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Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 03 Maggio 2008 da illustre
 

I solfiti nel vino

parte 2

I solfiti sono in realtà un composto organico, presente natura, che previene la diffusione di microbi. Infatti i solfiti sono presenti nell'uva, nelle cipolle, nell'aglio e in parecchie altre piante.

Quasi tutti gli organismi, inclusi il lievito e il corpo umano, producono solfiti, che non sono altro che uno dei prodotti naturali secondari del metabolismo degli aminoacidi.

Inoltre i solfiti agiscono a vari livelli e producono varie funzioni. Infatti, oltre a prevenire il deterioramento provocato da batteri e muffe in prodotti organici, agiscono anche da antiossidanti. per esempio, una perla tagliata a metà ed esposta al sole, assume rapidamente un colore bruno e in seguito impudrisce. Se invece viene trattata con biossido di zolfo, ossia il tipo di solfito comunemente usato nel vino, mantiene il proprio colore brillante e non marcisce. L'antica pratica di bruciare piccole quantità di zolfo all'interno di un contenitore pieno di frutta fresca prima di esporla al sole ad essicare è tuttoggi pratica comune fra gli agricoltori in varie parti del mondo

Non è noto in che modo gli antichi produttori di vino abbiano scoperto le qualità di conservazione dello zolfo, ma è tuttavia ben documentato che, fin dall'anno 100 Avanti Cristo, i produttori romani spesso bruciavano stoppini di zolfo all'interno dei loro barili per prevenire il degrado del vino.

Nel 1700 i commercianti olandesi scoprirono che solo il vino trattato con zolfo sopravviveva ai lunghi viaggi per mare senza trasformarsi in aceto, dopodichè l'uso dei solfiti per questo scopo divenne una pratica universale adottata in tutta Europa.

I produttori moderni aggiungono tipicamente solfiti in tre tempi diversi: al momento della pigiatura dopo la pigiatura, di nuovo durante l'affinamento in botte, ed infine immediatamente prima dell'imbottigliamento. Nonostante la formula usata sia sempre la stessa (metabisolfito diluito in acqua) lo scopo dell'applicazione è diverso ad ogni stadio.

L'aggiunta iniziale al momento della pigiatura tipicamente porta la concentrazione di a 50 ppm (parti per milione). Tale quantità è sufficiente a tramortire le muffe e i batteri presenti al naturale nell'uva e inoltre stimola l'azione dei delicati lieviti vinosi, dandogli così un vantaggio nei confronti di lieviti diversi e di altri organismi potenzialmente nocivi per il vino.

Dato che il primo dosaggio di solfiti viene di solito assorbito durante la fermentazione, un secondo trattamento viene fatto immediatamente prima di travasare il vino in botte per l'invecchiamento. Durante questo stadio l'azione dei solfiti previene la formazione del lievito pellicolare (che avviene alla superficie) e dei batteri acetici che trasformerebbero il vino in aceto. Non sorprende affatto che i vini prodotti senza l'aggiunta di solfiti nei due stadi sopraelencati spesso presentino un amalgama di sapori e odori inusuali e nient'affatto piacevoli.

L'aggiunta finale di solfiti avviene immediatamente prima dell'imbottigliamento e consiste tipicamente in una concentrazione di 30 ppm di bisolfito di zolfo. Col passare del tempo, l'ossigeno contenuto nella bottiglia tende a mescolarsi con i tannini e le sostanze coloranti presenti nel vino. ed infine, con la componente alcoolica deteriorando così il prodotto. Ossidandosi molto più rapidamente di questi vari componenti, si può dire che in un certo senso i solfiti si 'sacrificano' per proteggere il vino e prolungarne la vita.

Il vino, pur essendo un prodotto alimentare complesso (coltivazione, vinificazione, imbottigliamento e sottoposto a lavorazioni con uso di molte sostanze chimiche) fino ad ora ha goduto di una favorevole impunità essendo stato esente dall’elencare gli ingredienti in etichetta, come altresì imposto a tutti gli altri prodotti alimentari. La normativa che recentemente ha imposto la scritta in etichetta CONTIENE SOLFITI o equivalenti, in realtà non permette al consumatore di scegliere vini a basso contenuto di solforosa, in quanto la dicitura è imposta sia per vini che contengono 11 mg/l di SO2, che per vini che ne contengono 210 mg/l. Inoltre, fra tutti gli additivi e coadiuvanti di uso enologico, l’anidride solforosa è l’unico di cui si siano verificati gli effetti tossicologici. Pertanto è importante attuare tutti i possibili metodi atti a ridurre il suo impiego in enologia.

Ormai molti produttori hanno ridotto o eliminato l’uso di anidride solforosa nella produzione dei vini. Questo è possibile quando le uve sono sane, ma soprattutto è possibile grazie all’estrazione o all’utilizzo di antiossidanti naturali come ad esempio i tannini di rovere, i tannini ellagici estratti dalle bucce dell’uva, proantocianidine estratte dai vinaccioli e anche l’acido ascorbico, cioè la vitamina C.

 
 
 
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