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ELEFANTI E BALENE, ORSI E PANTERE... E UN’APE
Otto di mattina, tempo chiuso, nuvole basse si alzano dalla valle. Un po’ di nebbia, ma non piove. Il campanile della chiesa trasmette con altoparlanti il canto di un prete, pare il richiamo di un muezzin. Emma è in piedi da un pezzo, il caffè è già pronto. Mi offre anche una mela di quelle della grande famiglia delle mele appenniniche, lucide, verdi con una bella guanciotta rossa. Gusto aspro, ogni morso un assaggio di bosco e una piccola scossa di adrenalina. Stamattina è quello che ci vuole. Sauro è piccolo e basso, tosto come un tronco di un castagno di queste parti. Carnagione scura, mediterranea, come i libanesi di Beirut o di Tiro. La sua età la si può solo immaginare: 70, 80, 90? Fa la guardia forestale da volontario per la provincia di Ascoli, gli danno, si e no, solo i rimborsi per la benzina. Il grande Saurus, racconta, era l’ultimo elefante di Annibale. Morì sul sentiero del Gorzano, che dall’Abruzzo porta ad Amatrice e alla strada per Roma. Saurus morì nel pantano del sentiero delle Cascatelle, sotto la pioggia. Di tutti gli spostamenti di Annibale, il valico degli Appennini fu il più penoso. Peggio dei Pirenei e delle Alpi. Gli Appennini sono un brutto affare. Non hanno strade di cresta. Non sono fatti per essere percorsi, ma solo per essere traversati in diagonale. Vie del sale, di pellegrinaggio o di commerci, strade per gli eserciti, piste di bracconieri: tutto passa trasversalmente e niente in longitudine. Saurus morì di stenti dopo quattro giorni di cammino ininterrotto nel fango, senza riposare un attimo. Così almeno narra la leggenda. Leggenda? Forse. Fino a quando, tanti anni fa, non fu ritrovato un osso fossile di mastodonte. I cartai di San Martino lo collegarono immediatamente al passaggio Annibale (Nibalo). Questi montanari amano il grande generale, nemico di quella Roma che li ha sottomessi. Qui tutto è fenicio. Sulla facciata di una antica casa ad Amatrice c’è una pietra con una svastica, il segno fenicio del sole, datata 212 avanti Cristo, stessi anni di Annibale in Italia. Questa terra è al confine coi sanniti, nemici storici di Roma. E qui, dopo Canne, i cartaginesi decisero di sciogliersi e mettere radici. Le loro tracce? Tutte nei nomi dei luoghi. Pescara, Pescolanciano, Pescasseroli, non c'entrano niente con la pesca, vengono da "PESQ", in fenicio "roccia". E poi sui monti della Laga ci sono un centinaio di sorgenti dal nome punico. Fonte Matta, da Mawt (Dio), fonte Bara da Barak (benedetta), fonte Catella da Kadesc (sacra).
Fonte Maura. Mauri, il nome con cui i romani chiamavano i fenici.
Noi montanari di qui siamo come i sanniti. Mai sconfitti in battaglia, ma egualmente vinti.
Poi mi parla della balena. Le ossa di una balena appenninica,
sospesa con i suoi costoloni vecchi di milioni di anni
proprio sui calanchi qua vicino, tra fossili di pesci quaternari.
Lo sai? Le nostre vigne traggono sapore da un immenso cimitero marino.
C’era un mare qua oppure un lago, anzi un lago femmina (Laga) da dove è nata la vita.
Dopo l'elefante, ecco un altro gigante uscito dal tempo per arenarsi in questo mondo misterioso.
Qui è pieno di animali. Orsi, cervi, daini, istrici e poi cinghiali, a migliaia, ovunque.
E tanti lupi, di passaggio verso nord.
Racconta, sul Pizzo di Sevo qualche anno fa ho visto pure una pantera, nera come l'inferno,
fuggita da una villa di milionari imbecilli.
Manca un solo animale: l'uomo.
I sentieri, che formicolavano di tagliaboschi, pellegrini, mercanti,
mulattieri, emigranti, pastori, contadini e soldati, oggi sono quasi deserti.
L'uomo pare estinto come l'elefante di Annibale.
Mio padre, morto nel '33, per anni aveva fatto il domatore di orsi.
Ecco ci mancava l'orso, dopo la balena, la pantera e l'elefante, la giornata dei giganti appenninici è completa.
L'orso, che lui guidava a piedi fino in Polonia e che faceva ballare fin nelle steppe della Russia,
gli aveva amputato un dito. E ce ne erano altri poveracci come lui.
Non facevano soldi, puzzavano, la gente gli rovesciava pitali di piscio dalle finestre,
dormivano vicino alla bestia ed erano pieni di pidocchi
e tornavano a casa più poveri di quando erano partiti.
Dio quanta fame c'era, quanta fatica, quanto lavoro dei nostri emigranti.
Siamo partiti così giovani che non abbiamo fatto in tempo a fare i partigiani.
Nel '43 eravamo già inglesi o da americani sbarcavamo in Normandia.
Alcuni finirono a El Alamein a sparare contro i compaesani, per la guerra voluta da un idiota.
Mi fa male ricordare, ho il cuore debole.
E poi mi fanno tenerezza 'ste rumene, 'ste ucraine che vengono qui,
magari sono laureate e puliscono il culo a noi vecchi.
Basta prendersela con i forestieri! Dicono che sono ladri, ma noi cosa eravamo?
Chi se la prende con gli immigrati non ha memoria.
Lo starei a sentire per ore. Mi rammarico per non avere con me un registratore.
Sauro andiamo è tardi, prendiamo la mia macchina.
Al parcheggio della piazzetta guarda la mia macchina e ride
Vo’ ì cu’ issa! (vuoi andare con quella). Prendiamo l’Ape che è meglio.
Rido anch’io. La vecchia Ape mi riporta all'Italia di prima del miracolo economico.
Mi riporta ai grammofoni 78 giri, a prima di "Lascia o Raddoppia", della Seicento, delle autostrade e degli autogrill.
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