioacchino, non esitando a mettersi varie volte contro il governo di Parigi, e con un comportamento che ci ricorda fatti recentissimi, si diede ad aiutare i contrabbandieri che, eludendo le navi inglesi e le disposizioni di Napoleone, riuscivano a portare a Napoli quelle derrate delle quali la città aveva continuo bisogno. 

Nulla di nuovo sotto il sole! 

A causa della congiuntura estremamente negativa, i nuovi sovrani non potettero neppure tentare di gareggiare con gli antichi in quanto ad opere pubbliche per cui si limitarono ad accrescere l'illuminazione pubblica con l'aggiunta di nuovi fanali, a prosciugare, alla periferia della città le paludi che ammorbavano l'aria, a creare il primo cimitero fuori dalle mura, ad istituire il nuovo mercato coperto ed il Campo di Marte per l'esercitazione delle truppe, che in seguito divenne il terreno delle corse. 

Tracciarono, inoltre, poche vie, ma molto belle: quella di Posillipo, l'altra di Bagnoli, allargarono l'antica strada di Foria e fecero costruire il ponte della Sanità che congiungeva la collina di Capodimonte al rione di Santa Teresa ad essa prospiciente. 

La vita intellettuale della capitale non solo non si arrestò, ma progredì, anche se la cultura volse essenzialmente verso la scienza pura. 

Nell'Università, gli studi di Chimica, Meccanica, Botanica ebbero decisamente il sopravvento sulle scienze morali e sorse in quegli anni l'Istituto d'Incoraggiamento perché si indagasse sull'industria moderna che sempre più si affermava nella vita economica europea. 

Gioacchino volle che gli uomini intellettuali, frequentatori della corte, facessero anche essi parte di Accademie e istituì l'Accademia Reale sul tipo di quella di Francia, fece riaprire la Pontaniana e dette continue testimonianze di un attaccamento agli studi che, se pure non era profondamente sentito, si risolveva in aiuti materiali e morali verso i cultori di essi. 

Quest’opera, appena iniziata, fu improvvisamente interrotta dal tramonto dell’astro napoleonico. 

Invano Gioacchino Murat, troppo fidando sulla simpatia dei sudditi, tentò di opporsi al progressivo franare della fortuna del cognato e lo stesso Decurionato”, da lui voluto, si affrettò a muovere incontro agli Austriaci ed agli Inglesi quando essi si affacciarono alle porte e sul mare di Napoli. 

Due deputazioni chiesero ed ottennero salvaguardia per la città, e re Ferdinando rientrò nella capitale accolto con lo stesso entusiasmo con cui, specie dalla plebe, era stato ricevuto, anni prima, re Gioacchino

Murat, indomito, convinto di essere benvoluto dal popolo e certo del suo appoggio, tentò di riconquistare un regno che non gli apparteneva, ma, catturato, fu fucilato a Pizzo di Calabria in applicazione di una legge da lui stessa promulgata. 

Tale circostanza diede origine al “modo di dire” ancora oggi in uso Giuacchino facette ‘a legge e Giuacchino fuie mpiso”. 

Finì così, fucilato e nonmpiso (impiccato), un uomo che per Napoli aveva sempre dimostrato un grande affetto e che da Napoli aveva ricevuto prove indubbie di attaccamento. 

Anche sua moglie, la sorella dell’imperatore, si fregiò per tutta la vita del titolo di contessa di Lipona, anagramma di Napoli, dimostrando chiaramente la sua nostalgia nei confronti di una città della quale era stata regina e che le era rimasta nel cuore.  

Con lui si concluse il periodo francese e negli anni successivi Murat fu ricordato, forse immeritatamente, come un sovrano progressista tutte le volte che il Borbone si dimostrerà legato alla tradizione. 

Di questo periodo rimase ben poco: una certa influenza sulla cucina locale, qualche vocabolo francese che, debitamente storpiato, è entrato nel vocabolario corrente, come Monzù (Monsieur) e ragù (ragout). 

Poche cose, non certamente quanto sognato dal generale corso e dai suoi numerosi, presuntuosi e megalomani congiunti. 

 

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ancora oggi c'è il detto :

Giacchino facett'a legge e Giacchino murett'accise...........

Mustaf

 
 
 

da Masaniello a Roberto Saviano ( III parte )

Post n°227 pubblicato il 26 Marzo 2009 da mustafeldur
 


 


Il Sito ufficiale della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie si propone di far conoscere, nei suoi diversi aspetti storici, politici, religiosi e culturali, l'Augusta Dinastia che regnò sull'Italia Meridionale dal 1734 al 1861.

La famiglia Borbone risale in realtà al VII secolo, ma fu soltanto nel XVIII secolo che il ramo di Napoli (Due Sicilie) cominciò un'esistenza autonoma, staccandosi dal ramo dei Borbone di Spagna e di Francia.
Questo Sito vuol essere da una parte un compendio di notizie e documenti sulla storia della Dinastia borbonica, dall'altra un punto di riferimento per chiunque voglia seguire le attività odierne della Real Casa e per chiunque simpatizzi con i valori politici e religiosi incarnati dall'Augusta Famiglia e dagli Ordini Cavallereschi ad essa legati.

   

Il Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie è attualmente Sua Altezza Reale il Principe Ferdinando Duca di Castro, unico legittimo erede dell'ultimo Re delle Due Sicilie, Francesco II.

Erede è Sua Altezza Reale il Principe ereditario Carlo, Duca di Calabria.



fonte :http://www.realcasadiborbone.it

 
 
 

da Masaniello a Roberto Saviano ( II parte)

Post n°226 pubblicato il 26 Marzo 2009 da mustafeldur
 

La città di NAPOLI: Non tutto ma di tutto su questa magnifica città. I suoi monumenti , i musei, le chiese i personaggi illustri, le sue tradizioni le leggende e tanto altro ancora. Visti attraverso un profilo storico e culturale.

Eleonora Pimentel Fonseca

Il re Ferdinando IV e la regina Maria Carolina vollero che Eleonora Pimentel Fonseca fra i giustiziati del 1799 vi fossero anche due donne: la Pimentel Fonseca e la Sanfelice. Eleonora Pimentel Fonseca s'impose alla stima generale non soltanto per la sua singolare purezza di costumi, ma anche per il suo ingegno straordinario e per la sua vastissima cultura.Essa nacque a Roma il 13 gennaio 1752 dai portoghesi Clemente e Caterina Lopez. Nel 1760, si recò con la sua famiglia, a Napoli. E in questa città non tardò a sbalordire gli amici e i conoscenti per la sua eccezionale precocità intellettuale. Basti dire che, a sedici anni, essa conosceva già varie lingue, fra cui quella latina e quella greca, e componeva versi latini e italiani.La Pimentel fece parte di diverse accademie, fra le quali quella dei Filateti e dell'Arcadia. Un ammiratore della sua poesia fu Pietro Metastasio. Questi sin dall'ottobre del 1770, scrisse una lettera di lodi e d'incoraggiamento alla giovane poetessa. A venticinque anni, Eleonora sposò un ufficiale dell'esercito napoletano, tal Pasquale Tria de Solis. Da questa unione nacque un bambino che morì a due anni. Per la perdita della sua creaturina, la Pimentel scrisse cinque sonetti, in cui manifestò tutto lo strazio del suo cuore materno. Tra quei sonetti, vi è uno che, più degli altri, è singolarmente commovente. La sventurata donna dice che, spesso, mentre essa piange, vede apparire all'improvviso il suo bimbo. Allora a lei pare di tenerlo ancora vivo, vicino a sé. Ma ben presto l'illusione svanisce, determinando un nuovo e disperato dolore.

Sola fra miei pensier  sovente i' seggio
e gli occhi gravi a lagrimar m'inchino
quand'ecco in mezzo al pianto, a me vicino
improvviso apparir il figlio i' veggio.

Egli scherza, io lo guato, e in lui vagheggio
gli usati vezzi e il volto alabastrino;
ma, come certa son del suo destino,
non credo agli occhi, e palpito ed ondeggio.

Ed ora la mano stendo, or la ritiro,
e accendersi e tremar mi sento il petto,
finché il sangue agitato al cor rifugge.

La dolce visione allor se'n fugge;
e senza ch'abbia dell'error diletto,
la mia perdita vera ognor sospiro.

Vincenzo Cuoco ha giustamente scritto che, in questa donna, " la poesia formava una piccola parte delle tante cognizioni che l'adornavano ". La Pimentel, infatti, studiò matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia, astronomia, economia e diritto pubblico. Scrisse un libro di carattere finanziario, e tradusse dal latino e commentò la classica dissertazione storico-legale di Nicolò Caravita: " Niun diritto compete al Sommo Pontefice sul Regno di Napoli ". Data la sua predilezione per gli studi di economia e di diritto pubblico, approfondì soprattutto le opere di Gaetano Filangieri, di Mario Pagano, di Giuseppe Maria Galanti e di Giuseppe Palmieri. Scoppiata la rivoluzione francese, ne accolse con entusiasmo le idee. Nel tempo stesso mutò la sua opinione e il suo atteggiamento nei riguardi dei sovrani di Napoli. Sino al 1790 esaltò Ferdinando IV e Maria Carolina. Questa esaltazione ebbe inizio nel 1768; in tale anno, infatti, ella compose per le nozze dei sovrani un epitalamio dal titolo: " Il tempio della gloria ". Negli anni successivi dedicò un sonetto alla regina per il parto della seconda figlia e scrisse una cantata dal titolo: " La nascita d'Orfeo " per il parto del primo figlio maschio della coppia regale. Non mancò, infine, di comporre un sonetto, in cui fece le più alte lodi al re, per la fondazione e la legislazione della colonia di San Leucio. Tale devozione alla corte finì con l'essere premiata; il re, avendo saputo che questa poetessa era separata dal marito e viveva in ristrettezze economiche, le fece assegnare un sussidio mensile. In seguito allo scoppio della rivoluzione francese, i regnanti credettero opportuno di mutare politica, arrestando il movimento delle riforme e battendo la via della reazione. Allora la Pimentel passò all'opposizione diventando una fervente giacobina. Caduta in sospetto della polizia, venne arrestata il 5 ottobre 1798, e condotta nella prigione della Vicaria. Fu liberata verso la metà di gennaio del 1799, allorché i lazzaroni insorsero, aprendo le carceri da cui uscirono delinquenti comuni e prigionieri politici. Appena riacquistata la libertà fece parte, insieme con altri giacobini, di quel Comitato centrale, che, riunitosi in casa dell'avvocato Nicola Fasulo, decise d'indurre il generale Championnet ad affrettare la sua avanzata su Napoli, per porre fine alla sanguinosa anarchia della plebe. Il 20 gennaio, alla testa di parecchie donne, la Pimentel entrò nel castello di S. Elmo. Due giorni dopo, i patrioti piantarono, nella sottostante piazza, l'albero della libertà e, tra i colpi di cannone, dichiararono decaduta la dinastia borbonica e proclamarono la Repubblica Napoletana una e indivisibile, sotto la protezione della " grande nazione francese ". In quell'occasione, la Pimentel declamò, fra vivissimi applausi, l' " Inno alla libertà ", da lei scritto a S. Elmo. La Pimentel aveva anche il dono dell'eloquenza e partecipò varie volte ai dibattiti nella " Sala d'istruzione pubblica " parlando sempre di libertà. Ma la gloria della Pimentel Fonseca è legata alla creazione del suo famoso giornale : il " Monitore napoletano ", che si pubblicava due volte alla settimana, il martedì e il sabato. Complessivamente uscirono, dal 2 febbraio all' 8 giugno, trentacinque numeri e in ogni numero la Pimentel dimostrò di essere una grande giornalista. In questo singolare giornale, venne mirabilmente sintetizzato e commentato tutto ciò che, nel campo governativo e legislativo, ebbe luogo a Napoli durante i cinque mesi di vita della Repubblica. La Pimentel mirò soprattutto ad elevare il tono morale del popolo napoletano " viziato da tanti secoli di assurdo sistema politico e dalla recente corruzione di un governo il più profondamente corrotto di tutti i governi dispotici ". Tutto ciò che era nobile, alto ed eroico venne esaltato ed ebbe l'incondizionato appoggio della Pimentel Fonseca.
Nel maggio 1799 l'esercito francese, agli ordini del generale Macdonald, si allontanò da Napoli per recarsi nell'Italia settentrionale. I patrioti rimasero allora in balìa di se stessi. Ma, secondo la Pimentel, non bisognava disperare. Era quello il momento di " dar saggio di forza e di volontà " alla Francia e all'Europa. Negli ultimi numeri del Monitore, la Pimentel finì col rivelare il suo ardente desiderio di realizzare l'unità della Nazione con " la potenza del  braccio " della gioventù italiana. La regina Maria Carolina seguì attentamente il Monitore napoletano facendosi prestare i numeri da lady Hamilton. Caduta la Repubblica, la Pimentel venne arrestata. Stette per oltre un mese prigioniera, insieme con altri repubblicani, in una delle navi che si trovavano nel golfo di Napoli. Passò poi nelle carceri della Vicaria. Il 17 agosto la giunta di Stato la condannò a morte mediante capestro. Eleonora chiese di essere decapitata anziché impiccata, ma la giunta respinse la domanda. L'esecuzione ebbe luogo il 20 agosto alle due del pomeriggio in piazza del Mercato, gremita d'immensa folla di popolo e circondata da numerose truppe di fanteria e da due reggimenti di cavalleria. In quel giorno furono giustiziati otto condannati politici; due di essi vennero decapitati: il principe Giuliano Colonna e il duca Gennaro Serra; gli altri sei, fra cui Eleonora, il vescovo di Vico Equense Michele Natale e il sacerdote Nicola Pacifico, furono impiccati. Vincenzo Cuoco ha detto che Eleonora, prima di salire sul patibolo, bevve il caffé e pronunciò il famoso verso di Virgilio : " Forsan et haec olim meminisse juvabit ". Il Nardini, a sua volta, ha affermato che il popolo cercò invano di costringere la donna a gridare : " Viva il re ". Degli otto condannati, la Pimentel fu l'ultima e prima di porgere il collo al boia sentì il dovere di salutare i suoi compagni già morti. Il corpo della Pimentel fu sepolto nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli, ma prima della sepoltura, il cadavere venne, per una giornata intera, lasciato penzoloni, a ludibrio della plebaglia. Fu questa l'ultima ed atroce offesa recata ad una delle donne più intelligenti, più colte e più pure del 18° secolo.

...altri Personaggi Illustri napoletani : http://www.dentronapoli.it/Personaggi/Personaggi.htm

 

 
 
 

da Masaniello a Roberto saviano............

Post n°225 pubblicato il 25 Marzo 2009 da mustafeldur
 

 

 

stasera voglio iniziare un lavoro fotografico che inizia con il pescivendolo di Piazza mercato, simbolo di una ribellione popolare, proseguendo nei prossimi giorni con tutti i personaggi popolari napoletani, aspettando un qualcosa o qualcuno che possa riscattare questa nostra citta', scesa aime' ad un livello bassissimo.

questo qualcuno secondo me l'ho identificato in Roberto saviano, non tanto per la persona in se', ma per quello che ha scritto e sollevato.

anche se sono sicuro che, se avesse saputo a cosa sarebbe andato incontro, avrebbe sicuramente scritto un romanzo rosa ,anziche' Gomorra.

 

Mustaf

 
 
 

Benedict XVI : il condom non preserva dall'Aids..

Post n°224 pubblicato il 23 Marzo 2009 da mustafeldur

Non ho parole.......

perche', a sparare cazzate  si dovrebbe possedere il porto d'armi.

invece la chiesa romana cattolica, nella veste del suo massimo esponente, poco di meno che il papa in persona, si permette di sparare cazzate,

affermando che il preservativo non preserva dall'aids...............

certo, l'unico modo sicuro al cento per cento è la castita', ma con quella ovviamente finirebbe il mondo.

quindi, ragazzi, continuate ad usare il preservativo e divertitevi con cautela.......

Mustaf.

 
 
 

Si torna a casa .........

Post n°223 pubblicato il 11 Marzo 2009 da mustafeldur

La primavera sta per arrivare, ma qui tra le montagne svizzere niente sembra preannunciarlo.

Ma io ormai mi sono rotto le p.... e voglio tornare a casa.

vi annuncio quindi che il 18 si torna a casa dai miei amatissimi marmocchi ,Mattia e Christian e da mia moglie Milly.

Trovero' una sorpresa a casa, mia moglie ha adottato un cane, preso dal canile, speriamo mi faccia entrare in casa............

Ciaoooooooooo St.Moritz

 

 
 
 

lasciamoli morire......

Post n°222 pubblicato il 07 Febbraio 2009 da mustafeldur
 

vogliate scusare la mia prolungata assenza dal blog, o per lo meno il mio non inserimento di post  impegnati politicamente o socialmente.

ultimamente ho solo inserito qualche poesia per la mancanza di tempo libero e per la mancanza di internet in camera.

ora pero' l'ultima farsa del governo in carica non puo' esimermi dal commentarla.

il diritto dei malati per tutti i cittadini è sancita nella nostra costituzione, a prescindere dalla cittadinanza, dalla fede religiosa, dal colore della pelle o dal colore dei capelli.

ora vorrebbero impedire agli extracomunitari irregolari di non poter piu' fruire delle cure mediche, obbligando i dottori a denunciarli.

anche se i medici hanno gia' annunciato che faranno gli obiettori di coscienza, questi poveri disgraziati sicuramente eviteranno di farsi e di far visitare i loro figli, mettendo spesso a repentaglio la propria vita e quella dei propri cari.

mi fa rabbia, come il governo stia strumentalizzando il caso Englaro, combattendo a loro avviso a favore della vita, mentre permetteranno  che tanti bambini moriranno perche' i loro genitori non avranno il coraggio di portarli dal dottore.

in quanto al caso Englaro in verita' non mi sento di giudicare il padre, per cui non voglio esprimere un mio giudizio.

so solo che stiamo diventando uno stato xenofobo ed autoritario, che personalmente non mi piace piu'......

e penso che non piace piu' a tantissima gente........

Mustaf

 

 

 
 
 

bentrovata Miro

Post n°221 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da mustafeldur
 
Tag: poesia

26 marzo 1990

E’ arrivata la primavera

In questa casa a volte troppo triste è arrivata.

Fuori pioveva ma io vedevo il cielo azzurro.

E aveva il colore del sole, la freschezza della rugiada e il brio della gioventù.

E parlava, raccontava, rideva ed era un piacere ascoltarla 

Era semplice, così giovane ma così matura.

Avrei voluto farmi risucchiare dalla spirale e volteggiare in quell’aria magica

ma sono rimasta invece ad osservare.

Sarebbe durata un attimo la mia felicità e non è vero che un attimo è una vita.

Così come era venuta, una mattina se ne è andata e fuori piove ancora ma non c’è tristezza in me perché quell’aria magica mi aveva già“toccata” e basta quel ricordo a rendermi felice.

 Ti aspetto ancora primavera forse fra tanto tempo, per rubarti ancora un po’

della tua spensieratezza e ridere e gioire un’altra volta insieme.

Miro

 
 
 

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