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VIAGGI NEL TEMPO

TREMILAMETRI

 

 

Dal sottopasso delle Portelle che porta al lungomare all’ Hotel Diana un kilometro e mezzo.

Andata e ritorno, tremilametri. E già, tremilametri.

Li dovrai fare tutti i giorni, per tutta la vita che ti rimane.

E se piove? Ti bagni!

Allora mi sono attrezzato, è tempo di saldi del resto.

Tuta nuova, racchette, cappello di lana nera, calzamaglia, occhiali scuri e scarpe da tennis:

scarpe da trekking urbano mi sussurra la commessa con un’aria molto professionale. 

Il termine trekking deriva dal verbo inglese to trek,

che significa camminare lentamente, ma anche fare un lungo viaggio.

Una volta, infatti, si viaggiava a piedi e tutti i viaggi erano lunghi.

Ed proprio un lungo viaggio quello che mi appresto a fare.

Un viaggio fatto di tanti tremilametri.

Ma non è, o non è solo, un viaggio nello spazio, è anche e soprattutto un viaggio nel tempo.

Questa vita dovrò viverla ancora una volta e forse innumerevoli altre volte,

ma non ci sarà più niente di nuovo e non più ci sarà dato di fuggire dalle nostre vite.

L'eterna clessidra dell'esistenza viene di nuovo capovolta ed io con essa.

La domanda di grazia è stata respinta e sono stato condannato a vivere.

Solo le mie nipotine e l’orto riescono ancora a destare in me meraviglia e curiosità.

Questo non è il mio tempo. Il mio tempo è un altro tempo.

Altri mari e altre spiagge. Altre immagini. Altre parole, altre nature, altri popoli.

Non è facile guardare al proprio passato e ritrovare la voce e l’innocenza del bambino.

Innocenza che non è altro che non-conoscenza di ciò che gli adulti sanno.

Non è facile fare lo spoglio dei ricordi e distinguere tra quelli veri e quelli ricostruiti.

Tremilametri, un’ora e un quarto.

Ci sono storie che abbiamo abitato e che ancora non si sono perse del tutto nel vento.

Tremilametri, un’ora e un quarto.

Ascoli Piceno, 1964, secondo ginnasio, squadra di atletica.

Maria Elena secondogenita di una ricca famiglia di agrari, la famigerata borghesia nera di Ascoli.

Esile, bella, aggraziata nella corsa, una figlia del vento.

Mi allenavo insieme a lei, biondina del primo ginnasio, molto più brava di me.

Io correvo goffamente i tremilametri, la distanza più lunga delle gare degli allievi,

in quasi dieci minuti, secondo più, secondo meno,

un buon tempo per il professor Ciuffo di educazione fisica, ex nazionale di Rugby.

Arrivo quarto ai campionati studenteschi, sono troppo grosso per la mia età.

Maria Elena invece vinse, solo il vento riusciva a starle dietro.

Mi abbracciò a fine gara, mi ringraziò con un gran bacio.

Ma la sua famiglia non approva. Anzi è proprio contraria all’atletica, sport per poveri.

La vorrebbero ottima tennista da esibire, tra un drink e un aperitivo, al circolo del tennis.

Non approvano nemmeno la mia compagnia.

Suo fratello più grande, piccolo e cattivo come quei mostriciattoli dei film fantasy,

una sera ai giardinetti mi affronta mentre la riaccompagno a casa.

La devi lasciar perdere, mi intima, dandomi dei colpetti provocatori sul petto.

Non vogliamo che Maria Elena esca con te. E continua con i colpetti.

E poi sappiamo chi è tuo padre, dice il bullo con fare vagamente minaccioso.

Mi vengono in mente allora le urla del professor Ciuffo.

Usa la testa! il Rugby non è una esibizione di forza. Usa la testa!

La testata partì violenta, il mostriciattolo cadde a terra sanguinante, bestemmiando col naso rotto.

Per mesi non vidi più Maria Elena, il padre l’accompagnava a scuola tutti i giorni.

Poi a giugno quando stavo lasciando Ascoli per sempre, alla stazione apparve Maria Elena.

Mi abbracciò forte e mi fece promettere che sarei tornato a prenderla e a portarla via.

Non mantenni la promessa. Dopo anni appresi della sua morte per overdose.

 

 

 
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