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Proposte contro gli sprechi e i privilegi delle caste

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PRAGMATISMO

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SI AL PRINCIPIO CHE TRA STIPENDIO PIU' BASSO E QUELLO PIU' ALTO

DEVE ESSERCI UN RAPPORTO FISSO.

STIPENDI DEI POLITICI IN MEDIA EUROPEA.

STIPENDIO DEL MANAGER NON SUPERIORE A 13 VOLTE

QUELLO MEDIO DELL'OPERAIO DELLA SUA AZIENDA.

NO ALLE STOCK OPTION

NO ALLA FINANZA CREATIVA, NO AI DERIVATI

 

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« Costo politicaUn pò di storia  2 »

Un pò di storia per i giovani 1

Post n°101 pubblicato il 23 Gennaio 2007 da albert.z
 

1992. La crisi della politica, che già da qualche anno faceva allontanare i cittadini dai partiti tradizionali e crescere l’astensionismo o il voto per nuovi gruppi (dalla Lega di Umberto Bossi alla Rete di Leoluca Orlando). E la spesa pubblica fuori controllo, che stava portando l’Italia verso la bancarotta. “Il Paese viveva in una situazione di capitalismo senza mercato, secondo la formula che piaceva tanto a Gianni De Michelis”, spiega il giurista Guido Rossi. Lo Stato, insomma, non solo controllava una larga fetta dell’economia, ma spendeva, spendeva, perché ai partiti che lo avevano letteralmente occupato interessava – più che l’utilità delle opere realizzate e l’efficienza dei servizi prestati – mantenere il consenso e portare a casa le “provvigioni” (alias tangenti) che permettevano di pagare “i costi della politica” (e dei politici). Dall’altra parte, gli imprenditori grandi e piccoli si erano organizzati per vincere gli appalti spartendosi il mercato tra loro e pagando robuste mazzette ai partiti, evitando così i noiosi impicci della concorrenza e del libero mercato.

Eccola qua, allora, Tangentopoli:
non è solo il sistema delle tangenti (peraltro pesanti: 10 mila miliardi di lire l’anno, secondo i calcoli realizzati nel 1992 dall’economista Mario Deaglio); è, per le imprese, un sistema di accordi di cartello; e, per i partiti, un sistema di sperpero sistematico dei soldi pubblici. Risultato: il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel ’92 arriva al 118 per cento (per entrare in Europa l’Italia doveva stare sotto il 60). Insomma: il crac. Eravamo a un passo da una situazione argentina. Non poteva durare. E infatti quando un magistrato più abile e fortunato di altri dà la prima spallata, il castello di carte crolla. Cedono, uno dopo l’altro, gli amministratori, gli imprenditori, i politici. Come le tessere di un grande domino. Anche perché, nel frattempo, il mondo era cambiato: imploso il blocco sovietico, perdono forza i partiti che anche in Italia erano legittimati dall’uno o dall’altro dei due schieramenti. Saltano quelle reti di protezione (politiche, ma anche giudiziarie: avocazioni, porti delle nebbie e ammazzasentenze) che rendevano improcessabili i potenti.
E implode anche quella variante di capitalismo di Stato che era in mano ai boiardi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani). Cade il Muro di Berlino, ma anche il Muro di Bettino. Tutto ciò, per le vie insondabili della Storia, diventa diffusa insofferenza verso i partiti, voglia di cambiamento, tifo per i giudici, perfino giustizialismo (vedi): insomma, Mani pulite.

 
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