Creato da: AngeloQuaranta il 10/02/2009
"fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza"

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Messaggi del 08/12/2020

 

fatti non foste per viver come bruti ...

Post n°450 pubblicato il 08 Dicembre 2020 da AngeloQuaranta
 

Il mistero della tomba di Dante che si trova a Ravenna

Un tempietto neoclassico, presso la Basilica di San Francesco di Ravenna, accoglie (ancora) oggi le spoglie del Poeta.

 

Quando si parla di Dante, la mente corre subito a Firenze. Ma se invece volessimo far visita alla sua tomba, dove dovremmo andare?

A dispetto di quel chesi pensa, Dante non è sepolto a Firenze bensì a Ravenna, città in cui morìnella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. È infatti proprio in EmiliaRomagna, che il Sommo Poeta – esiliato dalla sua città natale – trascorse isuoi ultimi anni. Ed è qui che, ancora oggi, è possibile visitare il sepolcro neoclassico che contiene le sue spoglie.

L’indirizzo in cui andare è la Basilica di San Francesco, nel centro di Ravenna. Qui il tempietto (che è un monumento nazionale) è stato costruito in una zona di silenzio denominata “zona dantesca”, che ospita – oltre alla tomba di Dante – anche il giardino con il Quadrarco e i chiostri francescani col Museo Dantesco. Ma qual è la storia della sua sepoltura?

Il giorno dopo il decesso, Dante fu subito sepolto all’interno del sarcofago in cui ancora oggi giace, ma che era posto all’interno del chiostro di Braccioforte; solamente alla fine del XV secolo, fu spostato sul lato ovest del medesimo. Firenze, però, non stette a guardare: iniziò a reclamare le spoglie del suo illustre cittadino, soprattutto quando furono nominati papi i fiorentini Leone X e Clemente VII.

Leone X, insieme a Michelangelo, inviò una delegazione a Ravenna a recuperare i resti di Dante, ma ebbe una brutta sorpresa: il sarcofago era vuoto. Attraverso un buco che dal chiostro raggiungeva la tomba, i frati francescani li avevano “trafugati” per metterli in salvo e, una volta restituiti al sarcofago, ecco che questo venne spostato all’interno del chiostro così da poter essere costantemente sorvegliato. Anche una seconda volta, i frati tolsero le ossa dall’urna originaria per nasconderle: accadde nel 1810, in pieno periodo napoleonico. La cassetta fu murata nell’oratorio attiguo, e nessuno ne seppe più nulla.

Per anni, chi faceva visita alla Tomba di Dante faceva visita in realtà ad una tomba vuota. Fino a quando, il 27 maggio 1865, un operaio ritrovò quell’urna. Uno studente, tale Anastasio Matteucci, tradusse l’iscrizione che l’urna recitava e gridò allo stupore: le ossa di Dante erano lì, non nella tomba! Ed ecco che la sua salma fu ricomposta, ed esposta al pubblico in una teca di cristallo per poi essere tumulata (di nuovo) nel tempietto che oggi possiamo ammirare.

Firenze? Firenze non poté far altro che arrendersi, costruendo un secondo tempietto neoclassico in Santa Croce, con Dante che – pensoso – è innalzato a gloria dall’Italia. Mentre la Poesia, guardando al sarcofago, piange.

 
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Sulla manipolazione e creazione delle coscienze.

Post n°449 pubblicato il 08 Dicembre 2020 da AngeloQuaranta
 
Foto di AngeloQuaranta

Da HUFFPOST di  Antonio Preiti Economista, Sociometrica, Censis

" Facebook ha chiuso qualche giorno fa 23 pagine che incitavano all’odio e alla diffusione di notizie false. La sensazione, prima vaga e poi sempre più convincente, è però che il problema, alla fine, sia proprio Facebook in sé, e non (solo) la patologia delle fake news.

La convinzione è che il dibattito pubblico sia fortemente influenzato da un soggetto totalmente autoreferente, tanto che il punto non è quello che Facebook fa, che già è molto, ma quello che ha il potere di fare, che è immenso (la parola non è esagerata, e lo si vedrà tra poco).

[ ... ] 

Un sintomo diretto lo si vede da come è condotta questa campagna elettorale. I social sono il terreno dove lo scontro politico è più intenso, tanto che televisioni e giornali sembrano più il riverbero dei social che viceversa. È difficile stabilire il livello in cui uno influenza l’altro, ma la sensazione è proprio quella.

C’è qualcosa di politicamente più espressivo, per esempio, di due foto accostate, dove nella prima si vede uno striscione su un balcone e nella seconda i vigili su una gru che lo tolgono? E proprio il fatto che le immagini siano più potenti delle parole aggiunge un altro tassello al cambiamento, confermato, per altro, dalla nuova versione di Repubblica, che gira intorno all’immagine preponderante della prima pagina. Ultimo mattone nel muro dei nuovi codici di comunicazione. Negli Stati Uniti, dove hanno già sperimntato un'elezione presidenziale in cui l'influenza dei social media (se non illegale, certo nn trasperente) ha addirittura meritato un'inchiesta al più alto livello Istituzionale. 

Ha molto colpito in quel Paese la proposta di Chris Hughes, uno dei co-fondatori di Facebook, lanciata sul New York Times del 9 maggio di frammentare (“break up”) Facebook, come fatto in passato per le aziende monopoliste dell’elettricità, in quanto il suo potere è esorbitante, monopolista, e riduce la qualità della democrazia americana.

Hughes, le cui tesi sono state condivise dal NYT con un editoriale, sostiene che l’influenza di Facebook non ha eguali nel settore privato e supera persino quella dello stesso governo americano; questo perché combinando la sua rete con quella di What’s up e di Instagram (entrambe di sua proprietà) è capace di determinare, attraverso i suoi algoritmi, “chi vede che cosa”. Vale a dire che il dibattito pubblico, che oggi si svolge prevalentemente, o con maggiore tempo dedicato, è ampiamente influenzato dal flusso delle “News feed” di Facebook.

Aggiunge Hughes che proprio questo flusso incessante di informazioni, scolpito con l’esattezza degli algoritmi (che sono decisi in pieno e assoluto potere da parte di Facebook), cambia la nostra cultura, influenza le elezioni e seleziona cosa è importante sapere e cosa no. Naturalmente non si tratta di un progetto preordinato da una mente ingannevole, ma è la “unintended consequence”, cioè la conseguenza non intenzionale dello strumento stesso. Nella storia del mondo non c’è stato mai nessun soggetto in grado di monitorare, organizzare e talvolta censurare le conversazioni di due miliardi di persone.

È così pervasivo e influente lo strumento, che nei recenti attentati in Sri-Lanka Facebook è stato chiuso per evitare che l’odio dilagasse e coinvolgesse tutto il Paese. Nel 2017 lo stesso Zuckerberg ha dichiarato di aver personalmente cancellato messaggi di odio tra musulmani e buddisti per l’evidente ragione che avrebbero portato a scontri tra i due gruppi religiosi. Ha fatto benissimo, naturalmente, ma chi al mondo ha un potere analogo?

La chiave di tutto è il modello di business di Facebook, così come degli altri grandi player del digitale, cioè catturare l’attenzione degli utenti. La guerra, leggera e feroce, che si combatte fra social media, televisione, giornali, libri e che coinvolge l’intera vita privata e professionale, è proprio sul tempo, su chi riesce a trattenere di più l’utente sul suo media.

Oggi l’utente medio di Facebook, aggiungendo Instagram, passa oltre un’ora sulla piattaforma: una quantità immensa per un solo attore. Infatti, per superare l’ora media di attenzione dovremmo mettere sull’altro piatto della bilancia tutta la televisione nel suo complesso, perché nessuna singola trasmissione tiene incollata la gente tutti i giorni per almeno un’ora in una percentuale di popolazione così elevata. "   [...]  continua 

 

 
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Auguri in ritardo ad un'artista, che ha avuto il coraggio di essere sempre se stessa

Post n°448 pubblicato il 08 Dicembre 2020 da AngeloQuaranta
 

 

I magnifici 70 di un pettirosso da combattimento

Musica. Ma l'anagrafe conta ben poco per Loredana Bertè che non ha mai seguito le regole del gioco e ha fatto sempre rigorosamente storia a sé nel panorama del pop e del rock italiano

 

 «La mia battaglia è essere se stessi. Questo è il significato di libertà. Può essere presa come trasgressione ma vi assicuro che è l’unica strada da seguire», parole di Loredana Bertè che non a caso alla libertà – anzi con un geniale tocco di ironia alla  Libertè – ci ha perfino intitolato anche il suo ultimo album di inediti. Il pettirosso da combattimento – così come la vedeva De Andrè – compie 70 anni il 20 settembre ma l’anagrafe conta ben poco per lei che non ha mai seguito le regole del gioco e ha fatto sempre rigorosamente storia a sé nel panorama del pop e del rock italiano. Anticipatrice di mode e sperimentatrice – il reggae che si scioglie in puro pop per E la luna bussò, il funky contagioso di In alto mare, la sfortunata ma di gran spessore vacanza brasileira di Carioca  con Djavan– a costo di restare tagliata fuori dal giro che conta. Nella sua carriera ha fatto tutto – o quasi – dal musical Hair all’opera rock Orfeo 9 di Tito Schipa jr – accompagnandosi agli inizi con Renato Zero (anche lui 70 il 30 settembre…) e con la sfortunata sorella Mia Martini. La sua voce è un graffio forte, quasi un urlo strappato con cui ha rivestito brani di culto – Il mare d’inverno di Enrico Ruggeri è un classico indiscusso della canzone d’autore. Ama il Che e ha sostenuto questo giornale nelle sue tante campagne di sopravvivenza, ha avuto i suoi momenti neri ma ne è uscita alla grande. Album celebrativi, tour teatrali – almeno prima del Covid – rigorosamente sold out. Per il compleanno si è regalata una serie di ristampe in vinile dei suoi album storici, mentre sta curando una serie di progetti per i prossimi dodici mesi.

Auguri, Loredana

  

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