Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

 

Sintesi dell'acetato di benzile

Post n°53 pubblicato il 30 Ottobre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Oggi propongo fast food, un piatto di chimica secca e veloce, niente commenti, niente divagazioni!
Ritorniamo a parlare degli esteri odorosi (non sto a ripetere cos'è un estere!), dove stavolta l'alcool è il benzilico: ho inaugurato la sua esterificazione con la sintesi dell'acetato di benzile. Seguiranno le preparazioni degli omologhi inferiore e superiore, cioè il formiato ed il propionato di benzile.
Il metodo è sempre Fischer, ma l'esterificazione di un alcool aromatico è molto più lenta e va condotta a temperatura più alta, anche se è ancora perfettamente attuabile.
Ho preso spunto da una procedura consolidata, modificandola poi nel metodo di lavaggio/estrazione ottenendo un buon prodotto e una resa migliore (al prezzo di procedura lunga e con tempi morti, ma che ho impegnato in altre cose).

 

Benzilacetato 1

Materiale occorrente:

- alcool benzilico C6H5-CH2-OH
- acido acetico CH3-COOH
- acido solforico
- refrigerante allhin
- vetreria varia

 

Benzilacetato 2- In un pallone da 250 ml introdurre 30 ml di alcool benzilico e 43 ml di acido acetico glaciale; mescolando aggiungere 1,5 ml di H2SO4 concentrato e predisporre il sistema per riscaldamento a ricadere con mantello riscaldante o con bagno ad olio o sabbia. Io uso questo sistema quando il riscaldamento va per le lunghe (ed è proprio questo caso!).
Portare ad ebollizione e tenere a lento riflusso per una decina di ore; la temperatura si assesta mediamente sui 170°, all'inizio più bassa e con maggior ebollizione, alla fine, quando l'estere si è formato in maggior quantità l'evaporazione è molto minore.
Alla fine della giornata (!) versare la miscela in 200 ml di acqua e lasciar riposare una notte.
La differenza di densità dell'acetato di benzile con l'acqua è piccola (d. 1,05) e quindi esso tende ad emulsionarsi e si separa molto lentamente.
Dopo la separazione, decantare cautamente il liquido sovrastante, aggiungere 100 ml di una soluzione satura di NaHCO3 e mescolare fino a neutralizzazione completa dell'acidità residua. Lasciar ancora separare (questa volta è un po' più veloce) e lavare bene un altro paio di volte con acqua, sempre con le pause opportune per la separazione delle fasi.
Come detto, la procedura di lavaggio è lunga ma evita di dover estrarre con solvente (CCl4 o etere) e poi separare a sua volta l'estere dal solvente.
Col mio sistema si usa solo acqua e si lava perfettamente senza perdite.
Alla fine separare dall'ultima acqua con imbuto separatore e seccare con 5 g di CaCl2.
Si deve ottenere un liquido perfettamente limpido (se è leggermente lattiginoso contiene ancora umidità).
Distillare il prodotto (circa 50 ml) raccogliendo tra 212 e 218°, ottenendo 28 ml di benzile acetato puro (resa 67%).

 

Benzilacetato 3

 

Il residuo della distillazione è più altobollente e leggermente giallino ed ha quasi identico profumo.

D. 1,05 - P.e. 213-215°- Liquido limpido incoloro con forte odore aromatico, è un costituente dell'essenza di gelsomino ed ha nota fruttata come di lampone, anche se le sensazioni odorose come ben sappiamo sono fortemente soggettive; è anche naturalmente sbagliato associare il profumo, per esempio di un fiore o di un frutto (prodotto dalla mescolanza di decine di composti diversi), a quello di una sostanza singola di sintesi.

 
 
 

Una sensibilissima reazione

Post n°52 pubblicato il 27 Ottobre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Fra i molti metodi di ricerca analitica del rame c'è una curiosa e tanto sensibile procedura, che perfino il Treadwell (la Bibbia della chimica analitica classica) afferma: "...è questa una reazione troppo sensibile per le normali ricerche analitiche"!

Di cosa si tratta? L'ho recentemente risperimentata e val la pena di raccontarla.
Il metodo si basa sul fatto che lo ione ferrico Fe(III) reagisce con il sodio tiosolfato Na2S2O3 generando una colorazione violetta che sparisce al termine della reazione di riduzione per la formazione di ione tetrationato incoloro; complessivamente la reazione è la seguente:

2 Fe+++ + 2 S2O3-- --> 2 Fe++ + S4O6--

Il trucco è che il rame, anche se presente in tracce minime, accelera enormemente questa reazione per effetto catalitico.

Se si opera in presenza di ione tiocianato -CNS si ottengono due vantaggi:

- si riconosce nettamente la fine della reazione dalla scomparsa della colorazione rossa del tiocianato ferrico Fe(CNS)3
- si rende molto lenta la reazione in assenza di rame perchè il tiocianato ferrico è pochissimo dissociato e la concentrazione di ioni ferrici in soluzione è piccolissima e pertanto la riduzione da Fe(III) a Fe(II) è molto lenta.

Dopo questa doverosa introduzione, indispensabile per capire tutto l'interessante meccanismo, vediamo la fase operativa:

Oggi lo chef va a preparare due soluzioni:

- 0,1 g di sodio tiosolfato Na2S2O3  in 10 ml di acqua distillata
- in altrettanti 10 ml di acqua sciogliere 0,15 g di cloruro ferrico FeCl3.6H2O e 0,2 g di ammonio tiocianato NH4CNS

La seconda soluzione assume ovviamente una intensissima colorazione rossa (appare quasi nera data l'intensità cromatica elevatissima del tiocianato ferrico).

Esecuzione del test:

- Porre in due incavi di una piastrina di porcellana una goccia della soluzione in esame contenente rame e una goccia d'acqua distillata.

- A ciascuna delle due gocce si aggiunge una goccia della sol. di tiocianato ferrico e due-tre goccie della sol. di tiosolfato, mescolando immediatamente con due bacchettine di vetro (non la stessa!).

- In assenza di rame (prova in bianco) si ha decolorazione dopo 1-2 minuti, in presenza di rame la decolorazione è immediata.

Ho voluto vedere dove arriva la sensibilità, preparando per diluizioni successive una soluzione di solfato di rame contenente alla fine 5 ppm (!!) di Cu++ .
Poi non ho più diluito, altrimenti rimaneva solo acqua...

 

Sensibilissima



L'unica fotografia (eseguita in una pessima e scura giornata) lascia all'immaginazione risultato: comunque nei pozzetti di destra c'è la prova in bianco, a sinistra quelli contenenti la traccia di rame, il tutto fotografato dopo una decina di secondi; la decolorazione dove c'erano tracce di Cu è avvenuta quasi istantaneamente.
(Non si vede, ma credetemi sulla parola...).
L'effetto catalitico è dato, oltre che dal rame, anche dall'arsenico, che in questa occasione non ho provato.

 

 
 
 

La reazione di Feigl

Post n°51 pubblicato il 24 Ottobre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Chimico austriaco ebreo, riuscito durante le persecuzioni naziste a rifugiarsi in Brasile, Fritz Feigl è considerato il padre delle "analisi al tocco", ovvero di quelle semplici procedure analitiche svolte senza bisogno di sofisticate apparecchiature ma solo di una piastrina di porcellana (o addirittura carta) e di qualche opportuno reattivo.
Sviluppò questi metodi (più per necessità che per virtù) nelle miniere delle giungle amazzoniche, per i test dei minerali di cui è sempre stato ricco il suo grande paese di adozione sudamericano.
La "reazione di Feigl" più nota è quella per la rivelazione dello ione periodato IO4- , ed è una reazione specifica molto sensibile.

Avendo preparato il periodato di potassio KIO4 (della cui sintesi parlerò prossimamente), ho voluto verificare questo test, per ora solo qualitativamente e senza provarne la sensibilità; nella fotografia finale si può vedere il risultato.

Il periodato (pot.redox +1,60) riesce a ossidare il solfato manganoso a permanganato (pot.redox +1,50), con

conseguente colorazione viola intensa caratteristica.

2 Mn++ + 5 IO4- + 3 H2O -> 2MnO4- + 5 IO3- + 6 H+

Naturalmente il saggio può avvenire anche all'opposto, per rivelare tracce di manganese per mezzo del periodato, come probabilmente avveniva in Amazzonia.

Si opera in questo modo:

-mettere in una capsulina un microscopico cristallino di KIO4 (o la sostanza contenente periodati), aggiungere una piccolissima puntina di spatola di solfato di manganese MnSO4 e qualche goccia di acido fosforico H3PO4; riscaldare cautamente, mescolando con una bacchettina di vetro: apparirà una evidentissima colorazione viola/azzurrastra.
La fotografia si commenta da sola; il prof. Fritz assicurava una sensibilità di 1:50000 per questo interessante e semplice test, che ho verificato per diluizioni successive e con l'uso della piastrina di ceramica a pozzetti.

 

Feigl

 
 
 

Curiositą superchimiche

Post n°50 pubblicato il 18 Ottobre 2010 da paoloalbert

Navigando nel gran mare della Rete ci si imbatte talvolta in informazioni curiose ed interessanti; succede di solito quando si cerca tutt'altro e andando ad aprire pagine dopo pagine come scatole cinesi, vengono a galla notizie insospettate.

Eccone una che ho scovato facilmente e che val la pena di essere riportata; la chiamo Curiosità superchimica perchè coinvolge elementi e sostanze talmente "esotiche" da originare una chimica di nicchia estrema.
Anche se la riassumo in maniera del tutto semplicistica, chi ha sufficiente confidenza con la tavola periodica saprà apprezzare i composti che vado a citare.
Chi invece non ha questa confidenza faccia finta di niente. (Anzi, non sarà di certo arrivato a leggere fin qui...). 

Ecco la storiella:

- come niente fosse, abbiamo un paio di transuranici da separare: l'Americio dal Curio... (sì, partiamo alla grande!) Come fare?

- semplice, basta ossidare L'Americio (III) ad Americio (IV) con Perxenato (!) di sodio (Na4XeO6) in sol. acida in presenza di Lantanio (III), eccetera, eccetera...

- bene, ma il Perxenato di sodio come lo facciamo, che lo Xeno è un gas nobile?

- forse non è tanto nobile, perchè anche lo Xeno si sposa col terribile Fluoro, e il loro figlio è il --> Tetrafluoruro di xeno (XeF4)!

- ora se idrolizziamo lo XeF4, si formano cristalli di --> Triossido di xeno XeO3 (VI), sostanza come se non bastasse assai tosta...

- e poi? Idrolizzando pure lo XeO3 si genera --> l'Acido xenico H2XeO4, e se la soluzione è alcalina per esempio per NaOH si formeranno ovviamente xenati... precisamente --> Na2XeO4 e NaXeO4 (VI e VII)

- ma non è finita: in soluzione gli xenati non sono stabili e disproporzionano in perxenati (VIII), xeno e ossigeno

- siamo al traguardo: ecco il --> Perxenato di sodio Na4XeO6, che ci permette finalmente di separare l'Americio dal Curio, c.v.d.!!!

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Morale: se le formulette sono da prima liceo, gli elementi e i loro composti sono o non sono da... Superchimica?

 
 
 

Il Vetriolo di Cipro

Post n°49 pubblicato il 14 Ottobre 2010 da paoloalbert

Come annunciato, ecco un saggio del contenuto del libro dell'Ambrosioni, nel quale si parla del solfato di rame, del modo e dei pochi luoghi di produzione.
Riporto esattamente come scritto; si noti fra le altre curiosità lessicali l'antico uso di usare la lettera "j" per quelle parole che al singolare terminano in -io atono (es. "vario", pl. "varj").

Ecco il testo originale:

-"Anche questo Sale porta in commercio varj nomi, i quali sono: Coparosa, Pietra, o Vetriolo Turchino, Vetriolo di Cipro, di Rame, o di Venere.
Esso esiste ordinariamente nella natura disciolto nelle acque che colano a traverso le gallerie delle miniere di solfuro di rame; si citano molti ruscelli formati senza dubbio in parte da queste acque, che ne contengono tanto in soluzione, che le impiegano utilmente facendole evaporare per ricavare non solo il Vetriolo bleù quivi disciolto, ma altresì per ottenere il rame in istato metallico per mezzo del ferro.
In altri paesi si tosta il solfuro di rame in un fornello a riverbero, per farlo passare allo stato di solfato; si liscivia la massa, si fa evaporare il liquore, e si ottiene col raffreddamento, e cristallizzazione il sale.
Questo è il metodo che si usa a Marienberg; in Francia si ottiene coll'altro seguente metodo.
Si spolverizzano di solfo le lamine prima ammollate per rendervi aderente questo corpo combustibile; si pongono in un forno scaldato fino a rosso ove si lasciano per qualche tempo, e si immergono ancor calde nell'acqua; si spolverizzano dappoi nuovamente col solfo, ma in minor quantità, si rimettono nel forno e così di seguito, sino a tanto che il rame sia tutto passato allo stato di solfato, che si discioglie nell'acqua, e si fa cristallizzare.
Il Vetriolo di Cipro del commercio è cristallizzato in prismi irregolari, di un volume piuttosto rilevante, trasparente, di un bel color turchino; non ha odore, ma un sapore stitichissimo, solubile a freddo in quattro volte il suo peso di acqua, leggermente efflorescente all'aria.
Il solfato di rame è adoperato in medicina, e nella veterinaria come un leggiere escarotico, entra nella composizione di varj colori; e si adopera col medesimo il verde di Scheele ed il Biadetto.
La sua vendita è libera."-

 

 
 
 

Un libro prezioso

Post n°48 pubblicato il 13 Ottobre 2010 da paoloalbert

Sicuramente uno dei libri più preziosi che ho nella mia piccola biblioteca è un manuale indue volumi di non grande formato ma di circa 300 pagine l'uno: l'autore è il sig. Felice Ambrosioni, il titolo è "Manuale per i Droghieri" ed è edito in Pavia nel 1823.

La consistenza e l'odore della cellulosa, le macchie marroni proprio sul titolo, il delizioso color giallino della carta, tutto esprime il lungo tempo passato e l'uso intenso che una volta si faceva dei libri, oggetti troppo preziosi per non essere sfogliati e risfogliati più volte, consultati, letti insomma come ogni libro serio impone!

Altrettanto interessante è il contenuto, che spazia fra quella miriade di sostanze, o meglio "droghe" come si diceva allora (e si pronunciava questo nome senza tema di citare un vocabolo ora scomodo e troppo significativo in altro ambito); droghe vegetali e minerali, artificiali e naturali, tutte accomunate da un'utilità spiccia e immediata nei bisogni di una società non ancora avvezza ai prodotti dell'industria e di una medicina scientifica ancora agli inizi.
Ecco per esempio il paragrafo dedicato all'Elemento n. 33:

 

Ambrosioni As

 

Ho trovato sulla rivista Caleidoscopio Letterario, trattando della Chimica Clinica Italiana dell'Ottocento, una ottima biografia del nostro Ambrosioni, che brevemente riassumo.

E' vissuto a Pavia dal 1790 al 1843, dedicandosi agli studi chimico-farmaceutici e raggiungendo tale competenza da esser chiamato a ricoprire la carica di capo speziale all'Ospedale S.Matteo.
La sua prima e più famosa opera è proprio il "Manuale per i droghieri", in cui dimostra estese conoscenze scientifiche e storiche, oltre a notevoli doti di divulgatore, come effettivamente ho verificato.
Anche lui (come i più noti Paolo Gorini e Girolamo Segato) si è occupato della ricerca allora di moda sulla conservazione e mummificazione dei corpi, compiendo perfino un viaggio in Egitto per lo studio delle mummie.
In seguito si è applicato a notevoli ricerche sullo studio dello zucchero nel sangue dei diabetici, tanto che i suoi lavori possono essere inseriti nelle tappe fondamentali della storia del diabete.

Fu insomma un oggi quasi dimenticato farmacista, che però ha avuto un ruolo importante nelle ricerche di chimica applicate alla medicina e la cui figura di ricercatore è stata in qualche modo giustamente rivalutata.

Ecco l'incipit della prefazione del Manuale, col bel lessico alto-ottocentesco dello stesso Ambrosioni:

- Spirata col lasso degli anni la celebrità del Dizionario delle Droghe del Lemery... restò a quei Droghieri che amano di conoscere la patria, la provenienza e la natura delle sostanze ch'essi maneggiano, un vuoto a cui supplire...

Inutile dire che per gli appassionati di queste cose è un libro che si legge volentieri, centellinando ogni articolo dedicato ad una sostanza come un buon vino da meditazione.
La prossima volta metterò un saggio pratico: parlerò, anzi parlerà l'Ambrosioni, del solfato di rame... pardon, che dico mai, siamo nel 1823: del --> Vetriolo di Cipro!

 

 
 
 

Cinnamato di benzile: una sintesi da dimenticare

Post n°47 pubblicato il 09 Ottobre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Se è vero che non tutte le ciambelle riescono col buco, altrettanto si può dire che non tutte le sintesi... riescono!
Se prima di giocare con i reagenti si son fatti bene tutti i conti (intendo: ci si è ben documentati su quello che si va a fare) questo fatto increscioso succede raramente, ma purtroppo qualche volta succede, e anch'esso va debitamente documentato.
La tentata (anzi, fallita...) sintesi di cui vado a parlare è una di queste.
Ho voluto comunque provare, in verità con non molte speranze già in partenza data la scarsissima bibliografia di appoggio, ad esterificare secondo Fischer l'acido cinnamico con l'alcool benzilico, solo un po' confortato dal classico Villavecchia Eigenmann, che dava come metodo possibile l'esterificazione diretta.

Benzilcinnamato 1Ho cercato di fare tutto come si deve (grande eccesso di uno dei componenti, temperatura controllata, tempo ab abundantiam, ecc.), ottenendo però alla fine, dopo l'estrazione con etere, un prodotto resinoso marroncino, estremamente appicicaticcio e fastidioso, di odore balsamico ma nemmeno lontanamente cristallizzabile e men che meno degno di prendere il nome di cinnamato di benzile.
Inutile pensarci tanto: --> via tutto in discarica!
Morale: oltre alla mezza giornata sprecata, acetone a non finire e solventi di ogni tipo per tentare di lavare la vetreria: una rogna così non mi è mai capitata per eliminare i tenacissimi residui da ogni oggetto con cui il terribile prodotto era stato in contatto!
Inoltre grammi di preziosi acido cinnamico e alcool benzilico buttati alle ortiche.

Resta di positivo sicuramente un po' di esperienza in più e la conferma che il benzilcinnamato ha odore balsamico, pesante e dolciastro e non certo fruttato come era stato erroneamente suggerito e che volevo andar a verificare.

Benzilcinnamato 2


Qualcuno vuole tentare questa sintesi per altra via, meno diretta ma più sicura?
So che i possibili candidati non saranno moltissimi (...!), ma lancio comunque questa sfida verso "l'ignoto"...

 

 
 
 

Sintesi del Cinnamato di metile

Post n°46 pubblicato il 04 Ottobre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

L'altra volta abbiamo preparato l'acido cinnamico: che ce ne facciamo? Andiamo subito a sacrificarne un po' per una nobile causa!

La sintesi di oggi è dedicata agli appassionati (come il sottoscritto) degli esteri odorosi, e produrrà un buon composto, un estere proprio da non perdere!
L'acido cinnamico si esterifica (vuol dire che si combina con gli alcoli) senza problemi e con ottima resa se gli alcoli stessi sono il metilico o l'etilico; la procedura che segue lo dimostra e non è difficile, portando ad un prodotto puro, o almeno di purezza perfettamente adeguata ai nostri scopi.

Materiale occorrente:
- acido cinnamico
- metanolo
- H2SO4
- etere
- allhin e vetreria opporuna
- piastra riscaldante

Metilcinnamato 1

 

- In un palloncino da 100 ml introdurre 12 g di acido cinnamico e 33 ml di metanolo; aggiungere lentamente agitando 1,5 ml di H2SO4 conc.- Predisporre per il riscaldamento a ricadere con il sistema più opportuno (io uso il bagno a sabbia) e mantenere a lento riflusso per cinque ore.
Il liquido leggermente giallino bolle tranquillamente a temp. sotto i 100° - Trascorso il tempo, togliere l'allhin e continuare il riscaldamento per un po', fino ad eliminare quasi del tutto il metanolo in eccesso non reagito. Raffreddare e versare il residuo (circa 20 ml) in 100 ml di acqua, aggiungere 60 ml di etere e mescolare; il cinnamato si scioglie facilmente nell'etere e si separa con facilità per mezzo di un imbuto separatore. Scartare la parte acquosa pesante e lavare perfettamente la fase organica prima con acqua e bicarbonato e poi con acqua pura, separando ogni volta.
Essicare con CaCl2 o altro disidratante fino ad ottenere una soluzione limpida (leggermente giallina).
Mettere in un cristallizzatore e lasciar evaporare una notte l'etere.

Metilcinnamato 2Si ottiene il cinnamato di metile sotto forma di una massa cristallina raggiata, di colore giallino molto chiaro, facilmente fusibile (32-36°).

Un cristallino fonde immediatamente se preso fra le dita, lasciando un persistente delizioso profumo che definirei balsamico fruttato, difficile da descrivere e immaginare (è sempre molto soggettivo); ricorda le note di fragola e basilico o di qualche frutto esotico che non so definire.


Curiosità: dopo aver sentito il profumo dell'estere durante la sintesi ed averne ormai ben memorizzato l'olezzo, l'ho individuato chiaramente fra i componenti della profumazione di uno shampoo che ho trovato recentemente... tutto sommato ne basta una traccia per sentirlo!

Metilcinnamato 3

 
 
 

Argento puro dalle sue leghe

Post n°45 pubblicato il 29 Settembre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

In un laboratorio chimico, anche a livello hobbistico come il mio, il nitrato d'argento AgNO3 è uno dei reagenti fondamentali che non può mancare (ed infatti non manca!) anche se ne è abbastanza costoso l'acquisto; in caso di necessità è possibile prepararselo da soli con un facile procedimento elettrochimico, avendo a disposizione un oggetto commerciale "d'argento", ovvero una lega di argento e rame.
Per questo esperimento ho sacrificato con dolore alla scienza una vecchia moneta d'argento da 500 lire (le famose "Caravelle"...) ed ho provato a vedere quanto argento puro riuscivo a tirar fuori dai sui undici grammi di peso "lordo". Il titolo ufficiale in argento di queste monete è di 835 millesimi, vale a dire che in 11 g di moneta dovrebbero esserci 9,18 g di argento e 1,82 g di rame (non considerando le altre minime impurezze).

La procedura seguente vale per qualsiasi altro rottame d'argento o comunque cose meno nobili della bellissima moneta testimone del boom economico italiano; naturalmente il valore affettivo dell'oggetto non dovrà superare quello venale del vil metallo che si andrà ad estrarre...

Ecco come ho proceduto, punto per punto:

- Pesare l'oggetto, nel mio caso 11 g

- Metterlo in un becker con 10 ml di acqua e aggiungere 20 ml di acido nitrico (HNO3) concentrato

- Scaldare un po' per avviare la reazione, dopo di chè essa procede vigorosamente da sola, con abbondante svolgimento di ossidi d'azoto (NO2)

- A dissoluzione avvenuta (il liquido diventa azzurro) diluire portando a 50 ml con acqua

- Neutralizzare con precisione l'eccesso di acido con la quantità quasi strettamente necessaria di sodio bicarbonato (NaHCO3), mescolando bene ad ogni piccola aggiunta fino a svolgimento completo della CO2

- Non arrivare a pH alcalino (altrimenti i due metalli precipitano come ossido e carbonato) ma tenerlo appena acido, la soluzione deve sempre essere azzurra e limpida

- Porre la soluzione dei nitrati AgNO3/Cu(NO3)2 in un cilindro graduato da 50 ml (un recipiente alto e stretto facilita le cose)

- Pesare una laminetta di rame lunga e stretta e ben pulita con HNO3 diluito e poi risciacquata (nel mio caso 12,1 g) ed immergerla nel cilindro, appendendola al bordo superiore del cilindro stesso

- Si nota immediatamente una copiosa "nevicata" di argento metallico che si stacca dal rame e precipita sul fondo del cilindro (potenziale elettrochimico del rame +0,34 V, quello dell'argento +0,80 V)

- Ogni tanto dare una mescolata, lasciar decantare e riimmergere la laminetta fino a precipitazione completa (occorrono solo un paio d'ore, l'operazione è veloce)

- Sincerarsi che alla fine il liquido non contenga più ioni argento ma solo rame (fare un test con HCl, non deve precipitare l'AgCl)

- Filtrare il precipitato grigio metallico e lavarlo abbondantemente con acqua fino a scomparsa totale del rame

- Lasciar asciugare bene all'aria la polvere metallica, pesarla e riporla poi ben chiusa al riparo dall'aria; la quantità di Ag ottenuta è stata nel mio caso di 8,9 g

Ecco anche un po' di stechiometria (ometto i calcoli perchè sono banali):

3 Ag + 4 HNO3 --> 3 AgNO3 + NO +2 H2O

2 AgNO3 + Cu --> 2 Ag + Cu(NO3)2 

Partendo da 11 g ed ottenendo 8,9 g di Ag, la % di questo metallo nella moneta è stata pari al 81%, il resto della lega è rame o poche altre impurezze che non ci interessano.
Volendo fare una verifica ho pesato anche la laminetta di rame dopo l'esperimento, che è stata nel mio caso di 9,5 g, pari a 2,6 g di rame consumato, che coincide (fatti salvi gli arrotondamenti) sia con il calcolo teorico sia accettabilmente anche con il titolo della lega.
La foto mostra la polverina d'argento ottenuta, ora finalmente libera dall'abbraccio del rame.

 

Argento


Dall'argento metallico sarà poi facile ottenere il nitrato (AgNO3, e da questo tutti gli altri eventuali sali) e così il discorso si riaggancia a quanto si diceva all'inizio!

 

 
 
 

Giochino matematico con le leghe bimetalliche

Post n°44 pubblicato il 27 Settembre 2010 da paoloalbert

Niente reazioni chimiche stavolta. Ho trovato (attenzione, trovato, non inventato...) un ingegnoso sistema, fisico-matematico, per riuscire a conoscere la composizione di una lega di due metalli (noti) ma di ignota percentuale relativa.

Ecco come fare:

a- Se ne pesa esattamente un frammento non tanto piccolo (approssimazione almeno 0,1 g)

b- Se ne trova l'esatto volume per immersione in acqua (approssimazione almeno 0,1 ml)

Inutile dire che la precisione nei risultati dipende essenzialmente da questa misura, da eseguirsi con l'aiuto di una buona buretta graduata.
La densità dei due metalli puri si conosce con le opportune tabelle.

Si pongono allora in definitiva i seguenti dati:

x = peso primo metallo in g
y = peso secondo metallo in g
d1 = densità primo metallo in g/ml
d2 = densità secondo metallo in g/ml
P = peso totale NOTO in g
V = volume totale NOTO in ml

Si fa ora questo semplice sistema matematico:

{x + y = P
{
{x/d1 + y/d2 = V

risolto il quale in x e y si hanno i pesi e quindi le % relative dei due metalli!

Capito niente? Nessun problema, facciamo un esempio pratico.

Proviamo con una targhetta in ottone (sappiamo che è fatta di rame + zinco); ma quanto rame e quanto zinco?

Peso = 34,8 g
Volume = 4,1 ml
densità del rame = 8,96
densità dello zinco = 7,14

{x + y = 34,8
{
{y/8,96 + y/7,14 = 4,1

risolvendo si trova: x = 27,2 g e y = 7,6 g

In 34,55 g ci sono quindi 27,2 g di rame e 7,6 g di zinco; da cui, con una semplice proporzione Cu = 78,2 % e Zn 21,8 %

Adesso sembra semplice, vero? (E se la lega fosse ternaria?
Ai matematici l'ardua sentenza
)

 
 
 

Sintesi dell'Acido cinnamico

Post n°43 pubblicato il 23 Settembre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Nel 1868 William Henry Perkin scoprì una reazione delle aldeidi aromatiche che è preziosa per la sintesi degli acidi a,ß-insaturi: se si fa condensare una aldeide aromatica con l'anidride di un acido alifatico e col sale alcalino dello stesso acido, si ottiene appunto un acido insaturo, e questa reazione ha preso il nome dal grande chimico inglese, suo scopritore.
Per chi volesse sapere (ma esisterà un volontario così coraggioso...?) cosè un acido insaturo o una aldeide aromatica o altre amenità del genere, basta consultare Google...
Tralasciando in questa sede prettamente operativa meccanismi e considerazioni teoriche, la reazione globale per l'acido cinnamico è la seguente:

Cinnamico 1

 

Ecco quanto occorre per la sintesi abbastanza laboriosa di questo interessante acido, la cui corrispondente aldeide (aldeide cinnamica C6H5-CH=CH-CHO) costituisce il componente principale dell'aroma della cannella:

- aldeide benzoica
- anidride acetica
- potassio acetato anidro
- vetreria opportuna

Prima della sintesi vera e propria va preparato l'acetato di potassio anidro, riscaldando a 150° in forno il sale normale triidrato. Esso prima fonde nella sua acqua di cristallizzazione e poi lentamente anidrifica; lasciarlo in forno almeno tre ore e poi velocemente polverizzarlo ancora caldo in un mortaio e conservarlo ermeticamente chiuso.
Questo sale è estremamente igroscopico e si inumidisce in pochi secondi: fare la pesata necessaria alla sintesi e l'aggiunta operando alla massima velocità possibile.

 

Cinnamico 2- In un pallone da 250 ml con refrigerante a ricadere e tappo a CaCl2 si introducono 42 ml di benzaldeide, 50 ml di anidride acetica e 21 g di potassio acetato anidro.
Si agita vigorosamente e si riscalda la miscela in bagno d'olio o di sabbia a 170-180° per quattro ore, ogni tanto agitando. Alla mix ancora calda (80-100°) sotto energica agitazione si aggiunde del Na2CO3 solido fino a svluppo di parte della CO2 e poi si versa la miscela in 300 ml di acqua, si riscalda e si tiene a leggera ebollizione.



Cinnamico 3Continuare ad aggiungere Na2CO3 (non ho pesato, ma ce ne vuole una buona quantità) agitando vigorosamente fino a raggiungere pH 8. 

Si separa del solido ed anche a pH alcalino rimarrà insolubile una parte gialla leggera resinosa galleggiante, da eliminare pazientemente per decantazione o pipettando il liquido, sempre quasi all'ebollizione. La resa ne risente, ma si evita la decolorazione con carbone animale ed il prodotto finale è quasi bianco e puro. Inutile filtrare in questa fase perchè per raffreddamento si intasano immediatamente filtro e imbuto.

 

Cinnamico 4

Si deve ottenere (a caldo, eventualmente aggiungere acqua fino ad un volume totale di circa 500 ml) un liquido limpido solo leggermente giallino. 
La leggera e continua ebollizione in recipiente aperto durante tutte le operazioni contribuisce a far evaporare in corrente di vapore la benzaldeide non reagita.
Si aggiunge a questo punto lentamente acido cloridrico al 25% fino a fino a scomparsa dell'evoluzione di CO2 e decisa acidificazione del liquido.

Ad ogni aggiunta precipita l'acido cinnamico, bianco appena giallino. Si raffredda (meglio in ghiaccio) e si filtra, lavando molto bene con la necessaria acqua fredda. In queste condizioni l'acido cinnamico per essendo leggero è facilissimo da filtrare, anche per gravità, e non è indispensabile il buchner (forse è la sostanza più facilmente filtrabile che ho mai trovato).
Si può ricristallizzare da una mix 1:1 acq./etanolo. p.f. 133°- Solubilità a 25° 1/2000 in acq., 1/6 etanolo.
La mia resa è stata di 20 g di acido cinnamico (59%, in linea con la bibliografia), sotto forma di leggerissimi cristallini, di odore molto leggero ma buono e aromatico che diluito ricorda vagamente la cinnamaldeide.
Quando asciutto è appena appena giallino, e considerato che non è stato decolorato con carbone animale (come da normale procedura) ritengo che la sua purezza sia perfettamente accettabile per i nostri usi.

Ecco quì sotto l'acido cinnamico che si sta tranquillamente asciugando al sole.


Cinnamico 5

 
 
 

Un grazie al Prof. Gustaf Komppa

Post n°42 pubblicato il 03 Settembre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Leggendo l'interessante volume "Molecules that changed the World" di Nicolau-Montagnon, si trova ad un certo punto la storia della sintesi della canfora, effettuata dal finlandese Gustaf Komppa nel 1903.

(Faccio un inciso: quando mi imbatto nelle sintesi delle sostanze naturali eseguite nel periodo storico fine ottocento-metà novecento le trovo sempre di un ingegno che mi sbalordisce. Un solo esempio per tutte: quella della stricnina di Woodward del 1954 rasenta secondo me una delle genialità assolute dell'arte e della fantasia... ma gli esempi sono numerosissimi e uno più sconvolgente dell'altro).

A pag. 47 del libro si vede il prof. Komppa in classe, ormai famoso e ben compiaciuto, con accanto alcuni semplici strumenti, fra cui un bel portaprovette in legno, di quelli che si usavano una volta.
Perchè non farne uno simile, mi son detto, e buttare finalmente alle ortiche quell'indegno oggetto di moderna plastica che ho usato fino adesso?
Ho preso spunto da quello del buon prof. Gustaf e ne ho fatto uno simile (non uguale), di buon legno lavorato a mano e similmente verniciato.
Komppa 1Finalmente un portaprovette degno del nome, che sta bello dritto e stabile, non ha il tramezzo centrale sempre incurvato, non si offende se si trova ad una spanna dal bunsen ed ha una linea old style come piace a me.

Ci stanno sedici provette (anche troppe!) di quelle grandi e buone, da 180x18 della Schott-Duran, in due file da otto, una fila bassa davanti ed una alta dietro, di una comodità estrema, come il sedile di una vecchia carrozza.

Komppa 2

Per le foto ho messo qualche provetta con in ciascuna un liquido colorato per fare un po' di scena, come si usa per i liquidi "di chimica" (nei film in cui appare un laboratorio di chimica c'è sempre il pallone viola col permanganato, quello giallo col cromato e quello azzurro col solfato di rame...).


Grazie esimio prof. Komppa per la sua sintesi dell'acido canforico e, molto molto umilmente, a cent'anni e passa di distanza, per il mio nuovo portaprovette che ho fatto in suo onore.

 

 
 
 

Preparazione del Fluoruro di neodimio

Post n°41 pubblicato il 26 Agosto 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Buttare un vecchio Hard-disk? Non sia mai! Ci sono dentro delle piccole ma potentissime calamite che per essere così potenti sono al ferro-boro-neodimio: non potrebbero essere quindi per un chimico sperimentale una perfetta miniera d'oro... pardon, di neodimio?
Detto fatto: l'hard disk defunto è pregato di passare prima in officina demolizioni... dove, opportunamente operato potrà fornire i due consueti magnetini reniformi, ognuno con suo bel campo magnetico tanto intenso che sembrerà di vederne uscire le linee di flusso!

Il più difficile (per far le cose per bene) sarà spelare meccanicamente la copertura (cromo? nichel?) che lo ricopre, in modo da aver poi meno porcherie possibili nel bagno di attacco chimico.
Con MOLTA pazienza e con un minitronchesino affilato ci si riesce.
Quandi si ha finalmente in mano il paziente... nudo, lo si trasferisce immediatamente dal reparto "meccanica" al reparto "chimica", dove la sua anima magnetica sarà destinata inesorabilmente a svanire, lasciandoci però in gratuita eredità un bel sale esotico.

Neodimio 1Ora entro nel merito in maniera concreta: la lega al ferro-boro-neodimio di composizione indefinita di cui sono fatti questi magneti si scioglie velocemente e perfettamente in HCl a media concentrazione e non in forte eccesso, con vigoroso sviluppo di idrogeno. Diluendo un po' la soluzione e portando all'ebollizione si separa un abbondante precipitato grigiastro, che va eliminato per filtrazione; non ne ho verificato la composizione, essendo il cloruro di neodimio NdCl3 formatosi sicuramente solubile.Neodimio 2

Ho ripetuto un paio di volte l'operazione fino ad ottenere una soluzione perefttamente limpida (di colore vagamente violetto pallido) e solo leggermente acida.
Sulla soluzione ho provato la precipitazione a caldo con H2SO4 (il solfato di neodimio è più solubile a freddo che a caldo) ma l'operazione non mi ha convinto: riscaldando si ottiene comunque un precipitato (bianco/grigiastro) che però per diluizioni opportune non rispecchia la solubilità del solfato di neodimio alle varie temperature: morale, non ero sicuro che si trattasse di Nd solfato puro, ed ho tenuto quindi la soluzione per la successiva sicura precipitazione con acido fluoridrico.

Neodimio 3Essendo il fluoruro di neodimio l'unico fluoruro sicuramente insolubile dei metalli della lega di partenza, si è certi della separazione di questo metallo dagli altri.
Ho trattato la soluzione con un lieve eccesso di H2F2 al 15%, ottenendo un bel precipitato bianco rosato di NdF3, che pur essendo gelatinoso è molto pesante e si separa velocemente sul fondo del becker ed è molto facile da filtrare. Una volta lavato bene e seccato a 90°, si presenta come una polvere sottile di colore leggermente rosa (di tonalità simile ai sali manganosi, ma più intensa) come del resto conferma la letteratura.

 

 Neodimio 4

 

Partendo da un magnete di 6 g, dopo tutti i passaggi, i lavaggi e le inevitabili perdite, ho ottenuto alla fine 1,7 g di NdF3, che ritengo adeguatamente puro per lo scopo di questo lavoro di ludica curiosità sperimentale.

E il fiorellino si era messo proprio lì dove di solito faccio le fotografie, forse per smentire con poesia coloro che tentano (purtroppo con successo) perfino di rendere arida questa scienza meravigliosa.

 

 
 
 

Sintesi della Cuproftalocianina

Post n°40 pubblicato il 12 Agosto 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Un pigmento usato per la sua elevatissima stabilità (resiste agli acidi, alle basi, ai solventi, alla luce... a tutto!), non tossico, non inquinante, con in sovrappiù una gran bella molecola da vedere, è la Cuproftalocianina.
Ho provato la sua sintesi con una procedura che avevo in archivio e direi che val la pena di provare! Prima di por mano alla vetreria, guarda intanto che bella molecola!

Cuproftalocianina 1

Materiale occorrente
- anidride falica
- urea NH2-CO-NH2
- rame cloruro CuCl2.2H2O
- ammonio moibdato (NH4)2MoO4
- vetreria opportuna

- Macinare finemente 28 g di urea, 5 g di anidride ftalica e 1,2 g di CuCl2.2H2O; aggiungere circa 50 mg (una puntina di spatola) di molibdato ammonico (NH4)2MoO4 come catalizzatore e mescolare. Porre la miscela in un becher (o ancora meglio in una capsula di porcellana molto grande) e riscaldare per 2-3 ore a bagno d’olio o sabbia, tenendo la temperatura a 180° e mescolando spesso, magari con il bulbo di un termometro (attenzione, non sarebbe la modalità corretta!).


Cuproftalocianina 2La miscela, all'inizio verde, fonde e e schiumeggia e si mantiene a circa 130°, diventando improvvisamente di colore blù; successivamente lo schiumeggiamento aumenta (aumentando molto il volume, attenzione alle fuoriuscite dal recipiente), la T° sale fino ai 180° ed il liquido si trasforma in una pastella violacea densa e appiccicosa, difficile da mescolare.

 

Cuproftalocianina 3Questa fase è fastidiosa perchè bisogna continuare a mescolare (almeno ogni pochi minuti!) quindi occorre armarsi di pazienza ed aver qualcosa da fare nelle immediate vicinanze.
Ad un certo punto la massa si rapprende e diventa quasi solida, allora ho interrotto il mescolamento ed il riscaldamento.

 

Cuproftalocianina 4Dopo raffreddamento, alla massa (viola con riflessi metallici) si aggiungono 150 ml di HCl al 10%, si rompono bene i grumi e si fa bollire per qualche minuto, si fa raffreddare e si filtra alla pompa.
Si disperde il precipitato in 100 ml di NaOH diluito e si rifiltra.
Dopo la seconda filtrazione si fa bollire nuovamente con HCl diluito come nella prima fase, si rifiltra e il precipitato si lava bene con acqua e si secca all'aria.

 

Cuproftalocianina 5

 

La mia resa è stata di 3,6 g (se ne perde un po' nelle varie operazioni).
La Cuproftalocianina si presenta come una polvere di un bel blù-violaceo profondo; è del tutto insolubile in acqua ma in essa vi si disperde facilmente come fosse solubile, con colore blù o azzurro se molto diluita.
La Cuproftalocianina è un pigmento di grandissimo potere colorante e si attacca tenacemente a tutto quello con cui viene in contatto, perfino il vetro dei becker.
Ftalocianine laser-sensibili vengono usate come materiale sensibile nei CD/DVD perchè devono garantire stabilità per molti anni.
Clorurando profondamente la molecola (in totale 16 atomi di cloro negli anelli benzenici della nolecola) si ottiene il Verde ftalocianina, mentre altre ftalocianine si ottengono sostituendo il rame con altri metalli di transizione.

Ho provato a sporcare una pezzuola di cotone per simulare una macchia su un vestito: nessunissimo modo di tirarla via, se ne ride di qualsiasi solvente e con la candeggina (pura, non diluita!) non fa neanche una piega...
Unico "smacchiatore" possibile? Le forbici!

 

 
 
 

Un Home-Lab, immagini dal post precedente

Post n°39 pubblicato il 18 Luglio 2010 da paoloalbert

Nel post n. 38 ho fatto il commento, qui quattro immagini del mio... (non dico l'aggettivo!) Home-Lab...


Lab 1 Lab 3

 

  Lab 4  Lab 2    

 

E mai che ci sia tutto quello che serve! La vetreria, per quanto scarsa, è sempre in esubero. I reagenti, per quanto numerosi, son sempre pochi.


 
 
 

Un Home-Lab...

Post n°38 pubblicato il 18 Luglio 2010 da paoloalbert

Ma come è fatto il tuo lab?... mi chiede qualcuno... eccolo, in quattro foto nel successivo post n.39!

Vi possono essere diversi modi di approccio alla vista di un lab-chim, semplice o complesso che sia: quello del professionista, quello del visitatore che della materia sa già qualcosa e quello dell'osservatore occasionale, digiuno di chimica.
In Italia sicuramente la terza categoria è la stragrande maggioranza, dato che questa materia è pressochè sconosciuta alla quasi totalità delle persone, studenti di scuola superiore compresi. Anzi, "senza tema di smentita" direi che la chimica è fra le materie fondamentali quella decisamente più sconosciuta di qualsiasi altra.

-Il visitatore occasionale vede perciò il mio lab spaziando lo sguardo fra le boccettine, ma non cogliendo l'enorme differenza che vi è tra una e l'altra: cloruro di magnesio o anidride acetica sono per lui più o meno la stessa cosa, cioè due ignote sostanze, quasi sicuramente "tossiche" e "corrosive".
Vede la semplice vetreria non capacitandosi della necessità di "così tanti alambicchi".
Ma a cosa potranno servire tutti questi "acidi"? (Per lui sono tutti "acidi").
Uno a caso...ossalato d'argento?
Mah, buco nero totale, mistero, forse nemmeno la filosofia spiega la passione per una materia del genere... che si chiama chimica.

-Il visitatore evoluto coglie già la differenza fra alcune sostanze, sa la differenza tra chimica organica e inorganica (ma c'è sempre qualche dubbio...), intuisce che quei tubi sono i refrigeranti per distillare, sa che il sodio fa la fiamma gialla e lo stronzio rossa, con lui si può ragionare su un esagono con delle lineette parallele ai lati chiamandolo anello benzenico senza tanto scandalo.
Questo visitatore, se è particolarmente evoluto, sa apprezzare anche con piacere la differenza odorosa tra il butantiolo e il butirrato di amile...

-Il visitatore professionale (non ne ho mai avuti nel mio lab, sono talmente rari i chimici...) noterebbe immediatamente la pochezza e la modestia del lab stesso: vedrebbe con moderno terrore che non c'è neanche un apparecchio "con la spina"!  (Ovvero uno qualsiasi degli  apparecchi elettronici che corredano tutti i laboratori chimici di adesso).
-Ma come si fa a lavorare così?- si chiede.
Sembra il laboratorio del sottoscala del nonno... Ma come, tutte le sostanze non sono Merk, Fluka o Aldrich? Che contenitori del cavolo! Ma dov'è l'evaporatore rotante? Ma come fai a sapere quello che produci senza nemmeno un NMR, un assorbimento IR, niente!
Bah, apprezzo la buona volontà, ma alla fin fine sto visitando un laboratorietto del cavolo...  (non lo dice apertamente, ma lo pensa, glielo si legge in faccia...).

Quest'ultimo visitatore, abituato a lab professionali o universitari, ha perfettamente ragione, il suo discorso non fa una piega, la chimica moderna è e deve essere come dice lui!

Ma la mia NON è una chimica moderna, è volutamente la chimica sperimentale come quella del nonno, come quando con un po' di vetreria, un bunsen ed esperienza quanto basta si facevano sintesi e reazioni di una meraviglia sconcertante! Io non faccio niente di meraviglioso, non invento niente di niente, i prodotti che faticosamente sintetizzo non avranno una purezza da NMR, ma è proprio la semplicità che mi diverte: se facessi il chimico di professione vorrei tanti "apparecchi con la spina", magari dell'ultimo modello, ma niente di tutto questo deve entrare nel mio lab... mi sembrerebbe di lavorare, anzichè di giocare!

Punti di vista...

 
 
 

Buona estate!

Post n°37 pubblicato il 09 Luglio 2010 da paoloalbert

Cosa succede quando "un-fuori-di-testa" per la chimica sperimentale va in vacanza dove non ha il collegamento Internet ma in compenso ha un home-lab a disposizione?
Fa una pausa di riflessione sul blog, lo mette in st-by per un po' e giocherellando con almbicchi e matracci prepara qualcosa per quando tornerà...

Ecco perchè il blog sembra fermo, ma niente paura, reazioni strane covano sempre sotto la cenere... 

Buona estate 2010 a tutti coloro che per sbaglio o volontà passano da queste parti!

 
 
 

Sintesi del Luminol - Fase 4

Post n°36 pubblicato il 24 Giugno 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci finalmente al traguardo! Il Luminol è pronto e non resta che provare se la lunga sintesi in tre step ci ripaga con qualche fotone...
Anche questa volta mi attengo alla regola di parlare pochissimo di teoria (scrivendo "luminol" su Google c'è solo l'imbarazzo della scelta!) ma di descrivere invece la parte sperimentale, questa ben più difficile a reperirsi in rete soprattutto in italiano.

Copio e incollo solo questa bella tabella riassuntiva che mostra il procedere delle reazioni che avvengono quando il Luminol in ambiente alcalino incontra l'acqua ossigenata in presenza di un catalizzatore contenente ferro: l'ossidazione procede dal 5-amino-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione (1) fino allo stadio finale (5) cioè all'acido 5-aminoftalico, con liberazione di azoto e di quel "hν" che è la chiave di tutto il discorso, cioè il fotone generatore di luce.

(Ved. bibliografia in Rete)

Tutti sanno che il luminol è utilizzato dagli investigatori sulla scena del crimine per individuare anche tracce minime di sangue.
L'investigatore usa soluzione di luminol e l'attivatore sotto forma di spray che spruzza in tutta l'area in esame. Il ferro presente nell'emoglobina di minime particelle residue di sangue catalizza la reazione chimica che porta alla luminescenza e rivela l'ubicazione del sangue stesso.
La quantità di catalizzatore necessario affinchè la reazione si verifichi è molto piccola rispetto alla quantità di reattivo, e ciò consente l'individuazione di tracce di sangue assolutamente invisibili ad occhio nudo.
Il bagliore azzurro dura circa 30 secondi ed è ovviamente visibile solo al buio, documentando la situazione con una fotografia a lunga esposizione.
Questo tipo di indagine è stata fatta per esempio nei celeberrimi delitti di Cogne e di Garlasco, non lontani nel tempo da quando è stato scritto questo post.

Ho detto anche troppo, passiamo al test:

Preparare la soluzione A e la soluzione B (le dosi sono puramente indicative, l'esperimento funziona sempre):

- la soluzione A è fatta sciogliendo circa 100 mg di Luminol in 3 ml di NaOH al 10% e portata poi a 150 ml con acqua

- la soluzione B è fatta sciogliendo circa 50 mg di potassio ferricianuro in 50 ml di acqua e aggiungendo 5 ml di acqua ossigenata al 3%
 
Il test vero e proprio va eseguito in compagnia perchè è molto suggestivo dato che non capita mai di vedere questo effetto, che è quindi completamente non-intuitivo per il pubblico presente:

- preparare una beuta da 250 ml contenente la soluzione A e, oscurata la stanza, aggiungere velocemente la soluzione B... godendosi lo spettacolo... mentre la compagnia stupisce!

Unico inconveniente: l'effetto intenso dura solo qualche decina di secondi, ma non si può aver tutto! La luminosità gradualmente decrescente persiste invece al buio completo molto più a lungo.

Ecco due immagini dell'esperimento:

Luminol finale 1 

 

Luminol finale 2

Enjoy!

 
 
 

Sintesi del Luminol - Fase 3

Post n°35 pubblicato il 17 Giugno 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci giunti in vista del traguardo; se siamo arrivati fin qui abbiamo buone probabilità di vedere la bellissima luminescenza azzurra di questa sostanza!

Una volta in possesso del 5-nitro-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione (ved. sintesi nella Fase 2) occorre ridurre il gruppo nitrico -NO2 di questo a gruppo amminico -NH2, con la procedura seguente:

 

Luminol fase 3_1- in una beuta da 100 ml porre 3,2 g di 5-nitro-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione, 20 ml di acqua e 10 ml ammoniaca al 25%.
Mescolare fino ad avere una soluzione limpida rosso-arancio (eventualmente scaldare leggermente e aggiungere un po' di ammoniaca); porre su agitatore ed aggiungere gradualmente un totale di 8,4 g di sodio idrosolfito Na2S2O4.2H2O (da non confondere con l'iposolfito!).

 

 

La soluzione si riscalda. Dopo che la reazione si è calmata spontaneamente, bollire leggermente per qualche minuto e filtrare velocemente a caldo.
Riscaldare ulteriormente il filtrato per una mezzoretta, appena sotto ebollizione. In questa fase comincia a separarsi il 5-amino-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione, ovvero il luminol, che si presenta come un precipitato flocculento di colore giallo.

 

Luminol fase 3_2

 
Acidificare la soluzione calda con acido acetico e lasciare in riposo una notte.
(Notare che la sintesi del luminol è lunghissima anche perchè ogni fase presuppone il riposo di una notte per le precipitazioni/cristallizzazioni.
Questi "riposi" non sono però tempo perso e sono indispensabili per una buona resa).
Filtrare il precipitato, lavare con acqua fredda e seccare in aria o in forno sotto i 100° -
La resa è circa 2,5 g -

Il 5-amino-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione si presenta come una polvere microcristallina gialla ed è sufficientemente puro per gli usi che ne vorremo fare; si potrebbe purificare ulteriormente perdendone un po' ma non lo ritengo necessario per gli scopi essenzialmente "ludici" che mi sono prefisso.

 

Luminol fase 3_3



La foto sotto mostra "la partenza" e "l'arrivo", ovvero i 50 g di anidride ftalica che hanno generato i 5 g di luminol ottenuti dopo una bella sudata!
(Mi è rimasta anche in sovracconto una piccola riserva di prezioso acido 5-nitroftalico).


Luminol fase 3_4

 

Nella quarta e ultima fase vedremo se questa intrigante sostanza avrà mantenuto le promesse per cui è stata laboriosamente sintetizzata.

 
 
 

Sintesi del Luminol - Fase 2

Post n°34 pubblicato il 13 Giugno 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci alla fase 2, meno impegnativa della prima ma non banale nemmeno questa.
Una volta in possesso dell'acido 3-nitroftalico (ved. sintesi nella Fase 1) occorre trasformare questo in:

5-nitro-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione con la procedura seguente:

Materiale occorrente:
- acido 3-nitroftalico
- idrazina solfato
- glicerina
- sodio idrossido

Occhio all'idrazina ed ai i suoi sali: sono sostanze tossiche e cancerogene, da maneggiare con le dovute cautele!


Luminol fase 2_1- in un becker da 100 ml porre 4,2 g di acido 3-nitroftalico, 5 ml di acqua e qualche goccia di fenoltaleina.
Neutralizzare esattamente l'acido con NaOH al 25% (ne servono circa 7 ml) procedendo lentamente verso la fine per non eccedere e fermarsi esattamente al punto di viraggio. Tornare indietro poi leggermente aggiungendo una puntina di nitroftalico fino a decolorazione della fenolftaleina.


Luminol fase 2_2Aggiungere a questo punto 2,6 g di idrazina solfato NH2-NH2.H2SO4) (attenzione, guanti da questo punto in poi!), mescolare e riscaldare fino ad evaporazione a secchezza, magari su bagno di sabbia (io ho evaporato a fuoco diretto con reticella, ma stando ben attento a non sovrariscaldare).
Il liquido all'inizio giallo limpido diventa sempre più viscoso, ci vuole pazienza e continuare a mescolare; l'aspetto passa da viscosità e colore tipo "uovo sbattuto" a color crema-beige alla fine.

 

Luminol fase 2_3Quando il residuo è ben secco ma non sovrariscaldato, staccarlo dal vetro del becker al quale può aderire fortemente (io ho usato una spatolina inox ben affilata). Polverizzare il prodotto in un mortaio (sempre guanti!) e porlo in un becker da 50 ml con 10 ml di glicerina. Da qui in poi inizia una variante rispetto alla fonte "ufficiale" (OrgSyn, che usa invece la tetralina, sostanza estremamente improbabile da trovare in lab).

Scaldare la miscela su bagno di sabbia a 170°-180° (la sabbia ad una decina di gradi in più) per due ore mescolando ogni tanto e poi lasciar raffreddare. Alla fine la miscela è sempre color beige, non è per niente scura come si legge in certe sintesi.

Aggiungere 40 ml di acqua, mescolare e filtrare aspirando bene per rimuovere il più possibile la glicerina ed il solfato di sodio formatosi. Lavare il residuo con altre due porzioni da 5 ml di acqua e lasciar asciugare all'aria o meglio in forno a 80-90°.

 

Luminol fase 2_4

 

La resa è di circa 3 g (80%) di 5-nitro-2,3-diidro-1,4-ftalazinadione, che si presenta come una polvere amorfa di colore beige chiaro. 
Mettiamo via questo "dione" perchè nella Fase 3 gli verrà ridotto il gruppo nitrico -NO2 a gruppo amminico -NH2 ed il traguardo si avvicinerà...

 
 
 

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