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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

Su e giù per la tastiera

 
 

ICONA RIVISTA IL MALE

 

JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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QUANDO I FASCISTI FANNO OH

La parte finale del processo larvale  (Huffington Post, 4 febbraio 2013) 

di Jiga Melik

Non più cittadini. Finalmente, spettatori. Liberi dal vincolo ossessivo di pensare, e di lavorare non se ne parla. Finalmente in Italia non si fa niente. Tanto, abbiamo lui. Un dubbio resiste, noiosamente attivo: che si vota a fare, se lui regna? A parte che non si è mai visto votare per dei tizi, se c'è il sovrano in vita, ma non capisco perché uscire dal bozzolo e andare a votare, quando ci sarebbe la monarchia con l'appoggio esterno di Monti, il Marchese dei Conti in Regola. Staremmo così bene con la nostra vita da larve rovinate. Non è che questa incapacità perfetta ce l'ha regalata nessuno: ci sono voluti anni di Grande Fratello. E' l'apice di un percorso in cui siamo diventati larve e solo poi, finalmente, larve rovinate.

La parte finale del processo larvale è decollata il 27 gennaio alla stazione di Milano con la cancellazione della menzogna allucinante che ci sarebbe stata la Seconda guerra mondiale. E' una cosa ridicola. Va bene che siamo larve, ma non così scemi da credere ancora che in Italia ci sia stato il fascismo. E l'aStoria a insegnarlo: la guerra non c'è stata. Non ci sono stati né vincitori né vinti. I vincitori sono stati vinti e i vinti sono sempre stati i soliti vincitori. Non c'è stato nulla di negativo, a parte il comunismo. Per arrivare a questo perfetto stadio larvale, è bastato sostituire la parola dittatore con la parola leader, e siamo passati dalla Storia all'a-Storia. Appena il monarca ha detto che Mussolini era un leader i vagoni dei deportati sono spariti, e milioni di Italiani hanno cominciato a sognare a occhi aperti, che è la condizione ottimale della larva televisiva. Che Mussolini non fosse un dittatore, era un segreto meraviglioso che non poteva resistere. E' bastato che il monarca esodato arrivasse alla stazione e dicesse che Mussolini era un leader per svelare la democrazia del fascismo. E' il pregio acritico, autoreferenziale, autarchico, autistico, abnorme dell'aStoria. Cos'è l'aStoria? La Storia senza la Storia.

Svelato che Mussolini fece cose buone, i vagoni ferroviari si sono trasformati in gigantesche scatole da scarpe abbandonate sui binari. Le persone presenti non si sa perché alla cerimonia ignota si sono chieste che ci facessero delle immani scatole da scarpe abbandonate sui binari, un segno di degrado di cui adesso Pisapia dovrà dare una spiegazione. La prima domanda circolata tra la gente convenuta alla stazione senza motivo plausibile, è stata chi possa mai avere avuto delle scarpe grandi come vagoni merci. Mussolini no perché di piedi avrà avuto il 41. Gasparri in questi giorni ci ha detto che l'azione mussoliniana di uomo di Stato è stata continua: "Ma vorreste davvero - ha celiato il professor Maurizio - che l'Agro Pontino fosse rimasto una palude e oggi non avessimo la previdenza obbligatoria?". A provare l'impegno del grande leader del '900 (NdA: Mussolini, non Gasparri) ci sono due decenni nelle paludi laziali con l'acqua che arrivava alle anche del duce, trasfigurandolo dai reumatismi e sviluppando un'artrite che lo portò a tenere il braccio destro sempre alzato.

E poi gli aneddoti sul buon cuore di Mussolini. Per esempio, una volta che era il suo compleanno, passò sopra alla decisione di far linciare un sindacalista, limitandosi a passare sopra al sindacalista. E c'è quella che un giorno raccolse per terra una stilografica che non era sua e se la mise in tasca dicendo grazie. Un'altra cosa è che quando si affacciava alla finestra di piazza Venezia, non sparava sulla folla. Ora che siamo in piena aStoria, si ragiona. L'anno prossimo, la notizia fasulla delle leggi razziali sarà cancellata dal reality retroattivo "Vacanze alla risiera di San Sabba".

1200 figuranti di Rita Dalla Chiesa vivranno per sei mesi nel famoso campo di agriturismo, mascherati da ebrei, zingari e omosessuali come se fosse il 1943, e si vedrà che l'agri-fascismo ha fatto cose buone. Il reality sarà affiancato dal grande concorso "Scommettiamo che lo zio è vivo?". Chi abbia foto in bianco e nero con familiari deportati, potrà inviarle al ministero dello spettacolo che provvederà a rimandarle indietro a colori. Il premio consisterà nel cosiddetto ricongiungimento artificioso. In pratica, le persone con dei parenti considerati morti potranno vincere il reincontro con gli alias-nonni e i para-zii, interpretati da trentamila attori disoccupati di Mediaset. I parenti delle vittime e gli attori si parleranno a vuoto per tre minuti, poi i parenti torneranno nella vita larvale dei dimenticati. Per esigenze di realismo, sono state realizzate seimila circoncisioni di cartone. Il coro di Casapound canterà la sigla. "Quando i fascisti fanno oh". 

 
 
 

LA SHOAH E IL MANICOMIO ELETTORALE (Il Secolo XIX, 27 gennaio 2013)

Post n°78 pubblicato il 30 Gennaio 2013 da Jiga0

La giornata del promemoria

di Alessandro Schwed 

Per qualche ora, è divampata la lotta tra le elezioni e quelle foto in bianco e nero. Le mani tese oltre il filo spinato. Dietro, ciminiere. Nel fumo, sei milioni di ebrei. La distanza da quelle ciminiere è quella dalla Storia trascorsa e anche quella che ci divide da un film di fantascienza. Eppure, la spinta di una minoranza estrema (che però vota) all’odio antisemita occhieggia dietro il sipario elettorale. Non è una fiaba nera con i nazisti che incontrano Alien e gli fanno deporre uova nei sotterranei di una sinagoga.  E' che ci sono gruppi di spostati italiani e sognano di fare del male agli ebrei. Si organizzano per farlo proprio mentre sembra che stia nascendo la nuova cultura della memoria e che nelle scuole si parla della Shoah. La grande morte ebraica che per tutta le seconda metà del Novecento è stata avvolta da un silenzio imbarazzato, il tortuoso disagio di parlarne davanti a quelle persone, gli ebrei – da dove venivano, chi erano, ex morti? Quale il loro luogo?  E da parte ebraica, l’imbarazzo di essere guardati come esangui portatori di un'immane macchia, un pantano di sangue, filo spinato e silenzio. Erano gli anni Cinquanta e gli ebrei stavano in silenzio. Della Shoah parlavano tra sé, e allora non si chiamava Shoah,  ma Olocausto, parola inoculata a forza con l’idea di essere un sacrificio vivente sull’altare bestiale del mondo. La Giornata della Memoria è stata un salto in avanti della coscienza europea come di quella ebraica. Ora, esauritosi il solletico della compassione, la Giornata della Memoria é la cartina di tornasole di cosa l’Europa pensi degli ebrei, del fascismo, della Seconda guerra mondiale. E così, la Giornata della Memoria è la giornata della memoria elettorale. Serve a ricordarsi per chi votare. E' un promemoria ideologico. E' in quelle ore di promemoria generale che l’ex presidente del consiglio dice per la seconda volta in diciannove anni che Mussolini ha fatto anche cose buone. Punta a sedurre un piccolo popolo, una tribù di tatuati che vive molto  più in basso delle sua sua pioggia di ville e Tv, giovani italiani senza alfabeto e in cerca di ebbrezza. Sono loro a militare nel nuovo nazismo. Come un pendolo, un’ora  sognano di uccidere ebrei e quella dopo i neri - per il fatto che gli ebrei sono ebrei e i neri, neri. Le intercettazioni telefoniche della magistratura riportano i dialoghi di due militanti napoletani di Casa Pound, ragazzi che vivono la crisi dei valori, della famiglia, della cultura sessuale, poveri di soldi e orientamenti, rimpinzati delle deliranti parole d’ordine sul masso-sionismo. Ecco lo stralcio di una loro intercettazione. Il tema è dare fuoco al negozio di un orafo. Ebreo. ''Vogliamo appicciare il negozio? (…) è un sionista di merda (…). “Gli ebrei 'di spirituale hanno ben poco”. “Sono il primo a dirtelo…”. Segue il proposito di stuprare una studentessa universitaria. Ebrea. “…Passa e la salutano tutti, gli arabi che la salutano con rispetto, si con rispetto (…) Io a questa qua la devo vattere (Ndr: picchiare). La stupro e le faccio uscire il sangue dal c…”. Finale negazionista: ““Perché io pure sono d'accordo che non sono mai esistite le camere a gas”. Era a questi “ragazzi” che si riferiva Beppe Grillo nella seconda settimana di Gennaio, aprendo elasticamente a Casa Pound, per fini elettorali? “Avete idee condivisibili, alcune più, alcune meno. Ma se un ragazzo di Casa Pound vuole entrare a far parte del Movimento, non vedo problemi oggettivi”. La  posizione fu subito smentita per la rivolta del Movimento Cinque Stelle. Nella sensibilità di un artista del livello di Grillo, il  miglior comedian italiano da decenni, un Lenny Bruce genovese che sceglie per teatro la catastrofe italiana. Uno che ha trasferito l’energia nella rivolta totale, e che preferisce una fine spaventosa a uno spavento senza fine. E che a un tratto dialoga con un movimento di ispirazione nazista. “Non vedo problemi oggettivi”, dice Grillo, forse beffardo, portatore di un’ottica che si candida come nuova. “…Avete idee condivisibili, alcune più, alcune meno” - quali più condivisibili e quali meno, sarebbe meglio dirlo, e non sfiorarlo. Poi Grillo dice e disdice, sostiene che certe cose non le ha mai espresse. Si comporta  da politico consumato. Grida all’imboscata, si incavola, urla che non è fascista. Io gli credo. Infatti non è in questione un suo eventuale  fascismo, ma che stesse facendo l’apprendista stregone col fascismo. A dire “non vedo problemi oggettivi”, “idee più o meno condivisibili”, c’è il pericolo di perdere sensibilità ed essere risucchiati nella società anestetica: odiare e gridare senza accorgersene, coi fatti che scivolano su di noi, impalpabili. Nella crisi delle idee, nella sordità che spegne le critiche altrui, e anche dei suoi, le proprie idee sono sempre giuste. Che hanno di particolare dei ragazzi nazisti? Sono ragazzi normali, vanno a ballare, fanno colazione al bar, solo che lo fanno da nazisti. Che male c'è? La normalità non è così diversa dalla normalità di una volta. Dietro le parole d’ordine e i tatuaggi i ragazzi sono ragazzi, le città sono illuminate dai lampioni come lo sono sempre state, le strade erano e sono strade, allo stadio la gente gridava e grida goal. Ma in mezzo alla normalità, i ragazzi nazisti praticano la sopraffazione perché sono nazisti e per ora ragazzi. Poi cresceranno e un giorno saranno uomini nazisti di mezza età, e infine ottuagenari nazisti,e naturalmente a un certo punto salme naziste. Vogliamo andarci insieme al bar, soprattutto con delle salme? Allora: dicembre 2011: uno di Casa Pound uccide due neri al mercato fiorentino di San Lorenzo. Spara in mezzo alla folla dei neri perché sono neri.  Accade in mezzo alla nostra normalità.  Il punto è definire la normalità, tracciare confini. Anni fa, nel corridoio di un grande albergo di Firenze campeggiavano foto in bianco e nero di Hitler e Mussolini in visita solenne alla città. Nelle foto, la loro macchina scoperta passa in mezzo alla folla oceanica. Vi si vedono volti sorridenti, donne e uomini eleganti. Le due persone sulla macchina che passa tra la folla in festa sono responsabili del più grande crimine della Storia.  Dove sta andando la nostra macchina? Chi c’è sopra?

 

 

 

 

 
 
 

UN FANTASMA TERRORIZZA BERSANI

Post n°77 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da Jiga0
 

 

Chi è questo Matteo che c'è senza esserci? (Huffington Post, 23 gennaio 2013) 

Se al tiggì dicessero: "Arcore. Oggi, cucina Berlusconi", non sarebbe una notizia di interesse generale, però sarebbe una notizia. Certo, non sentirete mai: "Ancona. La signora Pieretti stira". Nella pentola delle informazioni ci sono i cognomi noti. Politici, presentatrici, criminali. C'è ad esempio un importante programma di approfondimento, Porta a Porta, lo canta da oltre un secolo Bruno Vespa, il grande tenore della notizia lessata.

Da due anni rischia la vita ogni sera, gorgheggiando senza respirare il cognome di Misseri. Sotto elezioni però sono i cognomi dei politici a essere declamati come una filastrocca ipnotica. Certo, è pericoloso. La gente a casa sente centinaia di volte che Formigoni si è candidato su Twitter e stramazza a terra. Ma c'è un cognome politico di fama che è totalmente sparito. Nessuno lo ricorda più. Curioso, di solito i cognomi dei politici resistono. Berlusconi regge da diciannove anni come una gelatina aliena.

Non si era più visto da qualche mese perché era stato ingoiato dal cognome onnivoro del professor Monti. Poi la tubazione catodica ha risputato "Berlusconi" e dopo l'illusorio vantaggio iniziale "Professor Monti" è stato limato sino a diventare un elfo del giornale radio. Dicevamo del protagonista politico settimane fa famosissimo, e ora dimenticato da tutti. Dov'è, chi è, che fa? Non si sa: è stato risucchiato da una forza ignota. C'è quel nome che sta lì, gramo: Matteo. Pare abbia partecipato alle primarie del PD, anche se al PD nessuno si ricorda che ci siano state delle primarie.

Se vogliono parlare con precisione dell'ombra nella nebbia, dicono Matteo Coso. Solo nella società civile, il ricordo di Matteo non è sparito del tutto. A un comizio del centro-sinistra in una pasticceria di Piacenza, chissà perché non c'era nessuno. A parte il cameriere monarchico, fortemente favorevole alla lista Grimaldi di Montecarlo al posto dei Savoia, simbolo un mazzo di carte in un campo di dadi. Era un comizio disperato. Il candidato è sceso dal bancone e ha detto se gli offrivano sei paste e un litro di latte. Il vecchio cameriere, colmo di tenerezza, fa: "Se sei amico di Coso, ti regalo tutto il profiterol". Un significato ce l'avrà.

Purtroppo anche Bersani, di cui manteniamo per miracolo il cognome in mente, non si ricorda le primarie. Ripete solo quel nome con grande tenerezza, Matteo, manca solo che dica ciccino. Va bene, allora bisogna scoprire chi è Matteo. Niente. Bersani non ha tempo, deve trovare il modo di allearsi con Monti senza che la gente lo scopra. Eppure, a quello sconosciuto non penserebbe nessuno, se ogni tanto il segretario non dicesse Matteo a prescindere. Un po' come quei pappagalli che se entra qualcuno nella stanza, borbottano: "Salve. Sono le cinque".

Giorni fa è successa la stessa cosa a una convention, Bersani ha guardato il muro e ha borbottato: "Matteo ci darà una mano". La gente in platea si è svegliata di soprassalto e ha detto: "Che c'è, abbiamo un'idea?". Qualcosa sta cambiando. Forse una nuova volontà. Per esempio, c'è un ingorgo e Bersani dice all'autista: "Prendi questo vicolo, Matteo ci darà una mano", poi Matteo non c'è e finiscono dentro un orto. Però è una novità. Una parte dei militanti ritiene che il segretario (che ha di nuovo rivelato di essere cattolico) per Matteo intenda l'evangelista, che aveva un banco di prestiti, e Bersani lo invochi per avere un'idea di economia. Speriamo. Magari Matteo non è san Matteo.

Anche Veltroni, quando lanciò al Lingotto lo slogan di don Milani, non faceva che dire don e poi si è scoperto che intendeva don Lurio. Ora tutti al Pd, vogliono sapere chi è questo Matteo. "Lo dico quando c'è Matteo", promette Bersani alle riunioni. Però Matteo non c'è, per fare un paradosso, neanche sotto il tavolo della segreteria. A parte che sotto il tavolo della segreteria non c'è posto perché ci vive D'Alema. Però una fetta di partito comincia a ricordarsi. Dicono che se ci fosse Coso, vincerebbero le elezioni a occhi chiusi. Basterebbe fargli una telefonata. Il problema è che sull'elenco telefonico Coso non c'è. C'è Matteo, ma non avete idea di quanti Matteo ci siano in Italia.

 

 
 
 

IMPRONTE DIGITALI / appunti da Facebook

Post n°76 pubblicato il 16 Gennaio 2013 da Jiga0

 

La morte di Mariangela Melato - quando la grandezza sembrava naturale 

Abbiamo vissuto la giovinezza con negli occhi Sordi, Anna Magnani, Gassman, Mastroianni, Manfredi, Aldo Fabrizi, Tognazzi, uno scampolo di Totò, di La Pira e don Milani, e c’erano Visconti, Antonioni, Rossellini, Fellini e l’immensa Masina,  e Strehler, e De Sica e uno scampolo anche di Cesare Zavattini, e dopo Sergio Leone, e c’erano Calvino, Moravia, e Pasolini, Parise, Gadda, Franco Fortini, Gaber, De André, Domenico Modugno. Abbiamo vissuto tra giganti come se fosse la cosa più naturale. Sembravano solo persone piene di bellezza. Lo penso oggi che è morta Mariangela Melato e dei giganti italiani non trovo più traccia.    

 

 

 
 
 

PROGRESSO: MONTI TELEFONA A MESSA

Post n°75 pubblicato il 15 Gennaio 2013 da Jiga0
 

 

E ora la doccia a gettone durante la predica (14 gennaio Huffington Post)

di Jiga Melik          

 Una foto del 6 gennaio mostra il presidente Monti al cellulare durante la messa dell’Epifania  nella Basilica di San Pietro. L’evento è stato ignorato: la telefonata  in chiesa del presidente del consiglio è un fatto spirituale troppo intimo. Magari si stava confessando con Draghi. Altra cosa sarebbe stata se  uno studente universitario si fosse soffiato il naso in piena basilica, allora la Fornero chiamava il 113 e lo arrestavano. Peccato. Rimane il fatto che Monti al cellulare nella più importante chiesa della cristianità è una riforma in doppio pectore. Cosa immaginare di più vincolante fra tradizione e modernità di telefonare a messa? L’avvenimento spariglia gli schieramenti politici e ci interroga: è un male o un bene telefonare durante una messa a San Pietro, in pieno territorio estero? Ma anche restringendo il campo a Borgo Pio: è bello o è brutto telefonare durante una funzione religiosa? Nella foto, scattata non sappiamo in quale momento della funzione, il professore siede a un banco. Parla compunto al cellulare, come per una religione dove le preghiere sono recitate al telefono. La signora Elsa lo guarda senza guardare. Per lei, una telefonata all’offertorio è come uno shampoo durante Roma-Lazio. Chissà a che stava pensando in quel momento, forse voleva sapere se stavano confermando la grigliata di osso buco alla Borsa di Milano. Del resto, è una donna tecnica, se Mario si fosse lavato i denti al centro della navata, allora lei si sarebbe rifatta il trucco. Comunque la telefonata di Monti potrebbe essere il primo cambiamento di un nuovo cattolicesimo hi tech. La parola d’ordine del XXI secolo moderato e  digitale: “Ora et telefona, ma telefona ora”. I giudizi possibili appaiono due: sanzionare la telefonata come blasfema, o chiedere l’apertura di uno snackbar al fonte battesimale. Chissà che cosa sarebbe successo se il professore avesse fumato una sigaretta durante l’abbraccio della pace e un uomo con la barba avesse preso fuoco. Bisogna ammettere che è un grande cambiamento di costume e siamo tutti disorientati: ci manca quella che gli strutturalisti chiamavano la griglia interpretativa. Insomma, è positivo telefonare a messa oppure ci sono limiti a prescindere da quelli del cellulare che a San Pietro certe volte non fa campo? Intanto diciamo che in un cattolicesimo moderato-riformista, a messa è richiesto un atteggiamento molto sobrio e molto dinamico. E’ accettabile dare un colpo di telefono nella pausa in cui il sacerdote apparecchia l’altare, ma eccessivo giocare a playstation in viva voce. Innanzitutto, servono regole: prima cosa, in chiesa la suoneria deve essere il ronzio. E su questo, nessuno può suggerire niente al professor Monti. Lui sa come silenziare. Non a caso, quando il professore ha ordinato a Bersani di silenziare Fassina, lui non intendeva che non parlasse più ma che durante la campagna elettorale si limitasse a vibrare. Ora, il problema principale verte su quali siano i momenti in cui è consentito stare all’apparecchio. Procediamo passin passetto nell’ambito di una riflessione laica, come laica è la nostra Italia - e scusate se aggiungo sì buonasera. Intanto, “Telefonare come e quando” riguarda solo le riunioni religiose, è chiaro che di telefonare in ufficio, in fabbrica o durante una importante riunione massona non se ne parla neanche. Per esempio, se durante una funzione il capo incappucciato del Grande Piramidone frusta il Portarastrello, usare il cellulare è un peccato di gola. Tornando all’edificio un tempo chiamato chiesa, un buon momento per telefonare, a parte la predica, è l’introito quando tutti si stanno ancora accomodando. Se poi fosse proprio urgente mandare un sms senza che se ne accorga nessuno, basta inginocchiarsi e mandare un messaggino a mani giunte. Aggiungiamo solo che anche seduti è agevole dare l’impressione di mormorare una preghiera e poi invece parlare con la Merkel. E’ chiaro che non è facile interpretare il cambiamento che la comunicazione globale sta imprimendo alla realtà con eventi simili. Per esempio, quando a dicembre hanno detto che il Santo Padre aveva appena cinguettato, molti sono rimasti turbati. Tante persone hanno pensato: poveruomo, fa i versi degli uccellini. Lo so, è stato un equivoco, ma è facile a dirsi adesso. Cinguettare  è parola di una lingua nuova. Che credete abbia immaginato la gente? La finestra sulla piazza che si apre e Benedetto XVI che si mette a zirlare (lo so, per questo Papa sarebbe stato consono il verbo che corrisponde al verso dell’aquila  - simbolo dell’evangelista Giovanni nell’Apocalisse - ma il verbo dell’aquila è gridare, e ci è sembrato violento. C’era il garrire delle rondini, ma non è stagione e abbiamo optato per zirlare che è il verso del tordo). E così era il 12 dicembre, il Papa ha cinguettato e la Storia si è immessa in un nuovissimo cammino. Ora nessuno può immaginare che cosa diventeranno i 120 caratteri di Tweetter in mano a Benedetto XVI. Pensate alla sinteticità di un’enciclica cinguettata. VBXSSC. Vos benedico X saec. saeculorum, cip :).                        Naturalmente, :) vuol dire amen.        

 

 

 

 
 
 

SOGNI E INCUBI DI ADAMO DA GIOVANE

Post n°74 pubblicato il 13 Gennaio 2013 da Jiga0
 

Quello che su Genesi non c'è  (Il Foglio, 12 gennaio 2013)

di Alessandro Schwed 



Voglio dirvi come ho cominciato a pensare al giovane Adamo. Ero in pensiero per   lui. Mi riferisco a prima di Eva, al  tempo di cui non si parla come se se quel tempo non ci sia stato. Il tempo dell’adolescenza, quando essere solo fu la realtà a cui prima non aveva fatto caso. Tra turbamenti., quando dovette domandarsi dove erano finiti suo padre e sua madre. Perché era l’unico uomo. Adamo, nudo in tutto. Così ho iniziato a preoccuparmi per quel ragazzo come se fosse qui, ora, e avesse bisogno di noi.  Di compagnia, di baci, di qualche dritta. Non ero in pensiero per il progenitore, ma per questo nostro figlio, disperso in un primordiale presente parallelo, da soccorrere immediatamente con una spedizione nel trapassato remoto. E succede tutto un giorno, quando mi comincio a chiedere: dove sei, Adamo, figlio nostro?           

 

   Adamo è qui. A neanche quattrocentomila anni. Lo vedo distintamente: ha un piede nell’infanzia. Avrà tredici anni. Il velo dorato che incornicia il volto arrossato dalla vita all’aria aperta, è la sua barba. Una peluria anch’essa dorata gli scende sul petto come minuto fogliame, e si sparge sul corpo nudo. Non stupisce che lui sia nudo, ma che sia non bello: basso e tozzo. Rincagnato. Siccome qui è autunno, lì è autunno. Il giovane Adamo ha un brivido, e non sa che cosa sia un  brivido, da che derivi. E’ ignaro di tutto. Non sa che sarebbe meglio non tuffarsi in mare da uno strapiombo, che non deve esporsi troppo al sole, che quando lo scirocco diventa più fresco e la pelle si contrae, è un brivido di freddo, così un’altra stagione è passata e bisogna rifugiarsi coi grandi animali pelosi nei buchi dentro la collina, accovacciarsi al buio, nutrirsi dai favi di miele.  E dopo dormire fino alla prima brezza di fiori. Ma ora che è autunno, il giovane Adamo incassa i brividi come se non lo riguardassero. Lui non è a conoscenza di niente. Nel giardino non esistono  vecchi che insegnano: c’è il giovane Adamo. Né esistono scritti sulle consuetudini umane, o un alfabeto. Non esiste memoria da cui afferrare sapienza e devozione. Non c’è il passato, è appena nato il presente. La  specie umana è Adamo. E secondo quello che si dice e che fu detto ancora tempo prima, quando si era appena cominciato a usare la bocca per parlare oltre  a masticare, in quello chiamato il tempo del Giovane Adamo, il Giovane Adamo non ha visto davanti ai suoi passi nessuno che non è aquila, volpe, germano, orso, pesce. Nel frattempo che è giovane, gioca con le creature che arrivano dai tre fiumi, che sbucano dal bosco, girano nel cielo. Si è saputo da chi c’era stato e aveva visto che allora  non esisteva la caccia, la pesca, e si mangiano i frutti della terra. A Eden, nessuno teme nessuno. Si è insieme  come un corpo unico che è bue, pioppo, tasso, tigre, insetto, ulivo. Il Giovane Adamo gioca: rincorre volpi, leoni, cavalli, ed è rincorso. La notte ascolta la quercia e il platano che scricchiolano, corre da loro e loro gettano profumo sulla sua testa. Il linguaggio del giardino è un’arpa di vibrazioni dalle cui corde parla ognuno, e lui vibra assieme alla natura che vibra, o che inizia a vibrare se lui ha vibrato.  Se lo stomaco vibra, vibra l’odore del fico e Adamo va sotto al fico, mangia i frutti caduti ed è saziato; se lui è su un pianoro sconosciuto e vibra l’arsura della sete, il ruscello vibra, allora  Adamo va al ruscello, beve, e nel corpo cessa la sete. Se con il buio, l’energia affievolisce la vibrazione, è il riposo che dice di riposare, ed è così che si esce dalla legge del giorno e si entra in quella della notte, quando il giovane Adamo ha sonno e cade al suolo come un tronco. Allora chiude gli occhi, lascia che la quiete entri, e il giorno dopo la forza è rinnovata. Si chiama dormire. Che lui appoggia la schiena alla schiena di un albero, si corica sull’erba, sul fianco del cavallo, della gazzella, dorme con la volpe che dorme sul suo petto. Tutto riposa e Adamo sta nella quiete. Lui non ha paura di giacere in qualsiasi posto davanti al mare, in cima ad albero, sulle erbe della piana. Nel giardino, niente lo ha mai turbato - a parte la solitudine.     

   Non sa ancora che dietro al semplice freddo, a un tuffo nello strapiombo sul mare, una corsa nella tempesta per acchiappare i fulmini, si nasconde la morte - non sa che ci sia la morte. E secondo quello che si dice che si diceva che fu detto ancora tempo prima, in quel tempo della giovinezza, senza Eva accanto a lui, senza i figli che solo poi verranno, il giovane Adamo ignorava l’esistenza della sospensione senza appello, la morte. Non sapeva di malattie come la vecchiaia, la polmonite, la tubercolosi, la scabbia. Del resto, secondo quello che si dice, che si diceva, che fu detto da chi vide, all’inizio la morte non allignava nel giardino. In quel tempo di prima della morte, i corpi sospendono la vita ma non si deteriorano. Non diventano ossame. E prima della morte, a Eden le foglie non cadono. E dai primi che videro padre Adamo ormai molto vecchio, da lui stesso fu sentito raccontare così: “Figli miei, a Eden, prima che finisce il fantastico tempo della concordia generale, al tempo di prima della morte, quando niente si decompone e dal corpo dei non vivi non esce l’ossame e visceri corrotti; al tempo prima che le foglie cadono, al tempo prima che per un’immane sciagura nel Giardino c’è la morte, prima che tutto inizia a marcire, questo vostro Adamo ha visto che le foglie non cadono e le creature non muoiono ma si addormentano. Che sembra che pensano e invece non ci sono”. E un’altra volta, che Adamo è vecchio e sente che ormai è fiacco, lui dice ai discendenti intorno al fuoco catturato con audacia da un albero colpito da fulmine, che lui ricorda quando la morte non era che sonno. Che lui era nel Giardino e incontra la cerva amica che sta dormendo in mezzo ai fiori rossi e anche se grida “Ohh!”, lei non si sveglia. La cerva era coricata  per sempre su un fianco. Dura come uno di questi sassi. E la videro anche i figli di Adamo prima di fuggire,  a quel tempo che erano bambini. Dopo molte stagioni di sonno impietrito, la cerva era sdraiata in mezzo ai fiori rossi, sempre giovane, la carne non corrotta. In quel tempo la morte non era nel Giardino, e lo stesso fatto vide il giovane Adamo con il gorilla che donava le noci e le ghiande, a cui grattava le spalle e il gorilla sospirava. Che  una volta il giovane Adamo va e trova il gorilla sdraiato sotto al baobab, con gli occhi aperti ma senza il fiato. E il domani di quel giorno, il ragazzo va a trovarlo per vedere se si sveglia, ma quello non si sveglia, e dagli occhi di Adamo escono lacrime e tutto il volto è bagnato come se piovesse, e il ragazzo scopre le lacrime. E quella non è la morte, ma un sonno senza appello, ma è inutile provare a svegliare il gorilla, ma il gorilla dorme, ma il giovane Adamo sa che i corpi di quelli che non si svegliano più, odorano della natura buona. Non come dopo, quando scappammo dal giardino, che a un tratto la morte non perdona più e i corpi dei dormienti mandano un odore fetente. Mentre prima nel Giardino la morte era un sonno gentile. E nel giardino si vedevano molte creature ormai vuote della vita: Adamo transita, si ricorda di loro e le saluta.  E basta.        

 

A Eden il ragazzo non ha la casa: ovunque per lui è casa.  La casa è tutta la  terra che percorre e che ogni giorno si allarga. La casa va dagli alberi che incontra agli stagni con le fiere che devono; va dalla grande acqua che non ha fine sino a tutta la pianura che ha esplorato solo con gli occhi perché è lunga. Ovunque è casa sua, sua personale eredità. Le stanze sono le spiagge dove Adamo si sveglia al mattino, l’erba morbida dei campi il pavimento, le cime dei palmizi le finestre da cui guardare il mondo. Il giovane Adamo è festoso. Il giovane Adamo poi capisce - anche se non sa quanto è prezioso che lui può capire, anche se non sa quanto ancora deve capire. E capisce che gli stati della natura, come il giorno e la notte, corrispondono a stati dentro Adamo. E quando sente che dentro di sé si forma qualcosa di molto simile alla notte, lui sa che è la malinconia che arriva come una sassata e che ciò dipende dalla solitudine, e sa che un offuscamento lo interroga e lui dovrà capire. E ha una sapienza: quando dentro di lui si forma il buio, lui lascia che succeda perché sa che niente si ferma per sempre. Che il giorno è bello ma viene la notte e poi anche la notte se ne va. Tutto scorre e non permane. Non permane il pericolo, non la sicurezza: entrambe se ne vanno. Non permangono la felicità e la tristezza: se ne vanno entrambe.  Le creature giocano con lui, e se ne vanno. Piove e la pioggia finisce. Così col vento, così con l’allegria. Tutto fluisce e tutto cambia: si tratta di assecondare, ma il suo umore non è di assecondare sempre come fanno le creature che sono ignare. Lui vuole determinare personalmente quanto succede: vuole decidere. La questione è che il giovane Adamo è diverso. E’ l’unico che va su due piedi e non su quattro, che non è curvo come il gorilla, che non si sposta in gruppi come cervi, cavalli, fagiani e i pesci innumerevoli nelle acque. La sua voce è diversa: non ruggisce come quelli che ruggiscono. Non latra come quelli che latrano. Né sibila come chi si attorciglia fra l’erba e fa sssss. Può imitare l’acqua che scroscia, le fronde che scricchiolano, il lupo che ulula, la rondine che garrisce e la pecora che bela, ma di imitare lo fanno anche certi uccelli colorati. Adamo però, oltre a rifare i suoni di Eden, fa i suoni dei sentimenti. Lascia andare la voce. Canta. C’è il canto del gioco coi puledri, del mare mosso, del sole che sorge e di quando è solo. Adamo canta, allora gli animali vengono da lui e assistono curiosi, catturati. Solo lui sa fare il canto, e gli animali cadono addormentati. 

      

Poi c’è l’altra voce, la Voce che sorge ovunque, al di sopra il bosco e dentro il cuore. Voce non-si-sa-da-dove, che forse abita sulle nubi o nelle scie di fuoco che la notte attraversano il cosmo. Voce profonda o leggera. Solenne o confidenziale. Come la brezza e anche come il tuono. Che arriva quando l’aspetti da mesi e quando non te l’aspetti. Che la puoi chiamare  per giorni e giorni, e non viene. Che ti ignora e che è sorda, e che poi viene e fa come se fosse giunta immediatamente, e dice: “Che vuoi dunque?”. Viene perché il ragazzo ha desiderio che la pioggia finisca, che il freddo si ritiri, la leonessa torni a giocare. Altre volte la Voce viene prima che il ragazzo la cerchi. Viene, e gli insegna. Viene, e lo riempie. E questo è quello che si dice di essere successo nel tempo in cui il Giovane Adamo era nel giardino e da dentro di sé dialoga con la Voce e la Voce risponde. Il primo ricordo della Voce è presso un albero. Lui era un piccolo di uomo, a suo confronto gli alberi sono alti fin E la Voce viene e gli impartisce: “Mangia quel frutto e quello: ma non quello, Adamo. E mi raccomando, abbi ricordo di non farlo!”. Adamo era  un piccolo e la Voce lo istruiva. Lui aveva fame  e la Voce lo istruiva come nutrirsi. Lui mangia i frutti che sono a terra ed è saziato. Un’altra volta è cresciuto e la Voce dice al ragazzo che lui è della specie dell’uomo, è stato fatto con la terra e che lo ha chiamato Adamo perché lo ha tirato fuori dalla terra, che si dice adamà. Nei giorni in cui nel cuore del ragazzo c’è buio perché gli uccelli e gli animali del bosco hanno il branco e lui di simile ha solo la propria ombra, il giovane Adamo siede su un sasso vicino allo stagno. Ha la testa tra le mani, è così triste. Allora viene la Voce e dice al ragazzo di dare un nome alle creature e dopo il nome delle creature rimane per sempre perché a dare il nome è lui, a cui il giardino è affidato. Adamo è lieto e inizia a svolgere il compito. Nomina le creature: la lepre veloce è lepre, la volpe che gioca è volpe, il merlo spiritoso è merlo. E così per il leone, la lince, lo scoiattolo. Il giovane Adamo li osserva sempre e pensa: ha visto nascere i figli delle creature e nessuno è uscito dal bosco o dal cielo, ma da ventre profondo o da uovo. Tu guarda la pecora: i figli della pecora spuntano dal ventre di questa pecora. La pecora li lecca, socchiudono gli occhi e sono nella gioia. Un giorno diventano pecore meno piccole, poi vere e proprie pecore. Anche lui era piccolo e poi meno piccolo. E il giovane Adamo si chiede: come mai io sono cresciuto come i figli di volpe, di tasso, pantera, e la Voce dice che non sono venuto da ventre di uomo, ma dal ventre della terra? La terra non è calda, non è accogliente. E’ scura. Non lecca, non allatta. E’ senza voce, non canta. Adamo non capisce perché lui è nato dall’abisso tremendo. E un’altra cosa non capisce: come è fatto questo Adamo che è lui? Il cerbiatto è una delizia, lo vedi saltellare. La lepre è aggraziata e veloce. Il pavone un grande fiore che si apre e si chiude. Ma come è fatto Adamo davanti, e come dietro? Adamo vede sempre uno dentro allo stagno, ignora che lui nell’acqua è un suo riflesso. Adamo vede l’immagine nello stagno e crede che lo stia guardando una creatura che abita sotto l’acqua e non ne esce. Che non grida e non fa rumore. L’immagine guarda Adamo che lo guarda, sbatte gli occhi quando li sbatte Adamo. Se Adamo grida, l’immagine apre la bocca come se gridasse. Se Adamo fruga l’acqua con un ramo, l’immagine sparisce un cerchio dentro l’altro. Peccato che l’immagine non esca mai dall’acqua: sarebbe la creatura più affine, anche se la più sfuggente, la più invitante anche se la più restia. L’immagine potrebbero essere un suo, ma Adamo non ha  ancora determinato la parola “amico”. Il ragazzo poi sente di non essere stato sempre uno solo. La sera, prima che la coscienza svanisca fino al mattino, il ragazzo pensa: “All’inizio ero con qualcuno come nel sonno della notte”. Ma nel sonno della notte si formano cose che non esistono, sono aspirazioni. In quel mondo della notte, una notte appare una scimmia uguale all’immagine che lo fissa dall’acqua, ma più grande e meno bella – perché l’immagine nell’acqua è più bella. La scimmia che vede nel sonno non cammina, dondola e grugnisce. Ma apre la bocca per sorridere. Chi è dunque quella scimmia, è forse uno che c’è che poi ha camminato lontano?  

   Una sera, il giovane Adamo è davanti a una radura mai vista. In fondo alla radura, c’è una montagna che sparisce nel cielo, un giorno lui ci andrà. Il ragazzo mangia un fungo odoroso e si addormenta nei pressi di un albero. Giace su scomodo terreno, un sasso aguzzo gli molesta il petto. E ora un’immagine cammina nella radura senza dondolare, è in piedi come lui. Forse che l’immagine è uscita dall’acqua? Ma non è l’immagine dell’acqua: ecco, è più bassa, più minuta. Chi è stavolta? Il giovane Adamo non sa se sta dormendo. Tutto accade verosimilmente, ma lento.  L’immagine si avvicina, è meglio fingere di dormire - stavolta ha paura. Lui spia l’immagine da dentro le ciglia, questa immagine si china su lui, lo annusa. Questa immagine non ha peli e viene buon odore. Questa immagine tocca il suo braccio con dita gentili. Il ragazzo apre gli occhi. Questa immagine esiste proprio: ha capelli, mani, con la bocca fa come quando lui è lieto: scopre i denti.  Che sia finalmente qualcuno che giunge e gioca con lui? Che cammina con lui? Che è sempre con lui? Un secondo lui, ma non lui? Come per il cervo c’è la cerva, per il leone la leonessa? Adamo gioisce: da dove viene una simile pienezza? Si alza, il petto duole: mentre dormiva le sue costole sono

state molestate da quel sasso. Nella notte, la Voce ha detto: “Non è bene che Adamo sia solo. Ti farò un aiuto adatto”. La Voce deve aver preso quel sasso aguzzo, tagliato il suo petto, poi ha tratto l’immagine che viveva dentro le sue costole, l’ha messa nel mondo e l’ha fatta arrivare fino a lui. E’ lì dentro che lei abitava. 

    L’immagine adesso è davanti a lui. Respira con quel respiro uguale al suo. Questa volta non è immagine. E’ osso delle sue ossa.  La chiamerà Eva.              

  

Alessandro Schwed   

 

 
 
 

ITALIANISTICA. IL CENTRODESTRA TRA SCENDERE E SALIRE. IL PD PUNTA SU RIMANERE DI SASSO

Post n°73 pubblicato il 04 Gennaio 2013 da Jiga0
 

A Monti non dispiace silenziare  (Huffington Post, 2 gennaio 2013) 

di Jiga Melik

Berlusconi si affloscia. Non funziona più l’intervista-monologo con l’intervistatore in un’altra stanza. Lo sgonfiamento aveva  avuto il suo apice depresso nell’impietosa intervista in piedi davanti a Giletti che da seduto sembrava in piedi, mentre lui in piedi appariva seduto. Ma è strana la vita, a volte basta un niente. Se Monti fosse tornato a insegnare, quella domenica da Giletti Berlusconi sarebbe rimasto seduto e avremmo mantenuto l’impressione regolamentare che lui è molto alto. Purtroppo il Professore sale in politica e Berlusconi invece di scendere in campo, sprofonda con effetti completamente diversi.  Non basta più l’elegante polemica per cui scendere in campo è assai meglio di salire in politica come un professore. Ma anche se il glorioso cerone del Cavaliere è pieno di fenditure e quando parla si sente il crepitio continuo del polietilene che si sgretola sino alla nuca, va dato atto del suo grande contributo intellettuale su quanto sia meglio scendere di salire. Formidabile spunto politico, non fosse che Monti è al 28% perché ha detto salgo e Berlusconi al 5,3 perché ha detto scendo. Peccato che il dibattito io salgo-io scendo stia esaurendo il bagliore, anche se, intendiamoci, l’idea stava cominciando a mostrare pericolosi bui. Dagli e dagli, quel continuo “io scendo” evocava la vicenda di un uomo su un treno che grida per tutta la notte “io scendo” tenendo svegli gli altri viaggiatori. Alle quattro del mattino, mentre grida “io scendo”, viene fatto scendere in mezzo a una pianura e nessuno lo vede più. Va bene, adesso è facile scherzare, però nessuno si sarebbe mai aspettato che il primo scontro tra la destra faraonica e quella bancaria potesse imperniarsi sull’esegesi tra scendere e salire. All’originale accusa berlusconiana di essere solo un insegnante universitario, Monti risponde lasciando trapelare da un sopracciglio lievemente inarcato che chi sale con greve fatica è probabilmente più nobile di chi sta per essere accompagnato in qualche posto dalla Croce Verde. Non si era mai vista una simile polemica culturale dentro la destra: molto originale. Eravamo tutti tenacemente ancorati alla convinzione che se uno sale, va su, e se invece scende, va giù. Non è così. Solamente la  gente comune sale, quella di rango scende in modo irresistibile.  E’ chiaro che con la crisi le possibilità non sono le stesse di prima, ora l’intero campo in cui Silvio desidera scendere è diventato un orto. Pieno di fave d’oro, ma un orto.  Ecco perché non fa presa quello “scendo in campo”. Chi lo possiede più un  campo? Da un altro lato,  provando a  immaginare la notizia al telegiornale, orto convince parecchio meno di campo. “Buona sera. Oggi l’onorevole Berlusconi ha confermato la sua decisione di scendere per la sesta volta nell’orto”. Ma bisogna ammettere che anche la campagna elettorale del professore è ferma al palo. Sì, c’è il Vaticano,  possono essere fatti dei comizi in latino, ma basterà? Per ora il programma di Mario è fermo all’intuizione iniziale di dire che lui sale. Non fa che ripetere che sale. Per ora funziona, dice “salgo”, e anche il consenso sale. Che sia questa la ricetta del suo successo immediato, la parolina “salgo”? Quando lui dice “salgo”, l’aria intorno diventa frizzante come sul Monte Rosa, ma scusate la franchezza: a che serve? La sola cosa pratica sarebbe tirare due palle di neve alla Fornero.  D’altra parte, è il suo stesso cognome a sottolineare come “salire” sia un messaggio subliminale vincente. Perché scusate, non so se siamo scemi, ma si sale solo quando si è in presenza di monti. Capito?? E così, la campagna elettorale si infiamma con la novità dell’esegesi politica della destra. La lotta per la conquista del centro si giocherà su scontri all’ultimo sangue verbale. Battaglie campali su come sia meglio andare di tornare, riposare di dormire, e in caso di necessità correre in bagno invece di sublimare. Ma il professore fa troppo poco. Ripete monocorde il suo “io salgo”, e basta. Che vada a Bruxelles o si veda con la Merkel cinque volte a pomeriggio, la prima cosa che dice quando entra in una stanza è “io salgo”, e ormai non aggiunge neanche “in politica”. Tempo fa era andato dal Santo Padre per avere la liberatoria di mettersi la giacca a vento la domenica. Appena è entrato nel salotto del Papa, la prima cosa che ha detto, è stata: “Santità, salgo”. E il Pontefice: “Guardi che non sono sordo”. Il rischio grave di questo dibattito linguistico su scendere o salire è che la gente di sinistra rimanga affascinata da Monti perché è normale e sale le scale. Intendiamoci, Monti stia molto attento. Bersani ha un tacchino sul tetto.   

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

NON E' LA FINE DEL MONDO CHE NON E' LA FINE DEL MONDO

Post n°72 pubblicato il 24 Dicembre 2012 da Jiga0
 

 

Scherzi da prete maya      (21 dicembre 2012, Huffington Post)

di Jiga Melik

Non è la fine del mondo perché non è la fine del mondo. Per capirlo, si fa così. Se uno guarda dalla finestra e vede le auto in terza fila, scippi, un’edicola di giornali che vende il  busto di Hitler, una nube di cocaina nell’aria e la gente che la raccoglie col mestolo, è una giornata normale.   Ma nel caso remoto ed estremamente deprecabile che sia la fine del mondo (per dire come è delicato gestire l’apocalisse quando non è una metafora giovannea), è fuori luogo dire ai figli piccoli che non è la fine del mondo se la casa di fronte sta entrando in una voragine e i pipistrelli mordono il collo. Il punto è che la frase proverbiale “è la fine del mondo”,  così come quella di valore opposto, “non è la fine del mondo”, richiedono che ci sia o non ci sia affatto la fine del mondo, e in queste ore usare una o l’altra espressione fa la differenza. Se è la fine del mondo, non  è la fine del mondo perché si sapeva da un pezzo che ormai era la fine del mondo. Se invece non è la fine del mondo e piove e basta, sai chi se ne frega, non è la fine del mondo.  Lo so, non è semplice. Ricominciamo. Partiamo intanto dall’esito estremamente amaro per le nuove generazioni che purtroppo non è la fine del mondo. Ebbene, non ha senso cercare di consolare dei ragazzi che puntavano sull’apocalisse per allungare le vacanze di Natale. E’ sbagliato dire loro che se non è la fine del mondo è una cosa molto positiva, quando per rasserenarli basterebbe una paghetta da venti euro. Il fatto è che per le masse giovanili la fine del mondo è un fenomeno di tendenza. Per molti adolescenti, la scuola che crolla o l’incendio del parrucchiere sono un modello estetico. Semplificando, un rave party dove partecipano anche la polizia e il Santo Padre.  A tutto questo va aggiunto un elemento linguistico poderoso. “E’ la fine del mondo” è una frase sia di valore figurato che realistico. La sgretolante “è la fine del mondo”, o la consolatoria “non è la fine del mondo” sono iperboli da usare con grande consapevolezza culturale. Non crediate di poter dire “è la fine del mondo” dappertutto. Per esempio, se in una discoteca affollata dove a mezzanotte si attende la fine del mondo,  un ragazzo grida a una ragazza che è la fine del mondo, la gente fugge a gambe levate e c’è una carneficina. Ma  nel caso non risultasse chiaro, lo ripetiamo. Non è la fine del mondo se non è la fine del mondo, è esattamente il contrario: che è la fine del mondo se è la fine del mondo. Ora, non potendo svolgere in tempo utile una ricerca linguistica certa, non possiamo sapere se nell’immenso altrove di tutte le nazioni esistano locuzioni coincidenti con la frase italiana “è la fine del mondo”, o la speculare “non è la fine del mondo”. E così, non sappiamo se a Pechino esista un’espressione in lingua mandarina corrispondente alle due frasi italiane  “Non è la fine del mondo”, oppure alla similare ma opposta  “Non  è la fine del mondo”, e dunque in Cina si venga  compresi esattamente come in Italia quando diciamo queste due frasi, avete capito bene quali, comunque se adesso ve le ripeto, non è la fine del mondo, la prima è : “Non è la fine del mondo”, e  la seconda è “Non è la fine del mondo”. Quello che possiamo fare è dissuadere chi attende la mattina del 22 dicembre e con la scusa che non è la fine del mondo dire a un coniuge o a uno dei nonni: “D’ora in poi, se apparecchi tu non è la fine del mondo”. Ultima cosa, per quanto morbosa, non sarebbe sbagliato provare a considerare che nel giorno previsto dai Maya, la fine del mondo poi ci sia davvero ma in modo ingannevole la sera alle dieci con il sole che spacca le pietre. E la conferma che qualcosa non torna sia la caterva d’acqua e balene che piove in testa dal Polo Sud che è risalito verso nord, mentre noi precipitiamo in cielo attaccati a una credenza. Quella, si capisce anche a occhi chiusi, è la fine del mondo, anche se nessuno ormai potrebbe dirci che questa non è la fine del mondo, perché se è la fine del mondo in giro non c’è più nessun testardo così vivo da dire che non è la fine del mondo quando abbiamo la testa infilata in un cratere della Luna. Basta pensare che erano cinque giorni che sul pavimento del salotto operava il cratere di un vulcano e non c’era verso di stuccare le mattonelle. Poi c’è un problema di comunicazione. Se nel centro di Bolzano c’è della gente che nuota attaccata a un pezzo di Tibet, vuol dire che la fine del mondo c’è già stata, e quando la fine del mondo c’è già stata, dire “è la fine del mondo” è una metafora spenta. Ma prendiamo pure in considerazione la possibilità che quando non ce l’aspettiamo più, tra quindici giorni si verifichi la fine del mondo. E adesso non ditemi che non sarebbe la fine del mondo solo perché mancano due settimane.  E così, invece di venerdì 21, la fine del mondo si scatena il 10  gennaio alle 6.30 del mattino, mentre siamo a letto a dormire.

   Esattamente in quel momento, con la bellezza di venti giorni di ritardo, si spalanca il pavimento della camera matrimoniale e precipitiamo nel nucleo incandescente del pianeta. Non ha senso protestare: se dopo tre milioni di anni, la fine del mondo è in ritardo di venti giorni, non sarà la fine del mondo.                    

 

 

 
 
 

IL FESTIVAL DELLA CANZONE DEVE ESSERE OTTURATO

 

Sanremo sarà trasmesso senza volume (Huffington Post, Post in piedi, 17 dicembre 2012)   

di Jiga Melik

Stamattina la Rai ha annunciato che il Festival di Sanremo verrà trasmesso a volume bassissimo. Non era affatto scontata questa ventata di libertà. A campagna elettorale in corso, non è certo il caso di fare Sanremo col volume anarchicamente normale e il rischio di capire le battute comiche. L’imperativo è evitare una settimana che con la scusa delle canzoni fa un circo irrispettoso verso qualcuno che neanche nominiamo, ma ha il volto coperto di cerone con dei bubboni di cipria.  Non avrebbe senso, mettersi a ridere proprio adesso che è necessario concentrarsi con tutte le forze per individuare un motivo per cui votare Berlusconi. Ma non c’è da preoccuparsi,  il festival darà l’impressione di essere davvero in onda e sarà trasmesso a macchia di leopardo. Un po’ qui, e delle volte anche lì. Per dare un’idea ci cosa implichi una trasmissione che copre il territorio in modo maculato, la manifestazione sarà perfettamente captabile a Comacchio e nella Valle dei Templi. Mentre a Milano, Torino, Trento, Verona, Bologna, Firenze, Roma Napoli, Bari, Palermo, Cagliari, Perugia e Rimini si vedrà Perry Mason. E’ chiaro che trovandosi il paese in clima elettorale, Sanremo non sarà esplicitamente udibile. Sarà un’edizione sensibilmente attutita. I cantanti bisbiglieranno e il testo sarà per tutti “mmmm”. Smorzate, anche le scenografie. Per evitare allusioni a simboli elettorali, la scena rappresenterà un comune battiscopa di linoleum verdognolo a forma di Italia. Certo, considerando che l’audio sarà al minimo e la sigla di testa una tromba con la sordina che suona appena udibile il “Silenzio”, il festival potrebbe essere scambiato per una cerimonia della massoneria sordomuta. Ma lo ripetiamo, sono solo precauzioni elettorali. La Rai si dichiara molto soddisfatta di avere reso possibile l’evento, semplicemente rendendolo inudibile. Certo è una bella cosa, anche se purtroppo il nuovo festival non sarà mai un gioiello della comunicazione assente come le primarie del Pdl. Del resto, la decisione spettacolare di otturare l’audio, riposa sulle spalle di molti candidati che rischiano di non essere rieletti perché non hanno mai fatto niente in tutta la vita, di legale. In tale frangente, sarebbe stato insensibile trasmettere a volume normale le melodie spensierate del festival. “Amore, non lasciarmi, neanche se va via la colla” di Max Gazzè. O l’avanguardistico  “Dì pure quello che vuoi, ma sei tu che mi fai venire il tetano” di Daniele Silvestri. Un’importante innnovazione è che sul palco dell’Ariston ci saranno duecentotrenta orchestrali di cui centonovanta non esistono. I sassofoni avranno dentro dei cuscini e i violinisti suoneranno in un teatro di Ravenna. Per dare un’idea di questo evento particolare, il depliant della Rai spiega che il volume della trasmissione sarà come il sussurro di un moribondo che sta zitto. Chiaramente, rimane il problema dei comici che sono tutti di sinistra. E’ un nodo apertamente sovversivo e il comitato culturale della Rai, composto da personalità al di sopra delle parti come Berlusconi, La Russa, Gasparri e poi di nuovo Berlusconi, ribadisce con serenità che la presenza sul palco di comici di sinistra ancora vivi, è una minaccia alla democrazia mondiale. Ma che si può fare, ormai sono anni che con il problema della satira si va avanti all’italiana. Senza pena di morte o almeno la tortura. Molti si domandano senza rancore come mai Luciana Littizzetto non sia mandata a fare le sue scenette in una miniera belga abbandonata. Perché la situazione della comicità italiana è grave, ormai Benigni, Luca e Paolo, Littizzetto, Verdone, comico per bene, figlio di un professore universitario, nessuno di loro è mai d’accordo con Berlusconi. Ma perché si è chiesto con obiettività il consiglio di amministrazione Rai, cosa ha fatto di male un uomo che oltretutto è di origine divina? E così, l’azienda ha dovuto agire e muoversi con mano di cemento in  guanto di filo spinato. Non è concepibile trasmettere un festival con i comici che fanno ridere dicendo che anche quest’anno i ristoranti sono strapieni. Oppure, sentire le solite battute sul conflitto d’interessi, e nessuno che dice  mai che Bersani fa tanto il segretario del Pd ma a casa sua ha due televisori e una radiolina sempre accesa in bagno. Una cosa è certa: il festival di Sanremo deve svolgersi evitando che sia minata la possibilità di votare Berlusconi senza nessun motivo. La Rai ribadisce che la satira non è bandita, sono i comici ad essere tutti dei banditi. Seconda cosa, ci sarà libertà piena e i cabarettisti potranno recitare con una patata in bocca. Nel caso non si capiscano le parole, Fazio le ripeterà sottovoce molto velocemente. I telespettatori che nonostante questo  non riescano a sentire una aprola, potranno telefonare a voce bassa e farsi ribisbigliare il testo da un gruppo di centralinisti giapponesi. Inoltre, rispondendo a domande di cultura generale su filologia romanza e fisica quantistica, si potrà vincere l’accesso ai testi satirici sul sito Rai “Sanremo Enigmistica”. E qui interviene la parte più innovativa, grazie ai suggerimenti in greco classico inviati da Alba Dorata e poi tradotti da Lele Mora. Eccoli in sintesi: durante la campagna elettorale, e se possibile anche dopo, per anni e anni, è rivolta alla nazione la regola di parlare a bassa voce in gruppi di massimo uno, compreso il cane. Si tratta della parte interattiva della trasmissione. Gli autori l’hanno intitolata “La senti la canzone”.     

 

 

 

 

 

 

  

 

 
 
 

RICORDO DI BRUNO D'ALFONSO, GRANDE DISEGNATORE UMORISTA, AUTORE DELLE STORIE DI CIACCI

Post n°70 pubblicato il 18 Dicembre 2012 da Jiga0

Nato con la matita - (il Foglio, 18 dicembre 2012) 

Adesso, lo sappiamo. Nella totale invisibilità, il 7 novembre a Roma è scomparso come se non fosse mai esistito uno dei più grandi disegnatori umoristici italiani degli ultimi quarantanni: Bruno D’Alfonso. Succede di scoprirlo chi trenta, chi quaranta giorni dopo: quelli del settimanale satirico Il Male, gli amici, il mondo del disegno, tutti derubati della sua fine. Come se invece di mancare tra telefoni, iphone, Tv, social forum, fosse finito sotto a una sequoia in mezzo al Canada. Ma non saprei se stiamo parlando della scomparsa di D’Alfonso dalla nostra vita, o della scomparsa di tutto il mondo dalla sua. Bda, bandiera del velenoso oblio. Ha parlato con miriadi di vignette e strisce su Linus, Comix, sull’arcaico inserto satirico di Paese Sera, il Tramezzino, sul Mondo, la domenica del Corriere, su Satyricon, la cronaca del Corriere. Con uno humor candido, meraviglioso, come quello stupefacente dei “Bamba”. Divenne celebre per il suo “Ciacci”, esilarante strip sulle avventure scolastiche di un gruppo di ragazzi in un liceo romano (scritte con Francesco Cascioli - anche lui prematuramente scomparso due anni e mezzo fa) - pubblicate su Linus e Acme, e fatte libri tra il 1985 e il 1994 da Milano Libri, Tango edizioni e Rizzoli. BDA lo conobbi al Male a fine anni ’70. Lui e Cascioli ridevano come se schiamazzassero, le parole erano indistinguibili. Eppure quei due lavoravano. Di sé come autore, D’Alfonso parlava a bassa voce. Anni fa, mi raccontava sempre al telefono le vignette che aveva appena disegnato per l’edizione romana del Corriere. Parlava così piano che non lo sentivo. Finché nella cornetta gorgogliava una risata: era la fine della vignetta. Poi la voce tornava normale e si sentiva benissimo ogni parola. Bruno si vergognava di essere bravo. Dicevi “bellissima” di una sua vignetta, e lui diventava paonazzo, le grandi palpebre calavano come una saracinesca. Per BDA essere umoristi significava disegnare scherzi. In privato poi raccontava i suoi personaggi perché il mondo li proteggesse, e i personaggi erano dei BDA con i pantaloni lunghi che avrebbero dovuto essere ancora corti. Nominava Gesù, Medjugorje, la Madonna, e gli amici, e sì che gli volevano bene, retrocedevano. Bruno si rintanò: temeva di sottostare  al secolo, a nuovi eccessi. Non voleva essere corrosivo, ma amorevole, e le sue vignette erano un umanesimo aereo. Palloncini. Tra quelle pubblicate in memoria sul blog di Luca Boschi, ce n’é una dove due tali camminano fianco a fianco sul marciapiede. Uno è un gigante capellone, l’altro un minuscolo signore con la barbetta e il cappello. Il capellone si confida: “La trovai a letto con il barbiere e ormai sono dieci anni che non ci parlo più”. E l’amico: “Con tua moglie?”. “No, col barbiere!”. C’è la comicità del rapporto impossibile tra un capellone e un barbiere e anche il racconto di un amore finito, quei due che camminano assorti mentre si dipana la confidenza del dolore. E la sfumatura del punto esclamativo di “No, col barbiere!”, dove il capellone è spazientito di non essere capito nel proprio dolore. Si dirà: inezie. Ma guardate quanti particolari per una narrazione umoristica. Da tempo lo assillava che non gli venisse più riconosciuto lo statuto di artista, di essere lasciato senza il lavoro, dimenticato - come un altro grande disegnatore del Male, morto anni fa, Angese.  D’Alfonso era sostenuto dall’affetto dei quattro fratelli (la sorella vicina di casa, Alberto, artista anche lui, sassofonista con Carosone e poi con Brignano), o se ne andava a suonare la chitarra in parrocchia. Ma su di lui, si rovesciava un destino da Giobbe: il matrimonio storto; l’incomprensione permanente con la satira; la perdita della vista; la fine del disegno; gli amici svaniti; vivere della magra pensione; il tram che lo  investe e lo sfigura; guarire inutilmente e nuotare nei  calmanti per il dolore; il “leggero” ictus. Il poliziotto che alla fontanella lo aggredisce per sbaglio e gli rompe un braccio - lo racconta all’amico Dino Aloi, non spiegandosi tutta quella sorte negativa (non è forse Giobbe?). Poi, il 7 novembre, scende per aprire al postino, risale, cade per le scale e muore.

   Mai una fortuna. Eppure era nato con la matita.

 

Alessandro Schwed       

   

 
 
 

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Post n°69 pubblicato il 12 Dicembre 2012 da Jiga0

 

La fine del mondo in autobus

Stamattina, verso mezzogiorno, ero in un atobus strapieno. In fondo c'erano degli studenti che ridevano. Uno di loro ha urlato: "Non è possibile, sei la fine del mondo!". L'autobus ha frenato bruscamente, le persone urlavano. Si sono aperte le portiere e la gente ha cominciato scappare. L'autobus aveva frenato solo per non tamponare un furgone. 

 

 
 
 

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Post n°68 pubblicato il 11 Dicembre 2012 da Jiga0

La lingua della Cancellieri preoccupa 

Parlando sulla data delle prossime elezioni, il Ministro Cancelleiri si è rivolta così ai cittadini della sua medesima nazione: "Stiamo ragionando sull'election day". Meno male che non ha detto ci vediamo per votare allo Harry's bar. Si faccia vedere, ha una gran brutta lingua.

 
 
 

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Post n°66 pubblicato il 09 Dicembre 2012 da Jiga0

Libri tirati

A "Più libri più liberi" gira il logo di una casa editrice dove un ragazzo col volto coperto invece di una molotov scaglia un libro. L'immagine, sia enfatica che surreale che graficamente elegante, si propone come l'icona di una pace ribelle e radicale, ed è stampigliata sopra una borsa della spesa. Ma se questa icona è ribelle e radicale, radicalmente ribelle, perché nascondersi il volto? Perché fare male con le idee, anziché donarle a pioggia? Perché vendere la borsa? A meno che anche la rivolta sia un target di mercato. Che noia.

 
 
 

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Post n°65 pubblicato il 08 Dicembre 2012 da Jiga0

Il 7 Novembre è morto Bruno D'Alfonso, grande umorista della matita  

Bruno, eri candido. Il mio umorista preferito. Quando mi raccontavi al telefono le vignette nuove che avevi fatto, o le strisce, parlavi così piano che quasi non riuscivo a sentirti. A un certo punto sentivo gorgogliare una risata nella cornetta, ed era la fine della vignetta. Poi mi parlavi di che avevi fatto la sera prima, la tua voce tornava normale e si sentiva nitidamente tutto.  E così, hai preso la porta e te ne sei andato pianissimo. Nessuno ha sentito il rumore della porta che si chiudeva. Ci hai fregato.

 
 
 

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Post n°59 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da Jiga0

 

Fuochi artificiali

Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

 

Dalla Federazione PD di Napoli

Comunichiamo con piacere che dopo che il nostro comitato cittadino garanti ha dato fuoco con successo all'elenco dei votanti al primo turno delle primarie, la segreteria nazionale del Pd ha deciso di dedicare l'imminente vittoria artificiale alla memoria di Stalin. 

   Gioiosamente, Federazione Piromani Democratici di Napoli

 

 
 
 

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Post n°58 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da Jiga0

 

Le ceneri di Bersani

A Napoli, al comitato pro Renzi che chiedeva conto dell'elenco dei votanti al primo turno, è stato risposto che l'elenco è stato bruciato lunedì. 

 

 
 
 

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Post n°57 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da Jiga0

 

Arresti domiciliari

Ieri sera, i Riva dell'Ilva dovevano ritirare a a Darfo Boario Terme il premio "Imprenditore dell'anno" . Non è stato possibile: indovinate perché. La risposta è nascosta nel titolo.

 

 
 
 

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Post n°54 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da Jiga0

 

Il livello del dibattito

"Sto con Renzi perché è digitale. Vendola e Bersani sono anni '60". 

 

 
 
 

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Post n°53 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da Jiga0

 

IL POGROM DI CAMPO DEI FIORI - di Alessandro Schwed

C'è un problema di zone franche dove è prassi violare le regole sociali senza che nessuno alzi un dito, senza che ci sia una forma di tutela del cittadino. Nelle zone franche è come se non succeda niente mentre e poi dopo che è successo. La zona franca è dislocata come l'antica serie televisiva, ai confini della realtà. E' la zona franca del social forum, la zona franca dei bar che servono alcoolici ai minorenni ogni giorno in tutta Italia, la zona franca dell'erba modificata e spacciata con dentro chissà che alla faccia della salute dei ragazzi. Poi c'è limmensa zona franca del nazismo del XXI secolo: lo stadio di calcio, le sue gradinate e le vie d'accesso, i pulman dei tifosi, le autostrade, gli autogrill, i ritrovi sociali calcistici in città, i pub e i bar sport. Il calcio è la zona franca no limits per le bande dei Rasati, Tatuati, Deformati, Fascistizzati, Nazistificati, con le loro mitologie stratosfericamente burine, la Macchia Umana per eccellenza. Le società di calcio e i sostenitori relativi non denunciano la Macchia Umana eppure ci siedono accanto la domenica. Non lo fanno perché hanno paura e perché non conviene ai padroni del giocattolo. Dicono e ridicono che non possa essere la tifoseria romanista la protagonista della notte antisemita: non lo so, vedremo, ma che adesso la Roma abbia una tifoseria di sinistra è una catalogazione da Età del Ferro. E poi, scusate, non scherziamo. A sinistra o a destra di che, del pecorino laziale? Dai. Guardate gli striscioni delle curve del calcio (se fate in tempo a notarli in Tv, dove la manipolazione del "giornalismo sportivo" ( ma andrebbe virgolettato sia giornalismo che sportivo) cancella la realtà dalla realtà. Slogan su negri, ebrei, rumeni, extracomuniatri, kossovari, e naturalmente sui napoletani. Ma poi, certa gente che si definisca di destra, ariana, marxista, anarchica, luddista, blackblock non è altro che una discarica umana. Demoni. Ma pur di andare alla partita, noi siamo disposti a coprirre i demoni. E' un'inerzia catasrofica: qui c'è in ballo la possibilità di avere ancora delle città e vivere come nel XXI secolo e non come nel pleistocene. Andate per favore a vedere le fote scattate nel centro di Roma l'altra notte, nell'autuno del 2012, e non in un villaggio ucraino del 1908. E' stato un vero pogrom. Anzi. Un racconto di fantascienza su un pogrom, con i cosacchi della suburra, senza colbacco ma ubriachi di qualcosa anche loro, senza cavallo e con le moto parcheggiate da qualche parte, che irrompono in un bar di Roma dopo che si sono fatti un buco. E' inquietante che i giornali non sottolineino le allucinanti affinità con il meccanismo del pogrom: uno stato di esaltazione farneticante, l'irruzione improvvisa in un luogo dove si suppone siano riuniti degli ebrei, la violenza bestiale su di loro e sul luogo, lo sfascio di tutto, l'inseguimento dei singoli nei vicoli notturni, gli accoltellamenti e gli sbudellamenti, i vestiti delle vittime sparsi a terra, il sangue che luccica sul selciato, la fine dello spirito umano, il tasso alcoolico a elevato sostegno e l'instaurazione dell'amato regno del terrore. E nessuno che li fermi. Ci tornereste adesso a bere una birra in centro? Dipende: se avete l'aria semita non vi conviene. Non dirlo sui giornali che è stato similissimo a un pogrom, che è stato un infernale evento antisemita, significa proteggere la macchina dei soldi che è il calcio. Non dirlo è antisemitismo culturale, e probabilmente non dirlo è ignoranza storica di cosa fossero i pogrom. E va bene, questa è l'Italia di ora. Ma agiamo. Non spetta solamente allo Stato reagire, spetta a noi per primi: siamo noi lo Stato, non i Surrogati Tecnici. Vi ricordate che siamo la società civile? E allora, che è questa indolenza? Nessuno può supplire alla vigilanza sulla libertà e sulla democrazia. C'erano delle persone inglesi in un pub, forse erano ebrei perché sostenitori del Tottenham, volevano trucidarli.

Per me il campionato deve essere fermato.

 

 
 
 

SHOCK ALL'ALBA TRA I NETTURBINI DI ROMA CENTRO: SPARITO MONTECITORIO

Post n°52 pubblicato il 22 Ottobre 2012 da Jiga0

La politica è un'immensa fregatura  (Il Male n. 39)

di Jiga Melik

 

A scoprire l’immenso furto è stato il presidente Fini martedì mattina. Ha fatto per entrare, e non c’era la porta. Ha alzato la testa e non c’era neanche il Parlamento.  E noi che credevamo di averle viste tutte: da Craxi a Formigoni, da Lusi a Fiorito. Tutto è iniziato mesi fa, quando ha cominciato a circolare la notizia che sarebbe calata la mannaia dei tagli alla politica. All’inizio, quando venivano semplicemente saccheggiati gli arredi parlamentari, gli uscieri chiudevano un occhio in cambio di un abbonamento alla metro, ma poi è stato il patatrac: tegola dopo tegola, è sparito tutto.   Da mesi, un’organizzazione clandestina di deputati portava regolarmente via i seggi, i tavoli degli stenografi, gli arazzi, i pezzi migliori di pavimento. La notte, con la scusa di scrivere le leggi, la Banda degli Onorevoli si fermava all’interno dell’edificio e asportava: dai banchi del governo al sapone. Perché il punto è sempre stato il solito: del maiale non si butta via nulla, e neanche delle istituzioni. Il materiale asportato andava soprattutto in Rete. Da luglio, la carta igienica della Camera è il cult di ebay: la tradizionale scritta sui rotoli, “Montecitorio” è stata commercializzata aggiungendo “di merda”. Gli arredi della Camera erano stati progressivamente sostituiti  da quinte e scenografie per rendere plausibili le riprese televisive, altrimenti si sarebbe visto solo gente in piedi che urla, perché naturalmente erano stati rubati i microfoni. Ora il Parlamento non c’è più, altrimenti avreste potuto fare una gita a Roma per provare a palpare i banchi dove i deputati fingevano di appoggiarsi se no il legno si afflosciava: per forza si afflosciava, era carta velina. L’assemblea sedeva su un’illusione prospettica. Al mattino, se c’erano le finestre aperte e un po’ di vento, i seggi di cartoncino dei rutelliani volavano sino al soffitto. La vita politica ne risentiva: era impossibile sedersi su dei disegni, se no si finiva per terra assieme a file di Schifani. Non si è salvato nulla: a ferragosto, la sputacchiera di Andreotti è stata venduta a ottanta euro. Resistevano gli arredi della Bouvette, altrimenti i deputati non sapevano dove andare a pranzare gratis. Ma dal parrucchiere di Montecitorio la caratteristica poltroncina col cavallino sulla cui groppa di ferro Veltroni (e prima di lui Fanfani) amavano fare gip dap, era stata comprata dal Luna Park dell’Eur per 14 euro sonanti. Le ultime settimane,  non era possibile sedersi a scrivere gli emendamenti perché non c’erano i pavimenti sotto alle sedie. Si era salvato il pavimento della commissione-stragi perché era lo sgabuzzino delle scope. Poi, la china finale. Notti fa, un gruppo di rutelliani sbandati è piombato nelle toilette, erano zeppi di limoncello rubato alla Esse Lunga. Hanno divelto piastrelle, specchi, rubinetti, portati via i water con le vecchie carriole di Craxi. Il giorno dopo i deputati non sapevano come fare a liberarsi gli intestini. Nei bagni, al posto delle tazze c’erano dei crepacci, allora hanno fatto un’interpellanza per sapere da Fini dove andare di corpo. Da ore, centinaia di onorevoli, di destra e di sinistra, erano costretti a defecare trasversalmente sotto ai seggi. nel corridoio del Transatlantico e anche in alto, sui soffitti.
  Poi, l’altro giorno all’alba, la sorpresa di Fini. “Vado per aprire la Camera, e non c’era più nulla”.  Vicino a lui un vecchi netturbino scuote la testa intenerito per l’ingenuità del Presidente: “A’ Giancà, se so’ magnati anche li sorci”. 

 
 
 
 

Jiga Melik

 

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